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Insegnami ad amare
Elisabetta Graber
INSEGNAMI AD AMARE
romanzo
www.booksprintedizioni.it
Copyright © 2013
Elisabetta Graber
Tutti i diritti riservati
A mio padre
che mi ha ispirato ad intraprendere questo viaggio.
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Il sole caldo di fine giugno era tramontato già da
qualche ora, lasciando posto al pallido chiarore di una
luna tonda e grande che rifletteva la sua forma sferica
sulle acque limpide del mare che, leggermente, si infrangevano sugli scogli. Nell’aria, oltre all’afa che opprimeva, si sentiva soltanto il frinire delle cicale e il
motore in lontananza di qualche auto che sfrecciava
sulla via sgombra.
Non molto lontano da quella sensazione di pace,
però, nei pressi della Baia di Santa Monica, in una villa a due piani, con finestre e porte a vetro, la notte era
appena iniziata: musica assordante, alcool a volontà,
ragazzi che ballavano senza riuscire a sentire quello
che diceva l’altro, altri completamente ubriachi, altri
seduti a fumare o a prendere qualche sostanza che li
facesse sballare ancora di più, ragazze seminude che
ballavano sui tavoli e altri appartati con la bella di
turno. Era il cocktail perfetto per festeggiare, così, la
fine dell’anno scolastico.
I libri erano stati riposti nell’armadietto e la campanella aveva suonato per l’ultima volta. I professori
non erano più protagonisti degli incubi dei loro alunni e la scuola era diventata un posto deserto. L’estate,
dunque, era appena iniziata e quale modo migliore
per festeggiare se non ballare tutta la notte?
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D’un tratto il dj, un ragazzo tatuato con un piercing
sull’orecchio e una bandana blu, che velocemente e a
tempo di musica regolava il mixer, aiutato da una cuffia appoggiata tra l’orecchio e la spalla, abbassò leggermente il volume, come se avesse voluto fare un annuncio. I presenti, soprattutto di sesso maschile,
ascoltavano impazienti le parole del ragazzo, il quale
aprì l’audio del microfono e disse: “Ragazzi finalmente l’attesa è finita...”
Tutti, lentamente, si avvicinavano alla console del
dj.
“È arrivata...”
“Electra, Electra!” gridavano a gran voce.
“Avete capito bene...” continuò il ragazzo“...è qui
con noi... ELECTRA!”
La musica tornò ad aumentare, ma questa volta era
più sensuale. Le luci divennero soffuse e sul palco,
preparato per l’occasione, comparve una ragazza con
un completo di minigonna, mini top a fascia, stivali
con tacco vertiginoso e una parrucca corta, blu metallizzato. Trucco pesante e occhi neri profondi incorniciati da una mascherina argentata. Uno sguardo intenso, come quello di una pantera che osserva la preda prima di sbranarla. Ballava a ritmo di musica e faceva scivolare il suo ventre piatto lungo il palo, messo
lì a posta. Cominciò a sbottonare gli stivali rimanendo
con le calze autoreggenti, poi, fu la volta della gonna
che, con un gesto rapido, volò tra il pubblico che applaudiva estasiato alla visione di una culotte nera di
pizzo. Si muoveva con una naturalezza tale da togliere
il respiro. Quel palo intorno al quale il suo corpo
scendeva e poi risaliva lentamente, sembrava essere
l’uomo per cui lei ballava quella danza sensuale. Gli
occhi neri fissavano uno alla volta i suoi spettatori,
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mentre il suo corpo continuava a piegarsi e distendersi sensualmente. Infine, si voltò di spalle e lanciò in
aria il reggiseno, coprendo il seno nudo e scatenando
urla di compiacimento da parte del pubblico eccitato.
Diede loro un ultimo sguardo da pantera mentre riceveva applausi e complimenti, poi scomparve dietro il
velo da dove era entrata.
I presenti rimasero ancora un attimo immobili,
come se avessero voluto stampare nella mente ogni
istante di quello spettacolo: i suoi movimenti, il suo
corpo, i suoi occhi. Poi la musica tornò ad essere assordante come prima ed ognuno riprese a ballare e a
divertirsi.
Nel frattempo, in una stanza lontana da tutto quel
frastuono, la parrucca blu era stata tolta e al suo posto, ora, c’erano lunghi capelli castano scuro, mossi. Il
trucco pesante era svanito e la minigonna e gli stivali
erano stati riposti nella borsa, lasciando il posto a un
paio di jeans e a una maglietta.
“Amica sei stata grande!” disse entrando Katia, entusiasta della performance della ragazza, con in mano
due bicchieri stracolmi di qualche bevanda alcolica.
Lei, intanto, si guardava in un piccolo specchietto
portatile per controllare che ogni traccia della sua
esibizione fosse sparita, poi, prese dalla borsa una
bottiglia di champagne presa in “prestito” dal frigorifero del padrone di quella villa, sorrise con complicità
all’amica e con lei tornò alla festa, mischiandosi tra le
altre ragazze.
Rientrò a casa quasi all’alba. Tolse le scarpe per non
fare rumore e chiuse lentamente la porta di legno
massello, ma ad aspettarla in piedi c’era sua zia, in vestaglia, con le braccia conserte.
“Torni sempre più tardi!” esclamò infastidita.
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“Scusa, il tempo è passato così velocemente che non
me ne sono accorta.” rispose con tono stanco.
“Smettila con queste bugie!” alzò la voce la donna
“Credi che non sappia di te, dei tuoi amici, di quello
che fate e della tua doppia vita?” continuò facendo
sventolare un top di pagliette.
Allyson abbassò gli occhi.
“Ormai non so più come fare con te” disse, poi, con
tono rassegnato “credevo che venendo a vivere qui ti
saresti data una regolata e, invece, non fai altro che
prenderti gioco di me e ignorarmi...”
“Non accadrà più. Adesso rilassati, non vorrai mica
farti salire la pressione?” disse camminando scalza
nell’enorme salone, quasi ignorandola, dirigendosi
verso la sua camera da letto.
“...mi dispiace Allyson, ma ormai ho deciso: devo
porre fine a questa storia!”
Si fermò.
“Tutto il tempo che passi a prendertela con me e
con il mondo intero per il dolore e l’odio che provi,
non ti porterà da nessuna parte. Ho cercato in tutti i
modi di starti vicina, comprenderti ma tu hai alzato
un muro contro tutti e tutto, non permettendo a nessuno di aiutarti ad alleviare quel dolore che ti tormenta. Evidentemente io non sono la persona adatta per
questo ruolo...” commentò con tono stanco e deluso
“...ed è giunta l’ora che lasci il mio posto a una figura
più autoritaria, che ti faccia tornare in gareggiata: la
settimana prossima partirò per un servizio fotografico
che durerà più del previsto, così tu andrai a stare con
tuo padre. Partirai tra due giorni!” concluse, infine,
riprendendo il suo tono severo.
“No, non puoi farlo! Aspetta...” disse la ragazza
scuotendo la testa cercando un modo per calmare le
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acque con sua zia.
“Mi dispiace, ma l’hai voluto tu!” disse irremovibile
la donna.
Quasi istintivamente si voltò verso la porta
d’ingresso e, come un dejà vu, vide se stessa entrare.
Cinque anni prima.
Indossava una felpa e un paio di jeans. Il suo viso
non era stato ancora contaminato da ombretto e
phard, e i suoi capelli erano meno lunghi di adesso,
forse anche più chiari. Il suo sguardo, però, era lo
stesso: triste e spaesato. Portava un borsone che la
zia, accogliendola, sistemò all’ingresso. La donna aveva qualche ruga in meno e i suoi capelli rosso rame,
che, di solito, erano racchiusi in una coda, sembravano essere più corti.
Ricordava che, fin dall’inizio, la donna non le aveva
mai fatto alcuna domanda né aveva cercato di farla
ragionare: dopo aver ricevuto una sua lettera in cui
l’avvertiva del suo arrivo, aveva cominciato a trattarla
e educarla come una figlia, facendola sentire protetta
e al sicuro, anche quando i suoi ricordi la tormentavano di notte, non facendola dormire.
“Stai tranquilla Allyson” le diceva accarezzandole i
capelli e calmando il suo animo di bambina spaventata “sei a migliaia di distanza da lui e non tornerai lì
finché non sarai tu a volerlo. Io rispetterò sempre le
tue decisioni.”
Stettero in silenzio.
Credeva che la zia avrebbe mantenuto per sempre
la sua promessa o, almeno, fino a che lei non sarebbe
stata pronta e, invece, si sbagliava. Allyson in un attimo stava immaginando i suoi prossimi tre mesi e non
erano di certo rosei, così, colta da un momento di
rabbia, prese un posacenere di cristallo e lo gettò con
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furia contro la porta, frantumandolo in mille pezzi.
“Maledizione non puoi farmi questo!” disse urlando.
“Signorina” disse la donna afferrandola per il braccio “tu sei sotto la mia tutela e fino a quando non sarai maggiorenne, farai ciò che ti dico, è chiaro?”
La ragazza la guardava con odio, come se a lei non
importasse quello che le stava facendo. Scappò via
nella sua camera e sbatté violentemente la porta.
Aveva subito telefonato all’amica: Katia sembrava
essere l’unica certezza nella sua vita e ora la stavano
separando anche da lei e tre mesi, ai suoi occhi, sembravano un’eternità.
Avevano pensato a qualsiasi modo per far cambiare
idea alla zia ma ogni proposta sembrava essere poco
convincente: la donna aveva per anni sopportato il
comportamento di Allyson e, purtroppo, alla nipote
non rimaneva altro che accettarne le conseguenze.
“Daremo una bellissima festa!” esclamò l’amica “La
grande Electra sta per partire e noi dobbiamo darle il
giusto arrivederci. Che ne dici?”
Allyson si asciugò le lacrime e, sorridendo, disse:
“Sarà la festa più bella cui abbiamo mai partecipato!”
E così fu. Per l’occasione avevano affittato il campo
da golf più cool della città, il Wilshire Country Club e,
lì, avevano montato il palco per l’ultima esibizione di
Electra. Tutti erano accorsi, anche persone dalle città
più vicine. Electra era un mito. Su Youtube i suoi video avevano fatto girare la testa a migliaia di ragazzi,
fino ad arrivare a più di mille visualizzazioni al giorno. Era giovane, la sentivano una di loro: magari era
una compagna di banco cui la mattina prima avevano
offerto il pranzo, oppure una vicina acqua e sapone
che la notte si trasformava nella spogliarellista più se12