racconti scuole Medie

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racconti scuole Medie
Il soldato capriccioso
Davide Carella -2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo
"Nel regno governato da Alessio 1° c’era un esercito di soldati belli e forti.
Un giorno ebbero il compito di andare a trovare il vecchio saggio, che viveva sulle montagne più
alte, per sapere se quello sarebbe stato un inverno disastroso.
I militari partirono per la missione e dopo qualche giorno furono ospitati nella casa di un ricco
mercante. Tutti mangiarono quello che fu offerto, tranne uno che desiderava a tutti costi le fragole e
continuava a ripetere come un bambino capriccioso: “Voglio le fragole, voglio le fragole!”
Il mercante cercò di convincerlo: “Caro soldato, è inverno… Però se insisti e mi dai un po’ di
tempo, te le posso procurare. Certo, non ti posso assicurare niente di squisito…”
Il giovane accettò e smise di piagnucolare. Quando le fragole arrivarono sulla tavola, notò che
avevano un colore strano; allora ne assaggiò qualcuna.
Si rimisero in viaggio, ma dopo un po’ il soldato cominciò a sentire male alla pancia.
I compagni lo portarono in spalla, maledicendo la sua stupidità.
Quando arrivarono alla baita del vecchio saggio, costui gli disse: “Soldato caro, soldato mio, non si
può mangiare sempre quel che si vuole. Bisogna accettare quello che la Natura ci offre per ogni
stagione. Anche l’inverno ci porta qualcosa di buono…”.
I militari, dopo aver appreso dal saggio che l’inverno non sarebbe stato disastroso, ritornarono in
città a dare la notizia al Re e alla popolazione.
Il soldato capriccioso da allora mangiò tutto quello che la Natura offriva e visse per tantissimi anni
in perfetta salute.
Morale: chi mangia cibo a “km 0” e di stagione, mangia sano e va lontano.
Il pescatore infelice
Jacopo Boccasile 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo
In un piccolo paese di mare c'era un pescatore che con la sua barchetta a remi e le sue reti, di giorno
e di notte, con il sole caldo e con la pioggia fredda, pescava il pesce migliore.
Quando arrivava al porto tutti i grandi commercianti di pesce e i proprietari di ristoranti facevano a
gara a chi doveva prendere il suo pescato.
C'era chi lo congelava, chi lo vendeva ancora ad altri, ma nessuno lo mangiava appena pescato. Il
pescatore era triste, pensava che tutta la sua fatica non fosse apprezzata e che il suo pesce meritasse
di meglio.
Un giorno, mentre era in mare, migliaia e migliaia di gamberi saltarono nella sua barca. Non
credeva ai suoi occhi!
Rientrò nel porto. Poiché pensava fosse un miracolo, decise di farli assaggiare a tutti, gratuitamente.
Prese una gran pentola e dell'olio extravergine di oliva e iniziò a richiamare le persone che
passavano di là. Tutti mangiarono il suo pesce appena pescato e furono molto contenti.
Dopo un po' di tempo aprì una friggitoria, così tutto il pescato ogni giorno fu venduto e mangiato
fresco.
Il pescatore diventò un grande pescatore-friggitore a "km0": di notte pescava e di giorno cucinava.
Era finalmente felice, perché tutte le sue fatiche erano apprezzate all'istante.
La guerra dei Cibi
Paolo Antonelli - 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo
Un giorno sul pianeta Energon i ciccioni Burron di Cioccolaton stavano preparandosi ad attaccare il
mondo dei Fruttorios.
I Burron erano così potenti perché avevano occupato tutti i campi dell'Universo seminati a cacao.
I Cioccolaton avevano al loro servizio molti schiavi che avevano fatto prigionieri nella conquista di
altri pianeti: erano orchi, maghi, draghi. Costoro non potevano ribellarsi né fuggire, perché senza
cioccolatina in corpo sarebbero stati disintegrati non appena uscivano da Energon.
Per la conquista di Fruttorios cominciò la guerra più devastante dell'Universo, che durò due lunghi
anni.
Gli abitanti di Fruttorios erano sull'orlo della sconfitta, quando arrivarono in loro aiuto gli amici del
pianeta VitaminaC.
Combatterono con coraggio, utilizzando starnuti e colpi di tosse che avevano raccolto durante
l'inverno dagli ammalati di raffreddore di tutti i pianeti.
Così dopo la sconfitta dei Burron di Cioccolaton in tutte le galassie ritornò la Pace Universale.
Tutti ebbero una vita felice e sana e soprattutto non ci furono più schiavi.
IL CONTADINO USÒ LA CHIMICA E... (UNA STORIA AL CONTRARIO)
Abouhamou Zakaria 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo
C’ERA UNA VOLTA UN CONTADINO.
MENTRE RACCOGLIEVA NEL SUO MELETO,TROVÒ CHE LE MELE ERANO DOLCI MA
DALLA BUCCIA RUVIDA E AMACCATA.
PER STRADA INCONTRÒ UNO SCIENZIATO.
IL CONTADINO DISSE:«HO DELLE MELE BUONISSIME, DOLCI MA VORREI CHE
FOSSERO ANCHE BELLE, LUCIDE E CON I COLORI VIVACI. HAI DELLE SOSTANZE
CHIMICHE PER RENDERLE BELLE?»
«CERTO! DOMANI ALLE 17:30 VIENI DA ME», RISPOSE LO SCIENZIATO.
IL GIORNO DOPO IL CONTADINO ANDÒ DALLO SCIENZIATO CHE GLI DIEDE LE
SOSTANZE CHIMICHE. L’ANNO DOPO USÒ QUESTE SOSTANZE E LE MELE CREBBERO
TUTTE LISCE E CON COLORI VIVACI.
IL CONTADINO LE TROVÒ COSÍ BELLE CHE GLI VENNE IL DESIDERIO DI
ADDENTARNE UNA. ALL’ISTANTE MORÍ.
ANCHE SE MANGI A “KM ZERO”E DI STAGIONE, CON IL VELENO NON VAI MOLTO
LONTANO!!!
Il camaleonte goloso
Giovanna Suriano - 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo
Leonardo,un camaleonte pugliese, un giorno si ammalò. La dottoressa gli disse di non mangiare cibi
cattivi e sofisticati, ma freschi e di stagione, possibilmente degli orti e delle campagne dei dintorni.
Lui continuò ad ingannare gli altri e se stesso: cambiava ogni volta colore per rubare patatine fritte,
merendine e bibite gasate.
Un giorno ritornò dalla dottoressa e le disse: “Dottoressa, ho seguito i suoi consigli, ma il mal di
pancia non mi è passato. Come posso fare?”
La dottoressa gli rispose: “Segui la dieta che ti ho dato e soprattutto evita di prenderti in giro!”
Leonardo si arrese: “Va bene, ora faccio sul serio, non mangerò più schifezze!”
Cominciò a sentirsi meglio e a dimagrire. Cambiò anche aspetto, perché adesso si nutriva di cibi
genuini.
Un giorno sembrava una cozza tarantina, un altro giorno che aveva bevuto vino nero di Troia
diventò alto come il cavallo di Ulisse, poi diventò una bomba a strisce verdi come un’anguria di
Brindisi e ancora un re con una corona in testa come un carciofo di Trinitapoli.
Fu sgamato - il lupo, pardon il camaleonte, perde il pelo ma non il vizio - a Risceglie, quando in una
pasticceria diventò una collinetta bianca di ottimo giulebbe (glassa): Sua Maestà il Sospiro!
Lo tradirono i suoi occhi dolci e le antenne tese per una crostata ai mirtilli friulana del banco vicino.
La superbia di una tartaruga
Cristina Vescia - 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo
In una foresta viveva un coniglio che amava mangiare dolci a base di carote.
Una mattina il coniglio incontrò una tartaruga, che cominciò a vantarsi: “Sono in grado di mangiare
più di cento torte di carote in cinque minuti!”
Il coniglio che non aveva alcuna voglia di sfidarla, le disse:
“Cara mia, la strada della superbia è lunga e pessima. Abbandonala subito!”
Sentendo queste parole, la tartaruga, colma di rabbia, sfidò il coniglio: “Domani alle 10,00 faremo
una gara a chi mangerà più torte di carote in cinque minuti. Se non accetti sei un codardo!”
Il coniglio non poté tirarsi indietro e il mattino seguente alle 10 in punto cominciò la sfida.
La tartaruga si era procurata una cassa di carote importate a poco prezzo da Hong Kong; dopo
qualche torta cominciò a sentire lo stomaco che brontolava, infine si sentì male e svenne.
Il vincitore fu il coniglio, che mangiò in cinque minuti più di cento torte di carote di Zapponeta.
La morale è: chi mangia cibo a “km 0” e di stagione, mangia sano e va lontano.
MOZZARELLA POMODORO E BASILICO
Stefania Morolla 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo
C'erano una volta i mille soldati guidati da Garibaldi, che partirono alla conquista dell'Italia per
unirla.
Durante il tragitto incontrarono la signora Mozzarella che offrì loro tante piccole mozzarelline da
gustare durante il viaggio. I soldati la ringraziarono e proseguirono il loro cammino.
Uno dei soldati era ammalato. Mangiando queste mozzarelline fresche, cominciò a sentirsi meglio.
Così scrisse la sua esperienza sul suo diario di viaggio.
Proseguendo, i soldati affrontarono diverse difficoltà: freddo, tempeste o sole a picco.
Ad u certo punto si trovarono su un monte dove, sperduti nella neve, incontrarono il signor
Pomodoro che stava tagliando la legna per il suo camino.
l povero uomo vedendoli infreddoliti li invitò ad entrare nella sua umile casa e li fece sedere di
fronte al camino acceso. I soldati presto si addormentarono. Passata la notte, i militari presero le
loro cose perseguire il cammino. Il signor Pomodoro regalò loro una cesta di pomodori a forma di
ciliegina.
Assaggiando questi pomodori capitò che un soldato si sentì fortissimo.
Il milite che scriveva il diario annotò anche questo episodio, esprimendo tutta la sua sorpresa.
Arrivano in Basilicata. Stanchi per tutti i combattimenti e il lungo tragitto, decisero di accamparsi in
campagna.
Sentirono un intenso profumo e seguendolo trovarono una pianta di un verde splendente che
chiamarono Basilico.
Tornati a casa, i loro familiari li trovarono in forma.
Quando annunciarono l'unità d'Italia, il. soldato del diario suggerì di creare una bandiera con i colori
verde bianco e rosso, in onore dei cibi salutari che avevano mangiato durante la spedizione
vittoriosa.
Ecco come il nostro Paese fu unito.
La morale mostra che chi mangia cibo a "km 0" e di stagione, mangia sano e va lontano.
Il nocino del Re
Rebecca Ferrante - 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo
C'era una volta un Re che governava la nuova Apulia, piccolo territorio della penisola italiana.
Un giorno nel suo regno arrivò una vecchia signora che cercava lavoro. Il sovrano le offrì un
posto come cuoca nelle cucine del castello; la donna cucinava ogni giorno patatine fritte, carne
fritta, dolci ricchi di burro.
Il Re avvertiva spesso mal di denti, mal di pancia, non riusciva più a dormire e si sentiva un
"mattone" sullo stomaco. Ogni giorno che passava stava sempre più male ed era sempre più
nervoso con i suoi collaboratori.
Un dì pensò: "Io sto così male da quando è arrivata la nuova cuoca."
Allora ordinò di licenziarla, ma costei con un incantesimo lo fece diventare un fantasma.
Ormai nessuno al castello è nel regno riusciva più a dormire per i terribili mal di pancia; così una
notte il Re fantasma fece visita ai suoi nipoti: "Ragazzi miei, se volete che tutto ritorni ad essere
come prima, dovete mangiare i cibi sani e genuini della nostra terra."
Il giorno dopo i principini comprarono dal mercato olio extra vergine d'oliva pugliese, orecchiette di
Bari, mozzarelle di Andria, ortaggi di Zapponeta, cardoncelli della Murgia, carciofi di Trinitapoli,
primitivo di Manduria e moscato di Trani.
Il popolo era entusiasta e comprò gli "antichi buoni sapori" della terra pugliese.
La signora fu costretta a fuggire lontano, forse in America, dove aprì un fast food.
I principini trovarono un'antica ricetta e preparano un ottimo liquore digestivo, il nocino, con il
mallo delle noci raccolte il giorno di San Giovanni.
Il Re fantasma lo bevve e fu sciolto l'incantesimo. Il sovrano tornò a governare, i sudditi tornarono a
dormire serenamente di notte e a lavorare di giorno. Tutti vissero felici e in salute.
Questa storia ci insegna che chi mangia a "KM 0" e di stagione, mangia sano e va lontano. E
ci insegna anche che mangiare è un diritto, ma digerire è un dovere!
Rubare è reato, avvelenare di più
Dario Alfarano - 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo
Un giorno nel giardino del signor Carciofic nacque una chiocciola piccina, piccina; il suo nome era
"BETTA".
Ella era figlia di una famiglia di chioccioline, che viveva da molto tempo in una zucca, anche essa
nata nella terra coltivata dal signor Carciofic.
Questi curava molto bene il suo orto, fino a quando all'alba di un mattino, guardando fuori dalla
finestra, rimase sbalordito: l'orto del suo nuovo vicino era stracolmo di ortaggi grandissimi e dai
colori sgargianti.
Il signor Carciofic decise allora di spiare il vicino, il signor Patatovic, per scoprire che prodotto
usasse per far crescere degli ortaggi così belli. Mentre guardava fuori, notò un gran barile nero:
sulla cima c'era una lunga pompa che spruzzava uno strano liquido verde. Il signor Patatovic lo
usava per innaffiare le proprie piante.
Quella notte il signor Carciofic non dormì. Pensava continuamente dove potesse trovare quello
strano liquido verde. Decise che lo avrebbe rubato al suo vicino; così si addormentò.
Il giorno seguente il signor Carciofic, approfittando che il signor Patatovic si era allontanato, si
precipitò nel giardino del suo vicino e rubò parte del liquido del grosso barile.
Betta, che aveva vista tutto, gli disse: "Cosa hai fatto? Lo sai che non si ruba?"
Il signor Carciofic udì questa voce, ma non vide nessuno in giro.
Ignorando il rimprovero di Betta, prese un bidone, versò il liquido e lo piazzò al centro del suo orto.
Subito cominciò a sparare la sostanza verde sulle sue piante.
Il signor Carciofic, pur di avere gli ortaggi grandi e dei colori sgargianti, decise di ignorare
l'importanza della salute di tutti.
IL GUFO CHE MANGIAVA MALE
Luca Malcangi - 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo”
Un giorno mamma gufo diede alla luce un gufetto. Il suo nido era situato alla periferia di una
grande città. Ogni giorno per far crescere il suo gufetto, mamma gufo si aggirava per i vicoli della
città in cerca di cibo; ma quello che trovava era solo cibo che i fast food gettavano via. Il povero
gufetto si vedeva recapitare dalla mamma cibo poco salutare quale resti di patatine fritte,
hamburger, hot dog, pizze con vari condimenti e frittura di pesce.
Il piccolo gufo giorno dopo giorno ingrassava sempre più. Fino a quando, improvvisamente, un
giorno iniziò a perdere tutte le sue preziose piume.
Mamma gufo, preoccupata di quanto stava accadendo al suo “piccolo”, chiese aiuto al dott. Civetta.
Dopo un’accurata visita il dottore dette il suo parere: tutto ciò che era successo, era dovuto al “cibospazzatura” che finora mamma gufo aveva dato al piccolo. Il gufo per riottenere il suo bel
piumaggio doveva immediatamente smettere di mangiare quel cibo.
Mamma gufo presa da un senso di colpa, decise di trasferirsi in un campo vicino a un lago con tanti
alberi da frutta e tanti orti coltivati a verdure.
Ben presto il nuovo modo di nutrirsi del gufo fece sì che il suo piumaggio tornasse non solo
com’era prima, ma ancora più bello. Quindi, tra un frutto di stagione, un bel pesce, un ortaggio e,
perché no, anche con qualche succulento topolino, il nostro gufetto crebbe bellissimo in modo sano
e senza più alcuna malattia.
Questa favola vuole spiegare che chi mangia cibo a “Km 0” e di stagione, mangia sano e va lontano.
Secchione o ignorante?
Chiara Calò 1^F- ISTITUTO COMPRENSIVO SYLOS- BITONTO
Ciao, io sono Alessio ho 11 anni e vivo qui, a Milano, con i miei....in realtà io sono nato a Bitonto ,
provincia di Bari e da poco mi son trasferito qui per problemi di lavoro. Sento molto la mancanza
dei miei vecchi amici in particolar modo di Giulio(il mio migliore amico di penna), ci conosciamo
da ben 11 anni. La sua mamma ha partorito con due settimane di differenza dalla mia. E’ stato
molto difficile distaccarsi da un amico che si conosce da 11 anni, ma qualche volta ci sentiamo per
telefono o nei fine settima vado a fargli visita.... Ok, ora parliamo un po’ di me...Io ho 11 anni e fra
qualche mese dovrò affrontare un nuovo cammino lungo e tortuoso: LE MEDIE. Sono un tipo
timido, socievole, garbato ed ho un buon profitto a scuola . Appena la scuola primaria è terminata
ho domandato al mio papà: "Come saranno le medie?" . Ovviamente il mio papà di rimando si è
molto seccato: " O mio dio... SMETTILA DI PENSARE SEMPRE ALLA SCUOLA!" Ecco su
questo mi volevo soffermare. Lui, il mio papà è soprannominato da me 'Il senza problemi' perché
non ha mai nessun problema, anzi si lamenta se gli chiedo di dipanare un dubbio, una
questione...Come quella volta in cui mi disse che il compito in classe non ci sarebbe stato solo che,
alla fine, lui ha sempre torto! Per sicurezza son restato per tutta l'estate con la testa incollata sui libri
come un mulo. Ho ripassato italiano: lettera per lettera, verbo per verbo, congiunzione per
congiunzione.. e matematica: numero per numero, cifra per cifra, problema per
problema....insomma ho ripassato proprio tutto. Il giorno prima dell'inizio dell' anno scolastico ho
ripetuto a 'Il senza problemi' il programma di tutti i 5 anni scolastici dalla cosa più banale alla cosa
più complicata. Però, dopo 30 minuti di un'esposizione senza mai un' interruzione, il papà diventato
più pallido del solito, bianco come un mozzarella, come il latte e come la neve candida....ERA
PROPRIO ESTEREFATTO! Per non farlo svenire ho esposto solo una parte della lezione... avevo
fatto proprio un bel lavoro, ero molto soddisfatto! Pensavo che così, essendo il più secchione, tutti
si sarebbero attaccati come colla su di me e che sarei riuscito così a socializzare ALMENO con un
paio di ragazzi. La sera feci sogni d'oro( nel vero senso della parola "ORO"!!). L'indomani mattina
ero contentissimo all' idea che avrei reso felice i Miei e che sarei riuscito a fare amicizia con dei
ragazzi. Ero ben equipaggiato come un soldato, ogni arma era al suo posto, ogni dubbio era
evaporato; portavo sulle mie spalle un grosso "masso" colmo di libri, quaderni e tutto il materiale
necessario per affrontare il pauroso e allo stesso tempo complicato anno scolastico, mentre i miei
coetanei disponevano di un peso "piuma" sulle spalle. Appena mi son accomodato c'erano tantissimi
ragazzi, ma il primo che ho guardato è stato proprio un ragazzo della mia stessa statura, biondino
con gli occhiali blu e la maglia rossa; anche lui fissava me e già sapevamo che eravamo in empatia.
Dopo qualche istante ho visto un grosso bullo che sfilandogli i suoi occhiali gli ha detto : "Se li
rivuoi devi diventar più alto..Hahah!" Io immediatamente sono intervenuto e l'ho spinto contro il
muro. Il bullo con un forte dolore alla schiena mi ha detto" Solo per questa volta, ma non finisce
qui..."Pericolo scampato!! Era passata ormai una settimana e neanche un amico..Dr..Drr..Drrr , oh
scusate è suonata la campanella...Subito è arrivata la prof di matematica con dei foglietti che ha
fatto distribuire a Donato(il ragazzo che avevo salvato da quel bulletto): ERANO VERIFICHE...ma
io non avevo paura perché avevo studiato. Quando la prof, dopo qualche settimana, comunicò i voti
erano tutti pessimi, tranne il mio che era un 10 e lode. Ero molto lusingato dalle lodi della prof..
tutti gli altri avevano meritato voti inferiori al 6.Percorrendo il tragitto verso casa(senza amici) tutti
mi additavano e in coro dicevano "Ma è lui?"-"Eccolo"-"Si, ma guardalo". CHE STAVA
SUCCEDENDO?Sono scappato per paura e mi son barricato a casa. Il giorno dopo mi sono seduto
su una panchina e ho pianto a valanghe, Donato mi ha consolato dicendomi che nell'istituto ormai
girava voce che io fossi il più secchione. Mi diede un fazzoletto. "Spetta a te decidere se continuare
ad essere secchione o ignorante", ribadì. Io ho rimuginato per qualche giorno, dopo ho concluso
decidendo...... SECCHIONE PIUTTOSTO CHE IGNORANTE!!! Ho gridato a tutti la mia scelta!!
Alessio con l'aiuto del suo nuovo amico Donato decise di intraprendere la strada della conoscenza
anche a costo di essere preso in giro dai compagni.....
Una vacanza da incubo
Michele Riccardi 1^F- ISTITUTO COMPRENSIVO SYLOS- BITONTO
Sapete come è andate la mia vacanza? C'è solo una parola per descriverla "Da incubo". Ora ve la
racconto.....Era un giorno come tanti ed io dovevo andare a scuola, mancavano pochi giorni al
termine delle lezioni e tutti ormai pensavano a quei tre mesi, che sarebbero passati come un soffio
di vento. Entrando in classe la professoressa Toritto, che era la più cattiva e malvagia delle
insegnanti, doveva interrogare ed io come al solito non avevo studiato. Mi beccai una bella nota,
con un grosso 2 sul quaderno. Al ritorno, mentre camminavo per raggiungere casa, pensavo a quale
punizione avrebbe avuto in serbo per me mia madre :"Niente playstation, niente cellulare, ma
soprattutto niente calcio". Entrai dentro casa e tutti avevano un' aria felice, piuttosto insolita. Chiesi
loro cosa fosse accaduto, perché ragazzi dovete sapere che nessuno è mai stato così felice nella mia
casa! Mi risposero che era una sorpresa, ma io piuttosto che aspettare tirai a indovinare :"Una nuova
playstation, un....un nuovo telefono, oppure un nuovo pc". :"Ma no caro". Rispose mia madre
:"Quest’ anno andremo in vacanza". :"Evvaiiiii!". Ero più felice che mai :"Andremo a Parigi".
:"No". :"Andremo alle Hawaii". :"No". :"Ma si può sapere dove andremo allora?". "Andremo
in.....in Molise". Al suono di quella parola la mia anima si spense come una candela, il mio cuore
smise di battere ed io non ero più così tanto felice ma ero talmente triste che sembrava avessi un
vuoto nell' anima. Mia madre mi chiese cosa suscitava in me tanta malinconia, ma io la guardai con
lo sguardo freddo, cupo e le dissi :"Ma vi rendete conto, siete davvero matti! Portare i vostri figli in
Molise, cosa impareremo a parte annoiarci?". Mia madre mi rispose cercando di rassicurarmi sul
buon esito della vacanza. Tuttavia, la mia disapprovazione fece riflettere e intristire loro, per non
aver accontentato i propri figli. Io, pieno di risentimenti, dissi loro che forse mi sarebbe piaciuto lo
stesso…così mia madre alzò lo sguardo e mi sorrise. Sapevo che in realtà questa vacanza sarebbe
stato meglio evitarla. Arrivò il cosiddetto giorno del giudizio e dopo aver preparato le valigie,
incastrato il mio fratellino in macchina e tentato di dar fuoco alla casa, per via di mia madre che
aveva lasciato il gas acceso, partimmo. Il panorama, non era un granché e invece di assistere alle
vomitate del mio fratellino che coinvolgevano pure me, preferì dormire. Ad un tratto, urtai la testa
al sedile anteriore per via di una brusca frenata di mio padre e dopo essermi svegliato urlai a
squarciagola :"Non si può neanche dormire! Ci mancava pure il bernoccolo adesso". E con tanta
collera mi assopì. Dopo tre interminabili ore di curve a destra e curve a sinistra, giungemmo a
destinazione. Le case erano un mucchio di detriti, edifici diroccati come se bombardati durante la
seconda guerra mondiale. Mio padre, come è solito fare, non riusciva a trovare la strada e quindi, ci
toccò girare per tutta la città fantasma, dato che non c'era anima viva. Per nostra fortuna, trovammo
un signore vecchio e goffo, l' unico, probabile, abitante di quella città. Ci indicò la strada e grazie a
lui raggiungemmo l' hotel, non molto distante dal mare, in una città chiamata Termopoli. Esso non
era una meraviglia, ma solo un piccolo bed and breakfast da due soldi che somigliava quasi ad un
accampamento militare. Eravamo molto stanchi, e dopo aver pranzato con un panino al cetriolo, ci
mettemmo a riposare per poi andare a cenare nell' osteria più conosciuta della zona. Al risveglio
dalla pennichella ero più infuriato che mai. Avevamo dormito io, mia madre, mio padre e il mio
fratellino in un unico letto. E vi lascio pensare quanto sia stato faticoso e doloroso rimettere le ossa
in ordine!. Ci vestimmo molto in fretta, ci mettemmo in macchina e... Arrivati all' osteria lessi una
grossa insegna con scritto "Benvenuti nel locale di nonna Nuccia". A destra diedi una sbirciata al
menù e mi accorsi che servivano solo cavatelli al sugo e cotoletta, avrei preferito qualcos’altro ma
per la fame, mi sarei accontentato. La mattina dovevamo andare al mare ma per via di mio padre
che si svegliò tardi ci toccò restare all’alloggio. Mamma fece la spesa e cucinò riso patate e cozze,
ma poiché non le era riuscito alla partenza, lei che è una strega dei fornelli, diede fuoco all'
appartamento. Ci fecero evacuare il bed and breakfast e all' arrivo dei vigili del fuoco, la mamma
scaricò tutta la colpa su di me. Mio padre ignaro della situazione reale, mi inflisse una brutta
punizione: ripulire le pareti annerite. I miei genitori risarcirono i danni al proprietario, mentre il mio
fratellino rideva, mio padre piangeva dalla disperazione. Avevo ragione io!!!
IL FURTO IN CASA PERLETTI
Sara Scoccimarro - 1^ B Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo”
A Milano abita una signora di 56 anni, la signora Perletti.
La signora Perletti abita in un attico in centro; fino a qualche anno fa la signora lavorava nel campo
della moda, per cui ha sfilato per i più grandi stilisti italiani.
La donna, ormai in pensione, abita da sola; ovviamente,essendo un’ex modella, in casa conserva
molti beni acquistati durante la sua carriera. Fra questi ce n’è uno in particolare, a cui la signora
Perletti è parecchio legata: un rubino rosso da quindici carati, il più prezioso fra i suoi gioielli.
I ladri hanno provato più di una volta a rubarlo, ma la signora è sempre riuscita ad impedirglielo.
Fino a quando una notte di metà ottobre, la signora Perletti, dopo aver cenato, come ogni sera
ripose il suo prezioso rubino insieme ad altri gioielli in un vaso di cristallo sulla mensola più alta
della cucina.
La signora Perletti, dopo essersi accertata di aver inserito l’antifurto, andò a dormire.
Nel cuore della notte fu svegliata da alcuni rumori provenienti dalla cucina: un rumore di bicchieri
rotti e di una sedia spostata.
La signora si alzò e andò a controllare in cucina. Aprendo leggermente la porta, si accorse che
alcuni dei gioielli che aveva riposto nel vaso erano sparsi sul pavimento.
La signora controllò meglio in cucina e vide che il suo rubino non c’era più e che la maniglia della
finestra era stata forzata. Allora preoccupata chiamò subito il miglior investigatore della città, il
signor Dan Din.
L’investigatore si recò immediatamente nell’attico e si fece subito raccontare l’accaduto. La
signora Perletti gli parlò i del suo rubino e degli altri gioielli trovati sul pavimento della cucina.
L’investigatore li fece immediatamente analizzare per provare a risalire al colpevole attraverso le
impronte digitali, ma niente: il ladro era stato davvero bravo e non aveva lasciato tracce di DNA su
nessuno dei resti trovati in cucina.
L’investigatore a questo punto chiese alla signora Perletti chi era la persona che la invidiava di più
per quello che possedeva ed ella rispose che era il signor Francini.
L’investigatore chiese alla moglie del signor Francini se la notte precedente, verso l’una, suo marito
era in casa. La signora rispose : “No! Mio marito a quell’ora era fuori con amici in una birreria poco
distante da qui.” L’investigatore a quel punto andò a parlare con il proprietario della birreria e gli
chiese se la notte precedente, verso l’una, il signor Francini era li’; il proprietario gli rispose di no.
L’investigatore dopo aver raccontato tutto alla signora, mentre scendeva le scale dell’appartamento,
sentì il signor Francini che stava parlando con un rivenditore di gioielli, a cui diceva: “Ecco, questo
è un rubino da quindici carati, quanto può valere?”
Il rivenditore gli rispose che poteva valere fino a 30.000 euro.
Però il gioielliere non si spiegava perché sul rubino c’era incisa la lettera P.
A quel punto l’investigatore intervenne e disse: “Si, è incisa la lettera P perché è un gioiello rubato
e appartiene alla signora Perletti,”
Il rivenditore senza parole restituì immediatamente il rubino alla signora Perletti e il signor Francini
venne arrestato per furto.
La signora da quel giorno capì che avrebbe dovuto sempre custodire i suoi gioielli in cassaforte e
nessuno riuscì più a rubarlo.
LA CONTESSA SOTTOMESSA
Claudia Romano - 1^ B Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo”
C’era una volta una contessa
ch’era stata sottomessa
da una serva brutta e grossa
da una schiava tutta ossa.
Ora vi racconto dall’inizio…
partì tutto da un pregiudizio:
tutti credevan che la contessa,
fosse una vera principessa.
Piena di diamanti e gemme,
come i magi di Betlemme,
tutta pizzo, tulle e fiocchettini,
non mangiava mai panini:
La credevan sempre a dieta
per mantenere una linea discreta.
In realtà era una ragazza carina,
bella, simpatica, di nome Catrina.
Si vestiva con pantaloni e camicia,
sempre a spasso con la bella micia.
Adorava mangiare dolciumi, biscottini,
torte e pasticcini…
Le piacevano pizze e piadine,
hamburger e patatine…
A lei la dieta non
perché sapeva che
se una era grassa
l’importante è che
interessava,
non contava,
o magra,
fosse allegra.
Al contrario di altri, pregiudizi
non ebbe sin dagli inizi.
Tutti capirono che per giudicare qualcuno:
“son buoni tutti e non avanza nessuno”.
LA BAMBINA AVVENTUROSA
Martina Caressa - 1^ B Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo”
C’era una volta una bambina di nome Laura; leggeva libri d’avventura e fin da piccola
sognava di vivere un ‘ avventura in un bosco con molti alberi e piante.
Laura un giorno, quando la madre uscì, prese il suo zaino, mise il materiale che serviva per
andare nel bosco e salì su un autobus volante. In un lampo arrivò nel bosco e vide come
era bello sentire tutto quel silenzio; pian piano esplorava quel bellissimo ambiente.
Dopo un’ora si preoccupò, perché la madre non avrebbe mai immaginato che fosse uscita
per andare nel bosco . Prima di andarsene, incontrò un cane abbandonato che stava piangendo:
si vedeva che era ancora un cucciolo. Allora si sedette sul terreno vicino al cane per
riposarsi. Dopo cinque minuti si alzò, prese quel bellissimo cagnolino e si incamminò; in
un’ora arrivò alla fermata dell’ autobus volante.
Lesse l’orario della partenza e vide che l’ autobus era passato un minuto prima e per questo
doveva aspettare ancora un’ora per la successiva corsa. Fu allora che Laura vide la madre da
lontano che stava uscendo dall’ auto. Corse da lei gridando : “ MAMMA, SONO QUI!” La
madre la vide e con una faccia sollevata ma nello stesso tempo un po’ arrabbiata le
disse :” BASTAVA DIRLO CHE VOLEVI USCIRE DI CASA” .
Laura fu felice perché la madre l’aveva perdonata; chiese se poteva tenere quel piccolo cane.
La madre le rispose: “SE NE AVRAI CURA LO POTRAI TENERE .”
La
bimba ringraziò .
Quando arrivarono a casa Laura scrisse sul suo diario l’ avventura trascorsa in quella
giornata e andò a dormire in allegria e stanchezza ...
Un giorno da zia Pasqualina
Michele Montagna 1^F- ISTITUTO COMPRENSIVO SYLOS- BITONTO
Era il ventitreesimo giorno di Luglio: il giorno del mio compleanno, quando ad un tratto sentì
suonare il campanello di casa: driin, driin. Erano i miei familiari che in coro mi auguravano buon
compleanno. Ognuno dei miei parenti, mi portò un regalo: quasi tutti mi omaggiarono con del
denaro. Così nel pomeriggio decisi di spenderli in sfizi, ma rientrando a casa mi accorsi che tutti i
miei soldini erano svaniti, come per magia: avevo comprato solo qualche giochino! Arrivato sul
pianerottolo feci un bel respiro, suonai il campanello e il mio papà mi chiese come fosse andata,
cosa avessi comprato e quanti soldi mi fossero rimasti. Gli risposi che era andata molto bene, perché
avevo comprato ciò che avevo da tempo desiderato e che non mi era residuato nulla. Mio padre, a
quel punto, mi sgridò, indicandomi subito la porta della mia camera…obbedì. Ero rattristato sì, ma
anche felice per i regali che mi ero fatto. Stando in camera mia, sul letto sentivo i miei genitori
discutere all’inizio a bassa voce, poi in un continuo crescendo, papà alzò la voce dicendo: “Basta!
Così non può continuare; è il caso di mandarlo per qualche giorno da zia Pasqualina”. Mamma e
Papà mi ordinarono di preparare una valigia e con me portai gli unici spiccioli grattati sul fondo del
salvadanaio, ossia € 2,50. Durante il tragitto, mi accompagnavano entrambi i genitori…ruppi
l’assordante silenzio chiedendo loro dove abitasse la zia Pasqualina e loro mi risposero che abitava
in Basilicata in un paesino sperduto in provincia di Potenza. Giunti dalla zia, chiesi a papà perché la
casa fosse così buia; lui mi rispose che poi avrei capito. Appena sull’uscio della porta, udii una
vocina che mi diceva di entrare ed accomodarmi: era la zia Pasqualina, soprannominata in paese
“zia risparmina”. Era una minuscola donnina, coperta di abiti fuori moda e lerci; dei suoi argentei
capelli fuoriuscivano solo due ciocche da un foulard e la sua postura era inclinata a novanta gradi.
Sinceramente mi faceva un tantino raccapriccio! Feci un po’ di domande alla zia, in particolare
volevo sapere il motivo di tanto buio; lei mi spiegò che le luci erano spente per evitare bollette della
corrente elettrica molto salate. Mi mostrò la mia camera… all’ oscuro sembrava molto carina ma
appena entrato, vidi ragnatele dappertutto e polvere sui mobili; anche il letto era orribile: si trattava
di un sottilissimo strato di paglia rivestito di un lenzuolo tutto rattoppato. Nonostante il tutto facesse
molto ribrezzo, la zia mi informò che il costo del soggiorno era di € 1,00 al dì e io… ci sarei dovuto
stare almeno due giorni! Mio malgrado dormii la notte, anche se non ero molto rilassato. La mattina
successiva aspettavo che mi fosse servita la colazione, ma la sorpresa fu che non c’era il latte, caffè
e biscotti ma pane raffermo, mooolto raffermo e salsa di lamponi e anche questo aveva un costo,
ossia € 0,50. Il mio pancino brontolava e quindi fui costretto a pagare pur di mangiare qualcosa.
Incamerati un po’ di carboidrati, iniziai a girovagare per la casa, volevo dire il rudere… e mi accorsi
che nel giardino della zia si trovava un residuo di quello che un tempo era stato un campetto da
calcio ( la mia passione!), ora abbandonato, con terreno divelto, erbacce alte e persino le porte erano
fatte da rami di albero. Durante la notte udii strani rumori, porte che scricchiolavano, stoviglie che
cadevano da improbabili piani d’appoggio, la zia che vagava sonnambula per tutta la casa. Dove ero
finito! Mi sistemai sotto la coperta e supplicai che arrivasse subito l’alba. La mattina successiva
mamma e papà vennero a riprendermi , mi chiesero se mi fossi divagato! Risposi di no e che avevo
capito che i soldi vanno custoditi e spesi in maniera oculata. Avevo davvero imparato la lezione!!
TEMPOCHEFU ALLA RISCOSSA
SCUOLA STATALE SECONDARIA 1°grado MICHELANGELO BARI ALLIEVA: PAGLIONICO
Miriam classe 2ª
C' era una volta, in un tempo lontano, una piccola sveglia rotta. Di quelle tonde con in cima due
grossi campanelli, somiglianti tanto alle orecchia di un elefante, che emettevano squillanti ....
driiiin.....driiiin....driiiiin! Da anni ormai, ogni giorno la sveglia si impegnava a raccontare le sue
storie del passato, sempre le stesse. Il suo nome era TEMPOCHEFU. Una brutta mattina, all'alba, si
era rotta precipitando da un vecchio comodino impolverato e sgangherato. Il suo assonnato padrone,
come sempre, aveva una "fretta del diavolo" e così con un brusco gesto l'aveva buttata giù dal
comodino al suo risveglio. Quella caduta aveva fatto precipitare la sveglia in un buco nero e lì un
vortice l'aveva risucchiata. Quanta paura ebbe Tempochefu! Quel vortice l'aveva fatta precipitare in
una discarica buia, dove erano accatastate tante lancette, ore, orologi, numeri e oggetti vari... tutti
malandati. Tutte cose ormai "passate" che erano state lì abbandonate. L'atmosfera era di tristezza
assoluta. Tempochefu notò subito un antico giradischi, accanto ad una polverosa macchina da
scrivere. Si avvicinò loro e, con voce bassa, domandò: - Anche voi qui? Come mai?- I suoi due
compagni di sventura in coro risposero: - Come mai?! Noi tutti, qui, siamo vecchi secondo loro....
secondo gli umani che......corrono, corrono, corrono. Corrono da una parte all'altra senza pause, da
una casa ad un ufficio, dalla tranquillità alla frenesia. Sono sempre e solo molto indaffarati! - -Il
mio ex padrone non mi è stato mai tranquillamente ad ascoltare! "Devo correre a lavorare" mi
ripeteva come un disco rotto - soggiunse esperto e rammaricato il giradischi. - Ormai, ahimè, siamo
tutti obsoleti, "passati". Siamo solo MEMORIE inutili!- la macchina da scrivere subito aggiunse
rassegnata. Tempochefu non fece a tempo a rispondere. All'improvviso si levarono delle grida
acute, il cielo buio brillò di un oro splendente, la terra si fratturò di mille crepe. Un nuovo vortice
soffiò e risucchiò qualunque rottame, oggetto, ricordo ed ingranaggio presente nella discarica.
Tempochefu e i suoi compagni furono precipitati in un luogo che a tutti sembrò subito avere
qualcosa di familiare. Era quella la "terra dei ricordi", dove era stato confinato almeno un ricordo
della vita precedente di ciascun oggetto, dunque, di ogni abitante del mondo. Qui il cielo non era
azzurro, ma colmo di scene inanimate. Ognuna rappresentava di ciascun essere vivente un momento
della vita passata. Tempochefu, come tutti gli altri, era triste. Si sentiva davvero sola. Quel luogo
era privo di allegria. La gente che abitava il mondo, infatti, l'aveva reso spento perché non ricordava
più nulla. Non ricordando, annullava il proprio passato. Tutti gli elementi, appartenenti alla vita
precedente, quindi, perdevano colore, calore, vividezza, energia. Più tempo passava e più
diventavano deboli. Tempochefu sempre più disorientata notò la presenza di bambole di pezza, di
trenini elettrici a pezzi, di orologi a muro, di cavalli a dondolo in legno tarlato. Si avvicinò loro per
raccontare ciò che le era accaduto e per essere da loro consolata e incoraggiata. Tutti ascoltarono
con attenzione:- ... ma io, mentre le forze mi abbandonavano, ogni giorno al mio padrone dicevo
"Non buttare TEMPOCHEFU se tu nel Futuro vivere vorrai SICURO"!!! - Sempre più triste
aggiunse: - ... ma non mi ascoltava. E' stato tutto inutile. Sono diventata come il NULLA! - Tutti i
presenti annuirono e presero ciascuno a raccontare le loro storie. La bambola di pezza disse: Sapete, anche io sono stata abbandonata. Un bel giorno la mia padroncina mi ha portata in soffitta,
mi ha messa in uno scatolone e sono diventata anch'io il NULLA, un oggetto di cui nessuno più si è
curato. Come se non fossi mai esistita!! - Le storie degli altri, come per magia, ridiedero a
TEMPOCHEFU la volontà di ritornare a far parte del PRESENTE e di combattere contro quegli
umani che continuavano a ripetere "TEMPO DA PERDERE NON ABBIAMO, GLI OGGETTI
ROTTI NOI BUTTIAMO!" Fu proprio in quel momento che TEMPOCHEFU urlò: - Amici, è
giunto il momento della riscossa!!! - E così, in un batter d'occhi, tutti erano disposti in fila indiana.
Pronti a marciare. Partirono e lungo la strada attirarono l'attenzione di un vecchio robivecchi ormai
disoccupato che, però, continuava a portare con sé i suoi fidati e arrugginiti ferri del mestiere.
Affascinato da quegli oggetti, il robivecchi si mise subito all'opera. Aggiustò e riportò a nuova vita
quelle antiche e dimenticate meraviglie. La marcia verso l'umano presente riprese. Camminarono a
lungo, superando vortici e correnti d'aria contrastanti. Giunti alla meta, ogni oggetto antico ebbe il
compito di rendere non funzionante l'oggetto ultramoderno che lo aveva sostituito: le macchine da
scrivere i computer; le bambole di pezza le moderne Barbie; i giradischi gli stereo, le cornette
telefoniche resero inutilizzabili i superaccessoriati iphone. Esterrefatti e un po' spaventati da quel
che succedeva, gli uomini si fermarono a riflettere sul da farsi. E ricordarono. Ognuno ricordò di
avere in soffitta, nel ripostiglio, in un vecchio scatolone, in un cassetto altri utilissimi ed
importantissimi oggetti......... vintage! Grazie a TEMPOCHEFU e ai suoi amici, gli umani
riacquistarono la memoria e il senso del tempo: impararono a fermarsi e a rivalutare le tracce del
passato. Da quel dì non gettarono più gli oggetti "vecchi", ma si impegnarono a ripararli o a
riciclarli. Finì così l'ERA DELL'USA E GETTA. E tutti, uomini ed oggetti, tornarono a vivere felici
di essere utili testimonianze del tempo che fu.
LA POZIONE MAGICA
Giuseppe Ressa - classe 1° G - Scuola media Michelangelo-Bari
C’era una volta un re che aveva tre figli. Uno si chiamava Giovanni, ed era arrogante, un altro,
presuntuoso, si chiamava Antonio, invece il più piccolo si chiamava Marco, ed era il più umile. Il re
un giorno si ammalò gravemente e allora disse ai suoi figli di andare a cercare una pozione che lo
guarisse. Giovanni e Antonio non vollero andare perché erano sfaticati, così toccò a Marco. Egli si
mise in viaggio e, superando monti e foreste , arrivò in un bosco. Camminò e camminò, quando
finalmente trovò una casetta abbandonata. Marco bussò alla porta e dopo un po’ gli aprì una vecchia
che lo accolse in casa e lo fece sedere. Non gli chiese neanche perché fosse lì e gli diede da bere una
sostanza nera. Gli disse che faceva bene, ma Marco rifiutò il bicchiere. Allora la vecchietta fece un
incantesimo e lo immobilizzò. Ella però bloccò solo la sua testa, e quindi Marco le diede un calcio
facendola cadere per terra e la minacciò con un coltello, dicendole: “Che cosa vuoi da me, brutta
strega!!”. Dopo aver sentito quella frase, la strega, si rialzò subito in piedi ed emise un urlo
raccapricciante. Marco scappò da quella casa e, correndo, arrivò ad un castello. Era enorme e fatto
di cristallo; inoltre l’entrata dalla porta era davvero spaziosa. A fare da guardia c’erano due cavalieri
armati di spade. Marco disse che aveva bisogno di entrare per parlare con la regina. I cavalieri non
lo fecero muovere neanche di un millimetro e lo fecero ritornare da dove era venuto. Allora Marco
aveva un’unica soluzione: doveva arrampicarsi ad un albero più vicino al castello e con un ramo
doveva darsi la spinta per introdursi da sopra. Marcò ci provò una volta, ma non ce la fece. Ci provò
un’altra volta e, toccando filo filo il castello, cadde spiattellato per terra. Allora pensò di creare, con
tanti rami, una sponda per arrivare dall’altra parte. Così riuscì ad entrare nel castello. Arrivò in una
sala in cui era seduta al trono la regina che si chiamava Ciliegina. Ella chiese a Marco perché fosse
lì e lui le rispose che aveva bisogno di due pozioni: una per uccidere la strega cattiva e una per
curare suo padre. La regina gli procurò le pozioni e gli augurò un buon viaggio. Marco se ne andò e
ritrovò la solita casetta dove abitava la vecchietta, che aspettava Marco con una faccia spaventosa.
Egli allora le lanciò la pozione e se ne andò via scappando. Finalmente ritornò a casa sua e fece bere
la pozione al padre, che subito guarì. Si festeggiò e Marco fu eletto erede al trono. E tutti vissero
felici e contenti ancora per molto tempo.
L’ uovo d’oro
Aura Ceglie - classe 1° G - Scuola media Michelangelo-Bari
Una volta la Terra era popolata da soli uccelli che vivevano senza invecchiare e senza riprodursi,
grazie ad un uovo tutto d’oro donato da una fata. Gli uccelli facevano di tutto per proteggerlo, ma
un giorno, la gazza ladra, invidiosa della maestosità di Padre Aquila, colui che proteggeva l’ uovo e
che risplendeva della sua luce, rubò l’ uovo. Tutti gli uccelli erano spaventati ed avevano paura che
la gazza ladra rompesse l’ uovo, ma la falchetta osservò: “La gazza ladra è un uccello come noi!
Quindi anche lei ha bisogno dell’ uovo d’oro”. Tutti erano d’ accordo, però ancora spaventati.
Padre Aquila mandò cinque uccelli in missione: per primo scelse suo figlio, Piuma di Vento, poi
scelse il colibrì, dopo ancora scelse l’ usignolo. Infine era indeciso su chi scegliere e si propose la
falchetta, ma Padre Aquila replicò: ”Falchetta sei troppo giovane per un lavoro del genere!”
Falchetta, che un po’ se lo aspettava, rispose: ”Non vi deluderò!”. Padre Aquila si accorse della sua
determinazione ed accettò. I cinque partirono in cerca della gazza e volarono e volarono ancora,
finché Falchetta, grazie alla sua vista molto acuta, intravide due piume: una bianca ed una nera,
esattamente come quelle della gazza ladra; le indicò ai suoi compagni che si gettarono in picchiata.
Quando atterrarono, si accorsero che vicino c’ erano delle impronte ed un incavo rotondo grande
quanto un uovo , poi altre piume e impronte ed un altro incavo. La sequenza si ripeteva per un bel
po’, poi spariva, e dopo ricompariva. Evidentemente la gazza si era stancata di volare, quindi
lasciava impronte e fu più facile trovarla. Infatti, poco dopo, scoprirono una grotta, da cui proveniva
un gracchiare misterioso. Andarono tutti e cinque a rendersi conto di cosa fosse. Quando lo videro,
non credettero ai propri occhi! La gazza ladra aveva le penne d’ oro e l’ uovo era bianco e nero.
Piuma di Vento non resistette e si gettò sulla gazzaccia, ma la mancò e prese l’ uovo che si ruppe in
mille pezzi. Si sentì un urlo e la gazza ladra morì.
Dall’ uovo uscirono ogni sorta di animali e piante che oggi conosciamo. Tutti quanti sentirono la
voglia irrefrenabile di affondare il becco in quegli strani esseri. Falchetta stava per prendere un
topo, ma lui gridò: “ Non mi mangiare! Se mi mangi morirai! Io porto malattie! La falchetta si
arrestò e il topino disse: ”Dato che non mi hai mangiato, ti porterò un dono: la possibilità di
richiamare la fata che in passato vi ha creato e donato l’ uovo d’ oro! “.
La falchetta accettò subito, il topo scomparve e al suo posto, riapparve quella fatina che lasciò loro
cinque uova bianche di diversa misura, poi scomparve di nuovo e fece il giro del mondo,
distribuendo uova. I cinque uccelli presero le uova e tornarono a casa. Tutte le femmine di ogni
specie si accovacciarono sulle uova dando loro calore, mentre i maschi portarono provviste alle
future madri.
Pochi giorni dopo le uova si schiusero e nacquero tanti uccellini della stessa specie dei genitori che
diedero pace e prosperità al mondo intero.
Il prescelto dell’amicizia
Asia Filannino - 2^ F Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo”
FireWood era un bosco molto pacifico e felice abitato da soli draghi, dove verdi colline e maestosi
alberi si liberavano verso il cielo l'infinito.
Il fantastico bosco era abitato da diverse famiglie composte ovviamente da draghi dove ognuno
aveva il suo nome in base alle sue origini alle sue capacità o ai proprio poteri.
A capo di questo regno vi era un Re, un anziano drago immenso come una montagna con ali capaci
di coprire un intera radura quando erano aperte. Questo drago era molto saggio ed anche molto
buono e se tutto funzionava nel regno era solo grazie al suo superbo modo di governare.
Tutti i draghi avevano colori sfavillanti. Cerano draghi rossi come rubini altri azzurri come il cielo o
gialli come il sole splendente.
Era un giorno come tanti altri a FireWood quando da una famiglia composta da un drago di fuoco e
un drago di erba nacque un draghetto tutto grigio come una nuvola di pioggia, senza alcuna
sfumatura di colore acceso o splendente. Quando nasceva un nuovo draghetto nel regno, i grandi
saggi si riunivano per dar lui un nome che riuscisse a rappresentarlo nella società ma per il piccolo
draghetto grigio non fu proprio così. Nessuno riusciva a dar lui un nome o a trovare in lui un
qualcosa di particolare che potesse attribuirlo ad una razza magica o potente. Passarono i mesi ed il
piccolo draghetto grigio senza nome era sempre tutto solo perché tutti lo razziavano e nessuno
voleva mai giocare con lui.
Per l'intero popolo era strano avere all'interno della comunità un drago che non brillasse o che non
avesse capacità o poteri, e per questo motivo il draghetto si chiudeva sempre solo in camera sua
mentre papà Fuoco creava medicine e mamma Erba faceva le faccende di casa.
Un giorno non molto lontano da questi ultimi l'intero popolo dei draghi subì un brutto colpo: il Re
morì.
Molti furono presi dalla disperazione e dal panico perchè il loro buon Re non c'era più ma,
soprattutto, perché a sostituirlo sarebbe stato il suo erede ovvero un malvagio drago troppo sicuro di
sé che amava prendere in giro i più deboli e bruciare tutto ciò che lo circondava. Una volta salito al
trono l' Erede, cioè il nuovo re, venne a sapere dell’esistenza di questo draghetto grigio senza nome
che egli con cattiveria soprannominò ''la macchia nera del regno''.
Egli setacciò l’intero bosco pur di trovarlo e dopo averlo trovato lo prese e lo mise in una gabbia
nella parte più “non visitata”del bosco: praticamente in esilio.
I genitori del piccolo erano disperati ma soprattutto molto tristi per aver perso il loro unico figlio
così partirono per cercarlo.
Lungo la strada si incontrarono con una femmina di drago d’Acqua che, dopo aver sentito la loro
storia decise di aiutarli a ritrovare il figlio perduto.
Insieme, si allenarono giorno e notte durante la strada per inventare una mossa sconosciuta all'Erede
e liberare ciò che lui definiva ''la macchia nera del regno''.
I giorni passavano ed il piccolo diventava sempre più debole e cresceva sempre più fino al punto da
stare a fatica nella gabbia che ormai era diventata troppo stretta per lui.
Vivere in quelle condizioni non era facile senza acqua, senza cibo, con le sbarre strette attaccate al
corpo che gli impedivano di muoversi e di respirare bene, la rabbia aumentava insieme
all'aumentare del suo corpo e la tristezza lo avvolgeva ormai più di quanto non lo avesse mai
avvolto prima. Si sentiva troppo solo.
Nel frattempo i genitori del drago grigio e la draghessa d'acqua riuscirono a trovare una nuova
mossa super potente in grado di spazzare via 100 alberi in un solo colpo e, cosa molto importante,
loro non lo sapevano ma erano ormai molto vicino al luogo in cui il loro figliolo era intrappolato.
Il drago grigio stava per cedere e abbandonare del tutto le forze quando un mattino udì la voce di
suo padre, sua madre ed una terza voce a lui sconosciuta gridare a squarciagola ''DOVE SEI?'' e
dopo pochi attimi un forte bagliore che per poco non lo accecava. Successe di seguito uno.., due...,
tre volte e ancora e poi di nuovo i suoi genitori urlavano ed emanavano fasci di luce fino al punto
che lui in preda alla gioia più totale nel risentire le loro voci riprese le forze e con la stessa grinta
gridò per far capire loro la sua posizione.
Si dimenò così tanto che la gabbia stava per esplodere quando ad un tratto una fiamma con i colori
dell'arcobaleno uscì fuori dal suo petto all'altezza del cuore lo liberò e lo guidò verso la parte
centrale del bosco dove gli alberi erano ormai radi e la prateria era tutta libera fino ad incontrare i
suoi genitori e la draghessa che li aveva aiutati.
La mamma ed il papà scoppiarono in lacrime nel rivedere il loro amato cucciolo ormai diventato un
giovane drago, passarono tanto tempo insieme e capirono che grazie all'amore che provavano gli
uni per gli altri si erano dati forza ed erano riusciti a ritrovarsi e ad essere nuovamente una famiglia
felice.
I problemi non erano ancora finiti, Goccia, la draghessa di Acqua era intenzionata a trovare il
responsabile della rovina del loro stupendo regno e distruggerlo una volta per tutte.
Attraversarono diversi villaggi e conobbero nuove famiglie a cui raccontarono la loro storia e man
mano che loro raccontavano i draghi si univano a loro per imparare la mossa speciale e aiutare la
famiglia del drago grigio e Goccia ad abbattere l'Erede.
Intervennero i draghi più potenti che cercarono di fare apparire la mossa ma stranamente non ci
riuscivano. Erano tanti si, ma non avevano armi da usare.
All'Erede nel frattempo arrivò all'orecchio la voce di questo esercito che si stava creando e da
amante del caos qual era non perse occasione per scendere in battaglia e scatenare il putiferio.
Arrivati in una grande prateria i due eserciti si incontrarono per la prima volta e si scontrarono,
molti morirono altri rimasero feriti ma ''la macchia nera del regno'' era carico di determinazione
perché sapeva che infondo la loro vera forza era l'amicizia, il legame che si era creato era troppo
forte per essere distrutto da un drago così malvagio.
Quindi salì in superficie sopra le chiome degli alberi e con orgoglio si fece coraggio e attaccò il
nemico.
Quando una sfuriata lo investì e venne stordito credeva di aver perso le speranze ma nel vedere
Goccia correre in suo aiuto si caricò e quando gli altri si ripresero scaturirono l’energia della mossa
speciale che sconfisse l’Erede per sempre.
Una volta tornati a casa l'intero popolo fece gran festa sgargianti fuochi colorati scoppiettavano qua
e là come fuochi d'artificio e il giovane drago grigio fu chiamato dinanzi a tutto il popolo al
cospetto dei Saggi.
La sala in cui si celebravano le nuove nascite era silenziosa fino al momento in cui tutto si illuminò
e accanto al giovane drago grigio apparve uno stendardo con tanti draghi in cerchio con colori
differenti che rappresentava l’amicizia.
Al drago fu finalmente assegnato un nome: ''Il prescelto dell’Amicizia'' e da quel giorno la pace
regnò incessante su tutto il bosco.
La pietra incantata e la foglia dispettosa
Francesco Marasciulo 1^ G – Scuola Media Michelangelo di Bari
C’era una volta un villaggio allegro e spensierato, ma un giorno ci fu un violento temporale. Si
crearono voragini e la gente scappava in cerca di riparo. Il figlio del re Aristeo, osservando la
tragedia, invece di chiamare soccorsi, pensava a un piano diabolico per avere il potere, anche a
costo di uccidere il padre. Lui sapeva la cosa da fare, ma era anche presuntuoso e quindi credeva
che sarebbe stato semplice raggiungere il suo obiettivo. Tutto quel pasticcio era causato dall’
eruzione del monte Arador che si trovava nella parte oscura del regno e avrebbe eruttato ancora più
forte, secondo i geologi locali. Si incaricò di risolvere il problema il figlio del re Aristeo che
ovviamente non voleva aiutare nessuno, ma solo se stesso. Tutto il regno seppe la notizia ed esultò,
accogliendolo con canti di lode, forse anche meglio di come accoglievano il re quando scendeva dal
suo castello. Erano tutti gioiosi, tranne un bambino, il più povero della città. Non aveva genitori e,
dal giorno in cui erano stati uccisi, la sua vita era diventata molto triste. Era selvaggio e mangiava
gli avanzi dei più nobili. Non si fidava del futuro re e quindi lo spiò nel suo cammino verso il monte
Arador. Mormorò tra sé e sé: - Eh, questi ricchi! -. Il bambino era onesto e coraggioso, al contrario
di Aristeo. Aristeo oltrepassò il confine del paese. Tutti quanti, ignari della sua cattiveria, lo
applaudirono e si buttarono a terra per inchinarsi. Il principe fece un ghigno, consapevole che il suo
piano stava andando alla grande. Nella folla, senza farsi vedere, il fanciullo oltrepassò il confine del
paese per capire i piani di Aristeo e, stanco di camminare, saltò silenziosamente sulla carrozza che
trasportava anche il principe. La strada era stranamente tranquilla, però, all’improvviso, comparve
uno spaventoso drago, che lanciò qualcosa di invisibile e poi se ne andò. Il principe, sconcertato dal
comportamento della bestia, aggrottò le sopracciglia. In realtà il drago aveva dato una foglia
piccolissima al bambino con su scritto “Ti aiuterà”. Si chiedeva a cosa gli potesse servire, ma poi
capì, perché, ogni volta che si avvicinavano a qualche mostro, questo si scioglieva e così pian piano
arrivarono al vulcano. Il principe doveva oltrepassare il confine dell’ interno del vulcano e l’
incantesimo sarebbe finito. Scese dalla carrozza, mentre il bambino si nascose tra le rocce. Aristeo
era anche un ragazzo colto e cercava di capire la causa dell’ eruzione del vulcano. Nel frattempo il
bambino era confuso, ma, senza accorgersene, mise a contatto la foglia con il vulcano e questo
cominciò a sputare lava dappertutto. Quella foglia era un inganno. Si formò un mostro di lava che
correva imperterrito verso il villaggio. Il ragazzino non sapeva cosa fare; si trattava di un caso
disperato. Stava vagando senza una meta ma, ormai pentito del suo gesto, cominciò a leggere delle
lettere in ordine casuale su una pergamena che aveva con sè e tutto quanto divenne, come d’incanto,
verde com’ era una volta: il vulcano si trasformò in una collina piena di cespugli e il drago diventò
una graziosa farfalla. Era così felice che si dimenticò del mostro. In quell’ attimo anche la foglia,
ormai seccata e fusa al sole, ricominciò a splendere della sua luce dorata. La farfalla si mise in volo
e lo trascinò con sé. Stavano viaggiando così veloce, che la luce sarebbe stata stracciata e affaticata
nell’intento di seguirli. La foglia cominciò a parlare :- Tra poco arriveremo al villaggio! -. Il
bambino annuì, sorpreso dalla foglia parlante. Appena finì di dire “OK” si fermarono di colpo e con
una coda dell’occhio vide il mostro sciogliersi, con l’altra le persone che lo applaudivano. Fu
trasportato dalla folla verso il castello per essere proclamato principe e, in tono di ringraziamento,
disse :- Ciao foglia, non ti scorderò mai! -. Soddisfatta e felice la foglia sparì in mezzo alle nuvole
bianche. “Così stettero e godettero ed a me nulla dettero!”.
Maria, regina del paese delle Butterflies
II E – Scuola Media Verdi Cafaro - Andria
C’era una volta, in una piccola città, una ragazza di nome Maria. Maria frequentava la prima classe
di una scuola media e viveva con i nonni poiché la sua mamma e il suo papà erano morti in un
incidente quando lei aveva appena due anni. Maria indossava sempre un medaglione d’argento,
appartenuto alla sua mamma; all’interno del medaglione era custodito il petalo di una rosa bianca, il
fiore simbolo della libertà, ed era incisa la frase “L’amore rende liberi”. I suoi nonni, purtroppo,
erano poveri e dunque non potevano permettersi di comprarle vestiti nuovi, giocattoli, cellullari;
inoltre, Maria non era molto bella e per queste ragioni tutti i suoi compagni di scuola la prendevano
continuamente in giro. Senza amici, Maria passava le giornate nella sua camera a leggere libri. Era
quella l’unica cosa che le permetteva di dimenticare la cattiveria dei suoi compagni di scuola e allo
stesso tempo di sognare avventure fantastiche, visitare con la mente luoghi sperduti, reali e
immaginari. Un giorno, mentre percorreva la strada per raggiungere la scuola, Maria si accorse di
essere seguita da alcune sue compagne di classe; fra loro c’era Jessica, la più bella e popolare
ragazza della scuola nonché quella che più di ogni altre le dava il tormento. Jessica e le altre finsero
di non averla riconosciuta e mantenendosi a una distanza di circa un metro cominciarono a parlare
male ad alta voce di lei. Espressero giudizi crudeli sul suo aspetto esteriore e sul suo modo di
vestirsi finché Jessica concluse che una persona così non avrebbe mai avuto qualcuno al suo fianco
nella vita. Maria esplose in un pianto irrefrenabile e corse via, accompagnata dalle risate di scherno
di Jessica e delle altre compagne di scuola. Tornò a casa per cercare il conforto dei suoi nonni e si
calmò solo nel pomeriggio. Pochi giorni dopo giunse il compleanno di Maria e suoi nonni non
ebbero dubbi su cosa regalarle: un libro. Le comprarono un romanzo d’avventura, intitolato “Il
regno delle Butterflies”. Maria fu subito entusiasta del regalo: scartò il pacco, lesse la copertina e
iniziò a sfogliarne le pagine. Fu in quel momento che ella scomparve in un bagliore accecante,
proprio dinanzi agli sguardi increduli dei suoi nonni che per lo spavento ebbero un lieve malore.
Maria si ritrovò, di colpo, in un mondo magico, composto di immensi campi verdi, fiumi limpidi,
case di marzapane e un cielo rosa. A un certo punto un canarino viola atterrò proprio sul suo
braccio; il canarino era simpatico e chiacchierone e i due fecero subito amicizia; d’altronde Maria
non vedeva l’ora di conoscere qualcuno a cui non importasse del suo aspetto esteriore. Ne approfittò
per chiedergli dove si trovassero e il canarino le rispose che si trovavano nel paese delle Butterflies,
un luogo che prendeva il nome dalle cinque fate degli elementi che là vivevano. Le fate, però, erano
state attirate con un inganno nel castello di una strega che grazie a un incantesimo le aveva private
dei loro poteri. Da allora erano prigioniere nelle segrete del castello, guardate a vista da un drago
cattivo capace di pietrificare chiunque con il solo sguardo. L’unico modo per rompere il maleficio e
liberare le fate era creare una pozione magica; in tanti ci avevano provato, ma senza successo,
perché l’ingrediente principale della pozione non era ancora stato scoperto. Secondo una leggenda
raccontata dagli abitanti del paese delle Butterflies un giorno sarebbe giunta una giovane ragazza
che ci sarebbe finalmente riuscita. Maria, un po’ turbata, chiese al canarino se fosse lei la ragazza
della leggenda e il canarino le rispose che per scoprirlo dovevano iniziare a raccogliere tutti gli
elementi già noti della pozione. Si addentrarono in una foresta e da un albero antico cento anni
Maria estrasse la linfa, il primo ingrediente della pozione. Camminarono ancora un po’ e giunsero
dinanzi alla fontana che gli abitanti del regno chiamavano “fontana dell’amore”, perché aveva la
forma di un cuore, da cui presero dell’acqua. Infine colsero un piccolo ramoscello che sbucava dal
terreno: sembrava essere lo stelo di un fiore mai sbocciato ma il canarino le spiegò che era una
pianta che cresceva proprio in quel modo. Era l’ultimo degli ingredienti conosciuti. Adesso toccava
a Maria. Ella pensò agli ingredienti raccolti e capì: la vita, l’amore e un fiore imprigionato nel suo
bocciolo. L’ingrediente mancante era il petalo di rosa bianca che custodiva nel medaglione, ricordo
dell’amore dei suoi genitori che le avevano donato la vita e al cui interno era incisa quella frase che
solo adesso capiva in tutto il suo senso. Aprì il medaglione, prese il petalo e lo ripose in un
calderone insieme agli altri ingredienti. Le bastò pensare di liberare le fate per rompere
l’incantesimo e riportare la felicità in tutto il regno. Il canarino raccontò a tutti gli abitanti cosa era
successo e Maria fu proclamata regina del paese delle Butterflies. Proprio in quel momento un
bagliore accecante la riportò nel mondo reale. Maria corse dai suoi nonni che quasi non la
riconobbero perché Maria era diventata bellissima. Il giorno dopo Maria tornò a scuola e tutti i
compagni si chiedevano chi fosse quella ragazza bellissima e carismatica. Durante l’intervallo
Jessica e le altre ragazze le si avvicinarono per fare amicizia. Le chiesero chi fosse, come si
chiamava e da dove aveva comprato quegli abiti stupendi. Maria rispose con sicurezza: «Il mio
nome lo sapete già, sono Maria, ma in effetti è come se non mi conosceste. Siete sempre state
cattive con me e adesso vorreste la mia amicizia solo perché esteriormente sono diventata bella. In
realtà il mio cambiamento non è solo esteriore perché adesso sono anche una persona libera e
liberamente sceglierò le mie amicizie, sulla base dei miei sentimenti e non dell’opportunità. Buona
giornata”. Le ragazze andarono via, umiliate da quella risposta. Mentre si allontanavano Maria sentì
Jessica dire alle altre: “ma chi si crede di essere quella? Una regina?”. Maria sorrise.
I ragazzi dell’isola di Buka
II E – Scuola Media Verdi Cafaro - Andria
Sull’isola di Buka, un piccolo atollo situato nell’Oceano Pacifico, ad est di Indonesia e Papua
Nuova Guinea, sorgeva un villaggio in cui vivevano tre ragazzi curiosi e intraprendenti. I loro nomi
erano: Meissa, Ira e Fhala. Fin da piccoli i tre erano amici inseparabili e passavano le giornate a
rincorrersi sulla spiaggia, a inscenare avventure nella foresta e a costruire bizzarre imbarcazioni con
cui andavano a pescare nelle acque al largo dell’isola. La loro vita era sempre stata serena ma col
passare degli anni la voglia di fare nuove esperienze cresceva sempre di più e i ragazzi avvertivano
la sensazione che l’isola fosse diventata troppo piccola. Un giorno il capo villaggio, uomo saggio
che aveva intuito lo stato d’animo dei tre amici, decise di raccontare loro una leggenda sulla vicina
isola di Saint Isabel. Disse il capo villaggio che secondo la leggenda quell’isola era una miniera a
cielo aperto di oro e di diamanti; l’abbondanza di pepite e pietre preziose era tale che non c’era
neppure bisogno di scavare e dunque anche un bambino avrebbe potuto riempirne un sacco intero.
A guardia di quel tesoro inestimabile, però, c’era una foresta impenetrabile abitata da creature
misteriose pronte a sbranare ogni intruso e prima ancora una barriera corallina tagliente come la
lama di coltello che impediva l’approdo delle barche sulla spiaggia e costringeva chiunque avesse
voluto avventurarsi sull’isola a misurarsi con gli squali che popolavano le acque antistanti.
Inizialmente Meissa, Ira e Fhala rimasero indifferenti a quel racconto ma poco dopo la curiosità
ebbe il sopravvento. Ben presto iniziarono a discutere di come raggiungere le coste dell’isola di
Saint Isabel: avrebbero costruito una barca grande abbastanza per resistere agli attacchi delle squali
e dei remi solidi, con cui scalfire la barriera corallina quel tanto che bastava per scavalcarla e
raggiungere la spiaggia in sicurezza. Quanto alle creature misteriose che popolavano la foresta, si
dissero che ormai erano grandi e che non credevano più a quel genere di storielle. Iniziarono a
immaginare i mille modi in cui avrebbero speso il tesoro raccolto. Ognuno aveva le proprie fantasie
ma su una cosa erano tutti d’accordo: lo avrebbero impiegato per lasciare Buka e visitare il mondo.
Decisero che il mattino seguente avrebbero iniziato a preparare la spedizione che avrebbe cambiato
per sempre le loro vite, si salutarono e andarono a dormire ma l’emozione era talmente forte che
nessuno dei tre ci riuscì. Si incontrarono sulla spiaggia, alle prime luci dell’alba, per organizzare il
lavoro da fare. Meissa avrebbe disegnato le mappe per raggiungere l’isola, Ira aveva il compito di
raccogliere il legname necessario per costruire la barca e Fhala quello di procurarsi cibo e acqua.
Dopo di che tutti insieme avrebbero costruito la barca. Ovviamente nessuno avrebbe dovuto sapere
della loro missione. Pochi giorni dopo ogni tessera del piano era al suo posto: i ragazzi salirono
sulla barca e iniziarono a navigare verso l’isola di Saint Isabel. Giunti in prossimità dell’isola
scorsero le prime pinne di squalo che spuntavano dalla superficie dell’acqua ma non si
intimorirono: costruivano barche da anni e sapevano che quella si cui si trovavano li avrebbe
protetti da ogni attacco. Arrivarono alla barriera e come previsto essa risultò friabile: con pochi
colpi di remo ricavarono un varco ampio e profondo abbastanza da permettere il passaggio della
barca. Erano finalmente sull’isola. Si avventurarono nella foresta, convinti di aver superato tutti gli
ostacoli che li separavano dal tesoro, ma proprio in quel momento suoni terrificanti iniziarono ad
alzarsi da ogni angolo. Urla strazianti e versi di animali feroci si fecero sempre più frequenti e nelle
menti di Meissa, Ira e Fhala si fece strada il terrore per le misteriose creature di cui parlava il capo
villaggio. Presi dal panico i tre ragazzi decisero di abbandonare la ricerca del tesoro e iniziarono a
correre verso la spiaggia ma appena giunti videro che la loro barca era stata data alla fiamme. Erano
in trappola ormai. Si abbracciarono, spaventati a morte, e fissarono la foresta alle loro spalle da cui
provenivano quelle urla ormai sempre più vicine. Proprio in quel momento dalla foresta sbucarono i
loro padri e il capo villaggio: erano stati loro a produrre quei suoni e adesso ridevano a crepapelle e
li prendevano in giro per il loro scarso coraggio. Meissa, Ira e Fhala tirarono un sospiro di sollievo
per il pericolo scampato e allo stesso tempo pensarono che era ancora presto per lasciare l’isola di
Buka e scoprire il mondo.
DALL’ESPERIENZA AL TESTO
Nicola Elio Binetti – 1 B - Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo" - Trani
SONO ANDATO AL CIRCO SABATO 31 OTTOBRE CON PAPINO, MAMMINA E
VITTORIA.
ARRIVATI AL CIRCO MI SONO SEDUTO VICINO A MAMMINA.
HO VISTO LE ZEBRE, UNA GIRAFFA, UN IPPOPOTAMO, I CAVALLI,
I DROMEDARI, GLI STRUZZI, I CAMMELLI, I LAMA, DUE YAK E IL PAPPAGALLO
POLLY.
HO VISTO PEPPA PIG CON CUI HO FATTO LA FOTO.
E’ STATO BELLO E MI E’ PIACIUTO MOLTO.
E’ STATO MITICO VEDERE I CAGNOLINI SALTARE NEI CERCHI.
Nota della segreteria alunno con sindrome autistica
La creatura magica
Martina Sicolo - Istituto C. Cassano de Renzio – di Bitonto
La storia che sto per raccontarvi parla di una strana creatura: una stella che provvedeva alla
vita nella foresta incantata .
Tanto tempo fa nella foresta magica, dove abitavano fate, elfi, nani e tanti altri, viveva una stella,
non la solita stella che vediamo in cielo, bensì una stella acquatica che alimentava la foresta.
Una notte improvvisamente il cielo si illuminò di una luce splendente ed apparve una cometa che
sembrava un diamante esposto ai raggi del sole.
Agli abitanti della foresta quel fenomeno sembrava normale ma in realtà provocò un cambiamento.
La stella si trasformò in una ninfa dai capelli lunghi e biondi e gli occhi di un blu sfolgorante. Ella
apparve davanti alle creature, ignara di quello che stava avvenendo. Fu circondata dagli abitanti
stupiti, ma prima che potessero dire una parola, la foresta iniziò a svanire. Mentre le creature si
dileguavano terrorizzate e la loro magia si disperdeva nell’aria, la ninfa guardava stupefatta la
devastazione della foresta. Ogni cosa divenne grigia, polverosa, opaca. Ma…ad un tratto dalla terra
sbocciò una rosa rossa talmente splendente da abbagliare la fanciulla, che si avvicinò tanto da
pungersi un dito. Ella svenne e una goccia del suo sangue bagnò l’erba. Quando si risvegliò, vide i
prati colmi di fiori e udì il fluire dell’acqua. Un piccolo torrente comparve tra l’erba e dissetò la
ninfa e… le acque ritornarono a scorrere nella foresta.
Apparvero il sole e una stella, che, con il tocco della ninfa, ritornarono a splendere sulla foresta
incantata .
Apparve un girotondo di foglie di ogni forma e colore. Appena la fanciulla l’oltrepassò, ritornò l’
autunno.
Apparvero i fiocchi di neve e subito ritornò l’ inverno.
Immediatamente dopo la nevicata, apparve uno sciame di rondini che cinguettando fecero ritornare
la primavera .
Per ultimo l’oceano con l’infrangersi delle onde diede il via all’estate.
Con le quattro stagioni la foresta ritornò a risplendere. Mancavano solo le creature a riempire quel
vuoto. Ad un tratto si udirono delle voci che provenivano da nord: tutte le creature erano tornate,
prive di magia ma felici di essere a casa .
Secondo voi manca qualcosa? Ecco… da una luce lontana arrivò un ragazzo che si innamorò della
ninfa, si sfiorarono le mani e con un bacio completarono l’incantesimo. La magia tornò e loro
vissero sempre felici e contenti.
Ascoltate le fiabe poiché ci raccontano quello che non ci aspettiamo ma l’importante è che siano
sempre fantastiche.
Charlotte e il suo mistero
Gaia Acquafredda - Istituto C. Cassano de Renzio – di Bitonto
Una calda sera d’estate Charlotte, una ragazza diciottenne, rimase sola in casa, una casa lussuosa. I
suoi genitori erano usciti per una cena di lavoro. Aveva saputo da poco di essere stata adottata.
Quella sera Charlotte fu sopraffatta dalla solitudine e dalla voglia di conoscere i suoi veri genitori.
Per superare quel triste momento decise di rinfrescarsi tuffandosi in piscina, sulla cui superficie si
rifletteva la luna piena. In acqua avvertì strani rumori che la resero nervosa. Ad un tratto si alzò un
potente vortice, Charlotte cercò di tenersi forte al muretto, ma invano. Nel giro di pochi minuti fu
risucchiata e catapultata su un’isola. Confusa e disorientata fu avvicinata da un ragazzo dai capelli
castani e dagli occhi verde smeraldo che le chiese se avesse bisogno d’aiuto. Charlotte gli rispose di
non preoccuparsi, poi lo guardò più attentamente e si accorse che aveva sulla spalla la sua stessa
voglia luminosa. I due si salutarono come se si fossero da sempre conosciuti.
Charlotte girovagò per un po’ sull’isola che, le avevano detto, si chiamava Kascia. C’era nell’aria
un non so che di magico. Si avvicinò ad un fiume per dissetarsi ed ecco affiorare dalla profondità
del fiume una sirenetta dai capelli dorati e dagli occhi azzurri come il colore dell’acqua limpida. Si
chiamava Natascia ed era lo spirito del fiume; confessò di averla già vista quando era in fasce
proprio lì in quel fiume, all’interno di una cesta, e di sapere chi fossero i suoi genitori. A quel punto
le diede una collana con un amuleto dicendole che apparteneva a sua madre. Charlotte le domandò
dove fossero i suoi genitori e Natascia le pose un indovinello: “A destra devi andare per poterli
riabbracciare, sempre diritto, non girare, segui l‘orizzonte, non ti fermare! “ Dopo queste parole lo
spirito del fiume scomparve nei profondi abissi.
Charlot, sconvolta da quello che aveva visto e sentito, seguì le indicazioni di Natascia e si ritrovò di
fronte ad una casetta color magnolia, l’unica sul viale. Suonò il campanello. Dopo qualche minuto
aprì la porticina una signora con un grembiulino grazioso legato in vita e con i capelli corti e ricci.
Ella salutò Charlotte e la fece accomodare in casa: era fantastica, il pavimento era ricoperto di
tappeti e tanti cuscini dai colori vivaci. “Come posso aiutarti?”domandò sorridente la signora
Mariel. La ragazza, invece di risponderle, le chiese a bruciapelo se in passato avesse abbandonato
una neonata. La signora rimase sorpresa e, anche se le faceva molto male ricordare, le disse che in
realtà non era andata così. Sua figlia era stata risucchiata dalle acque del fiume e da allora l’aveva
cercata, ma invano. A lenire quel grande dolore ci fu la nascita di un altro figlio, Sam. Intanto
Mariel notò la collana che indossava Charlotte, era la stessa che aveva perso il giorno della
scomparsa di sua figlia. Fatta chiarezza sulla storia, la ragazza confessò di essere lei sua figlia,
quella figlia che tanto aveva cercato. Mariel scoppiò in lacrime e corse ad abbracciarla. Entrarono
suo padre e suo fratello, il ragazzo che Charlotte aveva incontrato appena arrivata sull’isola.
Chiesero cosa stesse succedendo e Mariel spiegò tutto. La famiglia si riunì in un forte abbraccio e le
voglie, che ciascuno di loro aveva sulla spalla, si illuminarono in segno d’amore. All’improvviso,
però, si scatenò un forte temporale, un uragano travolse Charlotte strappandola dalle braccia della
mamma. La ragazza si ritrovò nuovamente nella piscina in cui si era tuffata. Non si scoraggiò…
avrebbe raggiunto per sempre i suoi veri genitori.
IL TESORO MALEDETTO
Eugenia Barbone - Istituto C. Cassano de Renzio – di Bitonto
Era un pomeriggio tempestoso qui a Stirling, la pioggia batteva forte sul tetto del nostro maniero, le
nuvole oscuravano il sole, talvolta i fulmini squarciavano quel buio pesto, provocando all’istante un
tuono assordante che ogni volta ci faceva sobbalzare sul divano.
Io, Emy e John eravamo tutti e tre abbracciati, terrorizzati da quel tremendo temporale. All’epoca
avevamo all’incirca dieci anni, capelli biondi, occhi azzurri e una voglia inesauribile di scoprire
cose nuove sul mondo intorno a noi.
La porta si aprì ed entrò la governante che ci accompagnò nella sala da pranzo. Aveva solo
quarant’anni, eppure i suoi capelli erano completamente bianchi, il volto pieno di rughe e la voce di
una vecchina; così, certe volte o per scherzare o perché eravamo arrabbiati per una delle sue
sgridate, la chiamavamo “ vocetta stridula“.
Dopo un’abbondante cena andammo a dormire; il temporale si era allontanato, ma noi eravamo
convinti che qualcosa di terrificante sarebbe presto accaduto. Tuttavia, ci addormentammo
profondamente, senza pensare a nulla. All’improvviso, nel cuore della notte, la finestra cominciò a
sbattere, facendo entrare una folata di vento gelido. Ci avvicinammo alla finestra per chiuderla, ma
proprio in quel momento scorgemmo Mr Sherman, il nostro maggiordomo, che si aggirava
furtivamente nel giardino. Spinti dalla curiosità, ci infilammo scarpe, cappotto, sciarpa e cappello,
prendemmo delle torce e andammo giù a spiare Mr Sherman.
A metà della scala sentimmo un rumore che ci fece rimanere paralizzati dalla paura per qualche
minuto. Proseguimmo. Giunti in giardino ci rendemmo conto che del signor Sherman non c’era
traccia, lo cercammo per tantissimo tempo, ma invano, si era come volatilizzato.
“Venite, forza! Ho trovato qualcosa!” esclamò John. Ci fece notare un tunnel sotterraneo, buio e
tetro. Entrammo, le mie gambe tremavano e a malapena riuscivano a muoversi.
Al buio rischiarato solo dalla fioca luce della lanterna, restammo immobili, pietrificati per un tempo
che mi parve interminabile. Improvvisamente Emy ruppe quel silenzio tombale: “Andiamo avanti,
forse dall’altra parte c’è l’uscita!”. Io e John ci guardammo negli occhi, meravigliati dalle parole di
Emy, che fino ad allora avevamo soprannominato “la fifona”; in quel momento però non potevamo
pensare a soprannomi o cose del genere, dovevamo uscire di lì ad ogni costo. Ci incamminammo
nel buio, mano nella mano, in quella specie di caverna sulle cui pareti erano dipinte scene di guerra.
Improvvisamente ci bloccammo, avevamo sentito delle voci, sbirciammo da una fessura e vedemmo
due uomini, gobbi e deformi, con il volto pieno di rughe e una barba folta e nera, che parlavano con
Mr Sherman. Non si capiva bene cosa dicessero, ma riuscimmo a sentire che parlavano di un tesoro
e di una maledizione. Ci guardammo negli occhi e intuimmo che pensavamo la stessa cosa:
dovevamo scappare.
Mentre correvamo, però, Emy calpestò un rametto secco; i due uomini si girarono di colpo e
cominciarono a inseguirci. John lanciò un urlo e io con lui, Emy invece piangeva e non riusciva a
muoversi, così la presi per il braccio e riprendemmo la corsa. I due uomini ci stavano alle calcagna
e non più di cinque minuti dopo ci agguantarono per i cappotti e ci portarono in una cella umida e
piena di muschio.
Qui ci raccontarono una storia del passato che ci fece gelare il sangue nelle vene.
Tutto era cominciato duecento anni prima, in una notte di luna piena. Il primo proprietario del
castello, il conte Ernest Van Hover, fu assassinato da due uomini che stavano cercando di rubare il
suo tesoro. Prima di morire, però, lanciò una tremenda maledizione sul suo gioiello più prezioso, un
rubino che tutti chiamavano “teschio scarlatto”.
Dopo aver raccontato quella storia terrificante, Mr Sherman e i due fantasmi presero uno scrigno di
legno antico con una serratura dorata e si avviarono verso l’uscita. Appena Mr Sherman si voltò,
notammo che alla sua cintura di pelle nera era appesa la chiave della cella in cui eravamo rinchiusi.
Allungai il braccio e afferrai l’oggetto che avrebbe rappresentato la nostra salvezza.
Aspettammo che se ne andassero, infilammo le chiavi nella serratura e “TLACK!”, aprimmo la
porta di quell’orribile prigione. Ci dirigemmo verso il giardino, dove trovammo i nostri nemici che
cercavano di scappare. In quel momento ci ricordammo della maledizione e cominciammo a
lanciare sassi, mirando sia agli uomini che al piccolo baule di legno. Lo scrigno si aprì e cadde il
“teschio scarlatto”. Non avevo mai visto niente di più luminoso e appariscente. Rimanemmo tutti e
tre ad ammirarlo esterrefatti, ma dopo pochi secondi il teschio si mosse mordendo la mano di tutti e
tre gli uomini in fuga. Essi lanciarono un urlo, che solo per miracolo non ci ruppe i timpani, e si
tramutarono in cenere, che poco dopo si posò sull’erba bagnata dalla rugiada del mattino e volò via
con una folata di vento gelido.
Dopo quello spettacolo terrificante l’alba illuminò i nostri volti che da allora non furono mai più gli
stessi. Quella notte cambiò la nostra vita, chissà se in meglio o in peggio, ma la cambiò, così come
cambiò il nostro destino.
La vecchia quercia
Agata Santopietro - Istituto C. Cassano de Renzio – di Bitonto
Come sempre la grande quercia era lì, imperiosa e fiera, dominava la pianura, estendendo lo
sguardo oltre l’orizzonte.
Il suo tronco forte e robusto si innalzava nel cielo, oscurandone una parte con la sua ridente chioma.
La vecchia quercia era la memoria di quei luoghi e di quelle terre baciate dal sole. Tanti i bambini
che aveva sostenuto tra le sue braccia, che aveva visto crescere e diventare uomini. La sua chioma
aveva accolto numerosi giochi, ascoltato racconti, conservato segreti, raccolto risate e pianti.
Ora, con la costruzione delle industrie e la nascita della grande città, la vecchia quercia era rimasta
sola, altri i luoghi di divertimento e svago scelti da adulti e bambini. La tristezza prese il suo cuore e
nella sua verde chioma spuntò qualche filo di un grigio argenteo.
Gli abitanti del paese si convinsero che la grande quercia fosse malata e che la sua malattia potesse
contagiare tutti gli alberi della pianura. Pensarono così di abbatterla.
Un giorno passò di lì un ragazzino, era nuovo del posto e si fermò all’ombra della grande quercia
per trovare ristoro. Aprì il suo zainetto e ne estrasse una foto che ritraeva una donna. Il ragazzo
baciò la donna in foto, era sua nonna e iniziò a piangere così tanto da addormentarsi.
La grande quercia capì e si commosse tanto. Avrebbe voluto consolare il piccolo, ma come fare?
Toccata nel profondo del cuore, curvò la sua chioma sul ragazzo e lo avvolse, asciugandogli le
lacrime.
Quando il ragazzo si svegliò, guardò su e fu colpito da quel fogliame argenteo. Iniziò a toccare
delicatamente, quasi accarezzandole, quelle chiazze bigie che gli ricordavano il suo dolore e parlò
alla grande e vecchia quercia:
-Tranquilla, non preoccuparti, ora ci sono io qui con te. Non sei più sola. Non andare via anche tu.
Io ti farò guarire. Ti curerò.
Restò lì fino a sera e il giorno seguente ritornò in quel luogo a fare compagnia alla grande quercia e
a guardare insieme l’orizzonte.
Il ragazzo tornò all’ombra della grande quercia tante volte ancora; lì era libero di parlare e
raccontare, si sentiva vicino a sua nonna, mentre la vecchia quercia aveva trovato un amico a cui
offrire ristoro e protezione proprio come una nonna sa fare.
La grande quercia non si sentì più sola e le sue foglie tornarono ad essere verdi e ridenti.
Quel luogo tornò a racchiudere la magia di un tempo, fatta di storie, canti, giochi …vita.
Gli abitanti del paese non abbatterono più il vecchio albero che, fiero, è ancora lì che domina la
pianura a segnare il tempo che fu e che sarà ancora.
Ritorno a casa
Alessio Caldarola - Istituto C. Cassano de Renzio – di Bitonto
C’era una volta una casetta in mezzo a un paesaggio, pieno di gelati, cornetti e caramelle. In questa
casa, isolata da tutte le altre, vivevano tre mashmellow.
Un giorno, mentre cantavano la canzone della città, alla loro porta bussarono nove cornetti al
cioccolato che portarono via i tre e li rinchiusero senza cibo in un pozzo.
Dopo quattro giorni piovve così tanto che si aprì il pozzo e i tre amici furono liberi. Andarono dalla
polizia per denunciare il rapimento, ma i nove assassini si trovavano lì per uccidere i poliziotti. Essi
avevano un fucile e lo puntarono sulle vittime. I tre scapparono via e ritornarono a casa sani e salvi
ma affamati.
Mamma-caramella alla frutta era agitata perché da tempo non vedeva più i suoi cari mashmallow.
Chiese al vicinato, ma niente. Le venne in mente che tempo addietro i figli avevano preso in affitto
una casa isolata e pensò che qualcosa di brutto fosse accaduto. Salì sulla gelatomobile, attraversò
tutto il paese e finalmente trovò la casa, ma…sulla porta era scritto “chiuso”. Non c’era più nulla da
fare, quindi ritornò indietro.
I mashmellow, intanto, arrivati da tempo a casa dei genitori, sentirono il rombo di una macchina che
conoscevano e capirono che era arrivata la loro mamma. Aprirono la porta e felici l’abbracciarono.
Ritornò anche papà-gelato, che appena li vide insieme alla mamma, depose la borsa e strinse tutti
con un forte abbraccio. “Io e la mamma eravamo tanto angosciati. Adesso, vi prego, non andate più
via, restate qui con noi”
I tre mashmellow risposero in coro: “Sì!!!” .
E così la famiglia Jans non si separò mai più.
L’ULTIMA SERATA IN FRAC
Rebecca Leone - Istituto C. Cassano de Renzio – di Bitonto
Non sono sicura se Lolo indossasse uno smoking o un frac, ma il suo abito aveva due code
all’estremità che lo facevano sembrare un pinguino-cameriere. Inguardabile!
Lolo, di giorno, era una semplice scimmietta acrobata del circo: faceva capriole, salti tripli, in
pratica era il jolly e la preferita di Gerry, il capo del circo. Quest’ultimo aveva un non so che di
losco e oscuro, sembrava tanto uno di quei cattivi nelle fiabe, era bizzarro e sempre vestito di nero.
Aveva inoltre una lunga barba come per nascondere qualcosa.
Non riesco quasi a dirlo… Lolo di notte si trasformava: assumeva le sembianze di un uomo
piuttosto peloso, con un frac argentato. Era il segretario/agente del principe azzurro (nome non
identificabile), quest’ultimo era un tipo con i capelli biondo platino, magrolino, alto e atletico, con il
volto coperto da un velo argentato.
Torniamo alla nostra scimmietta in frac. Non so proprio come facesse a saltare, correre e fare tutte
le cose da agente segreto con quella sottospecie di smoking con coda!!
Lolo, la scimietta del circo, aveva tanti nemici e tra questi la più temibile era Jessy, l’aquila reale.
Non chiedetemi come fosse, usciva dalla sua tana solo a mezzanotte ed io a quell’ora ero già nel
mio lettino caldo immersa nei sogni. Per favore non giudicatemi!
Adesso vi racconto una delle più famose, pericolose, agghiaccianti avventure di “Lolo in frac”
Quella notte era tempestosa e oscura. Verso mezzanotte Lolo udì un verso stridulo… era Jessy,
l’aquila reale, accompagnata da Gerry.
“Guarda chi si rivede” diceva Gerry. Lolo lanciò un’occhiata fulminante ai due, scagliò uno dei suoi
colpi di pistola al cielo come per dire: “I giochi sono aperti”.
A quel punto Jessy, con il suo becco pungente, lanciò un fulmine, quasi sfiorando Lolo. Rischiò
veramente grosso!! Poi giunse il turno di Lolo che, sfruttando il bagliore del suo frac e la luce della
luna, quasi accecò i due cattivi. Quella era la sua mossa segreta che adesso non lo è più! Poi Gerry,
che era ancora abbagliato da quella luce inverosimile, piroettando, colpì Lolo su quel faccino carino
che si ritrovava, cambiandogli i connotati. Lolo era sfinito...non ce la faceva più. Ma si fece forza e
a stento tirò fuori il suo asso nella manica: doppio calcio, accompagnato da triplo pugno. Si
chiamava tsunami… Non avrei voluto essere al posto di Gerry e Jessy! Lolo pregò in silenzio e
poi… via, corse a più non posso e finalmente si lanciò con il suo tsunami sui due cattivi. Non so
proprio come, ma l’aquila e Gerry si salvarono. Dicono che non si facciano più vedere, hanno perso
la loro dignità.
Ormai Lolo ha conseguito il diploma come superagente segreto del principe azzurro e non fa più la
scimmietta acrobata nel circo ma … indovinate …. ne e’ il capo!! Lolo è diventato adulto e ha
preso moglie e ha due bellissime scimmiette a cui badare. Ovviamente, come tutti gli agenti segreti,
non rivela mai le sue missioni top segrets. L’abbiamo intervistato: è felicissimo della sua vita. Da
quando ha avuto dei figli ha purtroppo smesso di combattere il crimine… quindi quella pericolosa
battaglia è stata l’ultima della serie “Lolo in frac”.
LA TANA DELL’ ORSO
Stella Valla - Istituto C. Cassano de Renzio – di Bitonto
Chi l’avrebbe mai immaginato! Un giorno, mentre mi inoltravo con il mio amico Jake in un
boschetto alla ricerca di un posto dove poter postare la tenda per il campeggio, intravidi una grande
casa che dall’esterno sembrava molto accogliente.
“Potremmo chiedere delle informazioni” sussurrai al mio amico che mi rispose facendomi
l’occhiolino. Jake bussò e ci aprì una ragazza con capelli neri raccolti in uno chignon. Ci fece
accomodare. “Buon giorno, benvenuti nella famiglia Cavendish. Posso aiutarvi?” “Siamo degli
esploratori e vorremmo avere delle indicazioni per poter campeggiare. Lei chi è?”
“Io sono Laura sposata con un cacciatore. Ma… ragazzi mi permettete di offrirvi un tè?” Jake,
stanco e assetato per il lungo percorso, accettò, io invece non volli assaggiare nulla. La ragazza ci
consigliò un posto chiamato “La tana dell’orso”, un luogo tranquillo e non pericoloso. Dopo aver
salutato la gentile, ma misteriosa ragazza ci mettemmo in cammino per il luogo indicatoci. Durante
il percorso Jake si addormentava a tratti; inizialmente pensai alla troppa stanchezza, ma non era
così. Arrivati a destinazione, accendemmo il fuoco, montammo le tende e gustammo qualche
maschmellow. Andammo a dormire. Io, a differenza di Jake, non riuscii ad addormentarmi, per
questo uscii.
Nel buio si sentivano il frusciare delle foglie e il verso dei gufi. Ritornai in tenda, presi la torcia e
mi inoltrai nella foresta. Intorno a me sentivo volare uccelli notturni, ma non ero spaventato anzi
molto incuriosito. Continuai a camminare quando andai a sbattere contro qualcosa di morbido e
caldo. Pensai fosse un albero, ma gli alberi non sono né morbidi né caldi. Alzai la torcia e vidi una
grande faccia che mi osservava. Era un orso! “AIUTOOOOO” urlai provando a scappare ma ero
sempre fermo lì. L’orso mi aveva afferrato dalla maglietta … accipicchia sarei potuto diventare una
buonissima salsiccia per lui. Mentre mi portava “probabilmente” alla sua tana pensavo: “Ma perché
questo stupido mi vuole cucinare?” Forse avevo svegliato i suoi figli con la mia torcia e i miei passi
che scricchiolavano sulle foglie secche? Ma non era quella la spiegazione perché … eccoci alla sua
tana. Tanti piccoli orsetti carini mi guardavano con occhi dolci dentro la caverna buia. “Che bello è
allivato il nostlo nuovo flatellino” gridarono allegramente. “Piccoletto, domani mangeremo tanto
miele!”. Oh no! Mamma orsa mi aveva confuso per un suo cucciolo. Durante la notte provai a
fuggire, ma lei aveva un udito molto acuto e quindi rimasi lì fino alla mattina seguente. A colazione
mi rimpinzò di miele. Non ce la facevo più. Cercai in tutti i modi di farle capire che non ero suo
figlio, ma un umano. Lei allora spaventata mi cacciò dalla famiglia mentre gli orsacchiotti
piangevano disperati. Mentre finalmente libero ritornavo alla tenda, pensai a Jake. Beh forse non
era il caso di preoccuparmi per lui, in quanto lo trovai che dormiva ancora placidamente. E volete
sapere come feci a svegliarlo? Gli portai un orsetto che gli fece il solletico sotto i piedi.
L’ARCOBALENO DELL’AMICIZIA
Corcella Debora classe III C - Istituto Comprensivo "Mariano-Fermi" - Andria
Tutti si chiedono cos’è l’amicizia, ma pochi sanno che l’amicizia è un mix di colori che insieme formano
uno splendido arcobaleno colorato.
Io sono Anna e frequento la terza media. All’apparenza sono una ragazzina normale, ma dentro mi sento
diversa e questo non l’ha mai capito nessuno … nessuno tranne Meredith. Quando mi guardo allo specchio
spesso resto delusa nel vedere la mia immagine riflessa, perché lì dentro non appaio come sono realmente.
Dentro mi sento allegra, solare e piena di energia mentre l’immagine che si presenta riflessa nello specchio
mostra quello che appaio agli altri … un completo disastro!
Quando Meredith è arrivata nella mia classe quest’anno, ho subito pensato che fosse una come tante,
sempre ben vestita, in ordine,che si dava un po’ di arie e che fosse lontana dal mio mondo incantato nel
quale mi piace rifugiarmi. Meredith era di una bellezza disarmante, alta, bionda e con due grandi occhioni
azzurri che però avevano il “difetto” di non vedere, perché Meredith era cieca dalla nascita e si era
trasferita nella nostra città per sottoporsi ad un’operazione molto delicata agli occhi. Queste furono le
parole con cui la prof.ssa di italiano ci presentò la nostra nuova compagna di classe. A quelle parole tutta la
classe rimase in silenzio e Lisa (la reginetta delle oche) guardava la nuova arrivata come un essere inutile
e indegno di entrare nel suo “club delle piccole ochette”.
La prof. accompagnò Meredith vicino a me e da quel giorno anch’io avevo una compagna di banco, cosa
insolita per me visto che non avevo neanche un’amica. Nei giorni successivi Meredith continuò ad essere la
mia compagna di banco ed era sorprendente come una ragazzina non vedente fosse così in gamba come
lei. Studiava su libri diversi dai nostri, ma conosceva tutte le risposte alle domande dei prof. e nonostante il
suo “problema” svolgeva sempre il suo dovere.
Fu lei un giorno a rompere il silenzio tra di noi e a chiedermi di accompagnarla in giardino per prendere un
po’ d’aria e fare una passeggiata. Meredith si serviva di un bastone per camminare, ma non si sentiva
affatto a disagio, anzi camminava fiera e sicura come una persona che ci vedeva benissimo. Ci sedemmo
sotto la “mia” grande quercia e mentre i timidi raggi del sole del mattino le illuminavano il volto, Meredith
mi disse: «Grazie per avermi portato qui, è davvero molto bello!». «Come fai a sapere che è bello se non
puoi vederlo?» le domandai curiosa.
«La mia malattia mi costringe a vivere al buio, ma è proprio il buio che a volte mi permette di vedere
cose che nessuno riesce a vedere. Questo posto è bello perché sento il canto degli uccellini, il calore dei
raggi del sole e sento te, Anna» mi rispose Meredith. «Ti fanno male i tuoi occhi?» le chiesi un po’
imbarazzata. «No. I miei occhi non mi fanno male, ma mi piacerebbe tanto poter guardare i colori delle
cose, chissà come devono essere belli!» mi rispose Meredith con un po’ di tristezza.
A quelle parole rimanemmo in silenzio, un silenzio che però durò poco perché Meredith, come un
uragano carico di energia, sorridendomi disse: «Ti va di fare un gioco con me e di insegnarmi a vedere i
colori attraverso i tuoi occhi?» «Io? Ma io non ne sono capace! Non sono brava a scuola né brava nello
sport e nessuno ha mai desiderato di essere mia amica. Stai chiedendo una cosa troppo grande a un grande
disastro come me …» le risposi tutto d’un fiato.
Meredith ignorò la mia risposta e sembrava molto determinata nel farmi cambiare idea così all’improvviso
mi disse:«Anche io non ho mai avuto amici, perché molti hanno paura di me e della mia diversità, ma tu
hai deciso di portarmi qui nel tuo posto speciale e questo vuol dire che io e te possiamo essere amiche …»
Non avevo mai sentito nessuno rivolgersi a me con delle parole tanto belle e ignoravo come Meredith
sapesse della “mia” quercia e del mio posto speciale. Conoscevo quell’angelo biondo da così poco tempo
eppure lei, per qualche strano motivo, si fidava di me e io, per la prima volta nella mia vita, mi sentivo
coraggiosa e determinata.
La guardai intensamente. Qualcosa dentro di me mi diceva che non potevo e che non dovevo deluderla.
Così mi feci coraggio e le dissi:«Non so ancora come, ma ti insegnerò i colori. Ti avverto, però, che non
sarà affatto semplice signorinella perché io sono un’insegnante molto esigente!» «Esigente come il prof. di
storia?» domandò Meredith divertita «Esigente come il prof. di storia elevato alla massima potenza del
prof. di matematica!» le risposi io trattenendo un sorriso che non esitò ad esplodere. Quel giorno grazie a
Meredith scoprii la bellezza e la forza di un sorriso condiviso.
Tutti i giorni, dopo la scuola, io e Meredith ci fermavamo sotto quella che ormai era diventata la “nostra”
quercia e parlavamo di tutto. Ci raccontavamo i nostri sogni, i nostri segreti, le nostre esperienze e
Meredith mi raccontava della sua grande paura per l’operazione. Mi sentivo così piccola di fronte a lei.
Parlare con Meredith faceva più bene a me che a lei, perché non avevo mai conosciuto una persona così
tanto speciale.
«Di che colore è la nostra quercia?» mi domandò un giorno all’improvviso. «La nostra quercia è verde …»
le risposi. «E com’è il verde? È bello?» mi domandò Meredith sempre più curiosa. Mi alzai, staccai una
foglia dall’albero, poi ne presi un’altra da terra e le posai delicatamente tra le mani di Meredith:«Prendi!
Questa foglia è più liscia e più bella perché non è ancora secca mentre questa è più ruvida e si sgretola
facilmente. La prima è verde come la speranza di una foglia che non vuole proprio staccarsi dal suo albero,
mentre l’altra è marrone perché ormai è caduta giù e non spera più …» «Verde è il prato sulla quale ogni
giorno spero di sedermi accanto a te, Anna» mi rispose Meredith lasciandomi senza parole. Mancava ormai
poco all’operazione di Meredith, ma ogni giorno continuavamo il nostro gioco e ogni giorno imparavamo
cose nuove l’una dall’altra. «Qual è il tuo colore preferito Anna?» mi domandò un giorno Meredith «Il mio
colore preferito è il rosso perché è forte come l’amicizia e l’amore. Rosso è il colore del cuore, rosso è la
forza che ogni giorno vedo nei tuoi occhioni blu, grandi e sconfinati come il mare …»le risposi
mostrandole tutta l’ammirazione che avevo per lei. «Che bello!» esclamò Meredith «Il rosso da ora in poi
sarà anche il mio colore preferito, mentre il colore che più detesto è il nero. Nero come il buio che vedo da
quando sono nata e nero come Lisa che si crede tanto grande quando in realtà è piccola e fastidiosa come
una zanzara» «E come fai a sapere che le zanzare sono nere?»le domandai divertita «Gli insetti non mi
sono mai piaciuti, hanno un ronzio fastidioso e tutto ciò che non mi piace è nero!» disse Meredith
sorridendo. Meredith aveva la capacità di lasciarmi senza parole. Mi piaceva così tanto stare con lei e ogni
volta il tempo in sua compagnia passava troppo presto. Un giorno Meredith mi sembrava pensierosa e così
senza esitare le domandai:«Che succede Meredith?» «Domani dovrò ricoverarmi per prepararmi
all’operazione. Ho tanta paura Anna!» mi rispose tra le lacrime. «Io sarò qui ad aspettarti amica mia. Non
avere paura, ormai siamo in due e noi due insieme siamo una forza!»le dissi cercando di darle coraggio.
«Se l’operazione dovesse andare bene, la prima cosa che mi piacerebbe vedere è la nostra amicizia
…»disse Meredith lasciandomi senza parole «Mer, tesoro mio, l’amicizia non è una cosa che si può vedere
o toccare …»le risposi io. «Anna …» proseguì Meredith «La nostra amicizia è un mix di colori che insieme
formano uno splendido arcobaleno colorato ed è proprio questo che voglio vedere, un arcobaleno grande e
colorato proprio come il bene che ci unisce …» concluse infine Meredith che ancora una volta era riuscita
ad insegnarmi qualcosa.
La pioggia ora sta scendendo più lentamente e mentre ripenso a quanto la mia amicizia con Meredith mi
abbia cambiato la vita, lei è in sala operatoria e sta combattendo la sua battaglia più dura,quella contro
l’oscurità. La pioggia ha smesso di scendere, le nubi si diradano e il sole ha cominciato a splendere. Dalla
finestra della mia camera vedo spuntare un magnifico arcobaleno e sul mio viso ora è comparso un radioso
sorriso, perché ho la certezza che un arcobaleno così grande e colorato, come la mia amicizia con Meredith,
non può che vincere contro la buia oscurità del nero. Corro da lei in ospedale, ci affacciamo alla finestra e
finalmente possiamo ammirare insieme il “nostro arcobaleno” che regna incontrastato nel cielo azzurro
sconfinato.
The house
1 F Istituto Comprensivo "Verdi-Cafaro" di Andria
Si narra che nel 1920 una famiglia sia stata uccisa e sepolta nel terreno della loro casa……
Due gemelli,Elisabeth ed Erick, erano desiderosi di far parte di un gruppo di ragazzi perciò il
capobanda disse loro: “ se volete entrare a far parte del nostro gruppo,dovete dimostrarci il vostro
coraggio ed entrare in quella casa abbandonata…”
I due gemelli ,sebbene incerti,decisero di entrare….Appena entrati,la porta si chiuse all’improvviso
alle loro spalle. Si udivano dei lamenti e, con la luce fioca delle torce, intravidero alcune ombre che
sfrecciavano velocemente davanti a loro. Spaventati,iniziarono a correre e si trovarono davanti ad
una scalinata scricchiolante e impolverata. Iniziarono a salire quatti quatti ma la scala sembrava
infinita,eterna…Ad un certo punto udirono uno scricchiolio molto più forte degli altri: una parte
della scalinata era dissolta. I due fratelli finirono intrappolati nei gradini. Atterriti, chiusero gli occhi
e, sopraggiunto il mattino, si ritrovarono in un letto,posto in una stanza tetra, e davanti a loro una
bambola , che chiudeva e apriva la bocca e gli occhi repentinamente, che sussurrava
“Elisabeth,Elisabeth…” I ragazzi scapparono via e, vedendo una luce, cercarono di raggiungerla.
Correvano,correvano ma Erick ad un tratto rimase impigliato nel pavimento:una forza lo tratteneva.
Elisabeth raggiunse il fratello e urlò: “ Erick, come stai? Come posso aiutarti ?” .Erick le rispose: ”
Non preoccuparti per me. Corri, vai via, la casa sta per crollare!” . Allora Elisabeth, con la morte
nel cuore, si allontanò dall’amato fratello con cui aveva condiviso la sua vita per undici anni. La
casa iniziava a crollare quando Elisabeth si precipitò alla porta e , miracolosamente, riuscì a
schivare una trave enorme che proprio in quel momento cadeva davanti a lei. Chiamò Erick ma
questi non le rispose. Apparve una fanciulla che le mormorò “I’ll help you” .La fanciulla ed
Elisabeth spostarono la trave ma prima di congedarsi la fanciulla le disse “Vai, niente domande! “
Elisabeth si allontanò e, ormai fuori, si voltò per l’ultimo sguardo….la casa era scomparsa come se
non fosse mai esistita.
ALBERTO E IL PICCOLO NINJA
Giuseppe Pacucci - Scuola Michelangelo –Bari - Anni 10
Alberto era un bambino timido ed impacciato che frequentava la scuola media “Giuseppe
Garibaldi”. Era spesso preso in giro perché gli piaceva studiare e perché era un timidone. Un giorno
all’uscita, mentre la classe scendeva le scale, un bullo lo spinse giù e lui si fece un grande ruzzolone
e BADABAM! Alberto tornò a casa con gran bernoccolo. Dopo il pranzo e i compiti, si buttò sul
letto di camera sua e disse:
- Uff!!! Non posso continuare così!- Sbottò e così facendo, prese una pallina e la scaraventò sul
pavimento ma, proprio in quel momento, sentì una vocina provenire da dietro di sé:
-Lascia perdere la collera! Non serve a niente! Allora si girò e vide un piccolo ninja e, subito, gli
corse incontro e gli disse:
- Come sei piccolo!
E il piccolo ninja gli rispose:
- Beh, modestamente …. ma poi il ninja si accorse di ciò che gli aveva detto e disse:
-Ehi, come ti permetti!? E nonostante la noncuranza di Alberto, il ninja continuò a parlare:
- Comunque sono qui per aiutarti a risolvere i tuoi problemi e per farlo ho dovuto frequentare per
otto anni la scuola “Il mistico ninja”!
Ma Alberto incalzò dicendo:
- Ora è tardi, andiamo a dormire.
E a quel punto il guerriero ninja aprì il suo tatami e si stese sopra:
- Buona notte, Alberto.
Ma Alberto si era già addormentato. Il giorno dopo andò a scuola con il piccolo ninja nascosto nello
zaino e nell’ora di educazione fisica Gianni, il bullo, cominciò a prenderlo in giro, e allora,
seguendo gli insegnamenti del piccolo ninja, andò da Gianni e … lo abbracciò! Allora Gianni si
stupì e gli disse:
- Come fai a farmi questo? Alberto gli rispose:
- E’ stata l’amicizia a farmelo fare.
Quindi ricapitolando, la questione Gianni era risolta!
Al ritorno dalla palestra entrò in classe la professoressa di matematica che chiamò Alberto per
svolgere un’espressione algebrica. Allora egli si alzò con le gambe tremolanti e scrisse l’espressione
alla lavagna e una volta terminata ,si soffermò. Ma ad un certo punto il piccolo ninja corse da lui e
con l’aiuto di un siero speciale divenne invisibile e sussurrò all’ orecchio di Alberto:
- Coraggio, forza, ce la puoi fare!
Allora Alberto ci provò e ci riprovò e alla fine riuscì a portare a termine l’esercizio. Allora la
professoressa lo premiò con un bel dieci sul registro!
Appena Alberto tornò a casa, raccontò tutto alla sua mamma che lo abbracciò dicendogli:
- Visto che quando ti impegni ce la puoi fare ?
Il pomeriggio dopo aver svolto i compiti Alberto ed il piccolo ninja festeggiarono. Vi chiederete,
come? Il piccolo ninja porse la sua katana ,tipica spada giapponese con la lama leggermente ricurva
utilizzata da ninja e samurai, ad Alberto e gli spiegò che quella non era un’arma qualsiasi, ma una
katana molto particolare, era magica e permetteva di realizzare i sogni di tutti e gli disse :
- E’ stata questa katana a farti vincere le tue insicurezze. Il piccolo ninja lo aveva ingannato a fin di
bene. Da quel giorno Alberto si portò la piccola katana appesa al collo come una collana, anche se
nel profondo del suo cuore sapeva che non era quell’oggetto a permettergli di stringere nuove
amicizie, nuovi legami e anche ottenere voti migliori.
Da allora Alberto non si scordò mai più i piccoli, ma fondamentali insegnamenti del piccolo ninja.
UN SOGNO
Alessandra Cassano - 1^A - Michelangelo- Bari - Anni 11
La strana storia di Giovanni...
Giovanni, aveva vent'anni la prima volta che tentò di volare, ma non con le sue braccia! Non era un
pazzo scatenato, non era un folle sognatore, era semplicemente un giovane appassionato di velivoli
a motore.
Tra quest'ultimi il suo preferito era l' aereo, ma in particolare
l 'elicottero. Amava il rumore delle eliche che giravano veloci, il vibrare dell'elicottero in volo, il
soffio potente del vento. Il giorno più importante della vita intera del giovane Giovanni, fu il 27
dicembre 1969, il giorno in cui per la prima volta prese un volo aereo da Bari a Tokyo. Era
emozionato all'idea di volare, gli sudavano le mani, gli tremavano le gambe. Aveva passato tutta la
notte agitato, ma felice e fiero del sogno che finalmente si stava realizzando. Salì le scalette
dell'aereo a due alla volta, veloce, con il cuore in gola, ascoltò tutte le informazioni in caso di
emergenza. Giovanni voleva godere il suo primo volo fino in fondo.
Ora era certo: i sogni si potevano avverare! Giunto a destinazione, ancora non credeva ai suoi occhi,
aveva volato ed era atterrato dopo ore e ore di viaggio. Dopo alcuni giorni di divertimento,
imparando una nuova lingua, visitando e fotografando monumenti di grande bellezza, notò un
volantino a colori vivaci. Era scritto in giapponese e lui, non lo capiva ovviamente. Ma ciò che
comprese chiaramente era il disegno di un uomo felice che si lanciava con il paracadute da un
elicottero. Da quel momento il suo nuovo obbiettivo era raggiungere questa nuova avventura. Era il
31 dicembre 1969, il mondo intero era impegnato per festeggiare il capodanno del 1970, tutto il
mondo tranne lui. Giovanni era impegnato a trovare l'elicottero e le indicazioni su come
raggiungere la pista di volo del velivolo con cui si sarebbe potuto lanciare con il paracadute.
Seguiva i volantini per le strade, finché non trovò un vecchio italiano di Bitonto che viveva a Tokyo
da molti, molti anni. L'anziano signore lo aiutò e fece in modo che in tarda serata Giovanni potesse
raggiungere la sua destinazione. Infatti il ragazzo alle 23,48 notò un palazzo con il disegno identico
a quello che aveva visto sui numerosi volantini raccolti.
Giovanni iniziò a saltare di gioia e a gridare: - Evviva, finalmente userò il paracadute, che mi farà
abbracciare le nuvole.- Un giapponese lì vicino, notò Giovanni e disse: - Yoko no, ma Kuyy(Auguri anche a te). Giovanni pagò subito la cifra richiesta per lanciarsi con il paracadute. Seguì il
pilota dell'elicottero sul tetto del palazzo e insieme si accomodarono sul velivolo.
Il pilota diede un foglio a Giovanni, che il giovane provò a leggere... ma fu un’ idea inefficace, non
capiva neanche una lettera!!
L'elicottero iniziò a muoversi, la serata era fredda e nuvolosa, in lontananza si vedevano i lampi e si
sentivano i tuoni. Le istruzioni che il pilota urlava nell'orecchio di Giovanni erano in giapponese. Fu
allora, che per la prima volta Giovanni ebbe paura, ma aveva un sogno da realizzare.
Inutile chiedere al pilota di atterrare, lui non avrebbe capito, ovviamente!
Così Giovanni iniziò a spiegarsi a gesti, muoveva le braccia come una papera, con i gomiti attaccati
al petto, indicando il suolo.
Nel buio della notte, un fulmine colpì l'elicottero, furono fortunati perchè non successe nulla di
grave. Il velivolo iniziò a traballare, così il pilota diede una spinta a Giovanni, facendolo cadere dal
portellone.
Giovanni aveva freddo, ma con coraggio chiuse gli occhi e si lasciò andare. La grande
preoccupazione di Giovanni era che non aveva capito le istruzioni descritte sul paracadute e fornite
dal pilota. Dopo un sospiro, tirò l'unica corda che gli avevano dotato e … Boom! Il paracadute si
aprì: proprio alle 23,59 del 31 dicembre 1969. I fuochi d'artificio appena esplosi diedero colore alla
serata e fuoco al paracadute. Giovanni era quasi atterrato, non c'era pericolo, cadde solo nella piazza
principale di Tokyo, tra tanti giapponesi che aspettavano qualcosa di bello per il nuovo anno e si
ritrovarono il giovane Giovanni caduto dal cielo.
Tutti i sogni possono essere realizzati, Giovanni era contento di aver realizzato il suo.
INSIEME... IN VOLO!
Roberta Di Giesi 2^A Michelangelo anni 11
C’era una volta una bambina, di nome Maria Sole, che sognava di poter volare, per poter capire di
più su quello che sarebbe stato il futuro. Da quando frequentava la scuola elementare aveva già
scoperto un po’ come funzionava quel misterioso “mondo degli adulti”. Voleva arrivare più a
fondo, però. Un giorno prese la sua lente d’ingrandimento, il suo mantello nero, e subito scappò via!
Ancora oggi il suo viaggio non è terminato, ma sta facendo un bel lavoro, o almeno è quello pensa!
Quando iniziò la scuola media era spaesata: non sapeva come procedere il suo cammino. A causa
del suo comportamento vivace e un po’ ribelle, ogni giorno ascoltava un bel po’ di prediche, ma
diciamo che non le servivano a niente! Ma continuava a camminare, camminare e ancora
camminare. Voleva crescere, infatti si sentiva già grande, finché arrivò ad un incrocio. Vide due
scritte: a destra “Le scorciatoie, camminare 2km”, a sinistra “La retta via, camminare 15km”. Presa
dall’enorme stanchezza, scelse la scorciatoia, senza sapere cosa l’avrebbe aspettata. Mentre
procedeva, s’imbatté in un grande mostro dalle sembianze amichevoli che le disse: ”Senti, carina, io
ti posso aiutare, ma in cambio mi devi dare la tua libertà!”. La nostra piccola investigatrice aveva
paura e pensò bene di correre indietro, ma le grandi porte che separavano l’incrocio, si chiusero.
Doveva affrontare quel mostro. Ritornò da lui a testa alta e gli disse: “Ritorna da dove sei venuto. Io
qui devo continuare la mia strada e lo voglio fare da sola!”. Ora, sul volto del mostro, regnava la
paura!
La ragazza era felicissima di esser riuscita a battere quel cattivone. Camminava ancora tutta felice,
ma allo stesso tempo aveva ancora una paura pazzesca: “...e se ci fossero stati altri mostri... e se
avessero voluto vendicare la morte del loro amico?” pensava tra sé. La sua mente era affollata da un
mucchio di dubbi. Dopo un tempo breve, purtroppo, quei dubbi diventarono certezze... Incontrò la
superbia, regina del Male. Anch’essa era avvolta nelle vesti angeliche di un amico, ma stavolta era
un amico bisognoso. Il buon cuore della ragazza non resistette e gli diede il grande mantello nero.
La superbia si alzò dal letto polveroso e disse: “ Ehi Ciccetta, ora siamo amiche e nessuno potrà mai
dividerci”. Maria Sole era quasi disgustata da quella persona così appiccicaticcia che le disse: “
Amica, potresti starmi leggermente lontana per favore?” “Ma certo, cara”, rispose l’altra. La
Superbia proseguì il viaggio con Maria Sole che si sentiva quasi soffocata dalla presenza della sua
nuova falsa amica: la superbia la pervadeva. Capì subito che l’avrebbe dovuta lasciare per poter
continuare a sorridere, e dopo un lungo discorsetto, Maria Sole, riprese il suo cammino da sola. Si
aprì davanti a lei un’altra via che diceva: “ritorna sulla via del Bene”. La piccola era felicissima.
Ormai non aveva più dubbi, seguì subito quella via. Lì era tutto fantastico. Non appena arrivò a
metà della strada, conobbe una nuova vera amica di nome Luna. Sole e Luna proseguirono insieme
il lunghissimo viaggio finché uno strano animaletto diede un grande dono a Maria Sole: le ali. Le
aveva desiderate fin da piccola, ma quel desiderio era ancora in lei. Però c’era un problema: Maria
Sole
non poteva abbandonare proprio lì Luna. Decise di dividerle a metà e tenere per mano la sua amica.
Fu davvero una buona idea! Le due volarono e volano ancora insieme!
P.S. Se vedete qualcosa che svolazza beatamente nel cielo, non preoccupatevi, sono le nostre due
simpatiche amiche!
UN MONDO NUOVO PER CLAUDIA
Francesco Alfonso - 2^A Michelangelo Bari - Anni 12
Claudia, una bambina di città, non riusciva ad apprezzare la natura perché, secondo lei, la campagna
era un luogo isolato, privo di divertimento e senza amici. Ma una sua scoperta le farà cambiare idea
e riuscirà a farle apprezzare la natura con tutte le sue meravigliose creature. Bastava soltanto
chiudere gli occhi e ascoltare…
Claudia, come ogni anno, passava tutta l’estate in campagna dai suoi nonni perché i suoi genitori
erano al lavoro in città. Con loro si divertiva, anche se in realtà avrebbe desiderato passare un po’ di
tempo in più con i suoi genitori, che le mancavano da morire. Ogni giorno si svegliava con calma e,
dopo aver fatto colazione come al solito, usciva nel giardino della villa, si stendeva sotto una grande
quercia con il suo gattino Sky, unico suo vero amico e si rilassava a sentire quel bel silenzio intorno
a lei. Quella mattina, dopo essere stata in giardino, mentre stava per rientrare in casa, sentì uno
strano rumore. Si voltò e vide un varco nel tronco della quercia. All’ inizio pensò di andare in casa e
di chiamare i suoi nonni, ma la sua curiosità era troppo forte. Allora si fece coraggio e iniziò ad
addentrarsi in quella lunga galleria. Dopo un po’ trovò un bivio. Non sapeva dove andare, ma
all’improvviso il suo gattino andò a destra e allora lei decise di seguirlo. Dopo un po’ arrivarono
davanti a un grande portone, come quelli dei castelli medievali. Claudia con un po’ di incertezza
bussò. In quel momento, allo spioncino del portone si affacciò un piccolo gnomo. Le chiese chi
fosse, ma prima che lei gli potesse dare una risposta guardò il suo gatto e le aprì subito.
Evidentemente il gattino conosceva già quel posto e con lui tutti gli abitanti. Quando il portone si
aprì, Claudia rimase estasiata, colpita e piena di stupore per quello che vide: un mondo
completamente nuovo, ma totalmente diverso da quello che lei conosceva, prati, boschi e campi per
la coltivazione. Vide gli animali di tutti i tipi che vivevano pacificamente e armoniosamente e tutti
li rispettavano, li amavano e si prendevano cura di loro. Quando il popolo del villaggio la vide, si
nascose perché era la prima volta che vedevano una persona umana. Anche Claudia era molto
timida, ma poi con voce incerta disse qualche parolina che potesse rassicurare gli gnomi. Si
presentò e poi si fermò aspettando la seconda mossa dai suoi piccoli amici. Dopo un po’ il capo del
villaggio le si avvicinò e le disse che la guardiana di quel mondo sconosciuto, la quercia nel
giardino dei suoi nonni, faceva entrare soltanto le persone pure di spirito e che sapessero custodire il
segreto di quel mondo sconosciuto. Dopo quel discorso ogni abitante, uno dopo l’altro, si presentò a
Claudia, e quella sera festeggiarono tutti insieme. In quel momento Claudia si sentì per la prima
volta nella sua vita “amata”. Dopo i festeggiamenti ci fu un grande banchetto, ma non con cibo
dannoso per la salute, ma soltanto con cibo naturale e sano. A un certo punto però Claudia si ricordò
che ormai erano trascorse quattro ore dal suo arrivo in quel mondo e che i suoi nonni di sicuro si
stavano preoccupando tantissimo per la sua assenza. Allora si precipitò dal capo del villaggio e gli
disse che doveva andare via. Ma a quelle parole questi sorrise e le disse che in quel mondo il tempo
scorreva diversamente dal suo e che più si divertiva, più lentamente scorreva il tempo, così poteva
restare tutto il tempo che voleva. Da quel giorno, nelle vacanze estive Claudia non passò mai più un
giorno da sola… ogni volta che desiderava andare dai suoi piccoli amici, poteva farlo. E quando la
scuola ricominciava lei aspettava con ansia di poter tornare nel suo nuovo mondo libero e puro.
UN SOGNO PER TUTTI
Angelica Gorgoni - Classe 1^A - Scuola Michelangelo – Bari -Anni i 11
Tanto tempo fa c’era una città segreta chiamata Bimbilandia che non veniva sottovalutata perché
come una città vera c’erano concerti,negozi, teatri…Era riservata a tutti i bambini che avevano un
sogno. Gaia era una bambina allegra e ottimista. Il suo sogno era quello di diventare una scrittrice e
allargare la sua fantasia solo con una semplice penna ed un foglio. Aveva un peluche preferito come
tutti i bambini della città, era una scimmietta che si chiamava Cita. Gaia era così fantasiosa che
riusciva a sentire la sua voce e tutti i giorni con lei andava a Bimbilandia. I bambini si erano dati un
orario per tutti i giorni, ma Gaia con Cita ci andava sempre un’ora prima per stare con il suo foglio
e la penna. Sicuramente i genitori di Gaia e di tutti gli altri bimbi si insospettirono, così in un solito
giorno Gaia entrando con Cita a Bimbilandia, sentì dei rumori dietro di sé. Si girò e trovò i suoi
genitori che la seguivano. Gaia si arrabbiò tantissimo, così tanto che li cacciò e andò subito ad
avvisare i suoi amici. Si aprì un grande battibecco che venne subito interrotto da una bambina
chiamata Carola che sosteneva che non bisognava più tenere segreta Bimbilandia, anzi farla
conoscere a genitori e parenti, perché anche loro avevano dei sogni come i bambini.Si
organizzarono e il giorno dopo vennero tutti quanti. La gente era sorpresissima dalla bellezza di
quel luogo meraviglioso. Gaia sorpresa dalle reazioni, propose che Bimbilandia diventasse un luogo
di ritrovo anche per gli adulti. Il nome Bimbilandia diventò Sognilandia , perché tutte le persone lì
presenti avevano un sogno ,come il sogno di Gaia che continuò a sviluppare fino a realizzarlo.
UN AMICO SPECIALE
Elena Solfarelli - Classe1^A Michelangelo Bari - Anni 11
Oreste è il mio amico speciale! Ci conosciamo da ben otto anni. E’ un ragazzo con problemi di
disabilità, è più alto rispetto alla sua età, è snello, ha tutto un suo modo per comunicare e anche se
non parla molto, si fa ben capire. Non mi era mai capitato di avere un amico così affettuoso e nello
stesso tempo generoso. Ricordo che un giorno io piansi perchè mi feci male,Oreste si avvicinò e mi
chiese:- Perchè piangi ?A quel punto lo guardai negli occhi e sorridemmo insieme. In quel momento
capii la sua estrema sensibilità soprattutto nei miei confronti. Ricordo che mi prese per mano
portandomi fuori dall’aula e facemmo un giro di tutta la scuola e come per magia non pensai più al
dolore. Oreste ogni giorno all’uscita da scuola, sia che facesse tanto freddo, sia che piovesse, sia che
ci fosse il sole, doveva comunque accompagnarmi a casa. Oreste è un ragazzo speciale anche sotto
altri aspetti e non è stato sempre semplice che tutti accettassero il suo modo diverso di fare le cose.
Ciò che noi facevamo con facilità e leggerezza, per lui era sempre una conquista importante e
faticosa. Quando pensavo a cosa potesse provare, sentivo una grande tristezza, ma poi lo guardavo e
il suo sorriso mi faceva capire che era felice e così lo ero anch’io. Oreste vive la sua vita come tutti
noi e sembra che abbia le idee molto chiare su ciò che vuole, anche sul fatto che io non possa essere
la sua fidanzata,ma solo la sua migliore amica, perchè è innamorato di un’altra!Fortunatamente
abbiamo deciso di frequentare la stessa scuola media così il 10 Settembre 2015 è iniziata questa
nostra nuova avventura. E’ stato un cambiamento importante per tutti e due e i primi giorni Oreste
era un po’ disorientato perchè aveva perso i suoi punti di riferimento,ma pensandoci bene anch’io.
La scuola media è molto diversa dalle elementari, ma ne abbiamo passate tante insieme e
sicuramente supereremo anche questa. Ormai sono passati più di due mesi dai primi giorni di scuola
e ogni giorno i suoi piccoli progressi, sono i suoi grandi passi. Vederlo partecipare durante le
interrogazioni e svolgere dei conticini di matematica, mi rende sempre orgogliosa di lui. Oreste da
quest’anno appartiene alla 1^A , viene trattato come un fratello da tutti noi e tutte le mattine ci
alterniamo per accoglierlo e accompagnarlo in classe. Tutte le professoresse hanno un rapporto
diretto con Oreste, interessandosi al suo stato fisico, progettando momenti di relax durante la
giornata. So bene che arriverà il momento che le nostre strade si divideranno, ma per ora sono felice
di percorrere la mia strada insieme a lui.
NOI E I BAMBINI SPECIALI…
Eleonora Rita Maria Carrassi - Classe 1^ A Michelangelo Bari - Anni 10
Un tempo viveva a Bari una bambina di nome Angela, nata in una famiglia ricca. Purtroppo, all’età
di dieci anni, cadde e batté violentemente la testa. Chiamarono subito l’ambulanza e la portarono in
ospedale. Qui stette per due mesi e più, poi la dimisero. Non poteva del tutto guarire, perché, alcune
cellule del cervello erano state danneggiate, quindi aveva dimenticato tutto e non riusciva a parlare
bene. Ma Angela, nonostante la caduta, era rimasta la stessa Angela di sempre: sensibile, affettuosa,
premurosa… Non sapeva dire di no e perdonava sempre tutti. Era diventata anche più sensibile di
prima, perché aveva un dono: saper guardare nei cuori.
A scuola l’accolsero tutti con calore, abbracciandola. A sua volta Angela era molto contenta di
rivedere i suoi amici. Solo un bambino non era contento del suo arrivo: Luigi. Era invidioso di
Angela perché era circondata dall’affetto e dalle attenzioni di tutti. Luigi aveva un carattere molto
particolare: sapeva riconoscere i suoi errori, ma non aveva il coraggio di chiedere scusa e, inoltre, i
suoi più grandi difetti erano la difficoltà a perdonare e voler stare al centro dell’attenzione. Un
giorno, mentre giocava a pallone, Luigi cadde e si infortunò la gamba destra. Passò due settimane in
ospedale con controlli e tantissimi baci e abbracci dai genitori che dicevano:- Proprio a nostro figlio
doveva capitare!In ospedale Luigi ebbe l’opportunità di riflettere sul suo comportamento nei confronti di Angela e si
rese conto di essersi comportato veramente male.
Non la doveva ignorare, anzi, doveva starle vicino e soprattutto essere un amico sincero! Così
promise a se stesso che avrebbe chiesto scusa ad Angela. Tornato a scuola, con la sedia a rotelle, le
si avvicinò, poiché il suo handicap era momentaneo. Lei vide che le sue scuse erano sincere e le
accettò e da quel giorno divennero grandi amici.
La felicità non è virtuale
Valeria Insabato - 1^ A Michelangelo Bari - Anni 11
Camilla era una ragazzina di 11 anni, solare ed intelligente, adorava la fotografia e la tecnologia,
forse troppo.Infatti credeva che la felicità si esaurisse tutta nel possesso di un cellulare e di un paio
di auricolari per ascoltare la musica. La sua vita era una routine che girava intorno alla tecnologia,
che non le permetteva di vedere il mondo com’era in realtà. Una mattina di settembre fu costretta ad
iniziare la scuola media, fra noia e indifferenza perché per lei tutto era uguale. Come ogni giorno,
Camilla prese il cellulare costantemente carico e iniziò ad ascoltare la musica, salì in macchina con
la madre alla guida :- Oh, insomma Camilla, perché non lasci il cellulare e guardi la natura, il sole?!
Diventerai rimbecillita!- le ripeteva sempre la madre quando, puntualmente, la figlia prendeva in
mano il telefono. Quando Camilla entrò in aula, dopo l’elenco degli alunni e delle classi, si sedette
accanto ad una ragazzina di nome Giorgia. Alla ricreazione Camilla non si alzò dal banco, ma
rimase in silenzio a mangiare, ormai non le importava di fare amicizia:- Camilla, perché non
parliamo un po’ così ci conosciamo meglio?- le chiese Giorgia, quando entrambe finirono di
mangiare. Camilla le rispose con un “no” mimato con le labbra. Entrò la professoressa subito dopo
la ricreazione, tutti si alzarono in piedi compresa Camilla di malavoglia. La prima cosa che disse
l’insegnante fu : - Allora ragazzi,prima di presentarci volevo chiedervi : Siete felici, ma soprattutto
siete felici di essere qui? Provate a scrivere un testo parlando del vostro stato d’animo! Tutti
obbedirono e dopo aver concluso il tema, un alunno alla volta andò a leggere il proprio racconto.
Quando fu il turno di Camilla lei lesse ad alta voce:- Io mi chiamo Camilla ed ho 11 anni, adoro la
fotografia, il mio colore preferito è il blu. Non mi piace stare all’aperto, preferisco stare sul divano
ad ascoltare musica o giocare al computer.
Io sono felice perché ho un cellulare e posso fare quello che mi piace.
La professoressa una volta ascoltato il racconto disse:- Camilla, lo sai che la tecnologia non è
l’unico svago? Impara a guardarti intorno, ma soprattutto ascolta il tuo cuore! Parla con i tuoi
compagni, fai amicizia, staccati anche per un giorno da quel cellulare e guarda qualsiasi cosa ti
circondi. Fai vivere il tuo corpo, i tuoi occhi,le tue gambe, il tuo cervello! Scopri Bari,la tua città e
poi mi dirai se hai mai visto qualcosa di così reale e stupendo in un mondo virtuale!
La ragazzina rimase molto stupita da quella risposta. “ Magari la professoressa ha ragione, ed anche
mia mamma! Tentar non nuoce” pensò Camilla. Una volta terminato il suo primo giorno di scuola,
la bambina non prese in mano alcun aggeggio elettronico osservando tutto con curiosità e
meraviglia.
Da quel giorno Camilla capì che il divertimento non era rappresentato da megapixel su uno
schermo. Fece tante amicizie, imparò a conoscere la città e finalmente conobbe la vera felicità
perché la felicità non è virtuale!
IL MAGICO PELUCHE
Giulia Dipace - Classe1^A Michelangelo -Bari - 10 Anni
Mario era ancora un bambino, amava giocare con tutti e divertirsi in qualsiasi modo. S’inventava
giochi con la sua fantasia, era un pozzo di idee e di risorse. Mario avrebbe compiuto 11 anni proprio
quel giorno. I suoi genitori erano felici per il loro bambino che stava diventando grande e ormai
frequentava la scuola media. Per festeggiare il suo compleanno insistettero perchè invitasse un
compagno di classe a casa, ma lui rifiutò, non voleva nessuno, non li conosceva ancora. I suoi
genitori rimasero sorpresi e domandarono come mai questa decisione e Mario disse che lui non
aveva ancora amici. Arrivò il momento di aprire il suo regalo. Mario era emozionato, a lui
piacevano molto ancora gli orsacchiotti di peluche e ne voleva uno nuovo da aggiungere alla sua
collezione di 149. Aprì con ansia il pacco regalo, ma nella scatola non c’era il solito orsacchiotto,
ma un gufetto di peluche tutto marrone con occhioni neri e ali ampie. Sarebbe stato il suo nuovo
amico. Mario iniziò a portarsi il gufo ovunque. Passarono i giorni, da quando aveva quel peluche
aveva iniziato ad avere tanta fortuna: aveva preso 9 nella verifica di storia, un bel 7 in quella di
inglese, era stato lodato dalla professoressa di Italiano, insomma qualcosa era cambiato. Pensò che
il suo amico fosse veramente magico. Ogni giorno che passava si convinceva sempre più del suo
pensiero riguardo al suo amico che aveva chiamato Cucciolo! Ormai viveva in simbiosi con lui, ma
osservandolo meglio, notò un pulsantino in rilievo. Lo spinse per vedere cosa succedesse. Guardò
gli occhi di Cucciolo, vide che iniziarono ad illuminarsi di una strana luce blu. Scoprì ancora altro
di lui, ad esempio sapeva parlare e ogni volta che si trovava in difficoltà, gli suggeriva cosa fare!
Anche durante le verifiche lo usava. La professoressa gli chiedeva come mai lo tenesse sempre con
sé, ma lui intimidito non rispondeva, anzi lo stringeva ancora più a sé. E la professoressa quasi
rassegnata diceva ad alta voce che aveva di fronte ancora dei bambini e non dei preadolescenti!
Quanta strada avrebbero dovuto fare i suoi allievi per crescere! Mario in silenzio la ascoltava.
Nessuno poteva capire il suo mondo, ma a lui non interessava. In quel momento con il piccolo
magico peluche si sentiva felice, più sicuro. Sarebbe stato ancora per un pò un amico fedele che lo
avrebbe aiutato a lasciare l’infanzia per sempre senza nostalgia!
DUE BAMBINE SENZA ETA’
Giorgia Como - 1^A Michelangelo Bari - Anni 11
Era un giorno come tutti gli altri ed io stavo giocando alla Wii, ovviamente dopo aver finito i
compiti, altrimenti chi se li sentiva i miei genitori, quando suonarono alla porta. Erano due bambine
della mia stessa età circa, una con i capelli biondi-castani e occhi marroni, e l’altra con i capelli
bruni ed occhi scuri…. Mi sembrava di averle già viste, pensai tra me e me.
Le due bambine subito mi dissero: - Ciao, come ti chiami ?Noi siamo Franca e Velia. Io, anche se
perplessa, risposi: - Giorgia - e pensai: - Strano! Si chiamano proprio come le mie nonne! - Le due
bambine si guardarono sorridendo e affettuosamente mi chiesero: -Che stai facendo? Io risposi:- Sto
giocando alla Wii, ho avuto un gioco nuovo e strepitoso - e subito aggiunsi: -Volete giocare con
me?- pensando che ad una proposta del genere nessun bambino avrebbe potuto dire di no! Ma
Franca e Velia nuovamente si guardarono tra di loro, e sorridendo mi chiesero: -Wii ? Per caso è un
gioco in cui si lanciano i dadi e vince chi fa il punteggio più alto?- Io allibita risposi :- Ma certo che
no, è un gioco elettronico, è l’ultimo uscito!- Loro, un po’ deluse e scontente mi risposero:- No, non
vogliamo giocare con la Wii- E continuando, con tono quasi di rimprovero, mi chiesero come
facessi a stare tante ore in panciolle sul divano a giocare in questo modo, così mi domandarono: Perché non vieni con noi, a giocare all’ aria aperta al parco, sapessi quanti giochi si possono fare! Non mi diedero neanche il tempo di riflettere che mi trascinarono con loro dicendo a mia madre di
stare tranquilla. Stranamente mia madre disse subito di sì! Tutto questo mi sembrava strano, ma non
so perché Franca e Velia mi davano fiducia e mi sentivo già loro amica. Arrivate al parco mi
proposero giochi di cui avevo sentito parlare dalle mie nonne, ma che in realtà non sapevo fare,
come ad esempio il cavalletto… ah, no, no, la cavallina!
Franca e Velia, continuavano a ricordarmi qualcuno, ma non riuscivo a capire chi, ma che
importava, tanto mi stavo divertendo un mondo!
Il tempo passò e arrivò l’ora di rientrare. Tornate a casa, chiesi a Velia e a Franca di rimanere a cena
con me , ma loro risposero, con tono dispiaciuto, ma deciso: - No Giorgia, non possiamo, il tempo è
scaduto e dobbiamo tornare nel nostro presente - Io pensai che forse erano stanche e strampalate per
la giornata trascorsa assieme, e così le rassicurai dicendo che mia madre avrebbe avvisato le loro, di
stare tranquille, ma niente, Franca e Velia, cocciute come muli, mi dissero che non era possibile e
cosi mi salutarono. Io ci rimasi molto male ed ero assorta nei miei pensieri quando un abbaglio di
luce mi fece notare che erano scomparse nel nulla… ma erano fate o streghe? Non ne avevo la più
pallida idea ....o sì?!
Il giorno dopo, non vedevo l’ora di raccontare alle mie nonne i giochi fatti al parco con le due
bambine che si chiamavano proprio come loro, ma con sorpresa, loro mi anticiparono chiedendomi:
- Giorgia, ti sei divertita, ieri al parco con Franca e Velia?- e all’improvviso tutto mi fu chiaro.
Che fatica essere adolescenti!
Giovanna Nitti - Scuola Michelangelo Bari – Anni 10
Era una fredda mattinata d’inverno, Adriana stava andando a scuola.
Pensava che sarebbe stata una giornata normale, ma si sbagliava...
Arrivata a scuola, salì in fretta le scale, svoltò a sinistra ed entrò in classe. La professoressa la punì
per il ritardo e subito la fece sedere al suo posto senza dire una parola.
Adriana pensò: -Ma cosa vuole da me? Sono arrivata solo con cinque minuti di ritardo e la colpa è
anche di mia madre che ha voluto che riordinassi la mia scrivania all’ultimo minuto!
Così una volta seduta aprì lo zaino, prese il quaderno, il libro e l’astuccio. Le sei ore passarono in
fretta, ma Adriana era stanchissima, la scuola media non era uno scherzo! Ma la cosa peggiore era
che le prof. avevano assegnato tantissimi compiti per il giorno dopo e Adriana, con i tanti impegni
che aveva, non sarebbe mai riuscita a finirli tutti.
Tornò a casa a piedi come ogni giorno e distratta e sovrappensiero, cadde rovinosamente facendosi
male alla mano e alla caviglia destra. Questo incidente proprio non ci voleva! Tutta dolorante e
infastidita raccontò alla mamma cosa le fosse successo. Ma la madre le disse:
- Adriana, quante volte ti ho detto di non guardare il cellulare mentre cammini! Ma Adriana replicò: - Ma mamma, il telefono l’ho lasciato qua! -Sì, certo, certo, poche scuse! Adesso fila subito a mangiare e poi appena finisci, senza perdere
tempo vai subito a studiare!Ok, mamma ! – a quel punto era inutile ogni replica e lo sapeva bene per averlo sperimentato tante
volte.
Adriana, come un soldatino, finì subito di pranzare e andò a studiare. I compiti erano veramente
tanti e infatti li finì alle 19:00.
Dopo ore e ore di studio era veramente sfinita, allora andò in salotto e accese la tv. La mamma la
vide e le disse:
-Adriana, non hai fatto niente da stamattina e adesso ti metti anche a guardare la tv?! Adriana cercò
timidamente di replicare:
- Ma mamma, non è vero! Ho fatto sei ore di lezione e poi ho dovuto studiare tantissimo per
svolgere tutti i compiti! La mamma la rimproverò:
-Alla tua età io studiavo in poco tempo e prendevo voti molto alti. Sei tu che perdi tempo! Non hai
imparato ancora ad organizzarti!! Bisogna sbrigarsi, essere veloci ed efficienti! Ad Adriana a
malincuore non restava che ubbidire, spense la tv e andò in camera sua a leggere. Intanto pensava: Mamma crede che io sia una nullafacente! A dir la verità quella che lavora di più sono io: il
pomeriggio studio e faccio sport. Lei invece cosa fa? Va dall’estetista a farsi mettere lo smalto!
Sono sicura che lei al mio posto non resisterebbe neanche un giorno! Oh, ma guarda che ora si è
fatta, è meglio andare a letto. Così si addormentò. Dopo un po’ anche la madre andò a dormire. La
mattina dopo successe qualcosa di incredibile: la mamma si trovava nel corpo della figlia e Adriana
si svegliò nel corpo della madre. Così la madre fu costretta ad andare a scuola e Adriana a lavoro.
Arrivata a scuola, subito iniziarono le lezioni. Non pensava che fossero così difficili, ma soprattutto
non pensava che i compiti fossero così tanti… A lavoro invece le cose non andavano meglio,
Adriana non capiva proprio niente di quel mondo! Finalmente arrivarono le 14:00 e le due
ritornarono a casa sfinite. La madre disse ad Adriana che la sua condizione era difficile, rivoleva la
sua vita, lo stesso disse Adriana. Così, come per magia, la madre ritornò nel suo corpo e Adriana nel
suo. Ripresero le loro vite come se non fosse successo niente, ma finalmente ognuna rispettava e
comprendeva l’altra.
UN LETTO PIENO DI SOGNI
CLAUDIA LOSURDO - CLASSE 1^ A - SCUOLA MICHELANGELO – BARI – anni 11
Marco, da bambino, frequentava la scuola elementare del suo paesino di montagna. Era un bambino
molto timido e dal carattere chiuso, infatti dopo l'uscita da scuola restava sempre in casa.
Frequentando la scuola a tempo pieno, non gli venivano assegnati mai i compiti per casa, per cui,
avendo molta fantasia, disteso sul suo letto, immaginava spesso come sarebbe stato il suo futuro.
ll suo sogno più frequente era quello di vivere a Candylandia, una città speciale: i palazzi erano fatti
di caramelle, le strade di tavolette di cioccolata alle nocciole, i lampioni della luce di bastoncini di
liquirizia, l'erba dei parchi era fatta di fili di zucchero colorato di verde, mentre le cascate erano di
cioccolato fuso. Marco avrebbe voluto essere sindaco di Candylandia per poter risolvere il problema
dello scioglimento della città, dovuto al caldo estivo. Immaginò di convocare tutti i cittadini per
discutere il problema e cercare una soluzione. Durante l'assemblea il signor Bevemolto si alzò in
piedi e propose: - ABBATTIAMO LA CITTA' E COSTRUIAMONE UNA DI CEMENTO!- Ma a
questa proposta tutti i bambini si opposero urlando, mentre la signora Mangiabene propose: RIEMPIAMO LA CITTA' DI CUBETTI DI GHIACCIO – Ma qualcuno le fece osservare che
anche il ghiaccio si sarebbe sciolto. Una bambina di nome Chantilly, infine, propose:- IL MIO
NOME DERIVA DA UN DOLCE! NON POSSO CAMBIARLO! INSTALLIAMO DEI
VENTILATORI GIGANTESCHI E DEI PANNELLI PROTETTIVI!- L'idea piacque a quasi tutti
per cui venne messa al voto e alla fine venne approvata. Questo sogno, ovviamente, non si realizzò
ma Marco, che oggi è adulto, ha realizzato un parco giochi molto simile alla città dei suoi sogni
rendendo così felici tutti i bambini e gli adulti sognatori del suo paese.
Ero sola nel deserto
COLACICCO FRANCESCA - RAKAJ LOREDANA - ROMANO LENA - SURICO CLAUDIA
Classe III A della Scuola Secondaria di I grado F.P. Losapio di Gioia del Colle facente parte
dell'Istituto Comprensivo Losapio San Filippo Neri di Gioia del Colle (Bari)
Il caldo iniziava a diventare insopportabile e le risorse di acqua scarseggiavano e Carmelita, il mio
cammello cominciava a rallentare il passo. Il sole mi penetrava gli occhi. Le dune sembravano
sempre uguali e mi stava venendo un certo languorino e Carmelita mi sembrava appetitosa. Ogni
sorso di acqua che ingoiavo era come avere sabbia in gola.
Il sole era rosso e caldo come non mai e, a dire la verità, pareva sempre più vicino. Iniziavo a
perdere conoscenza. Non sapevo ciò che mi aspettava ma non ero troppo preoccupata dato che ero
sempre stata sufficientemente sicura di me. Non mi sarei mai aspettata di fare un viaggio nel deserto
nonostante abitassi in una delle città lì vicino dalla quale ero fuggita e nella quale non potrò tornare.
Proprio quando stavo per svenire sentii un sibilo ma non sapevo se fosse il frutto della mia
immaginazione o fosse reale. Sta il fatto che Carmelita dopo essersi immobilizzata per un attimo, si
agitò e dopo avermi fatto cadere sulla sabbia cocente, fuggì via fino a diventare un puntino sulla
linea irraggiungibile dell’orizzonte. Iniziai a vedere tutto in modo non nitido... quasi indistinto. La
mia attenzione si rivolse a un bagliore dal quale mi sentii quasi catturata... sembrava che mi stesse
chiamando. Mi avvicinai lentamente, barcollando; mi chinai e vidi che il bagliore proveniva da un
amuleto. Lo raccolsi e trasalii per la sensazione gelida che avvertii tra le mani. Sull'amuleto
campeggiava un cobra dall'aspetto inquietante e malvagio. Ahaii!! Sentii un brivido lungo la mano e
vidi il segno di un morso e subito dopo il serpente che mi si attorcigliava intorno al braccio. Mentre
paralizzata cercavo di mettere insieme le idee per capire cosa fare, il cobra con un balzo si lanciò a
erra e cominciò a strisciare, sibilando in modo sinistro. Benchè spaventata lo seguii istintivamente e
mi condusse in un oasi dove la mia gola riarsa trovò sollievo. Il serpente mi aveva atteso ed ebbi la
sensazione che volesse essere seguito. Mi ritrovai di fronte a delle sabbie mobili nelle quali si tuffò
ed io, non so spiegare ancora oggi spinta da quale forza misteriosa, mi tuffai con lui. All'interno
delle sabbie mobili fui accecata da una luce quasi irreale a causa della quale chiusi gli occhi.
Riapertili trovai delle scale che mi portarono davanti ad enorme forziere. A questo punto notai che
sulla parte frontale c’era una incisione particolare che ricordava la forma circolare dell'amuleto che
avevo raccolto poco prima sulla sabbia del deserto. Provai ad infilarlo e quasi magicamente il
forziere si aprì. Non so rendere con le parole il mio stupore nel contemplare tutte quelle monete
d'oro e l'immensa gioia provata al pensiero che avrei potuto finalmente salvare la popolazione della
mia città dalla miseria e dalla guerra. Potevo e dovevo tornare a casa.
Autori del racconto:
IL “MAIADIETOLOGO”
LOPETUSO FLAVIA (I E) - Scuola Secondaria di I grado F.P. Losapio facente parte dell'Istituto
Comprensivo Losapio San Filippo Neri
- Impossibile!
- Scommettiamo?
- Ok! Allora, se entro una settimana riuscirai a dimagrire di 9/10 Kg, ti darò tutte le mie provviste
per l’inverno, ma, se vinco io, tu dovrai donarmi tutti i tuoi beni più preziosi! - disse convinta la
volpe furba al maiale obeso.
Allora il maiale si rimboccò “le maniche” e ….. in tre giorni riuscì a dimagrire di ben 4 Kg; il
quarto giorno, invece, si lasciò tentare e mangiò qualche quadratino di tavoletta di cioccolato. Si
pentì subito e decise di rimediare all’accaduto evitando, per i giorni successivi, di mangiare leccalecca, caramelle e altri dolciumi, visto che ormai la settimana volgeva al termine.
Arrivò la domenica e il maiale era molto dimagrito, così la volpe perse la scommessa e dovette
donare molte delle sue provviste al vincitore.
E sapete che cosa straordinaria accadde al maiale?
Diventò addirittura un “maiadietologo” ed ebbe molta fortuna.
La favola ci insegna che, se ci si impegna, si riesce a raggiungere l’obiettivo prefissato.
L’ASINO CHE DECISE DI ANDARE A SCUOLA
CLASSE I - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO - ALUNNO: LOCONTE RICCARDO
E (a tempo prolungato)
Un giorno lontano, agli inizi di settembre, un asino, affaticato per il peso della soma che portava in
groppa e assetato, andò a bere ad un ruscello e vide molte volpi che correvano tutte in una
direzione, con uno zaino sul dorso.
Una di loro chiese all’asino, per prenderlo in giro: “Ascolta, quanto fa uno più uno?”
L’asino, meravigliato per la domanda, rispose: “No, non credo di saperlo! Forse cinque, forse sette,
forse tre. Non lo so!”
La volpe saccente scoppiò a ridere: “Ah, ah, ah, ah! Sei proprio un ignorante! Sei buono soltanto a
trasportare carichi pesanti!”
Allora l’asino pensò di cambiare mestiere e, per diventare anche lui uno studente, decise di recarsi
alla scuola degli animali per iscriversi e frequentare le lezioni. Arrivato in segreteria, la segretaria
gli chiese: “Mi dica il suo nome”. “Ciuchetto” rispose l’asino.
“Cognome”.
“De Asinelli”.
“Ok. Venga domani sempre qui e si ricordi di portare il materiale necessario”, puntualizzò la
segretaria.
Così Ciuchetto tornò a casa e si procurò tutto l’occorrente, tranne lo zaino! Allora andò in cantina e
trovò un bello zaino, di color rosso fuoco.
Il giorno successivo andò a scuola e, proprio nella sua classe, c’era la volpe che lo aveva insultato.
Si chiamava Pelorosso.
Allora Ciuchetto la sfidò: “Scommettiamo che divento più sapientino di te?” La volpe, molto sicura
di sé, accettò dicendo: “Va bene, scommettiamo pure! Se vinci tu, non ti insulterò più, ma se vinco
io tu dovrai servirmi e riverirmi!”
“Ok. Ci sto” confermò l’asino.
Il giorno dopo, a scuola, fu interrogata prima Pelorosso e riuscì a superare brillantemente
l’interrogazione. Poi arrivò anche il turno di Ciuchetto che, non avendo mai studiato e non essendo
neanche abituato a studiare come si deve, non era preparato per niente.
Infatti, poverino, non riuscì ad aprire bocca e dovette accettare l’amara sconfitta.
Avendo perso la scommessa, l’asino dovette servire e riverire la volpe per un bel periodo di tempo.
Successivamente Ciuchetto tornò ad essere un animale da soma e si dedicò di nuovo al trasporto di
carichi pesanti.
La favola ci insegna che ognuno si deve dedicare a ciò che sa fare bene.
SCAMBIO DI RUOLI
I - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO" - ALUNNE: DI CHIO GIOVANNA,
SACCOTELLI MARTINA E (a tempo prolungato)
C’era una volta, in un castello, una principessa molto cattiva di nome Crudelia che, fin da piccola,
sognava di diventare una strega maligna e giocare con i filtri magici. Invece, in una piccola casa
situata in una radura del bosco, abitava una strega di nome Flora, molto brava e gentile, che sognava
di diventare una principessa e vivere in un bel castello.
Un giorno Crudelia ricevette da sua madre l’ordine di andare nel bosco a recuperare un fiore
speciale, riconoscibile per i suoi mille colori; così si avviò sperando anche di incontrare qualche
mago o strega che potessero istruirla sulle pratiche di magia.
Durante il suo viaggio, la principessa Crudelia per caso incontrò la strega Flora e cominciò a
parlarle del fiore che stava cercando. Flora le propose: “Principessa, io posso aiutarla perché so
dove si trova questo fiore, ma in cambio vorrei che lei esaudisca un mio desiderio, che io non ho il
potere di realizzare”.
La principessa rispose con aria prepotente: “No, voglio prendere io il fiore, dimmi solo dove si
trova, subito! Questo è un ordine! Altrimenti ti farò giustiziare dal re mio padre”. Flora si accorse
dell’animo malvagio di Crudelia e ribatté convinta: “Io so che il fiore che lei sta cercando è magico,
possiede il potere di scambiare i ruoli delle persone che lo desiderano e fare in modo che vivano
felici”.
La principessa sorpresa ordinò alla strega: “Be’, ci ho ripensato, vienimi ad aiutare e, se questo è
anche il tuo desiderio, ci scambieremo di ruoli: io prenderò il tuo posto e tu il mio”. Flora accettò
entusiasta e subito le due fanciulle si diressero al luogo in cui si trovava il fiore magico. Non appena
vide il fiore tra l’erba, Crudelia lo staccò violentemente dalla terra; subito dopo entrambe le
fanciulle lo toccarono e di colpo si scambiarono le sembianze ed i ruoli e diventarono “principessa”
Flora e “strega” Crudelia. “Ora saremo felici per sempre!” esclamarono all’unisono.
Allora si diressero l’una alla casa dell’altra tutte eccitate per la loro nuova vita.
Quando Flora arrivò al castello, cominciò a esplorare tutte le stanze, a colorare e decorare la stanza
triste di Crudelia, quando, ad un tratto, la regina madre entrò e le disse: “Principessina, sei in
ritardo! Lascia tutto e scendi per le riunioni reali, devi firmare documenti e svolgere tutti gli
impegni previsti per la giornata di oggi”.
“Ma non è giusto! Quando potrò divertirmi, leggere tutti i libri della grande biblioteca reale oppure
provare tutti i vestiti che desidero?” chiese la principessa.
E la madre ribadì: “Non c’è tempo ora per divertirsi! Prima viene il dovere e dopo il piacere!” La
principessa obbedì, ma non immaginava di dover svolgere tutti questi compiti così gravosi.
Intanto la strega Crudelia, giunta nella casetta nel bosco, si creò un nascondiglio sotterraneo tutto
suo, si sistemò a suo piacere gli ingredienti delle pozioni sugli scaffali, i libri di incantesimi e adottò
un gatto nero come animale da compagnia. Poi cercò tanti piccoli insetti e teschi umani, tutte cose
inquietanti e terrificanti che ai suoi occhi avrebbero reso il nascondiglio più bello e misterioso.
Dopo aver organizzato tutto, decise di eseguire l’incantesimo che più di ogni altro aveva sempre
sognato, l’invisibilità. Quando però aprì un libro di magia e girò le pagine, si accorse che erano
scritte in una lingua strana, a lei del tutto sconosciuta, e non c’erano disegni illustrativi, niente di
niente.
Crudelia provò in tutti i modi a decifrare i testi, ma non ci riuscì, quindi tutta sconsolata, decise di
andare a trovare Flora al castello.
Quando arrivò da lei, le disse: “Io non riesco a fare la strega e non credo che sarò mai capace di
farlo. Voglio assolutamente tornare principessa come prima”.
Allora anche Flora le confessò: “Veramente anch’io non riesco a fare la principessa, ci sono troppi
doveri e troppe regole. Anch’io voglio ritornare ad essere una strega libera e tranquilla”.
Per la seconda volta le due fanciulle erano d’accordo, raccolsero il fiore magico che era stato
piantato nel giardino del palazzo reale e lo toccarono contemporaneamente. Allora ripresero le loro
sembianze, tornarono ciascuna nel proprio ruolo e nel proprio mondo ed impararono che è meglio
vivere la propria vita che non quella degli altri.
UN NUOVO CASO PER BRUCE
CLASSE I - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO" - ALUNNO: STRIPPOLI
FRANCESCO E (a tempo prolungato)
È tutto lì che iniziò, a Londsville, quando, in un appartamento della contea, ci fu un omicidio a
sangue freddo.
Era una notte fredda e tenebrosa, in una città fantasma. E un uomo di mezza età, capelli scuri, occhi
neri, vestito di stracci, stava colpendo ripetutamente, con un piede di porco, la porta d’ingresso di
un palazzo al centro della città.
L’uomo dopo tantissimi colpi riuscì ad entrare e, con sguardo sveglio, impugnò la sua revolver e
incominciò a salire per le scale.
Tutti ormai dormivano ed egli allora colpì con la sua pistola la maniglia della porta
dell’appartamento 1 B della scala A. Una volta entrato, fece più in fretta che poté, ma il proprietario
era ancora sveglio in cucina e, sentendo i rumori, si armò di coltello e, mentre il ladro stava
frugando tra la roba, urlò e lanciò il coltello contro di lui.
L’uomo però si ferì solamente, perché, appena sentì l’urlo, si spostò e non esitò a premere il
grilletto e uccidere il proprietario, poi rovistò ancora e scappò con quel poco che aveva preso.
Il giorno dopo la notizia dell’assassinio arrivò al commissariato di polizia che subito affidò
l’indagine a Bruce, il miglior investigatore del dipartimento.
Bruce accettò l’incarico e subito si recò sulla scena del crimine. Arrivato alla porta d’ingresso del
palazzo, vide delle impronte sulle scale: erano sicuramente dell’assassino. Poi entrò
nell’appartamento e vide vasi rotti, muri crepati e, insomma, tutta la stanza a soqquadro. C’erano
anche delle tracce di sangue su una parete, allora chiamò subito la scientifica. Nel frattempo
continuò a perlustrare il resto della casa e, poco tempo dopo, arrivarono tre uomini del RIS che
prelevarono alcuni campioni, li misero in alcune bustine e se ne andarono.
Erano circa le 18:00. Bruce era ancora lì e non aveva ancora ricostruito la scena del crimine,
quando, a un tratto, scovò un coltello macchiato di sangue in un angolo del piccolo balcone
dell’appartamento. Com’era finito lì quel coltello?
Con questo nuovo indizio si recò dagli uomini del RIS per far esaminare la macchia di sangue e
dentro di sé promise che avrebbe catturato l’omicida. Il mattino seguente, mentre Bruce faceva
colazione, gli arrivò una chiamata della centrale che lo informò di una rapina che si stava svolgendo
in una banca proprio accanto al bar dove lui si trovava.
Allora, assicuratosi che il rapinatore fosse uno solo, Bruce si appostò in un luogo strategico, dove
non poteva essere visto. Appena il rapinatore si apprestò alla fuga, l’investigatore, cogliendolo di
sorpresa, lo atterrò e lo ammanettò.
Arrivati in centrale, Bruce cominciò ad interrogare l’uomo e notò una macchia di sangue che
continuava ad allargarsi sulla maglietta.
A quel punto scoprì una profonda ferita di arma da taglio, ma, dato che in banca non c’era stata
colluttazione, quella ferita risultò strana ai suoi occhi. “Tra l’altro”, pensò, “la ferita doveva essere
recentissima, se sanguinava ancora in quel modo!”. Così Bruce cominciò ad interrogare il
rapinatore sull’origine di quel taglio e, vedendo che lui si agitava e non spiegava nulla, decise di
prelevargli un campione di sangue e lo fece rinchiudere in cella.
Successivamente la scientifica, a proposito del caso del ladro omicida, affermò che il sangue trovato
sul coltello non era della vittima, ma probabilmente del suo aggressore.
A quel punto Bruce consegnò il campione di sangue del rapinatore della banca e lo fece
confrontare: aveva il forte presentimento che l’aggressore – ladro entrato nell’appartamento e il
rapinatore di banca fossero la stessa persona.
Dopo alcuni giorni, l’esito degli uomini del RIS confermò il sospetto di Bruce, così, grazie anche al
confronto tra la pallottola che aveva ucciso l’uomo nel suo appartamento ed il revolver requisito al
rapinatore di banca, si scoprì che l’omicida e il rapinatore erano la stessa persona.
Quella sera Bruce, giunto a casa e distesosi sul letto, si godeva il meritato riposo dopo tante ore di
duro lavoro e di indagini serrate. Intanto pensava: “Un altro caso è stato risolto, un altro delinquente
è stato consegnato alla giustizia”.
Subito dopo, di colpo, si addormentò.
Viaggio nell’Olimpo
Seconda - Maria Teresa Di Cosola 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni Paolo II Bari
Billy sbrigati a fare i compiti!! Era la frase che sentivo pronunciare da mia madre la maggior parte
dei pomeriggi, come in quel lunedì15 febbraio del 2014 in cui feci tutto velocemente perché dovevo
vedermi con i miei amici Luca, Rosella e Clara. La mattina avevamo avuto un diverbio con dei
ragazzi di un’altra classe che ci avevano voluto mettere in ridicolo di fronte al preside affermando
per discolparsi falsità su di noi. Erano andati a dirgli addirittura che avevamo rubato loro il cellulare
e fatto girare delle foto scattate all’interno della scuola. Erano le 17 circa e per dimenticare la brutta
mattinata stavo sul mio letto sdraiato a leggere Percy Jackson. Non tardò lo squillo del campanello
della porta, erano loro, i miei inseparabili amici. Appena entrato Luca mi chiese con aria
imbarazzata: - Posso andare in bagno? Mi scappa! - Divertito lo accompagnai, dopo ci rifugiammo
tutti e tre in camera mia a parlare dell’accaduto. Poi per rasserenarci incominciammo a pensare a
che gioco fare per combattere la noia di un triste lunedì pomeriggio. Dopo qualche animata
discussione scegliemmo, tra le tante opzioni possibili, il Cluedo. Cercai a lungo la scatola che
conteneva il gioco, ma ogni tentativo fu vano, il gioco sembrava scomparso. Mi ricordai
all’improvviso che era stato messo nello scantinato e chiesi subito a mia madre se poteva andare a
prendermelo, ma lei mi rispose con aria stressata: - Nooo, non vedi che sono indaffarata!?! Vacci
tu! - Sinceramente contavo sulla sua disponibilità, non perché non volessi andare io, ma perché mi
terrorizzava il pensiero di andarci da solo. Raggiunsi i miei amici e senza far capir loro che avevo
paura dissi: - Ragazzi vi piacerebbe giocare a caccia al tesoro? Chi trova prima Cluedo potrà
decidere chi di noi dovrà offrire il gelato a tutti. Con gran entusiasmo i miei amici accettarono, una
volta entrati in cantina tutti si misero alla ricerca del gioco. Ad un certo punto Rosella trovò una
mappa con su scritto ‘Olimpo’, la prese, e ce la mostrò. Clara con fare scherzosamente misterioso
disse che si trattava certamente di un passaggio segreto per poter accedere all‘Olimpo, una sorta di
ingresso per un viaggio nel passato. Così giocando con la fantasia ci mettemmo a cercare il portale
di passaggio, dopo più di mezz’ora di ricerche immaginammo di trovarlo: l’armadio tarlato di mia
nonna. Aprimmo l’anta e sempre scherzando dicemmo in coro: - Se nell’Olimpo vorrai arrivare
queste parole dovrai pronunciare. - Dopo pochi secondi l’armadio con nostro grande stupore si
trasformò davvero in un varco. Noi, un po’ spaventati, ma tutti eccitati lo attraversammo e senza
renderci conto venimmo catapultati in un luogo fantastico.
Eravamo diversi, indossavamo abiti tipici della Grecia antica e giravamo in una sorta di labirinto in
cerca di una via di uscita. Si udivano voci di donne che ripetevano in coro parole in una lingua a noi
sconosciuta e poi voci di uomini vigorosi come quella di Ades, re del mondo dei morti, che ci
invitava al silenzio durante il passaggio nei sotterranei del tempio. Continuando il viaggio ci
ritrovammo in un grande salone dove danzatrici, musici e poeti facevano festa e dove su un trono
sedeva Apollo, dio del sole e protettore delle arti. Eravamo sconvolti da questo improvviso tuffo
nella classicità, ma fortemente incuriositi da voler a tutti i costi continuare il nostro viaggio.
Proseguendo in uno stretto corridoio giungemmo in una grande stalla dove animali di ogni specie
prosperavano, una sorta di arca di Noè. Lì, una bellissima donna, Artemide, la dea degli animali e
della luna, vigilava su di essi.
Il nostro viaggio continuava e noi ammutoliti ed estasiati allo stesso tempo ci preparavamo ad altre
sorprese, come accadde nella sala dei prestigiatori, dove il dio Ermes in persona ci consegnò un
messaggio, purtroppo incomprensibile perché scritto in greco antico.
Dopo un tempo interminabile, stanchi di camminare e abbastanza desiderosi di tornare a casa in
coro dicemmo: -Se a casa vorrai tornare queste parole dovrai pronunciare. – e magicamente ci
ritrovammo nella fredda cantina di casa. Mia madre ci aiutò a tornare alla realtà con il richiamo
della sua voce acuta che ci invitava a cena per mangiare una profumatissima e fumante pizza.
Allora tutto quel viaggio era solo frutto della nostra fantasia?
Quando ecco cadere dalla tasca di Luca un biglietto con un messaggio dai caratteri incomprensibili.
Mio padre, amante della lingua greca, lo guardò incuriosito e lo tradusse all’impronta: - L’antidoto
per cinquanta nemici è un amico – Aristotele
TUTTO NERO, TUTTO BIANCO
Luana Milella 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni Paolo II - Bari
Avevo in mente una cosa, una cosa che nessuno avrebbe fatto al posto mio. Volevo ritornare in
quella piazzetta, dove avevo incontrato quell’uomo. Lo so quella poteva essere la mia ultima
possibilità di vita, ma volevo capire se c’entrava lui con la mamma, e così feci.
Arrivai nella piazzetta e come sempre, non c’era un anima viva, non c’era assolutamente nessuno.
Gridai “hei tu, vieni qui se…” non riuscì a finire in tempo la frase che, ancora quello strano vento
mi sfiorò le gambe, e mi salì un brivido lungo la schiena e si propagò su tutto il corpo. Ecco, mi
girai e me lo ritrovai davanti, sempre così, sempre com’era. Non so perché ma non avevo paura, era
come se stessi parlando con una persona “normale”. Volevo trovare un modo per vedere la sua
faccia, e non c’era altro modo che togliergli il cappuccio, ma non sapevo come, se sbagliavo un
singolo passo, sarei stata fregata. Pensai al metodo più classico, e mi dissi fra me e me “ o la va o la
spacca”, gridai “oddio che schifo” puntando il dito sul pavimento e l’uomo ovviamente abbassò la
testa e io riuscì a togliergli il cappuccio, si girò mi guardò in faccia e… non potevo crederci, stavo
quasi per avere un collasso e cadere a terra, era la mamma. Volevo sapere il perché di tutto questo,
come avesse fatto a far comparire quel campo di forza, come avesse fatto da casa, in pochissimo
tempo ad arrivare qui, per giunta anche travestita. Non avevo la forza di parlare per la tanta rabbia
che mi inondava, e fu lei a far uscire da quella sua bocca una parola, “scusami”. Io le risposi “scusa
di che, ma lo sai che per colpa tua se io non avessi scoperto chi eri tu avresti potuto anche
uccidermi!”, mi rispose “Lo so, ma non è stata colpa mia”. Io infuriata le gridai “Ma cosa dici! È
colpa tua eccome, e la cosa che mi fa più star più male è che io vivevo in casa con qualcuno che mi
voleva vedere morta!” Mamma incominciò a piangere, non so se era una strategia per confondermi,
o era seriamente addolorata, ero troppo confusa, non sapevo cosa fare. Per il troppo dolore con il
dito le asciugai una lacrima, e guardai a terra, non riuscivo a guardarla in faccia. Poi di scatto
sollevando il viso le domandai con le lacrime che mi tremavano negli occhi “perché?” Lei sussurrò:
“non sono io, è un altro corpo che mi comanda, e… fra poco devi scappare amore, perché…” io già
capii cosa stesse per accadere, ma non scappai, rimasi lì per far capire anche a quel corpo dentro di
lei che non avevo paura, poteva anche uccidermi, ma non me ne sarei andata. Guardai dritto negli
occhi la mamma o chiunque fosse, e… vidi qualcosa di veramente raccapricciante, gli occhi
diventarono tutti neri, e quel nero dagli occhi si espandeva su tutto il corpo. Rimasi sempre lì,
immobile, direi paralizzata, avevo gli chiusi perché non volevo vedere più niente e mi aspettavo il
peggio. Sentii un grido, aprii gli occhi e vidi che la strana creatura si stava avventando su di me. Io
non riuscivo a muovermi, mi venne addosso e… mi risvegliai, mi guardai attorno era tutto bianco,
ero seduta su un pavimento che sembrava fatto di cotone, era tutto completamente bianco, da cielo a
terra. Mi girai e vidi la mamma, le corsi subito incontro e la abbracciai con forza. Forse sapevo
dove ero finita, e non me ne sarei andata più da quel posto. Sì, è vero, non me ne sarei più andata da
quel posto…
UN BEL SOGNO
Francesco Hotca - 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni Paolo II - Bari
Nella città di " Caio", in una campagna, c'era una piccola catapecchia mal ridotta dove, quando
pioveva, entrava l'acqua. Alcune volte scricchiolava addirittura nel pavimento e spesso vi si
trovavano dei topi morti. In quella catapecchia viveva un bambino orfano di sei anni: aveva occhi
celesti come il mare, capelli biondi come il girasole ed era magro come un laccio di una scarpa.
Questo bambino si chiamava Adriàn. I suoi genitori erano morti in un incidente stradale e lui viveva
con sua nonna paterna che si occupava soltanto delle pulizie. Adriàn andava tutti i giorni in città e
chiedeva l'elemosina mentre cantava con una voce melodiosa. Un giorno un signore con il cappello
nero, una giacca di colore beije e un paio di occhiali neri, sentì una voce e pensò :- da dove verrà
mai questa soave e gentile voce ?- Cosi questo signore proseguiva dove lo portava la musica .
Questo signore quando vide Adriàn si rese conto che era un povero bambino bisognoso d'aiuto ,
così fece un video di nascosto ad Adriàn. Il giorno dopo questo signore ritornò nel postoin cui aveva
visto Adriàn e, rivedendolo, gli disse :- salve io sono un produttore della casa discografica e il mio
nome è John Vrestler e ieri non ho potuto fare a meno di ascoltare la tua canzone perchè neanche
un cantante professionista saprebbe cantare così,per questo ieri infatti le ho fatto un video di
nascosto, mi scusi se non le ho chiestoil permesso, e l'ho fatto vedere ad altri produttori della casa
discografica e le parlo a nome di tutti,se non le dispiace le vorrei fare una proposta: potrebbe avere
tutto quello che desidera a patto che venga con me! Allora si o no? Deve decidere
immediatamente!- E Adriàn gli rispose : - si, ma come faccio per mia nonna?- E John gli rispose:non ti preocupare, verrà con te nella tua nuova casa-. Così John portò Adriàn e anche sua nonna nel
suo studio dicendogli di cambiare nome, e Adriàn decise di chiamarsi: Zaf.Un ora dopo Gion porta
ad Adriàn e sua nonna nella nuova casa. Adriàn scopio a piangere dalla gioia e dalla tristeza: dalla
gioia perchè aveva una nuova vita davanti a sè, e dalla tristeza perchè voleva condividere tutta la
sua felicità con i propi genitori. La nuova casa era di colore beige e nero, un cancello automatico
con il codice, tante siepi, un garage dove c'erano una machina, un motore ,un motorino a cross e una
bicicletta elettrica e il resto della casa era coperta da un muro di colore bianco, mentre dall' altra
parte della casa c'era un lago dove poteva andare con il suo yacht personale a pescare. All'interno
della casa c'erano due bagni patronali, due saloni , due camere da letto, tre stanze per gli ospiti e
infine una tavernetta dove c'erano tutte le attrezature per fare i pesi .Poi c'erano tre camerieri, tre
maggiordomi , cinque giardinieri , sette chef ,una governante e una badante che si occupasse di sua
nonna. Adrian infine ebbe un premio: avrebbe ricevuto 100.000 euro se avesse composto ogni anno
30 canzoni. A dodici anni Adriàn vide arrivare i suoi genitori. I genitori gli spiegarano tutto: che
praticamente durante l'incidente erano soltanto svenuti non morti e in quel momento quattro uomini
li avevano tenuti prigionieri e dopo sei anni erano riusciti a scappare e poi avevano saputo di lui. Il
giorno dopo Adriàn si svegliò e si accorse che tutto questo era solo un bel sogno. E Adriàn sperò
che quel sogno un giorno si saprebbe avverato! ....
UN MARE PER AMICO
Erika Ciarfaglia 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni Paolo II - Bari
Maddy, una ragazza bella, forte. Una piccola ragazza così forte da riuscire a mantenere il suo corpo
con due piccole braccia.
Capelli biondi e lunghi che danno colore al suo pallido viso;
naso a patata e labbra a cuoricino colorate sempre da un rosso scarlatto.
Maddy, una ragazza simpatica e amichevole.
Ama il mare, le onde, il surf e il vento bestiale!
Un giorno surfando tra le onde del mare si sente osservata, quando improvvisamente un'onda da
dietro la travolge e la butta in mare. I bagnini la raggiungono tra le onde e subito la portano in riva
tutta sanguinante.
Lì l'ambulanza l'aspetta e la porta velocemente in ospedale. Appena tutti quei signori dal camice
bianco la vedono capiscono subito che uno squalo l'ha attaccata e ferita gravemente.
D'urgenza la operano.
L'intervento dura diverse ore e al suo risveglio con i volti affranti i medici le spiegano quello che
era successo. Non potrà più viversi il mare come prima, non potrà usare le gambe.
Maddy stravolta dall' accaduto inizia a piangere forte come una bambina e ringrazia i dottori per
averle salvato la vita. Si riaddormenta con gli occhi allagati dalle lacrime e il cuore sommerso dal
dolore.
Il tempo passa e Maddy non perde la passione per il mare. Trova lavoro in uno zoo acquatico dove
incontra Sofia, una ragazza con la quale fa subito amicizia. Non si separano mai, fanno tutto
insieme: escono, mangiano e abitano insieme. E insieme decidono anche di lavorare di più per
guadagnare più soldi e adottare un delfino.
Un giorno mentre Maddy stava lavorando incontra un ragazzo, Antony con il quale nasce subito una
bellissima intesa. Antony con il passare del tempo inizia a provare più di un'amicizia per Maddy,
ma lei sembra non provare gli stessi sentimenti.
Anche Antony ama molto il surf, il mare e tutti i suoi abitanti vegetali e animali e proprio di questo
messagiano sempre su whatsapp. A lui non importa non poter condividere con Maddy la passione
per il surf, si è perdutamente innamorato di lei e non gli importa che non abbia più le gambe.
A Maddy le attenzioni di Antony iniziano a piacere e si accorge di provare qualcosa per lui. Col
timore di non essere accettata per il suo problema Maddy però si fa coraggio e fa capire al suo
amico che anche lei non prova solo amicizia, ma qualcosa di diverso, difficile da descrivere.
Con leggerezza, tra una chiacchiera e l'altra i due giovani si mettono insieme .
Sofia ed Antony per il compleanno di Maddy organizzano una grande festa e le fanno un regalo
davvero speciale: una nuova tavola da surf e delle protesi. Ora Maddy sarebbe tornata a giocare con
le onde come un delfino e avrebbe potuto solcare il suo amatissimo mare.
NON SMETTERE MAI DI CREDERE NEI TUOI SOGNI, ANCHE QUANDO SEMBRANO
IMPOSSIBILI, E INSEGUILI FINO ALLA FINE
LA MACCHINA DELLO SPAZIO
Gabriele Tedesco - Francesco Troccoli - 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni Paolo
II - Bari
Sam era un ragazzo tredicenne che si era trasferito da poco nella Carolina del Nord. Sam non era un
ragazzo timido e nemmeno introverso, era uno di quei ragazzi che non hanno paura di niente.
Quella notte stava messaggiando con il suo amico Luke, che l’aveva aiutato ad ambientarsi in quella
città a lui nuova e parlavano dei nuovi professori e di come avevano trascorso la giornata. Dato che
il telefono si era spento, decise di spegnere la luce e mettersi a dormire. Ad un tratto, sentì dei
rumori strani provenire dal giardino e decise di prendere la torcia che era nel comodino e andare a
controllare; ma non andò come previsto... Puf! All’ improvviso cominciò a non sentire più la mano,
ma che strano! Poi cominciò a non sentire più il braccio, e poi l’altro e infine tutto il corpo! L’ unica
cosa che riuscì a fare fu prendere il suo telefono ormai scarico.
All’improvviso si ritrovò in un luogo a lui familiare: era ritornato nella sua vecchia città. Ma quella
città, che lui conosceva molto bene, aveva qualcosa di strano, infatti in giro non c’era nessuno a
parte la deprimente natura appassita. Ma a quel punto gli squillò il cellulare: era Luke! Rispose e
sentì una voce cupa e tremante dire: ”VIENI SUBITO AL MAGAZZINO ABBANDONATO
DOVE GIOCAVI QUANDO ERI PICCOLO.” Sam era sorpreso ma soprattutto perplesso e
spaesato. Qualcosa gli diceva che sarebbe stato un azzardo accettare l’appuntamento, ma non
rifiutò.
Si recò immediatamente all’appuntamento. Arrivato al magazzino incontrò il suo amico Luke che
gli diede importanti informazioni su come erano stati catapultati in quella città. La macchina dello
spazio era finita in mani sbagliate e solo ritrovandola sarebbero potuti tornare nella loro città e tutto
sarebbe ritornato come prima. Luke aveva avuto queste informazioni da Robert, detto Bigbrain, il
cervellone, lo scienziato che aveva contribuito a costruire la portentosa macchina dello spazio. Egli
era stato raggirato dal suo ex socio, lo scienziato “Crazy”, soprannominato così per la sua idea folle
di voler essere contemporaneamente in più luoghi. Bigbrain, non ritenendo saggia questa idea,
pensando alle conseguenze disastrose che avrebbe potuto avere, cercò di farlo ragionare, ma senza
successo. Così Crazy rubò, di nascosto la macchina al suo collega e iniziò ad usarla in maniera
sbagliata.
Sam e Luke si recarono immediatamente nello studio di Bigbrain per pianificare insieme allo
scienziato una strategia e recuperare la macchina dello spazio.
Il piano prevedeva di studiare la mappa della città, trovare un’entrata secondaria nel malefico
laboratorio di Crazy e rubare furtivamente il marchingegno straordinario. Quindi la sera successiva
si recarono nel laboratorio; tutto procedeva secondo i piani quando all’improvviso una sirena
assordante prese a suonare e da un corridoio spuntò con in mano la macchina dello spazio Crazy
che disse con tono minaccioso: ”Non riavrete la macchina così facilmente. Dovrete impegnarvi di
più.”
Così i tre tornarono al laboratorio per pianificare un’altra strategia, si spremettero le meningi fino
all’inverosimile, a Bigbrain addirittura quando rifletteva si vedevano gonfiarsi e pulsare le vene
delle tempie. Pensarono così di sfruttare non solo il passaggio via terra, ma anche quello via aerea:
crearono una macchina silenziosa che gli consentisse di saltare direttamente nel laboratorio dello
scienziato pazzo.
La seconda parte del piano prevedeva di arrivare nella sala dove Crazy custodiva gelosamente la
macchina, di lanciarla per poi subito riafferrarla con una rete e riportarla indietro a casa.
Tutto pronto per il lancio! Sam doveva essere furtivo e tenace per raggiungere lo scopo. 3,2,1...
lancio! L’ebbrezza del volo a tutta velocità sul viso non capita tutti i giorni, ma il ragazzo doveva
concentrarsi sull’obiettivo. Ma ad un tratto sentì una voce femminile gentile e dolce chiamarlo, aprì
gli occhi e si ritrovò nel suo caldo lettuccio.
TUTTO, TUTTO CIO’ CHE AVEVA VISSUTO ERA SOLO UN SOGNO?!!! Sam aveva fatto
quel sogno probabilmente perché provava un po’ di nostalgia per la sua “vecchia” città gli spiegò in
seguito il padre.
Arrivato a scuola raccontò tutto a Luke e i due scoprirono di aver fatto lo stesso sogno! Durante la
lezione di scienze, il professore, che per combinazione si chiamava Robert, spiegò che era stata
appena inventata una macchina che poteva trasportare da un luogo all’altro, da una dimensione
all’altra le persone. Continuando a descrivere l’incredibile invenzione, il professore mentre stava
per aggiungere il nome dell’inventore di quella straordinaria macchina, i due ragazzi lo anticiparono
in coro dicendo: ‘Crasy’. Il prof. Robert si ammutolì perplesso.
FRANCIC NEL REGNO DI TREMONTINO
Francesco Lanzolla - Vincenzo Tenerelli - 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni Paolo
II - Bari
Nel lontano medioevo esisteva su un’isola in mezzo all’oceano un regno chiamato “Tremotino”.
Questo regno era governato da una regina il cui marito era morto tanto tempo prima. La regina
aveva una figlia, molto bella e molto giocherellona, di nome Serena. Un giorno la regina morì per
via di un cancro ai polmoni e la principessa Serena per potere diventare regina doveva trovare al più
presto un degno consorte che avrebbe governato insieme a lei.
Non sapendo scegliere chi sposare, e siccome amava sempre in ogni cosa divertirsi, inventò un
gioco di nome “Eredum” che nella loro lingua significava l’erede. In questo gioco si entrava in una
stanza dove c’erano 50 porte. Solo una di queste però portava nel castello al trono, invece le altre 49
conducevano le persone che le avevano scelte fuori dal castello e non sempre l’uscita era delle
migliori. Chi si trovava in una discarica di rifiuti medievali, chi tra i sotterranei pieni di ratti
affamati, chi immerso nei liquami dei castellani, chi tra i poco ospitali animali e pesci del fossato.
Parteciparono al gioco 50 ragazzi tra cui un ragazzo di nome Francic. Egli proveniva da una
famiglia povera, ma che da generazioni custodiva segretamente un potere speciale. I suoi genitori
potevano infatti diventare invisibili: la madre, battendo tre volte forte le mani; il padre, schioccando
tre dita. Francic pensava però di non avere ereditato alcun potere, aveva provato tante volte a fare
tre gesti consecutivi con il suo corpo, ma non gli era mai capitato niente di prodigioso.
Arrivò il giorno del gioco e il giovane era già nella stanza ed era indeciso su quale porta imboccare.
Ancora nessuno prima di lui era riuscito a trovare quella giusta. Francic sperava solo di evitare il
peggio e ne scelse una a caso. La aprì e attraversò un lungo corridoio. Era arrivato davanti un’altra
porta. La spalancò e trovò con grande sorpresa davanti a sé 2 troni: uno su cui era seduta Serena e
l’altro era vuoto. Aveva vinto! Ma come dice il proverbio, mai gridare vittoria troppo presto, il
peggio doveva ancora accadere.
Il giorno dopo venne proclamato nuovo re del regno di “Tremotino”, il popolo gli fece un grande
applauso e Francic fece 3 inchini. Sentì delle voci che dicevano –Ma dove è andato a finire? - Si
guardò i piedi, ma non li vide. Subito capì: lui aveva il potere di diventare invisibile dopo essersi
inchinato tre volte. Cinque minuti dopo tornò visibile. Al gioco aveva partecipato anche un mago
malvagio che avrebbe voluto diventare re per governare l’isola, e poi, si sa, arrivare da lì a dominare
il mondo. Non gli era certo andato giù che Francic avesse avuto la meglio su di lui, così inventò un
piano per liberarsi dell’intruso prima delle imminenti nozze. Doveva fare prigioniero Francic e
portarlo nella “foresta di dolci”, una foresta fatta interamente di dolci dove vivevano però orsi feroci
dal nome bizzarro, Orsetti Botti. In mancanza di un re a Trementino avrebbero ripetuto il gioco e
con i suoi poteri sarebbe riuscito senza alcuna difficoltà a scegliere la porta giusta. Quella notte
mentre Francic dormiva arrivò il mago che lo imprigionò in un sacco. Lo depositò nella foresta di
dolci e il giovane si trovò con grande sorpresa sotto un albero fatto di gelato al cioccolato. Mentre
stava per assaporare quel gigantesco e gustoso albero gelato, gli si avventarono gli orsetti Botti. Lo
condussero in una cella fatta di inquietanti ossa zuccherate. Gli dissero che avrebbe dovuto superare
una prova per essere liberato, in caso contrario l’avrebbero mangiato. Passarono i giorni e Francic
era chiuso ancora nella cella dove si consolava mangiando ogni giorno un sacco pieno di torte e
dolci: gli orsetti volevano farlo ingrassare perché se non avesse superato la prova avrebbero avuto
una preda più abbondante da mangiare. Dopo due settimane Francic ingrassò di ben dieci chili e gli
orsetti Botti erano pronti a sottoporlo alla prova. Nel frattempo la regina, persa ogni speranza di
ritrovare il legittimo erede al trono, aveva detto che il gioco si sarebbe ripetuto proprio quel giorno.
Gli orsetti allora porsero a Francic una domanda: - Se un gallo fa un uovo in una pianura, rotola
verso nord o verso sud? - poi continuarono: -Dacci una risposta, questa è la tua prova! - Il ragazzo
ci rifletté un po’ su e poi disse a caso: - L’uovo cadrà a sud!-. Gli orsetti allora gli si avventarono
sopra e Francic e a lui fu evidente che la risposta non era quella giusta. - Esprimi il tuo ultimo
desiderio - gridarono gli orsetti pregustando il gustoso pasto.
- Prima di morire vorrei fare un piccolo spettacolo in vostro onore, in fondo per tutti questi giorni
mi avete nutrito di dolci così gustosi che non avevo mai assaggiato prima. – Gli orsetti incuriositi
acconsentirono. Alla fine della sua esibizione gli orsetti Botti molto divertiti applaudirono. Francic
allora si inchinò tre volte e diventò invisibile. Il ragazzo di corsa si diresse verso Tremotino. Intanto
il mago stava partecipando al gioco ‘Eredum’. Francic corse a tutta velocità verso la sua amata isola
e la sua desiderata futura regina.
La principessa Serena era molto preoccupata, lei in realtà non voleva un nuovo re e un nuovo marito
ma aveva scelto di far ripetere il gioco perché da sola non poteva governare, era necessario un
consorte per accedere al titolo di regina.
Il mago usò i suoi poteri per trovare la porta giusta, ma all’ultimo istante mentre stava per
raggiungere la maniglia dell’ultima porta gli comparve davanti Francic. La regina fece salti di gioia
nel vederlo, ma...
Il principe, guardando lo sguardo torvo del mago, comprese il pericolo e cercò di neutralizzarlo.
Egli però subito iniziò a sparare fulmini e ogni cosa dalla forma appuntita contro il giovane.
Francic, inchinatosi tre volte diventò invisibile, corse alle spalle del mare, prese una spada appesa
sul muro del castello e lo trafisse al cuore, dal quale sgorgò, invece di sangue rosso, una melma
maleodorante verde, forse tutta la sua cattiveria.
Francic divenne degno re di altrettanto degna regina. Ebbero un figlio che si divertiva a fare molti
scherzi e quando talvolta veniva sgridato per le sue marachelle ad un certo punto ….
Gli orsi Botti? Bè, loro, morto il malefico mago cattivo che esercitava certamente una cattiva
influenza su di loro, divennero grandi amici del re, della regina e del loro piccolo e di tanto in tanto
si recavano nel regno di Tremontino portando alla allegra famigliola reale in dono i loro
gustosissimi …
Il mistero del furto al museo
Simona Lepore - Annarita Torres - 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni Paolo II Bari
In Inghilterra, per l’esattezza a Londra vivevano due ragazze, Anne e Kate, in due quartieri diversi.
Kate aveva conosciuto Anne un gelido inverno, quando la sua cagnolina Lily si era trovata in
difficoltà nel laghetto ghiacciato e Anne, senza conoscerla, l’aveva aiutata a soccorrere il povero
animale spaventato ed intirizzito.
Fu così che le due ragazze fecero amicizia e cominciarono a frequentarsi.
Anne era triste perché aveva perso il lavoro da poco e temeva di non poter più aiutare la sua
famiglia economicamente; Kate, che proveniva da una famiglia più ricca, le offrì, come
riconoscenza per l'aiuto prestato alla sua adorata Lily, un viaggio.
Decisero insieme di visitare la Scozia. Partirono dopo due settimane in aereo ed arrivarono ad
Edimburgo dove Kate aveva prenotato una camera in una pensioncina modesta ma assai
caratteristica. Lasciarono i loro bagagli in camera e decisero di andare a visitare la città e il museo
“The People Story”. Volevano sfruttare ogni minuto della loro permanenza lì.
Al museo fecero amicizia con i due custodi Peter di 30 anni e Wiliam del doppio. Visitarono gran
parte del museo e trovandolo immensamente grande e interessante decisero di ritornarci anche il
giorno dopo. E cosi fu...
Il giorno dopo però appena solcarono l’ingresso, William raccontò loro concitato della sparizione di
molti oggetti preziosi appartenuti ai sovrani scozzesi custoditi nel museo. Quella sera Peter si era
ammalato ed aveva saltato il turno, quindi solo lui poteva essere incolpato dell’accaduto. Il custode
temeva per il suo posto di lavoro...era lui l’unico responsabile e se non si fossero trovati i gioielli...
Le ragazze decisero di dargli una mano e perlustrarono ogni singolo centimetro del museo senza
trovare nulla.
Restava da perlustrare il cimitero dove era stato sepolto il famoso criminale inglese John Brodic,
vissuto a Londra tanti anni prima. Lo esplorarono prestando attenzione ad ogni zolla di terreno
smossa di recente. La giornata fu lunga, faticosa ma soprattutto infruttuosa. Tornarono in albergo...
la notte avrebbe portato loro consiglio...
Ma nulla... Avevano bisogno di distrarsi un po' e decisero di recarsi a visitare il famoso castello di
Edimburgo e vedere dalle sue torri il panorama mozzafiato.
Dall’alto lo sguardo si soffermò su una persona dai tratti familiari, era William nel parcheggio che
parlava con alcuni strani ceffi e consegnava ad uno di loro una strana busta, molto sospetta agli
occhi delle due ragazze.
Il custode allora non era cosi innocente come sembrava e doveva dar loro molte spiegazioni. Forse
era complice nella sparizione dal museo... ma dove aveva nascosto i gioielli?
All'improvviso un lampo di genio balenò nella mente della riflessiva Kate...
Quando erano giunte troppo vicine alla tomba di Brodic avevano notato che la lapide sembrava
spostata ma William aveva detto loro che Peter aveva tumulato il suo cane proprio lì. Tutto
sembrava molto sospetto...
Corsero al cimitero e giunte alla tomba cominciarono a scavare trovando infatti la refurtiva. Ma
qualcosa ancora non quadrava, perché William aveva voluto coinvolgerle nella ricerca? E se il
responsabile non fosse stato lui?” pensarono entrambe.
Prima di recarsi alla polizia decisero di parlargli a quattr’occhi e verificare la sua eventuale
colpevolezza. Sembrava un brav'uomo, incapace di azioni criminali, ma se vi fosse stato costretto?
Infatti quando Anne e Kate riferirono al custode le conclusioni alle quali erano giunte, egli scoppiò
a piangere, rivelando di essere nelle mani degli usurai. Lui aveva chiesto aiuto a suo fratello che
fortunatamente gli aveva dato i soldi necessari per saldare il suo debito. William aveva sbagliato a
mettersi nelle mani di così brutti ceffi, ma era innocente e non era coinvolto nel furto.
Le ombre della sera calavano sul bianco e imponente edificio del museo, quando ad un tratto alle
loro spalle le due ragazze e William sentirono un rumore strano e videro la sagoma di un uomo
dietro un albero che impugnava una pistola. Era Peter, l'altro custode, che aveva sentito tutto e che
ora minacciava tutti e tre di morte se non gli avessero consegnato i preziosi che le ragazze avevano
ritrovato.
Impauriti e tremanti dissero che non li avevano con loro, ma che glieli avrebbero restituiti subito.
Fortunatamente nel frattempo si sentì il rassicurante suono di una sirena della polizia.
Da giorni controllava i custodi ed anche loro due erano sotto sorveglianza senza saperlo. Per fortuna
tutto si stava concludendo per il meglio.
Ad Anne e Kate, per il coraggio e l’onestà dimostrate, le autorità scozzesi offrirono un'altra
settimana di permanenza ad Edimburgo tutta spesata. Le ragazze però a questo punto non vedevano
l'ora di fare ritorno in patria, il viaggio era stato indimenticabile, ma troppo estenuante per loro...
Le vere vacanze sarebbero iniziate tornando a casa...
Zombie apocalypse
Alessandro Losacco - Francesco Nuzzs - 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni Paolo
II - Bari
-Ehi Ras come stai? -Domanda Misty....
Ma non è ancora arrivato il momento di parlarne. Tutto iniziò il due marzo, quando due scienziati,
Maxis e Richtofen, decisero di giocare con il tempo attraverso il teletrasporto. Ma questo giochetto
comportò un inconveniente, cioè che i due scienziati a causa di un errore di calcolo rimanessero
bloccati nello spazio-tempo in un luogo infestato da zombie. Gli zombie sono esseri non morti che
escono dalle tombe e dalle nostre paure più profonde, i loro corpi si lacerano e poiché si trovano in
un avanzato stato di decomposizione emanano un odore di putrefazione. Si aggirano per tutta la
notte in cerca di carne umana fresca di cui potersi nutrire.
L’errore ebbe però alcuni risvolti positivi: Richtofen inventò un congegno geniale con il quale
riusciva a controllare gli zombie e Maxis con la sua teletrasmittente riuscì a comunicare con i
sopravvissuti, Rasman, Misty, Stunlinger, Marlton.
A un certo punto i sopravvissuti iniziarono a sentire nella loro mente una strana voce che implorava
di essere ascoltata. Quella voce apparteneva a Maxis. Iniziata la comunicazione con gli umani,
Maxis chiese loro di lanciare i “missili Nova” sulla Terra per eliminare l’invasione zombie. Per
avvicinarsi agli zombie Maxis doveva però attivare la torre di Babele che serviva a dare energia al
teletrasporto.
I sopravvissuti dettero ascolto a Maxis e sganciarono i tre missili Nova, proprio dove Richtofen
schierava orde di zombie che lanciava poi contro i sopravvissuti stessi. Distrutte le inquietanti
creature della notte i due scienziati tornarono sulla Terra. Rasman e gli altri notarono però che il
problema zombie persisteva, decisero allora di vivere e combattere fino alla fine per distruggerli.
Per fortuna vennero altri soldati in aiuto dei sopravvissuti. Indossavano due ginocchiere e al centro
del torace portavano un’enorme piastra rotonda color oro che serviva per abbagliare gli zombie e
poterli colpire. Erano armati di un KA-64 un’arma mai vista sul pianeta Terra, tanto potente che un
solo colpo era capace di sterminare migliaia di zombie. Siccome molto tempo prima il loro pianeta
aveva subito lo stesso attacco, usarono contro gli zombie una tecnica molto astuta, quella di fare una
miscela con varie parti del corpo degli zombie uccisi, e quindi avere il loro stesso odore per non
essere attaccati. Questa tecnica la fecero usare anche ai sopravvissuti.
Marx e Richtofen, inavvertitamente per sfuggire dagli zombie, anche avendo il supporto di questi
soldati, si trovarono vicino ad un’altra torre di Babele che inavvertitamente si mise in funzione loro
si trovarono fuori dallo spazio-tempo
Da allora sfortunatamente più nessuno controlla più gli zombie.
UN NUOVO MONDO PER MICHELLE
di Di Gregorio Alessandro, Filomena Alessia e Sicolo Luana-IA Scuola Secondaria di Primo
Grado “Cirasole” di Poggiorsini - di Gravina di Puglia
Nella lontana Africa settentrionale, a Bengasi, viveva una meravigliosa principessa di nome
Michelle. Era una ragazza gentile e intelligente con occhi grandi e curiosi, una pelle nera come il
cioccolato e amava la natura e il mondo che la circondava. La sua vita trascorreva lieta e serena fino
a quando, un giorno, il suo paese venne attaccato dai francesi che volevano conquistare il territorio
libico. La residenza reale fu la prima ad essere espugnata dai nemici, ma il re e la regina riuscirono
a mettere in salvo la loro amata Michelle, che dovette lasciare la Libia in gran segreto. Si imbarcò,
così, con altre 500 persone su una nave di fortuna diretta in un paese che tutti ammiravano: l'Italia.
Il viaggio fu rischioso e pericoloso, vissuto tra la fame, il freddo, la sporcizia e la paura; ma, dopo
tre giorni, la nave fu colta da una tempesta improvvisa, urtò uno scoglio e iniziò ad imbarcare
acqua. Tutti i passeggeri furono scaraventati in mare: molti non riuscirono a salvarsi, mentre altri,
tra cui Michelle, riuscirono a nuotare arrivando su un' isola sconosciuta dove si accamparono. Al
risveglio, dopo una notte terribile, Michelle iniziò ad esplorare il territorio alla ricerca di qualcosa
da mangiare e, mentre girovagava, venne illuminata da una luce abbagliante nella quale distinse
chiaramente una bellissima fata dalle ali brillanti e un vestito scintillante. Michelle rimase
affascinata dalla bellezza e dallo splendore della fata che, però, era in grave difficoltà, poichè
incastrata in una trappola creata dagli uomini e la sua preziosa bacchetta magica era caduta tra i
cespugli. Michelle decise di aiutare la fata, la liberò dalla crudele trappola e la aiutò a ritrovare la
bacchetta magica. Le due iniziarono a fare amicizia:Michelle raccontò alla piccola fatina la
situazione drammatica del suo paese e delle difficoltà affrontate durante il viaggio. Il tempo
trascorse velocemente, ma la principessa ricordò che doveva riprendere il suo cammino. La fatina le
disse che avrebbe potuto contare sul suo aiuto ogni volta che si fosse trovata in difficoltà. Michelle
continuò l'esplorazione di questa nuova terra e, dopo aver attraversato ponti e salite, arrivò all'
ingresso di una caverna buia. All'inizio ebbe un po’ paura, ma era allo stremo delle forze e aveva
bisogno di riposarsi. Così decise di farsi coraggio ed entrare per poter schiacciare un pisolino…Si
addormentò esausta ma, dopo poco tempo, fu svegliata da un rumore improvviso. Andò a
controllare e scorse, in un angolo, un enorme drago che sembrava piangesse. La ragazza si avvicinò
cautamente e si accorse che il povero animale si lamentava per una zampa ferita da una lancia.
Michelle non esitò ad aiutarlo e, con coraggio ed estrema calma, estrasse la lancia dal piede dell'
addolorato drago. Anche lui era in debito con lei e le chiese cosa avrebbe potuto fare per ricambiare
tanta gentilezza. La ragazza gli chiese di poter salire sulle sue spalle ed essere condotta in volo nella
tanto ricercata Italia, dove avrebbe potuto rifarsi una vita. Il drago la accontentò e, in men che non
si dica, Michelle raggiunse le coste di questa penisola a forma di stivale. Ringraziò il drago, lo
salutò e, piena di tante speranze, raggiunse il villaggio più vicino . Quando gli abitanti la videro
ebbero paura di lei, perché fisicamente era diversa da loro e pensarono che Michelle fosse portatrice
di male e sventura. Così non si preoccuparono di chiederle come stava o quali sogni avesse….le
diedero solo del cibo e poi la allontanarono. La povera principessa andò via amareggiata e si sentì
immersa in una grande solitudine. Giunse presto la notte e trovò riparo in una casetta sulla spiaggia:
osservava il cielo stellato, quello stesso cielo che tante volte si era soffermata a guardare con i suoi
genitori. Ma ora le sembrava diverso e non poté fare a meno di pensare a loro, alla sua terra, a tutto
ciò che aveva lasciato e non riuscì a trattenere le lacrime. Il suo pianto però, dolce e sincero, volò
lontano per richiamare il drago e la fatina che subito apparvero dinanzi a lei. Michelle fu felicissima
di vederli e capì che con loro sarebbe stata contenta perché la vera amicizia è quella che sa accettarti
per come sei senza limiti o compromessi.
L’amico vero (racconto felice)
Di Genuario Felice-IA Scuola Secondaria di Primo Grado “Cirasole” di Poggiorsini - di Gravina
di Puglia
In un piccolo paesino situato tra le colline, vivevano un gruppo di ragazzi che amavano andarsene
in giro a divertirsi.
Avevano undici anni e frequentavano la prima media.
Si conoscevano fin da piccoli perché, nel paesino, i bambini erano così pochi che anche la scuola
era unica e con un un’unica classe per ogni età.
Tutti gli anni trascorsi insieme, dalla scuola dell’infanzia fino alle scuole medie, non erano bastati a
creare un gruppo unito e compatto.
Nella classe i ragazzi erano quindici, di cui otto maschi e sette femmine.
Tra le femmine non c’erano grossi problemi: fin da subito erano diventate amiche e andavano tutte
d’accordo, a parte qualche piccolo litigio ogni tanto che era normale vista la loro età. Giocavano
sempre tutte insieme e si riunivano pure per studiare o per guardare un film. Mentre, tra il gruppo
dei maschietti si erano create subito delle rivalità.
Michele era un ragazzino timido e riservato, basso e grassottello e, per via del suo aspetto, era stato
preso di mira dai suoi compagni che lo prendevano in giro e gli facevano sempre dispetti.
E poi c’era Nicola, che tutti chiamavano Capo: arrogante e prepotente e con un vocione che solo a
sentirlo metteva timore.
Il resto dei ragazzi erano tutti seguaci di quel bullo e dispettoso solo per paura di ritrovarselo
contro.
Ben presto, quindi, Michele si ritrovò solo contro tutti.
Ogni giorno che passava, Nicola si sentiva sempre più forte e diventava ancora più cattivo nei
confronti di Michele perché con lui si sentiva invincibile.
Gli rubava la merenda, lo picchiava, gli nascondeva lo zaino…insomma ne combinava di tutti i
colori. Michele, poverino, piangeva e soffriva, ma nessuno lo aiutava, anche se, in realtà, a
qualcuno dispiaceva vederlo piangere.Nessuno, però, aveva il coraggio di andare contro Nicola.
Un giorno , mentre il gruppo era in giro a combinare le solite marachelle, Nicola tentò di scavalcare
il cancello della scuola e, preso dalla fretta, scivolò e si ritrovò a terra ferito. I suoi compagni,
spaventati, scapparono via per non essere scoperti e lasciarono solo Nicola che era steso sul
pavimento e si stringeva forte la caviglia.
Nicola piangeva per il dolore, ma in cuor suo era anche dispiaciuto perché lui ,il capo, era rimasto
solo.
Per caso, in quel momento, passò di lì proprio Michele e, vedendo Nicola in difficoltà, decise di
aiutarlo. Nicola però non ne voleva sapere di essere aiutato proprio dal suo peggior nemico e lo
cacciò via insultandolo. Michele si allontanò dispiaciuto ma solo per andare a chiamare qualcuno.
Infatti fermò un passante e Nicola fu portato in ospedale.
Michele ogni giorno andava a trovarlo e gli portava i compiti che avevano fatto a scuola, dei giochi
e anche delle merende, ma Nicola, per orgoglio, rifiutava la sua amicizia.
Gli altri ragazzi che Nicola considerava suoi amici non si fecero nemmeno vedere.
E fu così che, finalmente, Nicola si rese conto di quanto stesse sbagliando e iniziò a vedere con
occhi diversi il suo compagno Michele.
Quando finalmente tornò a scuola, il primo che abbracciò davanti a tutti fu proprio Michele e da
quel momento divennero grandi amici e lo sono ancora oggi più di prima.
Michele divenne più tranquillo e sereno e Nicola non fu più il dispettoso e arrogante che tutti
conoscevano. Divenne un bravo ragazzo e tutti iniziarono a volergli bene per davvero.
AMICHE PER CASO
Di Marrulli Giulia IA Scuola Secondaria di Primo Grado “Cirasole” di Poggiorsini – di Gravina
di Puglia
Il giorno del suo battesimo, la dolce bimba Sofia ricevette in dono uno specchietto particolare che i
suoi genitori conservarono. Tantissimi anni dopo, quando Sofia aveva già 13 anni ritrovò quel
piccolo dono in un vecchio baule in cantina. Si specchiò e, involontariamente, pigiò un pulsantino e,
come d'incanto, al suo interno apparve una ragazza. Sofia rimase stupita e dopo qualche attimo di
esitazione disse:
"Come ti chiami ?"ed ella rispose: "Mi chiamo Aurora".
Sofia rimase sbalordita e le chiese come mai si trovasse nello specchio. Allora Aurora cominciò a
raccontare la sua storia:
"Tredici anni fa, durante una festosa serata di Halloween con le mie compagne, successe qualcosa
di assurdo: una mia amica pronunciò delle strane parole a voce alta e, dopo pochi secondi, io ero
intrappolata in questo specchio. I miei genitori mi hanno cercata invano ovunque e la mia amica,
terrorizzata dalla mia improvvisa scomparsa e dalle possibili conseguenze, non ha mai raccontato a
nessuno l’accaduto. Ma d’altro canto neppure lei sa dove mi trovo".
A quel punto Aurora pregò Sofia di aiutarla ad uscire da quello specchio che non le permetteva di
vivere la sua vita . Sofia decise di accettare e cominciarono a studiare cosa fare. Passarono giorni e
giorni, ma non trovarono alcuna soluzione. Sofia ricordò che in cantina erano conservati tanti libri
antichi, tra cui uno di streghe e incantesimi. Con lo specchio in tasca trascorse in cantina ore e ore
sfogliando qua e la e, quando oramai aveva perso tutte le speranze, trovò il libro adatto e lo portò in
camera sua alla ricerca di una formula che potesse liberare la povera Aurora.
All’ora di cena Sofia dovette smettere di leggere , si svegliò all'alba e riprese la lettura del libro.
Fortunatamente trovò una formula che sembrava perfetta per il suo casoed ,entusiasta, svegliò
Aurora dicendole di aver trovato la soluzione. Provò a pronunciare quelle parole tantissime volte
ma... niente, nessun risultato: Aurora era ancora dentro quello specchio.
A quel punto Aurora pensò che forse l’unica soluzione poteva essere di far pronunciare quelle
parole alla stessa persona che tredici anni prima le aveva fatto, senza volerlo, quell’incantesimo. .
Infatti, Sofia dopo aver riletto attentamente il libro scoprì che era così. Come potevano rintracciare
quell'amica di cui non sapeva più niente? Entrambe erano demoralizzate e disperate! Tra loro era
nata un'amicizia particolare e sincera che sarebbe stata ancor più bella se Aurora fosse stata fuori
dallo specchio. Passarono alcune settimane durante le quali la loro amicizia si rafforzò ed ebbero
modo di conoscersi meglio raccontandosi l'una dell'altra. Erano già diventate inseparabili.
Una mattina Aurora suggerì a Sofia di fare una ricerca ,fornendole le informazioni che ricordava su
quella bambina e, così, riuscirono a risalire finalmente all'indirizzo della vecchia amica che, con
loro grande meraviglia,viveva a sette isolati da casa di Sofia e con lo specchietto corse a
quell’indirizzo.
La bambina, che ormai era una ragazza, la fece entrare e subito Sofia le mostrò lo specchio e
Aurora. La ragazza ne fu sorpresa e allo stesso tempo contenta: dai suoi occhi scendevano lacrime
di gioia, perché per tanto tempo aveva cercato di capire dove fosse finita la sua amica e da quel
giorno aveva vissuto con un gran senso di colpa. Aurora, allora le chiese di annullare l'incantesimo
pronunciando le parole magiche ed ella accettò con piacere Finalmente con la formula magica
pronunciata Aurora si materializzò venendo fuori da quello specchio che per anni era stato la sua
prigione.Tra loro nacque un'amicizia profonda basata sulla sincerità e lealtà, che durò nel tempo e
da quell'esperienza impararono che bisogna sempre riflettere prima di dire o fare qualcosa che
altrimenti potrebbe danneggiare chi ci sta vicino.
LA PRINCIPESSA SOFIA
Di Silvestri Donatella-IA Scuola Secondaria di Primo Grado “Cirasole” di Poggiorsini - di
Gravina di Puglia
C'era una volta una principessa di nome Sofia che abitava in un castello con i suoi genitori e i suoi
due fratelli. Il castello si affacciava su uno splendido giardino con una fontana e la casetta del mago
di corte Felix. Un giorno arrivò una maga di nome Milù portando con sé numerosi regali per la
famiglia reale e,così, riuscì ad entrare nella corte della principessa Sofia. Ma dopo qualche giorno la
sua fidata rosa Amelia le chiese quali fossero le sue reali intenzioni. Milù rispose: “Intendo rubare l'
anello magico di Sofia. Durante la cena farò delle magie per distrarli e poi ruberò l' anello. Ma tu
dovrai, con le tue radici, chiudere tutte le porte e finestre dopo la mia fuga”. Detto questo si recò
verso la casetta del mago Felix e, approfittando della sua distrazione, fece un incantesimo alla sua
bacchetta magica per impedirgli di fare magie. Durante la cena di gala, come di consueto, Felix
doveva tenere il suo numero di magia, così comiciò il suo spettacolo, ma la bacchetta non diede
grandi risultati. Milù si vantò di essere più brava e lo sostituì,incantando tutti gli ospiti. Felix,
offeso, se ne andò e Sofia lo seguì. Milù scomparve e la rosa Amelia, come da accordi, sigillò tutte
le finestre e tutte le porte. Ad un certo punto dalla collana di Sofia venne fuori la bella
Cenerentola. Sofia, sbalordita, le chiese come fosse arrivata, ma Cenerentola le rispose: “Io sono
venuta per dirti che Milù non è la persona che credi, ma si chiama Strega Orchidea e vuole rubare il
tuo anello. Alcune volte fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio”. Cenerentola scomparve e Sofia
disse tutto subito a Felix. Ma Felix non aveva potere nella sua bacchetta! Allora Sofia chiamò i suoi
amici: Fufi il coniglietto e Carmen la cornacchia. Sofia ordinò loro di rubare la bacchetta della
strega Orchidea, essi seguirono gli ordini e Felix riuscì a salvare tutti gli abitanti del castello e
vissero tutti felici e contenti.
Un sogno da paura
II C - I.C. Balilla-Imbriani
James,viveva con i genitori,nella periferia di una città americana e aveva un'unica passione...giocare
ai videogames.
La sua camera era piena di apparecchi elettronici: tv, console, tablet e computer. Inoltre aveva tutti
gli accessori possibili e immaginabili come il suo monitor touch, accompagnato da quasi trecento
giochi per le varie console.
La giornata di James era un po' monotona perchè, appena sveglio, si lavava, si vestiva e andava a
scuola. Non andava molto bene perchè non voleva studiare e, quando tornava a casa non faceva
altro che giocare ai videogames.
A volte pranzava in fretta e furia, sempre nella sua stanza, perchè voleva finire il suo gioco alla
playstation.
Il suo genere preferito era l'horror e aveva giochi come Outlast o Slender e non vedeva l'ora di finire
il gioco della sua serie preferita per andare subito a comprarne un altro.
Quando qualcuno gli faceva notare che spendeva troppi soldi per questi giochi, rispondeva:”Sono i
soldi miglior spesi della mia vita!”
Una notte sognò di essere il protagonista del gioco Slender, il suo preferito.
L'inizio della sua avventura cominciava con un biglietto che diceva:”Hai trovato me ma non tutti gli
altri”e, in basso a destra c'era scritto 1/8.
Capì subito che c'erano ancora sette biglietti da trovare in una fredda notte, in una vasta foresta con
alberi fittissimi e con l'erba alta.
Inoltre James nel sogno reggeva un telecamera che aveva le pile, così quando si scaricava doveva
cercarne altre per farla rimanere accesa, ma non era affatto semplice.
Prima di fare qualsiasi cosa,James, furbescamente cercava le pile per fare il pieno così poi non si
sarebbe distratto nella ricerca dei biglietti.
Le pile non furon facili da reperire, ma in mezz'ora, circa, trovò 3 pile.
Ora bastava cercare i biglietti che era attaccati agli alberi.
Armato di torcia e telecamera e qualche pila James, partì.
Egli camminò per quasi due ore ma di biglietti ne aveva trovati solo quattro.
Non si perse d'animo, continuò a cercare e ne trovò un altro.
Intanto, la telecamera stava per scaricarsi e gli rimaneva una sola pila.I biglietti ora erano sei, ma
c'era scritta sempre la stessa cosa. James era sempre più curioso.
“Dai dov'è il settimo!”esclamava nella foresta James.
Proprio non lo trovava.
James stava per mollare tutto quando ad un certo punto vide su un albero, anziché un foglio, come
al solito, una scritta direttamente incisa:”Te ne manca solo uno...”
Intanto la telecamera era praticamente scarica, perchè era a metà dell'ultima pila.
James si affrettò, cominciò a correre come se un pitbull affamato lo stesse inseguendo.
La telecamera si era scaricata e si spense, ma si accorse che aveva un'altra pila in tasca...forse aveva
ancora una speranza...anzi no, perchè James fece cadere la sua ultima possibilità in un piccolo
laghetto di sabbie mobili.
Provò a prenderla prima che cadesse, ma una mano lo toccò da dietro.
James si girò in un millesimo di secondo, ma ormai era troppo tardi:un uomo con il viso
scarno,bianco e senza naso, bocca e occhi, lo spinse nelle sabbie mobili, insieme alla pila.
“James, James, svegliati”disse la madre.”Svegliati, è ora di andare a scuola”.
James si svegliò di colpo e subito si toccò, come per controllare se fosse ancora tutto intero.
“Ah, meno male, mamma ho fatto un sogno che mi ha spaventato a morte: ero il protaganista di...” ”Su dai fai colazione e riprenditi, sei a casa”.
James si rasserenò, perchè quello era stato solo un sogno e andò, non molto pimpante, come al
solito, a scuola.
Billy Bella, prof. … di cuori!
Lomuscio Rebecca, Piccolo Christian, Piccolo Elena (I E) - ISTITUTO COMPRENSIVO "VERDICAFARO" - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO" - Andria
Mancavano solo pochi minuti al suono della campanella.
“Uffa… il prof. Bella ci ha assegnato tantissimi compiti per domani…” disse Ken (il LATIN
LOVER della classe) accarezzando il suo folto ciuffo di capelli.
“Lo sapete che si fa chiamare Billy Bella? Ma il suo vero nome è Capra Bella. Come avete potuto
dedurre, è un gran bugiardo!” disse Barbie (l‟eterna ragazza di Ken).
“Sapete che abita in Via De Ciuchini, 17 nella città di Bibi? E‟ una casa decrepita, piena di
ragnatele, libri vecchi, cartacce e abiti disseminati dappertutto. È di un colore indefinito… direi
borgogna!” commentò Matt (il figlio del cappellaio).
“Pare che sia stato eletto il peggior professore dell‟anno, per giunta non sa cosa sia la pulizia!”
disse Ermione (lettrice sfegatata di Harry Potter).
“Indossa sempre jeans anni ottanta, calze spaiate, la sua camicia rosa shocking, piena di toppe e
macchie di vario genere, le sue orribili scarpe!” intervenne, inorridita, Boutique (lei vive solo di
moda).
“Ha parlato la fashion blogger „de no artri‟! „Nun hai ancora capito che quelli so zoccoli, nun
scarpe. Me pare proprio un ciociaro!‟” fu il pensiero „ispirato‟ di Borbotticus (un romano
trapiantato nella città di Bibi, campione di borbottio estremo).
Boutique riprese imbarazzata: “Quelle bretelle grigie sono sbiadite! La sua giacca non ho capito che
taglio abbia, ha i bottoni gialli e per giunta è piena di macchie d‟unto!! Forse sarebbe stata di moda
vent‟anni fa, ma sono vent‟anni che non si indossa più quel verde!! Ha un cappello scolorito,
probabilmente risale all‟epoca della giacca, forse era sui toni del rosa! Che orrore!!”
“È così miope che senza occhiali non distinguerebbe un topo da un elefante. A stento si distingue
che ha gli occhi color ardesia” sentenziò Quattrocchi (l‟intelligentone della classe).
Boutique ormai parlava da sola… “Ma non saprei dire neanche che taglia indossa!! E quei capelli
biondi e ricci … ma dove si è visto mai!! Lo devo mettere subito in contatto con il mio centro
estetico: bisogna subito far qualcosa per quel naso a patata
pieno di germogli…” Stava per svenire dall‟orrore se non fosse intervenuto Willy (il figlio del
dentista): “Tranquilla, lo porterò subito dal mio papà. Solo lui saprà dare un aspetto passabile a
quella specie di sorriso…”
Intellectual (la ragazza “intellettuale” della classe), ormai annaiata da tante ovvietà, sostenne con
trasporto: “Secondo me non è in grado di spiegare proprio niente! Odia la matematica, è certo.
Perché la insegna, allora!?!”
“È acido come un limone e poi dà troppi compiti e pretende troppo da noi, dice che dobbiamo stare
attenti e che non bisogna dormire in classe, ma … è lui il primo che lo fa! Dice che non dobbiamo
chiacchierare e che non bisogna uscire senza permesso, ma proprio lui alla prima occasione esce a
chiacchierare con chiunque gli capiti a tiro. Si arrabbia subito e trova sempre un motivo per metterci
una nota o darci un‟insufficienza, dice di rispettare il materiale scolastico, ma lui è il più sciatto di
tutti. Lo dico sempre: „La legge è uguale per tutti‟!” fu l‟opinione di Art (il figlio del sindaco).
“Un giorno studierò la sua scrittura per fare un murales!” disse Graffito (l‟artista di Street Art).
“Però, tutto sommato è un buon prof.” concluse Honest, il più onesto e il più sincero di tutti.
Tutti si guardarono, allora, negli occhi … e si resero conto di aver esagerato un po‟ … o forse un
po‟ troppo.
Allora scoppiarono in una sonora risata ed esclamarono all‟unisono:
“Mai senza il nostro Billy Bella!!!”
TRA STREGHE E FATE
CLASSE I E - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO" - ALUNNE: BRUNO MARIAPIA,
DI BARI SIMONA, MELO FEDERICA - ISTITUTO COMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO" - Andria
C’era una volta, in una piccola città lontana, nei pressi dell’antico vulcano di nome Lavafungo, una
famiglia di streghe, formata da mamma Bollita, papà Magma e loro figliola Fuocolinda.
Fuocolinda non aveva tanti amici, perché, essendo una strega, i ragazzi del villaggio pensavano
fosse maligna. In realtà era molto buona, era di gran lunga più buona della fata Fatalinda, sua
cugina.
Fatalinda viveva dall’altro lato del villaggio, in un bel castello con mamma Magica e papà Bengi.
Le due cugine erano rivali, perché ad entrambe piaceva lo stesso giovane, Jack, un elfo affascinante
e generoso con tutti, che abitava tra due colline, non molto lontano dal villaggio.
Le due fanciulle e il giovane andavano tutti insieme a Scuola di Magia, ma frequentavano corsi
differenti.
Jack era molto attratto dalla bellezza e dalla bontà della strega Fuocolinda ed un giorno la incontrò e
finalmente ebbe il coraggio di dichiararle tutto il suo amore. La fanciulla, che non aspettava altro, fu
felicissima ed accettò subito di diventare la fidanzata di Jack.
Ma, proprio quando i due erano sul punto di baciarsi, apparve Fatalinda che non voleva
assolutamente che Jack si fidanzasse con sua cugina ed era disposta a fare di tutto per ostacolare il
loro amore.
Allora Fatalinda con un incantesimo trasformò Jack in un’oca, poi sparì.
Fuocolinda disperata cercò di trovare una soluzione, sfogliò i libri di magia che possedeva ma non
trovò un contro-incantesimo adeguato. Allora per salvare il suo Jack decise di rivolgersi ad una
persona veramente esperta in stregoneria, sua nonna Curvetta che abitava a Streghelandia.
Quella notte Fuocolinda pose in una gabbietta Jack-oca, lo prese con sé e si incamminò verso la
casetta della nonna; il mattino dopo bussò alla sua porta e tutta agitata e preoccupata le chiese aiuto.
Curvetta invitò la nipote ad entrare e a spiegarle con calma l’accaduto. Dopo aver ascoltato tutto il
racconto, condusse Fuocolinda e Jack-oca nella misteriosa sala di magia, preparò la pozione magica
appropriata e la fece bere al giovane.
In un attimo l’incantesimo si spezzò e Jack ritornò al suo aspetto normale. Fuocolinda e Jack
finalmente si abbracciarono, ringraziarono la nonna Curvetta e ritornarono al villaggio, dove tutti li
stavano aspettando, soprattutto i loro genitori e i loro amici.
E che fine fece Fatalinda? Fu punita da nonna Curvetta che con un incantesimo la trasformò in
gallina e la chiuse in gabbia.
Jack e Fuocolinda, che ormai non correvano più alcun pericolo, dopo alcuni anni si sposarono e
vissero felici e contenti.
BRUNO MARIAPIA, DI BARI SIMONA, MELO FEDERICA (I E)
IL CAVALIERE MINATORE JAMES
Domenico Centrullo - Jacopo Messeni Petruzzelli - Francesco Sisto
2°D – Scuola secondaria di 1° grado De Marinis
C’era una volta, in un’isola lontana, un giovane minatore, che era stato vittima di una maledizione
perché aveva distrutto la casa di una strega cattiva mentre stava cacciando un creeper, una creatura
ostile che si fa esplodere quando meno te l’aspetti. La strega quando tornò lo rese “sfigato”, cioè
continuamente causa o vittima di piccoli incidenti e per questo sempre disprezzato da tutti. Il
minatore sfortunato si chiamava James e lavorava nelle miniere giorno e notte senza mai perdere la
speranza di diventare un giorno qualcuno da ricordare non solo per la sua “sfiga”.
Un giorno, mentre scavava con il suo piccone di ferro, in lontananza vide una strana luce, troppo
accecante per essere quella del Sole. Si avvicinò furtivamente per capire da dove provenisse: guardò
in lontananza e notò che si trattava di un bellissimo PEGASO ✈ ALATO BIANCO con delle ali
maestose che splendevano alla luce del Sole. Il suo bagliore derivava dalla criniera che
FIAMMEGGIAVA☀ GRANDIOSA .
James, a prima vista, si spaventò e lo fece ancora di più quando il PEGASO si avvicinò a lui e gli
iniziò a parlare con voce imponente: “Ciao James, ti starai chiedendo perché sono qui. Bè, volevo
avvisarti che, grazie al mio aiuto, potrai diventare un eroe. Montami in groppa.”
James ancora incredulo salì sul suo dorso, PEGASO nitrì e in un attimo si aprì un portale che
trasportò cavallo e cavaliere in un’altra dimensione. James cadde in un sonno profondo e al suo
risveglio si ritrovò in una dimensione diversa da quella terrena in cui non c’erano altro che fiamme
e mostri orribili.
La voce del PEGASO rimbombava dall’alto: “Questa dimensione sarà il tuo centro di
addestramento per diventare un vero eroe. Ti fornirò delle armi e degli strumenti e ti insegnerò
come usarli e costruirli”.
Comparvero così davanti a lui: una spada e una pala, tutti incastonati e costruiti con diamanti. Il
giovane istintivamente prese gli oggetti e incominciò a esplorare quel nuovo MONDO
che
dall’aspetto assomigliava tanto all’Inferno. Salì su un’alta collina e il suo stupore raggiunse le
STELLE❇✴: da quell’altura si osservava un enorme lago di lava circondato da migliaia di mostri:
zombi armati di cervelli esplosivi, creeper kamikaze, scheletri arcieri e infine quello che sembrava il
re di quel MONDO: L’ENDER DRAGON, il dittatore di quel Mondo.
Era un’enorme drago dalle possenti ali scure che sputava fiamme per incenerire chiunque come si
trattasse di una formica.
Il nostro eroe si fece animo e scese nella mischia: grazie alla sua spada dalla lama affilata e al suo
coraggio distrusse e annientò tutti i mostri; davanti alla sue armi e la sua determinazione le creature
si scioglievano davanti a lui come burro.
Finalmente, dopo ore di duro combattimento, James arrivò ai piedi dell’ENDER DRAGON.
Costui si alzò nel cielo buio e cominciò a volteggiare nell’aria con aspetto minaccioso.
Tutt’a un tratto delle palle di fuoco uscirono dalla bocca del mostro, ma James con dei fulminei salti
le schivò con la sua pala. L’eroe salì sulla montagna e colpì il drago con un fendente.
L’enorme bestia indietreggiò per un attimo, ma contrattaccò sputando fuoco a più non posso.
Quando tutto sembrava ormai perduto, intorno al giovane minatore si formò una luce abbagliante,
era la protezione del Pegaso.
Il fuoco raggiunse quasi la sua faccia, ma la luce come uno scudo respinse l’attacco con il doppio
della potenza distruggendo il drago che stramazzò al suolo con un urlo soffocato.
Al termine del combattimento James era distrutto dalla fatica e sembrava aver cambiato il colore
della pelle tanta era la fuliggine che lo ricopriva. Pegaso, però soddisfatto, gli si avvicinò e si
congratulò con lui per aver avere completato l’addestramento a pieni voti.
Il giovane ritornò così nel suo MONDO per combattere da vero eroe ogni MALEEEE!!!!
Anche il suo MONDO a ben vedere sembrava un inferno, non c’erano draghi sputa fuoco ma
dittatori spietati circondati da uomini vestiti di nero e imbottiti di tritolo disposti a farsi esplodere in
modo imprevedibile. Volevano distruggere tutti quelli che la pensavano diversamente da loro e che
volevano essere felici e vivere serenamente: i bambini che giocavano a palla, i fidanzati mentre si
abbracciavano, mamma e papà che discutevano dei figli, i nonni che raccontavano storie.
Snidare il male nel suo mondo era difficilissimo, ma il cavaliere minatore James ci riuscì senza
spada e senza pala, grazie solo a quello strano dono che gli aveva dato la strega, la “sfiga”.
Gli capitava di trovarsi sempre quando c’era qualche cattivo che voleva terrorizzare o uccidere la
gente. Il cavaliere minatore che aveva imparato con Pegaso cosa deve fare un vero eroe in ogni
circostanza, riusciva sempre a sventare ogni attacco del nemico. Tutti grazie a lui nel suo MONDO
da allora vissero felici e sereni.
IL MISTERIOSO FANTASMA
GUGLIELMI ILENIA (I E) - ISTITUTO COMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" - SCUOLA
SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO"
Una volta un bambino di nome Charlie e sua sorella maggiore Isabel dovettero rimanere da soli in
casa per una settimana, perché i loro genitori furono costretti ad andare fuori per lavoro.
La prima sera, arrivata l’ora di andare a dormire, Isabel rimboccò le coperte a suo fratello e dopo
anche lei andò a letto.
Charlie era ancora sveglio e, non avendo sonno, cominciò a guardare fuori dalla finestra la pioggia
che cadeva senza sosta.
D’un tratto un fulmine si scagliò contro il terreno e mandò una luce bianca. Charlie guardò bene e
vide sul vetro della finestra il riflesso di un viso bianco, che sembrava invocare il suo nome. Il
bambino terrorizzato lanciò un urlo fortissimo. Isabel corse da suo fratello e, entrando nella sua
stanza, lo trovò rannicchiato sotto le coperte. Impaziente di sapere che cosa fosse successo, disse:
“Charlie, sono io! Vieni fuori dalle coperte e spiegami che cosa è successo!”
“Ho ho ho visto una spe spe specie di fa fantasma dalla fi finestra che chiamava il mio no nome….”
a stento riuscì a dire Charlie spaventatissimo.
Isabel andò vicino alla finestra, guardò bene fuori, ma non vide proprio nulla e allora rassicurò suo
fratello: “I fantasmi non esistono e qui non c’è nemmeno l’ombra di un fantasma! Sarà stato solo un
brutto sogno, anche perché si sta scatenando un temporale così forte da far spavento. Adesso
dormi”.
Charlie però non era tranquillo e chiese a sua sorella di dormire accanto a lui. Così dopo un po’ i
due riuscirono finalmente ad addormentarsi.
Il mattino dopo Charlie per passatempo decise di andare in soffitta per prendere un suo vecchio
gioco e per caso inciampò in un vecchio baule. Incuriosito, lo aprì e al suo interno trovò uno strano
libro scritto a mano, intitolato guarda caso “La futura apparizione del fantasma”. Subito portò in
camera sua il libro e cominciò a leggerlo e, con sua grande meraviglia, scoprì che apparteneva ad
una vecchia proprietaria di quella casa, morta senza avere figli.
Lei scriveva che cinque anni dopo la sua morte sarebbe ritornata in quella casa, ma a fare che cosa?
Che intenzioni aveva? Era forse lei il fantasma che Charlie aveva visto dalla finestra? Era tutto un
mistero.
Charlie raccontò tutto a sua sorella e le fece vedere il libro, ma Isabel cercò di tranquillizzarlo
dicendo: “Non preoccuparti, sono tutte sciocchezze, sicuramente sarà una storia inventata, magari
anche da una nostra bisnonna! Non ci pensare più”.
Quella stessa sera Isabel e Charlie si misero a dormire insieme nello stesso letto per farsi compagnia
a vicenda. Il vento era forte e i vetri della finestra sbattevano, facendo dei rumori spaventosi.
Ad un tratto alla finestra comparve una figura bianca che sembrava davvero un fantasma. Sia
Charlie che Isabel la videro e presi dallo spavento urlarono e si strinsero forte. Avevano il cuore in
gola e il sangue ghiacciato.
Ad un tratto la finestra si aprì e la figura entrò in camera e si avvicinò a loro dicendo: “Non dovete
avere paura di me! Non voglio farvi del male, non cacciatemi via!” Isabel e Charlie non sapevano
che cosa pensare e quasi non credevano che tutto questo stesse succedendo proprio a loro.
Il fantasma scoppiò a piangere e spiegò: “Quando ero in vita volevo tanto avere dei bambini proprio
come voi, ma ho vissuto sempre sola in questa casa e nessuno è mai venuto a farmi compagnia. Ora
non riesco a trovare pace … Vi prego, aiutatemi!”
Isabel e Charlie ancora increduli cominciarono a calmarsi, parlarono con quella strana figura e si
resero conto a poco a poco che era davvero una donna fantasma buona. Così accettarono la sua
richiesta.
Da allora in poi la strana donna fantasma diventò una loro amica di giochi ed anche il loro piccolo
grande segreto. E tutti e tre furono sicuramente più felici di prima.
IL SOGNO DI BEATRICE
NAPOLITANO ROBERTA (I E) - ISTITUTO COMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" - SCUOLA
SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO"
C’era una bambina di nome Beatrice che aveva un sogno, quello di diventare cantante.
La famiglia della bambina non aveva possibilità di mandarla a lezione di canto.
La bambina era sempre triste quando era a scuola perché i compagni raccontavano le loro lezioni di
canto, di ballo, di calcio, mentre lei ascoltava, piangeva e si rattristava sempre di più.
Un bel giorno la maestra si avvicinò a Beatrice e la bambina le raccontò del suo sogno. La maestra
le disse: “Non disperare, arriverà il giorno che realizzerai il tuo sogno!”
La signora maestra era una persona benestante e senza figli così prese una decisione ed iscrisse la
bambina a lezione di canto, pagando tutto con i suoi soldi.
Dopo un anno i genitori della bambina vennero a mancare per un male incurabile e la bambina fu
adottata dalla maestra.
La bambina fu contentissima di questo e continuò a studiare canto.
Quando diventò grande, Beatrice fece tanti concorsi di canto, ma senza risultati positivi.
Dopo anni di delusioni e porte chiuse in faccia, decise di lasciar perdere e non studiare più, ma la
mamma adottiva la convinse a non abbandonare il suo sogno, a stringere i denti e andare avanti.
Beatrice allora cambiò idea e continuò a studiare.
Alla fine diventò una grande cantante e ripagò la sua mamma adottiva per tutti i sacrifici fatti.
IL CANGURO SBRUFFONE
ATTIMONELLI ROBERTA (I E)
ISTITUTO COMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO
"CAFARO"
C’era una volta in una foresta un leone molto generoso con tutti ed anche un puma molto forte,
agile e bravo nella corsa.
Un giorno il leone, da bravo re della foresta, aprì un centro di beneficenza per tutti gli animali che
avevano bisogno di aiuto, invece il puma, da bravo atleta, proprio lì nelle vicinanze, aprì una
palestra per tutti gli animali che volevano fare degli allenamenti.
Un bel giorno giunse da quelle parti un canguro forestiero che, davanti a tutti gli animali, cominciò
a vantarsi di essere il miglior atleta (visto che sapeva fare dei salti incredibili) e soprattutto il
miglior lavoratore del mondo, tant’è vero che lui era capace addirittura di lavorare tutto il giorno e
di gestire contemporaneamente un centro di beneficenza ed una palestra.
Allora il leone e il puma dissero al canguro che era impossibile lavorare tutto il giorno e ogni giorno
in due luoghi diversi, ma il canguro continuava a ribadire la sua idea. A quel punto il leone e il
puma si accordarono per mettere alla prova il canguro sbruffone e davanti a tutti gli animali lo
sfidarono: “Vediamo se davvero ce la fai a gestire le due attività. Vieni domani mattina da noi e
comincia subito a lavorare al posto nostro. Noi ti guarderemo e ci godremo un meritato relax”.
Il canguro non era per niente sicuro di riuscire nell’impresa, ma pur di non fare una brutta figura
davanti a tutti, accettò la sfida.
Il mattino dopo si presentò nel posto stabilito e cominciò a lavorare, con tanta fatica, sia di mattina
nel centro di beneficenza sia di pomeriggio e di sera in palestra.
Il primo e il secondo giorno andò più o meno bene, ma il terzo giorno il canguro, pur essendo un
animale resistente alla fatica, era già distrutto e non ce la faceva più.
Gli animali della foresta cominciarono a lamentarsi perché le cose non funzionavano bene. Allora,
quando il leone e il puma si presentarono dal canguro e gli chiesero il resoconto della situazione,
l’animale dovette ammettere che aveva perso la sfida perché non riusciva più a gestire le due attività
insieme. E inoltre fu cacciato via da tutti gli animali della foresta.
Soltanto allora il canguro imparò la lezione e capì che è meglio non vantarsi e “non dire ceci per
fagioli” e che, a voler saltare da una attività ad un’altra, non se ne fa bene neanche una.
La favola ci insegna che è meglio non dire quello che non si sa fare, altrimenti si rischia di fare una
brutta fine.
L’UOMO DALL’OCCHIO DI VETRO
SACCOTELLI MICHAEL (I E) ISTITUTO COMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" - SCUOLA
SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO"
Iniziò tutto quella notte, il memorabile 19 settembre 2001, quando Mike e Jack, due abili e
coraggiosi generali, armati di tutto punto, furono mandati ad indagare e a perquisire il quartiere
americano più malfamato ed infestato da delinquenti di ogni genere. La loro missione era scovare
un uomo dall’occhio di vetro, il mandante di una serie di omicidi.
Questo luogo era pieno di strani e terrificanti giardini, di paludi nere, di tombe e lapidi e tutti quelli
che lo attraversavano si pentivano di esserci passati.
Ma tutto questo non spaventava affatto i due amici per la pelle Mike e Jack, abituati com’erano a
missioni di questo genere.
Arrivati sul posto, i due si avvicinarono alla prima casa decrepita e, nella stanza semibuia, videro
comparire una strana donna, avvolta da una nuvola di fumo nero. Indossava un abito nero di velluto
lungo fino ai piedi, aveva denti affilati, guardava loro con occhi rossi ed era pronta ad aggredire
chiunque.
Jack e Mike non ebbero paura e l’affrontarono in un testa a testa che durò pochi secondi. Dopo
alcuni colpi di proiettile, la donna cadde a terra senza vita.
I due andarono avanti ed entrarono in uno strano labirinto che sembrava senza via d’uscita. Si
sentirono intrappolati e fecero tanti tentativi per uscire, ma all’inizio senza risultato. Cominciarono
a pensare che la loro vita era appesa ad un filo, quando dall’alto piombarono vicino a loro staffe di
legno, chiodi e altri materiali.
Così costruirono una scala molto lunga e scavalcarono un alto muro: finalmente erano fuori da quel
labirinto intricato.
Camminarono a lungo su per i tetti e a un certo punto furono colpiti da uno strano luccichio che
proveniva da una piccola finestra. Si avvicinarono e guardarono dentro: c’era una stanza inaspettata,
molto illuminata e lussuosa.
Seduto su una poltrona, di spalle, c’era un uomo. Ad un certo punto l’uomo si girò e Mike e Jack
intravidero il suo occhio di vetro. I due girarono intorno alla stanza e riuscirono ad entrare dentro
silenziosamente. Pian piano arrivarono sempre più vicino all’uomo che non si accorse di nulla e per
loro fu facile catturarlo.
Mike e Jack con l’uomo dall’occhio di vetro riuscirono a venir fuori da quel quartiere con facilità.
Ancora una volta, grazie alla loro esperienza e alla loro bravura, la missione era stata compiuta.
Un diavoletto in testa
Valeria Insabato - Michelangelo 1^ A - Anni 11
C’era una volta un bambino di nome Alessio, era biondo con occhi neri come la notte, era alto e
magro, aveva 11 anni ormai.
Alessio era dispettoso, ma quasi sempre, non per colpa sua: un diavoletto comandava le sue azioni e
viveva nella testolina del ragazzo. Gli ordinava infatti, di buttarsi a terra a scuola, di non obbedire ai
genitori e agli insegnanti, di non studiare, di fare scherzi a tutti. C’era però nella testolina di Alessio
un angioletto, che aveva subito un maleficio dall’essere maligno, che lo obbligava a dormire senza
poter obbiettare di fronte alle azioni ordinate dal diavolo. Il maleficio si sarebbe spezzato solo se il
bambino non avesse compiuto le azioni ordinate dal diavolo. Una mattina, un venerdì di marzo, il
sole splendeva, il caldo primaverile iniziava a farsi sentire e i prati si coloravano di fiori. I genitori
di Alessio la sera prima avevano regalato al figlio un portafortuna con le piume colorate. Alessio si
alzò dal letto, assonnato, e il diavolo già sveglio da un po’, gli impose con tono maligno:
- Alessio, vai in cucina e svuota tutto il latte che sta in frigo sul tappeto prezioso della mamma! – Il
povero ragazzino, non sapeva che fare, se ascoltare al diavolo o fare di testa sua. Il tappeto piaceva
anche a lui e non voleva ricevere una punizione. Così decise di lasciar perdere il diavolo e andò a
fare colazione tranquillo, pronto per andare a scuola. L’angioletto iniziava a svegliarsi, pian
pianino. Una volta a scuola il diavoletto gli disse:
- Prima non mi hai ascoltato ,ma ora lo farai: prendi le penne dall’astuccio del tuo compagno e
buttale in faccia alla professoressa!Alessio anche questa volta non voleva farlo, così pensò che se lo aveva ignorato a colazione, lo
poteva fare anche a scuola! Così riprese ad ascoltare la spiegazione non curandosi dell’obbligo
imposto dal diavolo. A sera si ripresentò di nuovo quel rompiscatole del diavoletto: - Ora basta
Alessio! Non fare i compiti e gioca! Ti sei comportato bene tutta la giornata!- Il ragazzino si era
davvero stufato, così rispose al diavolo :- Adesso basta lo dico io! La vita è mia e decido io! Vai
via! D’ora in poi non ti ascolterò più!- L’angioletto si risvegliò completamente e con un tocco di
magia fece fuori il diavoletto. Alessio diventò un bambino simpatico, amato da tutti, che rispettava i
genitori e le persone che lo circondavano, amante del gioco e dell’allegria!
LA GRANDE VITTORIA
ETTORE SANTARCANGELO - 1^A MICHELANGELO BARI - ANNI 10
Mario era un bambino con un grande sogno: diventare un calciatore di serie A.
Era anche un grande appassionato di videogiochi e il suo gioco preferito era, ovviamente, “Fifa 16”
… ci giocava tutti i giorni. Una sera, era così stanco che si addormentò sulla tastiera, mentre stava
giocando la partita per la promozione in serie A con il Bari e si risvegliò nel gioco. Era al centro del
campo quando sentì l’allenatore gridare : -Muoviti, Mariooo … ma in quel momento il centravanti
della squadra avversaria gli fece fallo facendolo cadere sul campo dolorante. -Come farò? … Pensò
Mario , e subito in soccorso arrivarono i medici che con uno spray miracoloso gli fecero passare
ogni dolore. Era l’ottantesimo minuto e la partita stava finendo con un 2-1 per il Bari, ma subito il
centravanti della squadra avversaria fece un goal all’ottantottesimo. Mario aveva perso ogni
speranza, ma il mister gli lanciò una bibita miracolosa, lui la bevve tutta in un sorso e corse dritto a
fare goal scartando tutti gli avversari. L’arbitro aveva fatto i tre fischi finali e la partita si
concludeva con un bellissimo 3-2! Finalmente la sua squadra del cuore era in serie A grazie a lui,
ma mentre veniva portato in trionfo dai compagni di squadra, si svegliò e si accorse che era
ritornato alla realtà . Guardò lo schermo e vide il suo nome lampeggiare sul gioco … la sua squadra
era veramente stata promossa in serie A !
IL MONDO SENZACOLORI
Seconda D - Gabriella Grassini - Annalisa Liberio- Istituto
comprensivo De Marinis - Giovanni Paolo II
In una mattina d'estate, Miriam e Narciso passeggiavano nel bosco, vicino a casa loro.
Camminavano con lentezza, patendo il caldo che colpiva la loro pelle, penetrando anche nelle ossa.
La ragazza esclamò: “Guarda, Narciso, c'è un fiumiciattolo dove possiamo rinfrescarci!”.
I due fratelli si tolsero le scarpe, e misero i piedi in ammollo. Il ragazzo, vanitoso com’ era, guardò
il suo riflesso nell' acqua limpida del torrente ed intravide un luccichio violaceo. Narciso calò la
mano nell'acqua fresca e prese il misterioso oggetto che emanava quella luce. Un'espressione di
gioia gli si stampò sul viso. Era una pietra strana e luminosa vagamente somigliante ad una foglia,
la fece vedere alla sorella, che rimase stupita. Narciso rimise i piedi nell'acqua e continuò a
specchiarsi. Notò un altro bagliore provenire dallo stesso punto del primo. Calò di nuovo la mano
nell'acqua e recuperò una pietra identica a quella trovata prima. La regalò alla sorella. Tornarono a
casa con le belle pietre e ne fecero una collana. Volendo scoprire che strana pietra fosse quella si
ricordarono che i loro genitori avevano nella libreria un manuale sui minerali, che loro avevano
sempre trovato noioso, ma che ora sembrava li stesse chiamando. Lo presero e cercarono una
pagina nella quale ci fosse un disegno simile alle pietre che avevano trovato loro. Non ne trovarono
nessuna, ma proprio quando stavano ormai perdendo le speranze, cadde sul pavimento un foglio
ripiegato più volte. Lo aprirono… era una mappa della casa, vecchia e tutta piena di polvere grigia
che fece starnutire a lungo i ragazzi.
Si fece notte e tutti andarono a dormire, tranne i due bimbi, svegli perché erano ansiosi di scoprire i
segreti di quella casa, nella quale vivevano. Si alzarono dal letto in cui fingevano di riposare per
non dare sospetti e seguirono le indicazioni della mappa. Si fermarono in un punto cieco, dove,
secondo la pianta, ci doveva essere una specie di porta, con intorno tante stelline. Pensarono subito
che quella mappa fosse solo una burla, quando le due pietre si illuminarono e apparve un buco nel
pavimento. Magicamente iniziarono a volteggiare in aria e poco a poco, la fossa si illuminò di un
colore violaceo come quello delle pietre. Oltrepassarono il portale e, dopo essere scivolati lungo un
tunnel melmoso, si ritrovarono seduti su una specie di fungo gigante, morbido e comodo come la
poltrona del loro papà. Si guardarono attorno. Si trovavano in una specie di foresta piena di enormi
funghi giallastri e di strani alberi tutti attorcigliati fra loro. Scivolarono via dal fungo cadendo per
terra. Ad un certo punto videro una fitta nebbia che piano piano ricopriva il bel prato verde. Per la
paura si presero per mano, continuando a camminare. D’improvviso andarono a sbattere contro una
specie di masso nero e pieno di cenere. MA ERA DA LI' CHE PROVENIVA LA NEBBIA! Ad un
certo punto il masso iniziò a tremare, come succede nei terremoti. Miriam e Narciso caddero a terra,
sentendo un ruggito, un ringhio… non si sapeva bene cosa fosse. La nebbia si dissolse e la sagoma
divenne perfettamente chiara ai bambini…era un enorme DRAGO e sembrava anche molto
arrabbiato. I bambini erano terrorizzati, e non riuscivano a muoversi per la paura, come se fossero
pietrificati. Il drago era squamoso, e non aveva colore…. Ciò appariva molto strano ai ragazzi i
quali erano abituati ad un mondo a colori, ma la loro paura sovrastava la loro curiosità.
Miriam, che era una bimba molto ingegnosa provò subito a cercare un modo di sfuggire da quella
situazione…ed ecco qui!!! La ragazza vide in lontananza un grande ceppo di albero. Forse con
quello sarebbe riuscita a colpire il drago per distrarlo e scappare.
Per sollevare il grande ceppo Miriam chiese aiuto al fratello…ma appena sfiorarono il tronco, il
drago inizio subito a sputare una enorme cascata di fuoco, anch’esso privo di colore. I ragazzi
riuscirono giusto in tempo ad afferrare il ceppo e a difendersi con esso…poi, per provare a salvarsi,
gettarono contro il drago il legno infuocato. Il drago, impaurito dal suo stesso fuoco, scappo via. I
ragazzi erano impauriti ma allo stesso tempo stupiti perché non avevano creduto mai all’esistenza
dei draghi, ma soprattutto dei draghi senza colore!!!
Ora camminavano soli e sperduti in mezzo a quella foresta che non conoscevano. Ma ecco che d’un
tratto si ritrovano davanti un qualcosa o un qualcuno che sembrava fosse un albero…ma non lo era!
I ragazzi, che ormai non ne potevano più di creature mostruose, notarono che quella strana creatura
sembrava proprio essere un miscuglio genetico tra un uomo ed un albero, con foglie al posto dei
capelli e braccia e gambe al posto di rami e radici. Nonostante questo, però, sembrava essere
gentile.
L’unico problema era che anche questa strana creatura era priva di colore. L’uomo-albero iniziò
improvvisamente a parlare: ”Ciao” disse timidamente. “Salve!” risposero in coro i due. I ragazzi dal
solo tono di voce avevano capito che quella creatura non era malvagia.
Ma una domanda venne naturale da fare a quella strana creatura:” Ma perché qui nessuno è colorato
come noi?” La creatura, che ormai aveva già fatto amicizia con i ragazzi, fece un sospiro di
amarezza e raccontò:” Vedete, tempo fa questo posto era diverso, era pieno di allegria, feste e
felicità
ma soprattutto pieno di colori. Tutto questo però solo prima che accadesse la tragedia…”
“Quale tragedia?” chiesero in coro i due. La creatura rispose tristemente: ”La nostra vecchia regina,
morì…ma non si sa ancora bene come perché ci sono varie leggende. La più famosa narra che la
sorella malvagia della regina, che ora è al trono, uccise la sorella, per divenire regina, colpendola
con un enorme masso sulla sua delicata testa. Il masso, si sarebbe distrutto in mille pezzi e l’anima
della regina si sarebbe rifugiata in questi frammenti assieme a tutti i colori delle creature di questo
mondo. Ora secondo la leggenda i frammenti dovrebbe custodirli la regina per fare in modo che la
cara sorellina non esca più e che tutto rimanga scuro e triste proprio come piace a lei”. I ragazzi
sentendo quella storia si rattristarono. Ma d’un tratto ecco che l’uomo-albero lanciò un enorme urlo
fissando attentamente le collane dei ragazzi. ”Ma quelli sono i frammenti…”.i ragazzi dubbiosi si
opposero:” Ma sono semplicemente pietre che abbiamo trovato in un fiumiciattolo. E poi non avevi
detto che era solo una leggenda? ”La creatura, ancora sorpresa, a stento riusciva a parlare :”Sì, sì è
vero, ma ci sono centinaia di libri che sono stati scritti su quella storia e tutti rappresentavano
immagini delle stesse pietre che portate al collo!!!”
I ragazzi rimasero stupiti, insomma si ritrovarono in un batter d’occhio dal volersi solo rinfrescarsi
un po’ al portare al collo i colori delle creature di un intero mondo!!
I ragazzi si guardarono e poi dissero all’uomo-albero di voler fare qualcosa per aiutare il suo
mondo.
Alla creatura si spalancarono gli occhi ed il suo sorriso arrivava fino alle orecchie dalla felicità.
I ragazzi si diressero verso il castello reale con l’aiuto della loro fedele guida-albero.
In questo cammino notarono come tutto senza colori poteva essere triste. Per “tutte le creature di
questo mondo” si intende creature viventi, quindi anche alberi e prati e fiori e fiumi erano privi di
colore, solo qualche sfumatura di grigio. I fratelli si sentivano quasi in imbarazzo perché in mezzo a
quella tristezza, i loro colori spiccavano tantissimo.
Arrivarono al castello: era una fortezza altissima, colorata di nero e ricoperta totalmente da rovi
anch’essi privi di colore. L’uomo-albero si fece strada in mezzo ai rovi ed arrivarono al cancello,
che la gentile creatura sfondò. Entrati con violenza nel castello, i ragazzi videro la regina che
cercava di rendersi ancora più bella, o meglio, brutta di quanto già non lo fosse: aveva dei capelli
ricci e rossi raccolti da un orribile pinza di ferro, portava un vestito senza colore e senza
decorazioni, come una tunica. Sul viso, proprio sotto le labbra aveva un enorme neo nero e poi
aveva addirittura il doppio mento!!! I ragazzi, senza aspettare ulteriormente, fecero quello che
pensavano fosse giusto fare: staccarono le pietre dal loro collo e le spezzarono sbattendole
violentemente al suolo.
Le pietre sprigionarono milioni di colori che avvolsero la regina cattiva facendola sparire in un
vortice-arcobaleno. Poi i colori presero possesso di tutte le creature ma anche di tutti gli oggetti che
circondavano i ragazzi. Ed alla fine dalle pietre uscì anche la cosa che tutti attendevano di più.
Eccola qui la bella e buona regina avvolta da un manto viola e dai suoi amati colori. La regina poté
finalmente risiedersi sul suo legittimo trono. Una volta comoda sussurrò ai ragazzi un semplice
“grazie”.
Due giorni dopo i ragazzi furono eletti “ I PROTETTORI DEL REGNO”.
Poi la regina si avvicinò ai ragazzi e, spargendo loro in testa una strana polverina, essi si ritrovarono
come per magia a casa nel loro letto. Era appena mattina e tutti ancora dormivano.
“Era solo un sogno?” esclamarono in coro sussurrando, “ Eppure sembrava così reale.” Disse
Miriam.
I ragazzi allora, convinti che quello fosse stato solo semplice frutto della loro immaginazione,
tornarono a dormire, quando notarono una strana luce viola provenire da sotto il loro letto.
Guardarono. C’era un bigliettino tutto colorato su cui c’era scritto: GRAZIE O MIEI
PROTETTORI.
I ragazzi si scambiarono un sorriso e tornarono alla loro vita quotidiana, aspettando altre avventura
come quella.
UNA SCIOCCANTE RIVELAZIONE
CLASSE I E - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO - ALUNNO: CICCO RICCARDO - ISTITUTO
COMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO"
Iniziò tutto quella notte, il 17 settembre 1968, quando io, William, e i miei due amici Jack e Luke,
ormai maggiorenni, ci aggiravamo per un quartiere alquanto malandato e abbastanza sinistro della
città di Blacktown.
Sì, eravamo maggiorenni ed anche molto coraggiosi e determinati, ma quel posto ci inquietava
ugualmente, non solo perché era deserto e spaventoso, ma anche perché si narrava questa leggenda:
chiunque fosse passato lì avrebbe portato per tutta la vita un peso così grande da non riuscire più a
vivere serenamente come prima.
Noi avevamo deciso di sfidare la leggenda. Eravamo incoscienti? Non lo so, so soltanto che quel
posto esercitava su di noi un fascino irresistibile.
Andavamo avanti cauti, deglutivamo la saliva e tutto ci sembrava quasi “normale”, date le
circostanze. Ad un certo punto Luke cominciò a dire: “È un posto insolito, buio, ma non così
terribile come riferiscono. Forse la leggenda è soltanto una presa in giro…..”
Non fece in tempo a finire la frase che sentimmo un urlo agghiacciante, allora, senza pensarci due
volte, presi dal panico, cominciammo a correre lontano da lì fino a perdere il fiato. Imboccammo
direzioni diverse e ci disperdemmo.
Per fortuna ad un certo punto io vidi Jack che si era fermato e lo raggiunsi. Tirammo un sospiro di
sollievo, ma subito dopo ci rendemmo conto che Luke era sparito. Lo chiamammo a gran voce e
cominciammo a cercarlo, ma di lui non c’era alcuna traccia.
All’improvviso sentimmo dei rumori, come se qualcuno stesse graffiando dall’interno la porta
socchiusa di un magazzino abbandonato e ci avvicinammo.
Aprimmo la porta cigolante ed entrammo, quando ad un tratto si accese, non sapevamo come, una
candela che illuminò l’ambiente e ……. davanti ai nostri occhi increduli e sconcertati comparve un
essere spaventoso ….. un lupo mannaro!!!
Eravamo paralizzati dalla paura, le nostre gambe non riuscivano a muoversi e le nostre bocche
neanche ad urlare. Io e il lupo mannaro ci fissammo per qualche secondo e mi sembrò di
riconoscere nei suoi occhi uno sguardo familiare. Poi Jack mi distrasse e mi tirò dicendomi che
dovevamo scappare via per metterci in salvo, perché il lupo mannaro stava cominciando ad
innervosirsi e poteva farci del male.
Corremmo a perdifiato, ma il lupo mannaro fu più veloce, in un lampo arrivò davanti a noi e ci
sbarrò la strada. Ci fissava con quei suoi occhi cupi, dolci e tristi nello stesso tempo, come se non
potesse evitare di fare qualcosa che in realtà non voleva fare. Io e Jack però lo capimmo troppo
tardi.
Il lupo mannaro ci bloccò, ci afferrò per il collo e noi con le mani inerti non riuscivamo a muoverci.
Ad un certo punto io con le poche forze che mi rimanevano, colpii il lupo così lui ci lasciò e cadde
per terra mettendo un arto sul suo cuore.
Pian piano il buio della notte stava scomparendo ed il sole stava sorgendo all’orizzonte.
Il lupo mannaro sotto i nostri occhi cominciò a riprendere le sue sembianze umane ………
Noi osservavamo scioccati e increduli ….. e lui si trasformò poco alla volta in …… Luke, proprio il
nostro caro amico Luke.
Io e Jack eravamo senza parole e ci avvicinammo a Luke per capire se fosse davvero lui in carne ed
ossa. Quando lui ritornò in sé, gli raccontammo l’accaduto ed anche lui rimase sconcertato da
questa rivelazione. Si era avverata la leggenda del quartiere malfamato di Blacktown? O si trattava
di due cose completamente distinte? Non sapevamo rispondere.
Tutti e tre ci recammo subito da un dottore specialista per analizzare l’accaduto e trovare una cura,
un rimedio per questa specie di “malattia”.
Il dottore ci procurò un antidoto che era in grado di impedire la trasformazione di Luke in lupo
mannaro solo per 36 ore.
La notte seguente sperimentammo l’antidoto che si rivelò efficace, ma sulla nostra pelle e
soprattutto sulla pelle di Luke confermammo che la famosa leggenda di quel posto raccontava la
verità.
Luke avrebbe portato il peso di questa “malattia” per tutta la sua vita.
CICCO RICCARDO (I E)
SOGNO BIANCOROSSO
Raul Dicarlo - 1^A Michelangelo Bari - Anni 11
Raoul era un ragazzo sportivo, dinamico, atletico per i suoi 11 anni. Tutti glielo dicevano sempre,
ma lui non si montava la testa. Viveva a Bari vicino alla sua scuola calcio. Aveva un grande sogno e
una forte passione che voleva coltivare: diventare un calciatore del F.C. BARI 1908. Dopo anni
durissimi di allenamenti riuscì con la sua squadra a qualificarsi per la finale del torneo degli
esordienti 2004. Ed ecco il gran giorno della finale era arrivato. Raoul vide l'allenatore del Bari che
cercava qualche giocatore per la sua squadra. Pensò che quella fosse la giusta occasione per far
vedere chi fosse, ma doveva assolutamente fare almeno un gool, altrimenti l'allenatore non lo
avrebbe mai preso nella squadra. Ecco il fischio di inizio dell'arbitro, la palla era della squadra
avversaria, ma nessuno riusciva a far gool. Finì il secondo tempo e le squadre erano ancora zero a
zero. Raoul si disse:-Come è possibile? Siamo ancora zero a zero! Devo impegnarmi di più se
voglio realizzare il mio sogno. Iniziò il secondo tempo, la palla era per Raoul, corse nell'aria di
rigore, tirò in porta, ma niente, la palla non entrò. Arrivò inesorabilmente il fischio finale, la partita
doveva continuare con i calci di rigore. Purtroppo la squadra di Raoul perse e la sua occasione
svanì. Raoul tornò a casa e raccontò tutto alla mamma e lei si dispiacque. Il giorno dopo andò a
scuola e raccontò il fatto accaduto alla prof e lei disse :-Non devi scoraggiarti, ci sarà pure un‘altra
occasione se tu non ti arrenderai e se saprai coglierla.- Raoul ci pensò a lungo e disse: - E’ vero,
devo continuare a impegnarmi per avverare il mio sogno. Suonò la campanella e Raoul andò ad
allenarsi. Il mister gli disse :- Il coach degli esordienti del Bari vuole che vai ad allenarti da lui,
sono molto felice per te. Raoul, esterefatto, balbettando qualcosa timidamente, lo ringraziò, non
poteva credere all’occasione che gli stava capitando! Il suo sogno era nelle sue mani. Arrivato
all'età di sedici anni venne contattato dal mister del F.C BARI 1908 per giocare una partita. Raoul
ne fu molto felice, il suo ormai non era più un sogno, ma una realtà! Ormai col suo talento avrebbe
corso in ogni partita per la sua Bari, per la sua magica città, portando con orgoglio la maglia
biancorossa!
LA MUTAZIONE
LOCONTE RICCARDO (I E) - ISTITUTO COMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" - SCUOLA
SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO"
Lo scienziato famoso Rodsvil stava lavorando su una nuova medicina per poter curare dei pazzi che
si trovavano nel suo istituto “Sanitas”.
Una sera, mentre stava versando un composto molto pericoloso in alcune provette, sbagliò il
dosaggio e mise una dose elevata di medicina che fece scoppiare una provetta.
Una parte del composto colpì la testa dello scienziato che si trasformò in un mostro dall’aspetto
terribile.
Il giorno dopo i collaboratori entrarono nel laboratorio e chiamarono Rodsvil, ma non lo trovarono,
anzi trovarono finestre rotte, scaffali all’aria, libri strappati e un mostro disteso per terra. Non ci
credevano, ma alla fine dovettero accettare che quel mostro spaventoso fosse proprio lo scienziato
famoso.
Lo portarono subito in ospedale e, dopo tante diagnosi, i medici dissero che non potevano fare
niente e che Rodsvil doveva rassegnarsi a passare il resto della sua vita da mostro.
Lo scienziato, tornato dalla sua famiglia, divenne la “pecora nera” di casa: i figli lo scansavano e la
moglie arrivò quasi a chiedergli il divorzio.
Il povero Rodsvil rimase da solo, per strada, senza niente e soprattutto rimase …un mostro.
Un giorno però in un bosco lo scienziato fu trovato morto, ma mentre chiamarono qualcuno della
polizia, il corpo sparì.
Dopo questo episodio, nella città stranamente ci furono molti omicidi. Allora fu ingaggiato un
investigatore, chiamato Inxtrem, che subito si mise all’opera e arrivò alla conclusione che il mostro
Rodsvil era ancora vivo!
Il colonnello Thomas decise di mettere all’opera i suoi soldati, ma fu ucciso da Rodsvil. A quel
punto l’investigatore Inxtrem decise di attirare l’attenzione del mostro per catturarlo e ci riuscì
perché il mostro abboccò all’amo e cercò di uccidere anche Inxtrem.
L’investigatore fu più furbo del mostro e riuscì a catturarlo e a imprigionarlo.
Ora non si sa più niente né dello scienziato-mostro Rodsvil né dell’investigatore Inxtrem: c’è chi
dice che siano morti di vecchiaia, c’è chi dice che in età avanzata siano stati uccisi entrambi da un
pazzo appartenente all’ex-istituto “Sanitas”.
UN MISTERO DA SALVARE
di Altieri Angelica, Caputo Alessandro, Castoro Giorgia, conca Pasquale e Geminario GiuseppeIA Scuola Secondaria di Primo Grado “Cirasole” di Poggiorsini
C’era una volta una ragazza di nome Janette che viveva in una campagna che distava pochi
chilometri da Parigi. Questa ragazza era isolata da tutto ciò che la circondava e si sentiva molto
sola. Così, un bel giorno, decise di uscire fuori casa per vedere com’era fatto il mondo. Dopo una
lunga passeggiata per le vie di Parigi, tornò a casa per raccontare ciò che aveva visto ai suoi
genitori, ma, stranamente, non li trovò ad aspettarla impazienti. Vide dappertutto: nello stanzino,
nelle camere, nel bagno, nelle stalle, nella cucina, nel giardino…Non li trovò da nessuna parte. Era
disperata. In cucina si accorse di un biglietto sul tavolo su cui era scritto: “Se vuoi rivedere vivi i
tuoi genitori, dovrai cedere la tua preziosa collana ” Erano anche indicati l’orario e il luogo
dell’appuntamento in cui si sarebbe effettuato lo scambio. La ragazza accettò il patto e il giorno
dopo preparò il necessario per il viaggio. Ad un tratto, mentre stava per uscire di casa, dalla sua
collana apparve una fata che le disse: “Durante il tuo viaggio incontrerai due amici che ti
aiuteranno a raggiungere facilmente il luogo dell’incontro. Ricorda che la tua colla na
ha un potere magico in grado di sconfiggere chi ha rapito i tuoi genitori .”
Immediatamente si mise in viaggio. Dopo tanto tempo incontrò i due amici di cui la fata aveva
parlato e fecero conoscenza. Si chiamavano: Rex, il cane e Roxana, la fata. Si misero in cammino
e la mattina seguente arrivarono a destinazione. Videro una grotta ed entrarono. Trovarono una
grossa pentola piena di un liquido verdastro, delle colonne su cui vi erano delle incisioni terrificanti
ed un trono d’albero centenario color argento su cui era poggiata una bacchetta. Sentirono delle
grida provenire da un ambiente vicino, si avvicinarono, aprirono una porta e videro i genitori
intrappolati. Dal nulla apparve una signora dall’aspetto di una strega:un cappello a punta , capelli
grigi e ricci fino alle spalle ,un naso lungo con un brufolo enorme, i denti gialli, un vestito nero con
delle toppe, una cintura color argento e degli stivali neri a punta. La strega prese la sua bacchetta e
con una magia catapultò i genitori di Janette vicino ad un pentolone enorme posto sul fuoco. La
ragazza, in preda al panico, disse ai suoi amici di fare un incantesimo e loro ubbidirono. Misero
tutte le loro forze per sconfiggerla, ma la strega, molto più furba di loro, immediatamente pronunciò
queste parole: “ Io mi proteggerò e alla fine vincerò”. Gli amici di Janette non riuscirono ad
annientarla ma, all’improvviso, la collana di Janette si illuminò , lei se la strappò dal collo e la
sollevò in aria dicendo: “Alla fine vincerò e i miei genitori salverò”. Janette, con tutta la sua forza,
sconfisse la strega e liberò i suoi genitori. Tornarono a casa e vissero per sempre felici e contenti.
La polvere del bosco
Benincasa Jada- classe III A- Scuola Secondaria di I grado F.P. Losapio facente parte dell'Istituto
Comprensivo Losapio San Filippo Neri - Gioia del Colle – Bari
La quercia alta si muoveva e si sentiva forte nell'aria il fruscio di ogni estate. E' strano ma ogni
estate, ogni pomeriggio, ogni mattina, i rovi che si arrampicavano su quel cancello erano sempre
uguali; mi sembrava che aspettassero lì ogni estate, come se fossero un festeggiamento per la fine
dell'anno scolastico.
Quando li rivedevo ero tranquilla e sicura; ero tranquilla, senza i compiti, senza lo studio, senza
orari. Finalmente non avrei sentito la sveglia di mio padre e la voce di mia madre che mi ricordano
che è ora di aprire gli occhi e darsi la carica.
Ma niente era così: ero finalmente libera! Ma più mi avvicinavo all'enorme albero, più vedevo una
polvere bianca che cadeva giù. Inizialmente pensavo che fosse il polline; poi mi sono avvicinata ed
ho visto le sue foglie piene di polvere giallastra, ma lo erano anche il tronco e la terra; un tappeto di
polvere.
Poi ho sentito un rumore fortissimo, quasi un'esplosione. Ho fatto un po' di strada e sono arrivata
davanti ad un cancello; si sentivano voci di uomini, rumori di macchine al lavoro, scarico di pietre.
Beh, non era la centrale del latte! Si trattava di una cava di tufo dove campeggiava un cartello: Cava
di estrazione “pietre vive”; un nome un po' strano, visto che la pietra o il tufo o qualsiasi altro
materiale venivano staccati dalla loro sede, spaccati, frantumati e sparpagliati.
Sono salita allora su un albero per guardare meglio e si ho
visto questo enorme buco che aveva diversi colori, dal marrone al giallo scuro e si notavano diversi
strati. Ricordo di aver studiato in scienze che si trattava delle diverse ere geologiche, dello scorrere
del tempo, quindi di un gran pezzo di storia. Mi sono sentita un po' scoraggiata e delusa. Pensavo si
sapessero queste cose; qualcuno doveva sapere... il sindaco, la scuola, i contadini.
Gli alberi e le piante non si riconoscevano più perché non erano più naturalmente verdi, ma biancogiallastre. Sembrava uno strano zucchero a velo e il tutto mi ricordava il presepe di mia nonna, che
a Natale sulle rocce di carta spolvera sempre la farina. Ma non si trattava di questo, perché non era
farina, né zucchero a velo, ma un'orrenda polvere che soffocava le piante uccidendole lentamente.
Ero triste e così presi la mia bicicletta e andai verso casa. Mentre pedalavo ero arrabbiata e volevo
piangere, perché non mi sembrava giusto e più andavo avanti più osservavo tristemente queste
strane piante spolverate. Possibile che nessuno se ne fosse accorto? Sentivo che stavo per esplodere;
non riuscivo a sopportare che quella strada che amavo, la strada del bosco, i colori delle piantine,
delle cicorie, dei carciofi non si vedessero più; che gli alberi di fico e di ciliegie, non avrebbero più
respirato. Era come se avessero l'asma come mio cugino e servisse loro uno spray speciale per
respirare.
Sentii che la natura era in pericolo, che qualcuno voleva impedirmi di sentire il profumo delle foglie
della menta selvatica e di vedere quei colori bellissimi che erano sempre uguali. Sentii le lacrime,
sentii che la natura aveva bisogno di me. Ed è questo avvenimento che ha trasformato la mia vita.
LE AVVENTURE DI WILLY
Claudia Guarnieri
SCUOLA SECONDARIA DI 1° CLASSE 2^
ISTITUTO COMPRENSIVO “MINZELE-PARINI”
VIA VINCENZO 28 PETRUZZI,18
70017 PUTIGNANO (BA)
In una foresta equatoriale, viveva un cagnolino di nome Willy; non stava mai fermo, voleva giocare
e divertirsi, ma i suoi genitori non volevano che andasse nella zona più fitta della foresta.
Tutti gli abitanti sostenevano che, proprio in quel luogo, ci fossero gli animali più cattivi che
potessero esistere.
Willy però, amava le avventure e non si lasciava condizionare dalle dicerie popolane. Così, in una
fredda notte d’inverno, senza fare rumore, uscì dalla sua cuccia e s’incamminò verso il punto critico
della foresta.
Giunto nel luogo fitto e buio, fu colpito da tanti occhioni gialli che lo fissavano.
Iniziò ad avere paura. Si udivano versi strani mai sentiti prima; Willy, allora cercò un nascondiglio
sicuro in cui rifugiarsi.
La mattina seguente, i genitori non lo trovarono nella sua cuccia e, preoccupati, lo cercarono.
Willy, intanto, si fece coraggio e affrontò gli esseri misteriosi che popolavano il bosco.
Erano dinosauri, piccoli e innocui, con i quali Willy iniziò un rapporto di amicizia.
Essi erano orfani, dovevano proteggersi a vicenda e rocurarsi del cibo per vivere.
28
Nel frattempo, i genitori di Willy, disperati, continuavano a cercarlo in lungo e in largo, senza
immaginare dove
fosse andato.
Pensa e ripensa il papà ebbe un’idea illuminante!
All’alba del giorno dopo, partirono alla volta della foresta impervia. Finalmente, dopo ansie e
disperazioni, ritrovarono il loro figliolo in compagnia di alcuni dinosauri! Che emozione potersi
riabbracciare!
I genitori strinsero amicizia con i dinosauri e quando decisero di tornare a casa colsero nei loro
grandi occhi e in
quelli di Willy tristezza e sconforto, fu così che decisero di accoglierli in casa.
Ci fu immensa gioia e allegria! L’amicizia e il rispetto vincono sempre!
IL SEGRETO DELLA PICCOLA BICE
Claudia Mirizzi
“SCUOLA SECONDARIA DI 1°” CLASSE 2°
ISTITUTO COMPRENSIVO “MINZELE-PARINI” VIA VINCENZO
PETRUZZI, 18 70017 PUTIGNANO (BA)
Da quando é morto il nonno, spesso faccio compagnia alla nonna.
Mia nonna é una sopravvissuta alla Seconda Guerra Mondiale, questo le ha causato un trauma
indelebile.
Oggi sono a casa sua e ho deciso di curiosare in cantina tra i ricordi della sua vita. Ho trovato
vecchie fotografie, oggetti vari , tanti ricordi accumulati negli anni e poi… un baule di legno
intarsiato, bellissimo, ma chiuso a chiave. La mia voglia di aprirlo cresce a dismisura!
“Tesoro, è pronta la merenda! Vieni su!” grida nonna Adelina. Corro immediatamente.
Terminata, mi congedo da lei, con una scusa, e mi fiondo in cantina. Ed ecco i vecchi dischi in
vinile, fantastici! E quanti vestitini di seta, della nonna, nel vecchio armadio! E poi, un
mappamondo! Sin da piccola, mi ha sempre affascinato
viaggiare…
Ho trovato una chiave, forse aprirà il baule?
Sono ansiosa e curiosa di scoprire il contenuto di quel baule! Con mano tremante, inserisco la
chiave e sollevo il coperchio: ai miei occhi appaiono lettere d’amore, vecchi disegni e fotografie che
ritraggono due innamorati che si tengono la mano…non so per quale motivo, ma la ragazza mi
ricorda la nonna. Mi colpisce una catenina con un ciondolo a forma di cuore sulla quale sono incise
le iniziali BI&BI.
Non riesco a capire chi fossero i due ragazzi del ritratto, non restava che chiedere alla mia cara
nonnina.
Ho timore di come possa reagire e che ricordi le tornino in mente. Prendo tutto ciò che ho trovato e
salgo.
“Vieni cara. Ma cosa nascondi?” mi sussurra dolcemente. Con titubanza, le mostro i cimeli ritrovati
nel baule. Non so quanto sia durato quel momento, a me sembrarono ore. La nonna era di fronte a
me, immobile, con lo sguardo fisso sul ciondolo, intanto i suoi occhi verdi, pian piano, si
riempivano di lacrime.
“Nonna, non volevo”. Le dico supplicandola. Ma lei, si asciuga le lacrime, mi abbraccia forte e mi
dice: “Non ti preoccupare piccola Bice, non è successo nulla, è solo un po´d´emozione”. Ci sediamo
una accanto all´altra e, come un fiume in piena, nonna Adelina inizia a raccontarmi tutto con
pazienza certosina e trepidazione.
“Cara Beatrice, questi oggetti non appartengono a me, ma alla mia sorella gemella Bianca”
La nonna continua il suo racconto, dal sapore d´altri tempi. “ Tua zia era una bravissima e raffinata
sarta e, all'età di diciassette anni, conobbe un ragazzo, tra i due nacque…l´Amore, quello con la “A”
maiuscola, quello puro, romantico, quello vero.
Il ragazzo si chiamava Biagio e non perdeva occasione per incontrare mia sorella, anche solo con un
sguardo. Trascorso qualche tempo, Biagio decise di parlare al nonno per dichiarare il suo amore per
Bianca. Purtroppo, proprio il giorno in cui ci sarebbe stato l´incontro, il povero Biagio, ricevette la
lettera per andare a combattere al fronte. Mia sorella era disperata e così anche il suo amato.
Riuscirono a vedersi una sola volta prima che partisse e fu allora che le regalò la catenina con il
ciondolo a forma di cuore con su incise le loro iniziali Bi&Bi, Bianca e Biagio, in ricordo del loro
amore unico ed indissolubile. Prima che lui partisse, i due innamorati si scambiarono una promessa
d’amore: avrebbero coronato il sogno appena possibile. Continuarono a scambiarsi lettere, lui
viveva per lei e lei per lui: era un amore intenso. Tutto, sembrava andasse bene, purtroppo la guerra
non fa vincitori, ma semina solo dolore e morte… Un giorno arrivarono a casa dei militari con in
mano una scatola di latta, chiesero di parlare con Bianca e gliela consegnarono. Mia sorella
capì tutto, non disse nulla, ringraziò e si chiuse nella sua camera per giorni. Furono anni difficili per
lei e per noi che le volevamo bene. Non si è più ripresa da quel grande lutto! Si lasciò morire
lentamente per amore. Mi avvicino alla nonna, la
abbraccio mentre lacrime silenziose rigano il nostro volto. Tornata a casa ripensai a Bianca e alla
sua storia e a quanto, la forza straordinaria dell´amore, può fare anche morire.
LILI E IL MISTERO DELLE LUCCIOLE
Naira Miccolis: Mariachiara Serio:
ISTITUTO COMPRENSIVO “MINZELE-PARINI”
SCUOLA SECONDARIA DI 1° CLASSE 2°
VIA VINCENZO PETRUZZI,18 70017 PUTIGNANO (BA)
In una foresta incantata regnava l’inebriante profumo di muschi e di salici antichi.
Prati immensi, con distese di fiori colorati, creavano un luogo magico. In realtà, quel bosco era
veramente incantato e abitato da creature sconosciute all’ uomo: le fate.
In quel mondo tutto era perfetto e in armonia con la natura, numerosi erano gli animali che ci
vivevano: farfalle, chiocciole e lucciole. Tra le tante, una era veramente speciale, la più luminosa, la
più bella, quella che riusciva a vedere solo il lato positivo della vita e si chiamava Lili.
I suoi occhi erano azzurri come la sorgente d’acqua che dava vita ad uno spettacolare gioco di luci e
colori che gli umani chiamavano arcobaleno. Le sue ali, nelle quali ci si poteva addirittura
specchiare, erano affusolate e lucide!
La sua particolarità era la luce, una luce che trasmetteva felicità a tutti gli abitanti della foresta.
La mattina riposava sulla sua adorata foglia; quando il sole tramontava, lei osservava il paesaggio
meraviglioso e ogni giorno trovava qualcosa di nuovo da apprezzare e questo la rendeva orgogliosa
del suo piccolo grande mondo.
La sera, quando tutti gli abitanti della foresta si addormentavano in un piacevole sonno, le lucciole
erano sveglie e pronte ad affrontare una notte lunga, intensa con balli sfrenati e spirali di luce che
illuminavano il buio, come fossero fuochi
pirotecnici.
Con il passare del tempo, le lucciole cominciarono a diminuire e con loro la vitalità del bosco.
Lili ben presto si ritrovò sola e si sentì persa nella sua solitudine; non capiva perché le sue sorelle
lucciole fossero sparite e aveva paura che prima o poi sarebbe scomparsa anche lei.
Non le andava di lasciare il mondo che, con fatica, era riuscita a costruirsi; voleva continuare a
scoprire quello che a lei era sconosciuto; non accettava di veder scomparire le sue compagne senza
poter fare niente. I giorni trascorrevano incessanti,
i secondi erano, ormai, scanditi come il ticchettio dell’orologio; Lili aveva capito che non serviva
piangersi addosso, ma che bisognava lottare per quello che era davvero importante.
I suoi occhi erano diventati grigi, spenti, le sue ali deboli e opache, la coda non trasmetteva più una
luce forte che illuminava la foresta nella notte buia.
L’unica lucciola rimasta con Lili, era Cobo, la più saggia della foresta. Anche lei voleva capire cosa
stesse accadendo: ad un tratto, si ricordò della rivalità tra le fate e le lucciole…
Da sempre, le fate avevano provato grande invidia per la luce prodotta dalle lucciole, ragione per
cui le avevano rapite tutte per attirare su di sè le attenzioni delle creature del bosco.
Il giorno della verità arrivò. Lili si avviò verso la dimora delle fate, mentre una scia di luce
illuminava il suo cammino: erano le sue amiche lucciole rinchiuse in barattoli.
Lili non riusciva a credere ai suoi occhi: come avevano potuto, delle creature così pure ed eteree,
rovinare l’armonia che, da sempre, caratterizzava la foresta?
Con grande dispiacere, da quel momento, le fate e le lucciole vissero in due luoghi diversi; ancora
oggi, Lili spera che le fate abbiano capito che, per mantenere la foresta viva e sprizzante di magia, è
necessario che tutte le creature siano in armonia tra loro, senza rivalità e conflitti inutili.
SEMPLICEMENTE CLARISSA
II C - I.C. Aldo Moro - S.S. I Grado – di Stornarella (Foggia)
Vagava da sola per la città, cuffie nelle orecchie, sguardo perso nel vuoto e labbra increspate in una
smorfia provocata dall'aria densa e dallo smog di Milano. Nonostante tutto a lei piaceva la sua città.
Ma non la Milano del Duomo, la Milano caotica. No. A lei piaceva la Milano delle stradine strette,
dei negozi di artigianato e dei mercatini dell'usato. Le persone la consideravano un po' strana questa
cosa. In realtà credevano che proprio lei fosse strana, ma non dicevano nulla, perché su Clarissa non
c'era da dire niente, né di bello né di brutto, assolutamente niente. E per questo lei non ci stava
male, perché lei era d'accordo, lei lo sapeva e non aveva paura di sprofondare nell'oblio.
Semplicemente on le interessava, anzi aspettava ogni giorno la sua dose di niente a braccia aperte.
Credeva anzi che, se la sua vita fosse stata costituita dal niente, non sarebbe servito essere ricordata.
Perché essere ricordata? Da chi? Non ce n'era bisogno. Lei non era felice, non era triste, non era
bella, non era brutta, non era simpatica. Lei era solo ed esclusivamente Clarissa. Non le interessava
mostrarsi alla gente con una maschera messa su la mattina e poi tolta la sera, nel crepuscolo di una
vita che non ti appartiene, quando ormai non c'è più nessuno pronto ad alzare il dito e a giudicarti.
Anzi una cosa che aveva imparato era la totale indifferenza verso tutto e tutti che le dava una certa
libertà. Una libertà a modo suo. Chi la conosceva appena pensava che fosse timida, chiusa in se
stessa e che nella realtà avesse un carattere allegro e solare o il contrario. Invece, Clarissa era
proprio così come si mostrava: non le piaceva parlare e amava stare sola. La vita di Clarissa era
monotona, ma quella monotonia che la rassicurava, che le dava certezze e non la lasciava con il
fiato sospeso tutto il tempo. Ora stava camminando per i vicoletti di Milano, come faceva quasi tutti
i giorni e ovviamente abituata alla sua monotonia un cambio di programma non le avrebbe fatto
bene, avrebbe sconvolto la sua vita, per quanto possibile. Durante la sua solita passeggiata, quel
giorno, notò distrattamente un ragazzo e focalizzò la sua attenzione su ciò che teneva in mano: una
bomboletta spray. Stava disegnando linee sovrapposte e confuse, illeggibili, lettere di un alfabeto
inesistente. Ma Clarissa lo sapeva. Sapeva che una volta terminato il disegno, sarebbe stato perfetto,
si sarebbe aperto un nuovo mondo, sarebbe stato comprensibile.
Il ragazzo intanto si girò in fretta e guardò la ragazza, che subito dopo iniziò a parlare. -Cosa fai?chiese Clarissa. -Eh?- si girò confuso il ragazzo che intanto era come ritornato dal suo mondo. Cosa fai?- ripeté calma. -Cosa ti interessa?- parlò lui un po' infastidito. -Non si risponde ad una
domanda con un'altra domanda- disse furbescamente Clarissa. -Lascio un segno- sospirò il ragazzo.
Clarissa rise con tono sarcastico, non ci poteva credere... -Tempo sprecato, nessuno si ricorderà di
te, arriverà un tempo in cui le persone non ricorderanno più personaggi importanti che hanno
costituito la storia del mondo, figuriamoci di un ragazzino che scrive frasi sui muri- disse Clarissa.
Il ragazzo rimase leggermente sconcertato da ciò che gli aveva detto la ragazza. Ripeté mentalmente
quel discorso, senza rendersene conto poi le parole scivolarono fluide:
-Non voglio che la gente si ricordi di me. Se avessi voluto questo, avrei fatto qualcosa di veramente
importante. Tutto ciò che voglio è che la gente come te, come me, come noi, la gente che ama
passeggiare, che ama leggere i libri invece di uscire con gli amici, la gente a cui piace stare sola, un
giorno, quando vedrà questo murales, penserà di non essere sola, saprà che c'è stato un tempo prima
di loro in cui qualcuno il coraggio di lasciarlo il segno l'ha trovato-.
Clarissa non disse niente. Prese la bomboletta dalle mano del ragazzo, si girò di spalle e scrisse
qualcosa sul muro: una piccola e semplice "C". Si girò. Sorrise al ragazzo e andò via.
La violenza nel mondo
Francesco Magrone
II A Scuola Media Carducci – Bari
È da un po’ di tempo che guardo la TV o leggo un giornale mi rendo conto di quanta violenza c’è
nel mondo. Oggi, tuttavia rispetto a tanti anni fa il livello di civilizzazione è pi alto: grazie anche
alla tecnologia siamo più intelligenti, ma a volte la causa della violenza è proprio questa. Mi
spaventa il telegiornale perché le notizie sono sempre cattive, sento che ci uccide ha una pena
ridotta perché non è capace di intendere e volere, mentre chi ha ucciso per difendersi dai ladri, in
casa propria, vien condannato al massimo della pena, perché per la giustizia è omicidio volontario.
La violenza dei minori mi fa ancora più paura; ragazzi che uccidono i loro genitori o i loro coetanei
per motivi futili fa rabbrivdire. Spero che la legge dia pene più giuste e severe, veramente per tutti,
perché solo così sarà possibile salvare la società, il nostro futuro.
Invasione nello spazio
Giovanni Bartoloni
II A Scuola Media Carducci – Bari
È l’anno 2137 e il pianeta Spank, che si trovava in una lontana galassia, diventò a poco a poco
inabitabilem perché colpito continuamente da un milione di asteroidi. Prima il pianeta Spank era
pieno di gente e vi splendevano continuamente varie costellazioni. Gli abiti, stufi del loro pianeta,
decisero di partire con le loro navicelle spaziali, tutte colorate a forma di sfera. Durante il viaggio
nel cosmo, gli abitanti intravidero il pianeta Terra, un’enorme palla con delle macchie di colore
marrone, verde e blu e rimangono incantati della grandezza e dalla bellezza degli oceani. Gli
esploratori felici di aver scoperto un nuovo pianeta, ritornarono alla base e raccontarono agli altri
abitanti la bellezza e l’immensità della Terra e che gli esseri umani erano delle persone con la pelle
bianca che vivevano in maniera frenetica.
Gli extraterrestri si trasferirono sulla Terra, andando ad occupare i fondali dell’oceano abitando
nella barriera corallina e portando con se i pezzi di magma per nutrirsi. Alcuni terrestri che si
trovavano in spiaggia rimasero a bocca aperta nel vedere alcuni degli strani oggetti volanti che si
immergevano nel mare. Una spedizione di scienziati scoprì gli alieni in fondo all’oceano; i terrestri
vennero a conoscenza di questa notizia e rimasero terrorizzati e decisero di cacciarli.
Uno scienziato famoso studioso di extraterrestre, di nome Justin riesce a comunicare con gli alieni,
attraverso un sommergibile di media dimensione. Lo scienziato comunicò all’umanità che gli alieni
erano venuti in pace, per trovare un nuovo posto dove abitare, perché il loro pianeta era invivibile. I
terrestri accettarono la convivenza con i nuovi abitanti, così avrebbero potuto conoscere i misteri
dell’Universo.
Rifugiarsi nel mondo dei sogni
Alessia Caputo
II A Scuola Media Carducci – Bari
Per George era difficile affrontare la vita di tutti i giorni; era un ragazzino di appena 11 anni ed,
purtroppo, era sulla sedia a rotelle a causa di un incidente stradale accaduto circa tre o quattro anni
prima.
Era una domenica di ottobre e fuori c’era in bel sole; quel giorno George e la sua famiglia decisero
di andare a fare una passeggiata nel bosco per raccogliere castagne. Non riuscirono tuttavia, ad
arrivare al bosco. Un pirata della strada causò un brutto incidente. I genitori di George non si fecero
nulla ma lui si. Rimase con le gambe paralizzate.
Quel giorno li cambiò la vita per sempre. I suoi genitori stavano malissimo, nel vedere George sulla
sedia a rotelle, ma dovevano nascondere il loro dolore, la rabbia, per dargli la forza di andare avanti.
George, per non far preoccupare i genitori, celava il dolore che aveva nel cuore e sorrideva.
Solo una cosa lo rendeva felice: allontanarsi dalla realtà. Come? Rifugiandosi nel mondo dei sogni.
Si rifugiava in un mondo tutto suo dove non era paralizzato, ma aveva piena libertà di movimento.
Diventava dando un senso alla sua vita, un eroe che aiutava la gente e gli animali in difficoltà.
Una strana dimensione
Caterina Lombardi
II A Scuola Media Carducci – Bari
Era un bellissimo giorno d’estate il sole era già alto splendente. Ero sveglia da pochi minuti e
aspettavo una cara amica che conoscevo da tempo. Stavo preparando il latte e, ad un certo punto,
sentii il campanello suonare. Era Sandy, la mia cara amica.
Ero sorpresa perché non era quella l’ora dell’appuntamento ma non importava perché averla a casa
La feci accomodare e andai subito a vestirmi: indossai i pantaloni neri con le striature bianche e la
maglietta a monospalla bianca con sopra la giacca nera con striature bianche, abbinata ai pantaloni.
Presi la borsa e insieme andammo al centro commerciale perché lei aveva bisogno di un nuovo
telefono, l’altro telefono, infatti, sfortunatamente, era caduto nel lavandino pieno d’acqua.
Al centro commerciale ci dirigemmo verso un negozio di telefoni. Ci sembrò molto strano: il
commesso, anche se l’avevamo chiesto non ci mostrò nessun tipo di telefono, forse non capiva la
nostra lingua nonostante fosse italiano.
L’atteggiamento mi insospettì e in quel momento uscii subito il distintivo e il commesso capì la mia
richiesta, e mi diede i documenti ed ebbi la conferma che era italiano. Aveva una malattia alla
laringe non molto grave ma in fase di guarigione; feci un’ispezione generale del negozio e trovai
una strana porta che emanava una strana luce violacea. Aprii decisa la porta e entrai lì dentro: subito
mi travolse un’ondata di caldo e mi ritrovai in un’altra dimensione. Mi sentivo calma e avvertivo
una sensazione di libertà, era bella ma non durò tanto perché ritornai indietro e mi ritrovai nella mia
solita dimensione. Non raccontai mai niente a nessuno, per me era un segreto, un bel segreto.
C’era una volta….
Maria Protopapa
II A Scuola Media Carducci – Bari
C’era una volta…. È l’inizio di tutte l fiabe e le favole sdolcinate, vero?
Questa, tuttavia, non è né l’una né l’altra. Questa storia ha come protagonista una principessa
diversa. La principessa Camille, non era una principessa super agghindata e raffinata come le sue
migliori amiche: Jo, Stephanie, Alexa e Lucy.
La principessa Camille era definita una ribelle. A quei tempi le ribelli non erano ben accette, e
venivano definite streghe, se non obbedivano e discutevano i comandi degli uomini.
La nostra principessa viveva nel Rinascimento e come si sa, le principesse, a quei tempi, ad ogni
festa erano costrette, ad imparare a ballare bene.
C’era il matrimonio della sua migliore amica Jo, principessa del Portogallo, e il principe Carlos
principe di Spagna. Tutti sapevano che quel matrimonio sarebbe, solo servito ad unificare la
penisola iberica, perche tra i due non c’era mai stato amore.
La cerimonia era andata perfettamente, ma la principessa Nexa aveva cercato di impedire il
matrimonio poiché non accettava quell’unione. La giovane, fu accusata di “blasfemia”, e fu
condannata alla decapitazione sulla pubblica piazza.
La principessa Camille stava assistendo alla punizione e, non ritenendola giusta, prese un arco
scagliò una freccia che bloccò il boia. Non appena tutti ebbero la sua attenzione si alzò in piedi su
un tavolo con le lacrime agli occhi gridò a squarcia gola:”Siete contenti?” e ripeté: ”Siete contenti?”
Tra i singhiozzi e con la voce tremante continuò: “Sono stanca, capito?! Stanca! Voi uomini, non
avete il diritto di ucciderla; una donna è una donna, è un essere umano, e nessun uomo può decidere
di ucciderla.” Si fermo un attimo, respirò forte e riprese a parlare con voce ferma e decisa,
rivolgendosi alle donne: “Signore donne, chi è stanca della prepotenza degli uomini, dica NO e
venga con me, con coraggio a testa alta.” La maggior parte delle donne seguì il suo consiglio, e gli
uomini, impauriti, accettarono di essere rispettosi delle donne.
Tutto questo, accadde, grazie ad una ribelle.
Ed ecco ora si può dire… …c’era una volta, ….c’era una volta una ribelle.
Roberto
Laura Amoruso
II A Scuola Media Carducci – Bari
Un giorno Giorgio stava camminando e ad un tratto vide un bambino tutto sporco con un sacco
pieno di mele. Stava correndo perché aveva fatto dei danni e aveva rubato le mele. Giorgio lo vide e
lo fermò dicendogli: “Perché stai correndo?”; e il bambino rispose: “No, niente.” Giorgio insistè e
gli chiese nuovamente ma il bambino non rispose. Insistette, gli chiese come si chiamasse e perché
rubasse il cibo Roberto rispose: “Sono povero, non ho casa, non ho amici non ho niente.”
Giorgio commosso parlò: “Non ti preoccupare, ci sono io con te”, e poi i due ragazzi si
abbracciarono.
Giorgio sorridendo disse: “Visto che tu e io siamo amici, e questo l’ho raccontato a tua madre e mio
padre, vuoi venire a vivere a casa mia?”
Roberto tutto contento rispose di si. Quel bambino da quel giorno fu il bambino più felice del
mondo.
Il syncro è il mio sport!
Giorgia Lopez
II A Scuola Media Carducci – Bari
Io pratico nuoto sincronizzato, ormai da sette anni, ho partecipato a tante gare e quasi tutte sono
andate male. Quando tu credi che ce la puoi fare, solo in quel momento puoi farcela davvero: è
importante per me essere ottimisti, il syncro è lo sport più bello e più elegante; è anche molto
stancante.
Voglio raccontare, la mia emozione più forte quando ho visto per la prima volta Giorgio Minisini e
Susanna De Angelis. Giorgio è l’unico sincronetto maschio d’Italia e Susanna, sua madre, è una ex
campionessa mondiale di sincro. Il figlio, ai mondiali di sincro Karan 2015, ha riconquistato il titolo
della madre. Lui è il mio idolo è bravissimo, io l’ho conosciuto in piscina dove vado. Sia Giorgio
che Susanna sono molto severi, ed io sono migliorata molto da quel giorno: è stato il miglior
weekend della mia vita.
È stato molto bello ma faticoso, e da quel giorno ci sono stati molti cambiamenti nella mia piscina
mi alleno tutti i giorni e ripeto gli stessi esercizi noiosi e stancanti.
Paese fantasia
Nicola Casalino
II A Scuola Media Carducci – Bari
In un paesino chiamato fantasia, il tempo scorreva con grande lentezza per i cittadini che avevano
tanta fame.
I questo paesino c’era molta povertà: i terreni dei contadini non erano più fertili, i mercanti urlavano
tanto in modo che qualcuno comprasse i loro articoli e i bambini giocavano in modo da dimenticare
di avere fame.
Solo uno di loro se ne stava in casa seduto in un angolo a pensare… avrebbe voluto vivere in un
mondo incantato dove fosse tutto commestibile.
Un giorno decise di andare in cerca di qualcosa da mangiare e si incamminò verso un bosco.
Dopo un po’ vide un cervo e decise allora di seguirlo.
Il bambino si nascose dietro un cespuglio per non far impaurire il cervo, aspettando…. Vide che
quest’ultimo prima si guardò intorno e subito dopo si addentrò in una grotta scura… Il bambino
continuò a seguirlo e “BUM” cadde in una fossa. Si sveglio e non potè credere ai suoi occhi: i
tronchi degli alberi erano di liquirizia, un po’ più in la scorreva un fiume di cioccolato bianco, i
petali dei fiori erano fatti di tante caramelle gommose di diversi gusti. Rimase perplesso, si strofinò
gli occhi pensando di sognare ma nulla cambiava, allora si insospettì; si abbassò e prese un filo
d’erba, lo assaggiò, era al gusto di menta!!! Una nuvola, in quel momento scese dal cielo, la
assaggiò ed era fatta di zucchero filato, le stelle erano fatte di latte di cocco e la luna e il sole
avevano un gusto di fragola.
Il bambino corse subito a chiamare tutti gli abitanti. All’inizio lo presero per pazzo, ma quando
anche loro videro quel mondo zuccherato lo ringraziarono.
Alla fine il fantastico paese si espanse, e , fu da allora che venne chiamato “Paese FANTASIA”
AMICI E MISTERI
II B - I.C. Aldo Moro - S.S. I Grado – di Stornarella (Foggia)
Tutto iniziò quella maledetta notte, a casa di Simone, dove i ragazzi avevano dato inizio al party di
fine anno scolastico, per festeggiare, come scelto da Angelica, l'inizio dell'estate.
Il primo anno di scuola secondaria era terminato e i ragazzi erano eccitati all'idea di avvicinarsi al
secondo anno che, come detto dagli studenti più grandi, era il migliore tra tutti.
Il loro era un gruppo completo, uno di quei tipici gruppetti di amici in cui era presente Simone, un
ragazzo con i capelli castani e le lentiggini, il solito ragazzo con i piedi per terra, quello
appassionato di cultura; Pia, la solita ragazza modaiola, attenta al suo aspetto, senza peli sulla lingua
che, con i suoi capelli bruni e la pelle olivastra, era molto carina; Mirko, il tipico ragazzo strambo,
dallo stile dark, l'unico ragazzo biondo del team e anche l'unico ad avere occhi con sfumature verdi
e marroni; Roberta, una ragazza timida e sportiva, amante del nuoto, con una bellezza semplice,
con i lunghi capelli castani e gli occhi verdi tendenti all'azzurro; poi, la paladina di tutti, Angelica,
una ragazza amata da tutti per il suo aspetto fisico e il suo carattere, molto bella grazie ai suoi
capelli biondi, gli occhi azzurri, le labbra rosa, il viso a cuoricino e un fisico statuario.
Tornando a quella notte, Mirko, Pia, Simone e Roberta aspettavano Angelica per dare inizio alle
feste. Aspettavano seduti sulle poltroncine dell'accogliente salotto di Simone, quando sentirono un
rumore, come un graffiare, alla porta di casa. Avvicinandosi cautamente, Pia disse: “Chi c'è?”. Per
tutta risposta, ci fu un altro graffio e poi un urlo. Improvvisamente, la porta si aprì, con un tonfo, i
ragazzi, spaventati, urlarono e poi...spuntò il viso di Angelica che disse: “Vi ho spaventati?”. I
ragazzi la assalirono affettuosamente. La adoravano.
Allora Roberta sbottò: “Allora, qual è la pazzia di quest'anno?”. I ragazzi, alla fine di ogni anno
scolastico, facevano qualcosa di folle. L'anno precedente si erano rotolati nel fango con addosso
solo la biancheria intima, l'anno prima ancora avevano fatto una gara a chi mangiava più banane,
con la buccia. Il vincitore fu Pia.
“Fumeremo dei semi di papavero” rispose Angelica con aria maliziosa.
“Ma non hanno un effetto simile alla droga?” chiese Simone sconvolto.
“Beh, c'è qualcuno qui che ha paura” disse Angelica con cattiveria.
“No, voglio solo sapere a cosa andremo in conto e vogliono saperlo anche gli altri”.
Simone e Angelica erano grandi amici però litigavano spesso per il potere. In effetti i ragazzi erano
leggermente succubi della ragazza bionda, ma era impossibile resistere al suo sguardo quando li
implorava. Angelica sapeva esattamente con quale parola e con quale gesto convincere i ragazzi,
così pronunciò quella magica ed efficace parola: “Per favore” disse spalancando gli enormi occhi
azzurri, sbattendo le ciglia e cacciando il labbro in fuori. Poi aggiunse: “Su, ragazzi, sarà
divertente!”.
Roberta fu la prima ad accettare, dicendo: “In effetti mi sono sempre chiesta come ci si sente
quando si è drogati”. A lei si aggiunsero subito Pia e poi Mirko, che si espresse dicendo: “Io lo farò
perché anche io sono curioso, ma ho un brutto presentimento...”. A malincuore anche Simone
accettò. Allora Angelica cacciò dalla tasca un sacchettino di plastica contenente dei semini simili a
sesamo, ne prese una manciata e la gettò su una fiammella, poi disse: “Forza, iniziate prima voi”.
I ragazzi si avvicinarono, con un'aria un po' incerta e annusarono profondamente. Entrarono subito
in trance e Mirko, Roberta e Pia ebbero una specie di colpo di sonno, ma Simone, anche se
narcotizzato, esplose: “Ora basta! Vedi cosa è successo agli altri! Svegliali!”.
Angelica rispose di botto: “Cosa vuoi da me? Loro hanno voluto farlo!”.
Simone guardò gli altri, che sembravano svenuti, e adirato disse: “Vai subito via di qui!”.
Angelica, profondamente offesa, prese il cellulare appoggiato sul tavolino e se ne andò. Simone,
colpito dal senso di colpa, cercò di raggiungere l'amica, ma quando si affacciò sulla strada, non vide
nessuno, né a destra né a sinistra.
Intanto, nel capanno, Mirko si era svegliato e cercava di svegliare anche Pia e Roberta. Quando tutti
si ripresero, anche se molto confusi e scombussolati, ricordarono un' ultima cosa. Una frase di
Simone che era tornato in casa, una di quelle frasi che, anche se composte da poche parole, ti
cambiano la vita. La frase di Simone fu: “Angelica è scomparsa”. Poi il vuoto. Fu l'ultimo ricordo
di
quella
serata.
Nei primi giorni della scomparsa i ragazzi si tenevano ancora in contatto, anche con la madre di
Angelica, alla quale avevano promesso che, se avessero avuto notizie della figlia, glielo avrebbero
detto. Dopo un paio di settimane i ragazzi smisero di contattarsi. Mirko si trasferì in Francia e gli
altri proseguirono le loro vite, con i vecchi amici che non ne facevano parte,
UN ANNO DOPO
Mirko era tornato dalla Francia. Lui più che un cittadino italiano si sentiva un cittadino francese a
tutti gli effetti. Lo stile francese rispecchiava moltissimo il suo modo di essere, cosa che non
accadeva in Italia. Mentre sistemava i suoi vestiti nell'armadio, pensavano al suo grande segreto che
solo Angelica conosceva: Mirko aveva spesso rubato nei negozi, dalle caramelle ai capi di
abbigliamento, e una volta quando era con Angelica in un negozio, aveva adocchiato un
maglioncino nero che gli piaceva molto; decise bene quindi di prenderlo e infilarselo sotto l'enorme
felpa bordeaux che indossava. Appena usciti dal negozio, Mirko mostrò il maglioncino ad Angelica,
ma purtroppo il proprietario del negozio se ne accorse e lo raggiunse. Quando fu scoperto, fu
Angelica a pagarlo poiché il ragazzo non aveva soldi a disposizione. Anche se ad Angelica
quell'episodio passò inosservato, dopo un po' di tempo cominciò a rinfacciarlo. Ad un certo punto il
cellulare
squillò,
era
un
messaggio.
Diceva:
“So come ti senti. Tornare nella città dei tuoi antichi furti non deve essere facile. Ma non
preoccuparti, ci sarò io a consolarti. N”.
Intanto Roberta nella sua camera rileggeva le vecchie pagine del suo diario segreto. Aveva trovato
una vecchia pagina, di quando Angelica non era scomparsa. La pagina diceva: Sabato 21 maggio,
ore 20.45. Oggi ho fatto ciò che ho sempre desiderato: sono riuscita a baciare Angelica. Lei, nel suo
garage, stava parlando di un ragazzo carino del terzo anno, a quel punto io sono esplosa e l'ho
baciata. Dopo il bacio lei mi ha semplicemente guardata e mi ha sorriso. Poi ha ricominciato a
parlare. Non so cosa provo per lei, forse è solo la mia manifestazione di affetto.
Poi sotto la pagina c'erano dei cuoricini colorati con la penna. Roberta ricordò che Angelica
alludeva spesso a questo fatto, senza dirlo direttamente. Improvvisamente il cellulare di Roberta
fece un trillo. Il messaggio che le era arrivato era: “Hey Rob! Non hai più un'amica da baciare! Ma
sta tranquilla, ci sarò io a farti compagnia. Baci. N”.
Nel frattempo Pia era con Marina, la sua migliore amica, al bar, a chiacchierare tranquillamente.
Marina era sempre stata, quando c’era Angelica, una ragazza sfigata senza amici, particolarmente
presa di mira da Angelica e il suo gruppo, ma quando la ragazza bionda sparì, Pia fece amicizia con
lei e la fece diventare fantastica e insieme si trasformarono nelle ragazze più popolari della scuola.
Marina aveva detto: “Sai, Pia, tu non mi hai ancora detto come hai fatto a dimagrire così
velocemente. Allora Pia rispose: “Oh, sai, una dieta equilibrata affiancata da tanta attività fisica”. In
realtà non era così. Pia sapeva la verità. E la sapeva anche Angelica. La verità era che Pia era stata
una ragazza anoressica. Angelica l'aveva scoperto per sbaglio, infatti l'aveva sorpresa mentre si
induceva il vomito con uno spazzolino da denti. Come un messaggio subliminale in un film,
Angelica ricordava spesso e rinfacciava spesso l'accaduto. Poi Pia ricevette un messaggio: “Credo
che il cappuccino che hai ordinato sia buono. Bevilo senza vomitarlo. Buon appetito (per sempre
spero).
N”.
Simone era alla scrivania, pensando ai vecchi periodi, ai segreti... anche al suo grande segreto.
Infatti Angelica aveva visto Simone baciare la nuova fidanzata del fratello, Matteo. Non era mai
stato in ottimi rapporti con il fratello, la loro competizione ad essere il migliore in tutto portava a
grandi litigate. Erano sempre stati gelosi l'uno dell'altro, eppure ognuno di loro aveva ottime qualità.
Angelica aveva sempre ricattato Simone che, se non avesse detto tutto ciò al fratello, l'avrebbe detto
lei, non solo a Matteo, ma anche a tutti gli altri. All'improvviso Simone ricevette un messaggio da
un numero privato: “Chissà cosa direbbe tuo fratello se venisse a scoprire certe cosette...vorrà dire
che manterrò io il segreto, probabilmente! N”.
I ragazzi, sconvolti da quei messaggi, decisero di non parlarne con nessuno, per prepararsi alla
giornata di scuola che si sarebbe tenuta l'indomani.
La mattina successiva Roberta incontrò Mirko nel corridoio della scuola e gli corse incontro per
salutarlo, proprio come fanno i cuccioli dopo il lungo viaggio dei padroni. Mirko era felice del fatto
che qualcuno lo ricordava, una cara amica per giunta. Dopo aver parlato un po', ai due ragazzi si
aggiunse Simone. Mirko chiese ai suoi vecchi amici: “Ragazzi, ci sono state notizie di Angelica?”. I
ragazzi guardando l'amico fecero no con la testa. Magari avevano paura di rispondere, magari
avevano paura della verità, magari avevano paura che ormai la loro amica non si sarebbe mai più
fatta vedere, magari avevano paura di ciò che sarebbe successo, magari avevano paura
semplicemente di loro stessi, dei loro segreti, dei loro casini. Ma per Roberta, Simone e Mirko fu
sicuramente molto più spaventoso vedere la loro ex amica Pia con una non più sfigata Marina,
camminare lentamente, come fanno i famosi di Hollywood sul Red Carpet, indifferenti degli altri
alunni, continuando a guardare avanti, con il volto in alto e uno sguardo pieno di orgoglio. Pia non
notò nemmeno i ragazzi tanto era presa a fare star con la sua nuova amica.
La campanella era suonata e solo quando furono in classe i ragazzi capirono di essere capitati in due
classi diverse. Infatti Simone e Roberta frequentavano la sezione C, Mirko e Pia la A. Purtroppo per
Pia, Marina era invece capitata nella sezione B.
Le lezioni passarono velocemente, tipico del primo giorno di scuola d'altronde. All'uscita di scuola
Roberta, Simone e Mirko decisero di incontrarsi al parco per fare una passeggiata e parlare un po'.
Come prestabilito, i ragazzi si erano incontrati al parco e, dopo qualche passo, incontrarono Pia che,
probabilmente, se ne tornava a casa. Quando vide Mirko si avvicinò velocemente dicendo: “Ciao,
tesoro! Da quanto tempo! Ti ho intravisto oggi in classe ma poi ho ricordato che tu eri in Belgio, o
giù di lì, e invece sei veramente tornato! Mirko, leggermente imbarazzato disse: “Beh,
sì...comunque noi stiamo facendo una passeggiata, se vuoi puoi aggiungerti a noi”. Pia annuì e i
quattro vecchi amici si incamminarono verso una panchina. Appena arrivati alla panchina, il gruppo
ricevette, nello stesso momento, lo stesso messaggio. Capirono subito chi era. Prima di leggere il
messaggio, Roberta disse: “Ragazzi, non mi dite che anche voi avete ricevuto...-Messaggi
minatori”. La interruppe Pia. “…riguardanti Angelica...”. Aggiunse Simone per poi essere seguito
da Mirko: “...e i nostri segreti”. Ognuno di loro aveva capito che non erano soli, non più, e questa
cosa diede loro molto coraggio. Ora però dovevano avere anche il coraggio per leggere il
messaggio. Mirko si fece avanti e, con la sua voce profonda, lesse il messaggio: “I cretinetti si sono
riuniti una volta per tutte. L'unione fa la forza, ma i segreti la scompongono. Potreste fare la fine
della vostra amica scomparsa. Vi chiedete mai cosa succede quando siete di spalle? N”.
Spaventati, i ragazzi si guardarono intorno, poi si abbracciarono per farsi forza a vicenda. I ragazzi
poi parlarono dei loro segreti, era la cosa giusta da fare. Parlarono dei taccheggi di Mirko,
l'anoressia di Pia, la probabile omosessualità di Roberta e del bacio che Simone aveva dato alla ex
fidanzata
del
fratello.
Intanto le giornate scolastiche passavano velocemente a scuola, e i ragazzi si incontravano tutti i
pomeriggi.
Ma poi ci fu il caos. Una domenica mattina, nel giardino di Angelica, venne ritrovato il suo
cadavere. I ragazzi credevano che “N” potesse essere Angelica, ma non era così. Quel giorno
Mirko, Simone, Roberta e Pia lo passarono sul letto, con la faccia sprofondata nel cuscino a
piangere.
Il giorno del funerale fu un giorno particolarmente triste. Eppure c'era qualcosa che li rincuorava. I
loro segreti erano in una tomba che nessuno avrebbe riaperto. Appena usciti dal funerale il loro
telefono squillò all'unisono. Era arrivato un messaggio. A tutti. I ragazzi lessero insieme: “Sono
ancora qui, cretinetti. E so tutto. N”. Subito dopo ricevettero un altro messaggio:
“Se vi state chiedendo se io sia l'assassino di Angelica, la risposta è no, sebbene io l'avrei uccisa
volentieri”.
I ragazzi passarono alcune settimane infernali, durante le quali tutte le persone che incontravano a
scuola o per strada, li adocchiavano, si zittivano, e poi dicevano quella frase ormai così comune:
“Quelli sono gli amici della ragazza morta... I ragazzi sapevano perfettamente che la loro amica era
morta, ma non c'era bisogno di ricordarlo sempre. La gente non fa altro che ricordarti ciò che hai
perso. Qualcosa comunque era chiaro: “N” non era l'assassino di Angelica e, anche se li
perseguitava (infatti ricevevano spesso messaggi da lui), probabilmente avrebbe aiutato il gruppo a
scoprire il colpevole dell'omicidio della loro amica. Per quanto potesse sembrare folle, potrebbe
essere anche probabile. “N” aveva già lasciato un indizio, aveva infatti dichiarato a loro che non
era lui l'assassino. Quindi decisero di investigare sul loro ricattatore, su Angelica, iniziando proprio
da
casa
sua.
Quando bussarono alla porta della casa della loro ormai defunta amica, venne ad aprire sua madre,
la signora Tieri (il cognome di Angelica). Aveva un'aria distrutta, come se fosse stata sbattuta cento
volte contro un muro. Gli occhi azzurri, che la figlia aveva ereditato, erano gonfi e arrossati dal
pianto. Tuttavia, quando vide il gruppo di ragazzi, si sforzò di sorridere e dire: “Ciao, ragazzi, cosa
vi porta qui?”. “Buonasera, signora Tieri. Mi sono ricordato di aver dimenticato nella stanza di
Angelica un mio libro durante un pigiama party. Potrei riprenderlo?” mentì Mirko. “Certo, caro.
Accomodatevi ragazzi” rispose gentilmente la mamma di Angelica.
Appena entrati nella sua camera, i ragazzi fecero come un salto nel tempo, quando la loro amica era
viva. Improvvisamente ricordarono la lucentezza dei suoi capelli, lo sguardo che avevano i suoi
occhi quando voleva convincere i suoi amici a fare qualcosa di folle, il suo profumo, i suoi gusti
musicali, la sua andatura da personaggio famoso...sentirono come se Angelica fosse lì. Beh,
dopotutto lei era ovunque, sulla bocca di tutti. Bisbigli, bisbigli... era come se Angelica fosse ancora
viva. Comunque i ragazzi si misero alla ricerca di qualcosa che potesse far capire se qualcuno la
minacciasse, le avesse fatto o quantomeno avesse cercato di farle del male... ma niente, niente sulla
scrivania, niente nella libreria, niente sotto il letto, niente nei cassetti, niente negli armadi...insomma
niente di niente. Fino a quando sullo scaffale sopra il letto, trovarono il suo diario segreto. Decisero
di portarlo da Simone per poterlo leggere tranquillamente, così presero il diario e salutarono
quell'atmosfera magica che riportava alla luce tanti bei ricordi. Dopo aver salutato la madre della
loro amica, si diressero a casa di Simone.
Arrivati, i ragazzi si accomodarono nel famoso soggiorno, dove avevano visto Angelica per l'ultima
volta e, quando tutti furono seduti, Roberta iniziò a leggere una pagina di diario:
Lunedì, 19 febbraio.
Caro diario,
oggi ho fatto visita a Beatrice, Sta bene, però starebbe meglio fuori dal carcere minorile. Dopotutto
io l'ho perdonata, non capisco perché non debbano farlo anche gli altri...
Pia chiese: “Chi è questa Beatrice e perché è in un carcere minorile?”. La domanda era più che
pertinente, poiché anche Angelica aveva i suoi segreti, infatti parlava pochissimo di se stessa e della
sua vita personale, ma di sicuro non aveva mai parlato né di questa Beatrice né di un’amica in
carcere.
Simone prese il diario, lo sfogliò e ne lesse un'altra pagina.
Giovedì, 12 aprile.
Pigiama party con Mirko, Simo, Rob e Pia. Ad un certo punto ho pensato di dover dire di LUI, poi
ho pensato che avrebbe potuto fare del male anche a loro o di iniziare a ricattarli. L'ultima cosa
che voglio è vederli soffrire...
Ad un certo punto il telefono squillò a tutti, sapevano già chi era. Il messaggio era:
“Dovreste smetterla di cercare, basta vedere che fine ha fatto la vostra biondina... baci e abbracci.
N”.
I ragazzi si guardarono intorno e videro dalla finestra una figura incappucciata. Lasciarono tutto lì,
uscirono e corsero dietro quella figura incappucciata, ma purtroppo riuscì a seminarli. Una cosa era
chiara: la figura incappucciata era “N”. Mandò un altro messaggio ai ragazzi:
“Correre non basterà a scappare dal vostro passato e dai vostri segreti.
N”.
La mattina dopo i ragazzi si incontrarono, come sempre, a scuola. Mirko vide, sotto al suo banco,
un pacco legato con lo scotch. Strappato lo scotch e aperto il pacco, un brivido percorse la schiena
di Mirko. Fortunatamente non c'era nessuno in classe, altrimenti qualcuno si sarebbe avvicinato a
curiosare. Il pacco conteneva una bambola con la testa staccata, che reggeva in mano, ma, cosa
ancora più inquietante, la testa della bambola aveva lunghi capelli biondi e occhi azzurri. C'era un
biglietto sul collo della bambola con su scritto: “I cretinetti curiosi muoiono.
N”.
Appena in classe entrò la professoressa di letteratura, che era la materia preferita di Mirko, odiata
invece da Pia, e gli altri studenti, tra cui appunto Pia, Mirko chiuse il pacco e decise di mostrarglielo
a
ricreazione.
Intanto, anche Simone aveva ricevuto un "souvenir" altrettanto macabro, ossia la cartolina che i
quattro ragazzi avevano infilato nella tomba di Angelica. Essendo il compagno di banco di Roberta,
gliela mostrò: era di sicuro la loro cartolina, dietro c'era anche la frase che Mirko aveva scritto da
parte di tutti: “non ti dimenticheremo mai. Con affetto i tuoi migliori amici Mirko, Roberta, Pia e
Simone”.
Quando anche Roberta la riconobbe, fece una faccia spaventata e sussurrò sottovoce all'amico:
“Simone, hai capito cosa significa?”. Ma Simone sapeva perfettamente ciò che significava:
qualcuno aveva profanato la tomba di Angy.
Dopo scuola i ragazzi si incontrarono a casa di Pia, per parlare dei macabri regali che avevano
ricevuto sicuramente da “N”, del fatto che sempre “N” aveva profanato la tomba di Angelica e che
probabilmente era un loro coetaneo, un loro compagno di scuola, in modo che non avesse avuto
difficoltà a lasciare ai due ragazzi quei doni spaventosi. Ma parlarono anche della festa in maschera
che si sarebbe tenuta quel sabato. Pia e Roberta, improvvisamente, ricevettero un messaggio:
“Scusate ragazze, se non ho lasciato dei regalini anche a voi! Ma niente paura, ho un indizio anche
per voi! Ci sarò anche io al ballo in maschera. E il mio costume sarà da... cigno nero.
N”.
Le ragazze fecero vedere il messaggio agli amici e Simone commentò: “Ragazzi, mi è venuta
un'idea! Se “N” verrà alla festa vestito da cigno nero non basterà che trovarlo, raggiungerlo e
smascherarlo!”. “Oh andiamo, avrai idea di quante persone saranno vestite da cigno nero?”
commentò Pia. “Pia, stiamo parlando di un cigno nero, non un cretino vestito in smoking! Di sicuro
non è un costume facilmente reperibile!” rispose leggermente acido Mirko.
Arrivò il sabato, il giorno della festa in maschera. I ragazzi si incontrarono un quarto d'ora prima
della festa, quando ancora non c'era nessuno, per pianificare la cattura di “N”. I ragazzi erano quasi
irriconoscibili mascherati in quel modo. Mirko era vestito con giacca, pantaloni e scarpe nere con
un maglioncino bordeaux e indossava una maschera anch'essa bordeaux e bianca, che gli copriva
metà del volto. Simone aveva anche lui giacca, pantaloni e scarpe nere, ma abbinate con una
camicia blu; inoltre indossava una maschera come quella di Mirko, solo che era blu e bianca. Pia
indossava un bellissimo vestito giallo con una maschera che le copriva la fronte e il naso, di colore
nero, con delle piume gialle. Roberta indossava un abito verde acqua e portava una maschera uguale
a quella di Pia, se non fosse che la sua aveva piume del medesimo colore del vestito.
Il piano era che si sarebbero divisi in due gruppi: Mirko avrebbe cercato “N” nella parte meno
probabile, quella meno affollata, nei luoghi più nascosti; Pia, Simone e Roberta avrebbero cercato
invece nei posti in cui c’erano più persone, dove sarebbe stato più facile mimetizzarsi.
Appena iniziata la festa, i ragazzi si divisero come prestabilito. Cercarono per mezz'ora, fino a
quando il gruppo di Roberta, Pia e Simone avevano avvistato una ragazza con i capelli rossicci
(probabilmente una parrucca) e un vestito tempestato da piume nere: era il cigno nero ovvero “N”.
A giudicare dai capelli lunghi “N” era una ragazza. A nessuno del trio venne in mente di avvisare
Mirko, così iniziarono a raggiungere “N”, che si era accorta che i ragazzi la stavano seguendo, così
iniziò a cercare di seminarli. Proprio quando i ragazzi insieme alla loro ricattatrice uscivano
dall'edificio, Mirko li notò e decise di seguirli, ma senza farsi accorgere né dagli amici né dal
nemico, decise di seguirli silenziosamente. “N” condusse Pia, Roberta e Simone in una vecchia
chiesetta. Quando furono dentro non ricordarono nulla, solo che erano stati colpiti così fortemente
in testa che avevano perso i sensi. Quando rinvennero, erano legati ad un palo di legno del
campanile, Mirko non c'era. Poi videro una figura che indossava un vestito pieno di piume con
sopra una giacca con il cappuccio che le copriva il capo. All'improvviso ricordarono tutto: la festa,
“N”, il fatto che era una femmina, l'arrivo alla chiesetta, il colpo in testa...ad un certo punto la figura
incappucciata abbassò il cappuccio, si voltò, e fu rivelato che il cigno nero, ovvero “N” era niente di
meno che... Marina. Sì, Marina! La migliore amica di Pia, fino a quando Mirko non era tornato e il
gruppo si era ricomposto. La stessa Marina che da sfigata era diventata una delle più popolari
persone a scuola. I ragazzi erano sconvolti, soprattutto Pia, la quale esclamò: “Marina, perché ci hai
fatto questo?”. E Marina rispose: “E' molto semplice il perché, mia cara. Quando Angelica era
ancora viva, voi mi rendevate la vita impossibile. Ero sempre la sfigata presa di mira, quella più
snobbata da tutti. Finalmente avevo trovato una nuova amica, che mi ha fatto diventare la più
celebre ragazza della scuola. Sono venuta a conoscenza dei vostri segreti quando mia madre ed io
eravamo andate a trovare la signora Tieri, questo prima della scoperta del cadavere di Angelica.
Con la scusa del bagno, mi sono introdotta nella sua camera, ho preso il suo diario e l'ho letto.
Quando ho letto i vostri segreti ho capito che c'era gente che era molto più disperata di me. Per
quanto riguarda Angelica, come vi ho già detto, non l'ho uccisa io, io ho ucciso Beatrice.
Scommetto che vi starete chiedendo chi sia questa Beatrice. Beh, Beatrice è la sorella gemella di
Angelica, chiusa in un carcere minorile perché aveva cercato di uccidere la sorella, da piccola. Per
questo avete letto nel diario che lei l'aveva perdonata. La sera della scomparsa di Angelica,
facevano una passeggiata nel bosco insieme e io, pensando che fosse Angelica, l'ho colpita in testa
con una pietra. Ed è morta. Qualcuno aveva occultato il cadavere, non so chi. Intanto Angelica era
scappata. Allora Roberta chiese: “Quindi Angelica è ancora viva?”. E Marina rispose: “Non lo so,
non credo. Ma ora, ragazzi sono costretta ad uccidervi, voi sapete troppo ormai... beh chissà che
cosa farà da solo il vostro amichetto...” “Perché non glielo chiedi tu stessa?” chiese furbescamente
Simone. “Cosa?” chiese perplessa Marina. “Hey, Marina!” disse Mirko, uscito furtivamente dal
nulla. Detto questo colpì Marina con la pala, lei perse l'equilibrio e cadde giù dal campanile. La
visione fu orribile. Videro Marina in una pozza di sangue, stesa sul terreno, morta. Mirko aveva
ucciso Marina. I tre ragazzi si slegarono e andarono incontro all'amico che era rimasto sconvolto.
Ad
un
certo
punto
il
cellulare
squillò.
A
tutti
il
messaggio
diceva:
“Credete di potervi liberare di me? Marina sarà pure stata nel “N team”, ma ha svolto il suo lavoro
da schifo. C'è un nuovo terrore in città. Buona fortuna, cretinetti”.
IL MIO PAESE, OGGI
II C - I.C. Aldo Moro - S.S. I Grado – di Stornarella (Foggia)
Che emozione! Dopo anni trascorsi nella grigia Milano, sto per rimettere piede nel mio piccolo e
solare paesino pugliese … Già, solare! Mi vien da sorridere quando sento mio padre
scherzosamente denominare il nostro paese: "La città del sole", facendo riferimento, se non erro,
all'opera di un certo Campanella (non so chi sia!), per sottolineare come il clima mite e solare, che
si ha per gran parte dell'anno da queste parti, sia effettivamente un'utopia per la fredda e grigia
Milano.
Con nostalgia ricordo il mio paesino, con la sua piazzetta raccolta, dove mi incontravo con gli
amici, anche se ciò è un po' riduttivo: in un paesino del sud, dove ci si conosce un po' tutti quanti,
alla fine si può affermare che tutti sono amici con tutti.
La piazzetta, appunto, dove ci si riuniva e si trascorreva molto tempo a chiacchierare, a raccontare
storie nostre e di altri, seduti su una panchina o su degli scalini, oppure passeggiando per ore su e
giù, il cosiddetto "struscio", come si soleva chiamare queste passeggiate.
Per il rientro in paese papà ha preferito entrare da est e già noto i cambiamenti: sia a destra che a
sinistra una serie di piccole attività artigiane, prima di arrivare ad un grande incrocio regolato da un
enorme rotatoria con a sinistra un grosso viale, teatro oggi, lunedì, del mercato settimanale, mentre
prima il mercato si teneva "abbasc a u r'p'r" (al "riparo"), ed a destra un viale lungo e stretto con file
di cipressi su entrambi i lati, che sembrano vegliare i nostri defunti al loro passaggio verso la
dimora eterna.
Chiedo a mio padre di non fermarsi a casa, ma di proseguire per dare un'occhiata in giro.
Proseguendo diritto ci rechiamo al centro del paese, non prima di aver notato sulla destra una
graziosa casa, casa nostra, su tre livelli con la facciata del piano terra in pietra, che rievoca le
antiche costruzioni rurali tipiche della zona.
Arrivati al centro del paese ci accorgiamo che la piazza, un tempo percorribile anche con le
autovetture, è stata definitivamente chiusa al traffico: ci troviamo davanti ad un’enorme isola
pedonale, dove è possibile scorgere una serie di piccole attività commerciali, bar alternati a
negozietti, circoli politici e un bazar.
Noto con dispiacere che all'appello manca il Bar "Fausto", bar storico nonché miglior gelateria del
paese se non addirittura della provincia.
Pochi metri più in là, in maniera un po’ sfalsata, si trova a destra il Municipio con al suo fianco il
Monumento ai Caduti, e a sinistra la Chiesa con il suo immenso sagrato.
Come ho già detto sopra, la piazza è stata in passato realmente il fulcro della vita quotidiana di tutti
i cittadini; oggi, invece, noto con disappunto che, pur chiusa al traffico e migliorata nell’ arredo
urbano, è quasi sempre deserta, se non fosse per qualche passante solitario e per i soliti gruppi di
persone dedite, a loro modo, alla politica del paese: mosche bianche circondate da folti gruppi di
extracomunitari che da circa quindici anni hanno letteralmente invaso questa comunità, o quel che
ne è rimasto.
Comunità, infatti, rimasta orfana di tanti giovani che sono dovuti emigrare, in taluni casi con intere
famiglie al seguito, al nord e all’estero in cerca di lavoro e affermazione.
Oggi, quindi, mi rendo conto che ci troviamo a condividere i nostri luoghi con persone di etnia e di
religione diverse dalla nostra; persone, che pur riuscendo a lavorare e a tenere casa, non sono del
tutto integrate nella comunità.
Basta osservare appunto i numerosi gruppi di queste persone, che riempiono la piazza dalla mattina
alla sera, gruppi che restano a numero chiuso a mo’ di piccole fortezze inespugnabili.
Ormai, anche qui, tra l’ altro, si assiste a episodi di degrado, come bambini stranieri che rovistano
nei bidoni dell’immondizia, adulti che lasciano i propri bisogni qua e là per il paese, gruppi di
ragazzi che si ubriacano, sporcano e rubano; certo non bisogna far di tutta l’erba un fascio,
considerando che anche tra di noi non mancano persone poco rispettose.
Certo queste situazioni rispecchiano ciò che accade nei paesi limitrofi così come in tutta Italia.
Ciò che non voglio è che il lettore pensi a me, autrice del testo, come a una razzista . . .
Ciò che penso e che voglio dire è che forse la situazione sia sfuggita di mano, che le istituzioni, da
quelle locali a quelle centrali dello Stato, non riescono a regolare un graduale inserimento degli
extracomunitari nella nostra comunità, facendo loro accettare e rispettare la nostra identità
nazionale.
Il timore di chi scrive è proprio quello di vedersi in futuro appunto non accettata e rispettata come
italiana e cattolica in “casa propria”.
Ciò non toglie, che mi auguro che la situazione possa migliorare quanto prima nel rispetto
reciproco, con spirito di libertà, legalità e fraternità; il mio pensiero in questo momento è andato alle
vittime del terrorismo di Parigi, persone che hanno perso la vita in casa propria, nella propria
quotidianità, uccise da coloro che hanno accolto.
Con un po' di tristezza, malinconia e nostalgia della giovinezza trascorsa in questo paese, chiedo a
mio padre di andare a riaprire la nostra vecchia casa, per disfare le valigie, pranzare e provare a
rintracciare amiche e amici che non vedo da anni.
QUATTRO AMICHE SPRINT
II B - I.C. Aldo Moro - S.S. I Grado – di Stornarella (Foggia)
Eravamo quattro amiche inseparabili. Io, Maria, Silvia ed Emanuela eravamo unite come sorelle e
avevamo fondato per questo motivo il Club delle Piccole Donne. A seconda del carattere, ognuna
prendeva il nome di una delle quattro sorelle. Io ero Amy, la vanitosa; Maria era Beth, la più
tranquilla e dolce; Silvia era Meg, la più matura e giudiziosa; Emanuela era Jo, la più coraggiosa e
ribelle. Il nostro Club aveva anche una sede: un vecchio casale, ormai abbandonato, che si trovava
poco distante dal paese e con vista mare. Lo avevamo chiamato il Casale delle Piccole Donne. Ci
ritrovavamo lì quasi tutti i giorni e organizzavamo attività come canti e balli. A volte parlavamo
anche di ragazzi. Un giorno Maria ci disse che si era innamorata di Valerio, un ragazzo che viveva
in un paese vicino al nostro. Ci parlò a lungo di lui e ci mostrò una sua foto, chiedendoci un parere.
Silvia ed io, vedendola presa da questo ragazzo, le consigliammo di stare con lui, se lui glielo
avesse chiesto. Emanuela invece sembrava cupa e triste. Le avevamo fatto ricordare la sua
delusione d’amore con Alex, un ragazzo milanese che era sceso al sud a trovare i suoi parenti. Alex
ed Emanuela si erano conosciuti al mare e il loro era stato amore a prima vista. Quando erano
insieme, Emanuela era sempre raggiante e felice. La loro storia durò circa un anno, fino al giorno in
cui Alex lasciò Emanuela per la sua migliore amica Stefania, che da allora divenne la peggior
nemica di Emanuela. Da allora non si salutarono neanche. Avevamo vissuto questo brutto momento
tutte e quattro insieme, che per fortuna era passato. Ritornava a volte la rabbia per quel che Alex
aveva fatto ad Emanuela. Decidemmo di andare in riva al mare a respirare libertà. Faceva così caldo
che decidemmo di fare un bagno per rinfrescarci. L’acqua era fredda, ma a noi piaceva immergerci,
scendere giù e riemergere più forti, raggianti e unite che mai. Tornata a casa, avevo come un brutto
presentimento. Il giorno dopo andammo a casa di Emanuela, ma lei non c’era. Era partita per
Milano e non ci aveva detto niente. Diventammo tutte tristi e camminavamo per strada pensando ai
bei momenti trascorsi insieme. Passarono i mesi ed Emanuela ancora non tornava. Un giorno i miei
genitori mi dissero che ci saremmo dovuti trasferire a Ravenna per un po’ di tempo. Dovetti salutare
Maria e Silvia, lasciare il mio paese e partire. Dopo dieci anni sono ritornata e ho riabbracciato
Maria, Silvia e ho ritrovato Emanuela, raggiante come sempre. Ci siamo raccontate degli anni
passati e abbiamo iniziato subito a fare progetti per il futuro, promettendo di restare sempre
insieme.