Anteprima - Unorosso

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Anteprima - Unorosso
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Capitolo 1
Per il resto del mondo, la stagione era ancora autunnale, segnata
da notti fresche e dai rimasugli verde-oro dell’estate. Per me, giù
in Louisiana, nel Garden District di New Orleans, le paludi che si
distendevano ben oltre la mia finestra in ospedale erano già entrate nell’inverno, un inverno caratterizzato da boschi scossi, svuotati
dall’acqua e legati da una rete di foglie grigie e di rampicanti morti
intrecciati così saldamente come delle corde attorno agli alberi.
Coloro i quali hanno provato la seguente esperienza non troveranno la mia descrizione esagerata, o addirittura di stampo metaforico. Un sogno da morfina non ha muri, né soffitto, né pavimento. Il
sonno che fornisce è come un bagno caldo, libero da preoccupazioni
sulla mortalità, dal dolore e da memorie del passato. Inoltre, Morfeo
ci consente visioni attraverso il terzo occhio di cui ignoravamo l’esistenza. I suoi accoliti possono vedere attraverso il tempo e diventare partecipi di eventi grandiosi che pensavano essere accessibili solo
attraverso libri di storia e film. Una volta ho visto una mongolfiera
sollevarsi dalla sua catena in Audubon Park, un soldato in uniforme
azionare il tasto telegrafico nel cesto, mentre più in basso altri membri dei Confederate Signal Corps si spartivano sandwich e bevevano
caffè da tazze di latta, tutti quanti imponenti e rigidi come figure in
una fotografia color seppia.
Non voglio essere troppo sentimentale riguardo alla mia esperienza nella struttura di riabilitazione in St. Charles Avenue, nei
quartieri alti di New Orleans.
Guardando fuori dalla mia finestra il bellissimo tram verde che
scende tremolante sui binari nello spartitraffico, il fiume di nebbia
che si gonfia dagli alberi di leccio, il neon rosa e viola della farmacia Katz & Besthoff, vivace come i roteanti tentacoli di fumo delle
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granate di segnalazione, sapevo con la morte nel cuore che quello
che stavo osservando era un’illusione, che in realtà la farmacia Katz
& Besthoff e i carretti di granite riparati dagli ombrelloni lungo la
St. Charles e l’allegria musicale della città erano scivolati nella storia
molto tempo prima, e da qualche parte ai margini della mia visione,
mi aspettava l’inizio dell’inverno permanente.
Sebbene io sia un credente, questo non ha diminuito il senso di
trepidazione che ho provato in quei momenti. Mi sentivo come se
il sole stesse facendo un buco nel cielo, facendolo annerire e collassare come un foglio di carta carbone gigante che improvvisamente
si accartoccia e si ripiega su se stesso, e io non potessi fare nulla per
invertirne il processo. Sentivo che una grande oscurità si stava estendendo su tutto il paese, non dissimile dall’inchiostro rovesciato su
una mappa topografica.
Molti anni fa, quando mi stavo riprendendo dalle ferite ricevute
in un paese del sud est asiatico, uno psichiatra dell’esercito degli Stati Uniti mi disse che i miei sogni indotti dalla morfina stavano creando quello che lui definì una “fantasia della distruzione del mondo”,
che aveva avuto origine nell’infanzia e nella dissoluzione della mia
famiglia. Era uno scienziato e un uomo istruito, e non discussi con
lui. Anche di notte, quando ero steso su una cuccetta di una nave
ospedale, lontano dalle zone di fuoco libero e dal rumore delle cinture di munizioni che scoppiano sotto un riparo che va a fuoco, non
discutevo. Né avevo contrastato la conoscenza dello psichiatra quando membri morti del mio plotone mi parlarono nella pioggia, e una
sirena con un volto asiatico mi attirava verso una caverna di corallo
decorata con ventagli rosa, i suoi fianchi ornati di monete gialle, la
sua bocca aperta, il suo petto nudo splendente dal colore dell’interno
di una conchiglia.
Il culto di Morfeo è davvero una strana comunità, e richiede che
si prenda residenza in un paese dove l’improbabile diventa luogo
comune. Non importa cos’ho fatto, né quante volte sono scomparso fuori dalla finestra nelle nebbie lungo la St. Charles Avenue, di
nuovo in un’epoca di jazz band che suonavano sui tetti e tram storici
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pieni di uomini in bombetta e donne che portavano parasoli, il bordo grigio acquoso di un pianeta arrugginito era sempre lì, intransigente e corrotto, un paese dove tarme e ruggine distruggono, e ladri
irrompono e rubano.
Nella mattina presto di un venerdì, chiesi all’inserviente nero
di aprire la finestra della mia stanza. Era contro le regole, ma l’inserviente era un uomo anziano e cortese che aveva passato cinque
giorni su un tetto dopo il cedimento degli argini durante l’uragano
Katrina, e non gli importava molto dell’autorità. Le finestre raggiungevano il soffitto ed erano bloccate da persiane verdi ventilate che
rimanevano chiuse durante il caldo del giorno per filtrare il riverbero del sole. L’inserviente aprì sia le finestre che le persiane e lasciò
entrare l’odore notturno di rose e camelie, magnolia e acquerugiola
che passava tra gli alberi. L’aria profumava del Bayou Teche quando
è primavera e i pesci depositano le uova sui giacinti d’acqua, le rane
fremono tra le tife e i cipressi sommersi. Profumava della terra che
avrei potuto odorare durante i primi giorni della creazione, prima
che comparissero orme a cinque dita sulle sponde del fiume.
O almeno penso che il nero abbia aperto le finestre. Persino oggi
non sono certo di cosa ho visto e sentito quella notte. Come un alcolizzato che ha paura sia della sua memoria che dei suoi sogni, ero
diventato cinico riguardo alle mie percezioni, più per la convinzione
che fossero reali, che per la paura che fossero illusioni.
Dopo che il nero lasciò la stanza, girai la testa sul cuscino e vidi il
volto di una ragazza cajun di nome Tee Jolie Melton.
«Salve, Mr. Dave» disse. «Ho letto tutto riguardo alla sparatoria
sui giornali. Eri anche in televisione. Non sapevo fossi qui a New
Orleans. Mi spiace vederti così malconcio. Parlavi in francese mentre dormivi.»
«È bello vederti, Tee Jolie. Come hai fatto ad entrare?» dissi.
«Dalla porta d’ingresso. Vuoi che venga a trovarti in un altro momento?»
«Mi puoi portare un bicchiere d’acqua?»
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«Ho qualcosa di meglio. Ti ho portato una Dr. Pepper e delle fette di lime, perché questo è quello che bevevi sempre quando venivi al
club. Ti ho portato anche qualcos’altro. E’ un iPod pieno di musica.
Ci ho caricato Beat Me Daddy, Eight to the Bar, perché so quanto ti
sia sempre piaciuta quella canzone.»
I suoi occhi erano verde-blu, i suoi capelli lunghi e color mogano
con trecce dorate lucenti come ranuncoli. Era parte indiana, parte
cajun e parte nera, apparteneva al gruppo etnico che noi chiamiamo
creoli, per quanto questo termine sia improprio.
«Sei la migliore.» dissi.
«Ricordi quando mi aiutasti con l’incidente? Sei stato molto carino. Ti sei occupato di tutto, e non ho avuto alcun tipo di problema
grazie al tuo aiuto.»
Non era un incidente. Per quanto ricordavo, era stato un incidente tra tre auto, ma non era questo il punto. L’aspetto più interessante
dell’incidente d’auto di Tee Jolie era la sua spiegazione scritta della
scena. Se ben ricordo, queste erano state le sue parole:
«Stavo facendo retromarcia quando questo palo della luce è venuto fuori dal nulla e ha sbattuto contro il mio paraurti. Stavo girando
a sinistra, ma qualcuno mi ha bloccato la strada, quindi, cercando di
essere gentile, ho attivato la freccia e tagliato attraverso il parcheggio
della scuola, ma non potevo immaginare che la catena fosse su in
quel momento, perché non lo è mai. Quando ho inserito la retro,
il signor Fortenot stava mettendo la spesa sul sedile posteriore, e la
maniglia della porta si è agganciata alla manica del suo cappotto e lo
ha trascinato sulla strada fino alla pompa di benzina che è esplosa.
Ho provato a dargli il primo soccorso, ma aveva già ingoiato questo
grosso pezzo di gomma che il pompiere ha dovuto tirargli fuori con
le dita. Penso che il signor Fortenot abbia quasi staccato a morsi
una delle dita del pompiere, e non ha nemmeno avuto la cortesia di
scusarsi.»
Tee Jolie preparò un bicchiere di Dr Pepper e ghiaccio con fette
di lime, ci mise una cannuccia e la portò alla mia bocca.
Indossava una camicia a maniche lunghe con fiori viola e verdi
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stampati. La sua gonna a pieghe era di un blu pallido e soffice, e
le scarpe sembravano minuscole ai suoi piedi. Si potrebbe dire che
Tee Jolie fosse fatta per l’obiettivo, la sua naturale bellezza era un
genere che supplicava di essere adorata su un palcoscenico o appesa
al muro. Il suo viso era sottile, i suoi occhi dal profilo allungato, e i
sui capelli pieni di onde come se avesse sciolto le trecce di recente,
sebbene questo fosse il look che aveva sempre avuto.
«Mi sento egoista ad essere venuta qui, perché non è solo per darti una Dr Pepper e l’iPod» disse. «Sono venuta a chiederti una cosa,
ma non lo farò adesso.»
«Puoi dirmi quello che vuoi, Tee Jolie, perché non sono nemmeno sicuro che tu sia qui. Sogno sia il giorno che la notte di persone
che sono morte da anni. Nei miei sogni soldati confederati e simili
sono vivi, proprio qui fuori dalla stanza.»
«Devono aver fatto una lunga strada, eh?»
«Puoi dirlo forte» risposi. «Mia moglie e mia figlia sono state qui
prima, e so che loro sono reali. Non sono sicuro di te. Senza offesa.
È solo che va così in questi giorni.»
«Io so qualcosa che non dovrei sapere, e mi spaventa, signor
Dave.» disse.
Era seduta sulla sedia, le caviglie vicine, le mani chiuse sulle ginocchia. Ho sempre pensato a lei come una ragazza alta, soprattutto
quando era sul palco dello Zydeco club, dove cantava, con una chitarra elettrica rosso-sangue appesa al collo. Ora sembrava più piccola
rispetto a poco prima. Alzò lo sguardo verso di me. C’era un neo
sull’angolo della sua bocca. Non avevo idea di cosa volesse dirmi.
«Hai a che fare con della brutta gente?» dissi.
«Non li chiamerei così. Come mai me lo chiedi?»
«Perché sei una brava persona, e qualche volta ti fidi di persone
di cui non dovresti. Brave donne tendono a farlo. Ecco perché molti
uomini non le meritano.»
«Tuo padre è rimasto ucciso nell’esplosione di un pozzo di petrolio, giusto? Al largo nel Golfo mentre tu eri in Vietnam. È giusto,
non è vero?»
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«Sì, lui lavorava alla gru.»
Come accadeva a molti creoli e cajun, c’era una peculiarità nella parlata di Tee Jolie. Era sgrammaticata e il suo vocabolario era
limitato, ma grazie alla cadenza della sua voce e all’inflessione, era
sempre piacevole ascoltarla, come una voce di un tempo più gentile
e riservato, anche quando quello che diceva non era piacevole da
pensare, in questo caso la morte di mio padre, Big Aldous.
«Sto con un uomo. È separato ma non divorziato. Molti uomini
lo conoscono. Gente famosa viene dove viviamo. Li ho sentiti parlare di centralizzatori. Sai cosa sono?»
«Vengono usati per la perforazione nei pozzi di petrolio.»
«Un gruppo di uomini sono morti perché forse non c’erano abbastanza di quei centralizzatori, o qualcosa del genere.»
«L’ho letto, Tee Jolie. È di pubblico dominio. Non dovresti preoccuparti del fatto che lo sai.»
«Qualche volta l’uomo con cui sto fa affari con gente pericolosa.»
«Forse dovresti allontanarti da lui.»
«Ci dobbiamo sposare. Avrò un bambino.»
Fissai lo sguardo sul bicchiere di Dr Pepper e ghiaccio appoggiato
sul comodino.
«Ne vuoi ancora?» chiese.
«Sì, ma la posso prendere da solo.»
«Se non fosse che vedo il dolore sul tuo volto quando ti muovi.»
disse. Portò il bicchiere e la cannuccia alla mia bocca. «Ti hanno
fatto molto male eh, Mr. Dave?»
«Mi hanno sparato per bene.» risposi.
«Hanno colpito anche il tuo amico, Mr. Clete?»
«Ci hanno colpiti entrambi. Ma li abbiamo atterrati tutti. Rimarranno morti a lungo.»
«Sono contenta.» disse.
Fuori dalla finestra, potevo sentire la pioggia e il vento che spazzava gli alberi, sparpagliando le foglie di quercia e gli aghi di pino
sul tetto.
«Ho sempre avuto la mia musica e il pezzo di terra che mio padre
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mi ha lasciato, e mia sorella, e mia mamma.» disse. «Ho cantato con
Bonsoir Catin. Sono stata la regina del Crawfish Festival a Breaux
Bridge. Ogni tanto penso a queste cose, ed è come se fossero passati
dieci anni anziché due. È cambiato tanto in così poco tempo, possibile? Mia mamma è morta. Ora siamo solo io e la mia sorellina,
Blue, e mio nonno a St. Martinville.»
«Sei una grande musicista, e hai una voce stupenda. Sei una bellissima persona, Tee Jolie.»
«Quando parli così, non mi fa stare bene. No, mi sento triste.»
«Perché?»
«Dice che posso abortire, se voglio.»
«Questa è la sua proposta?»
«Non ha ancora divorziato. Non è un uomo cattivo. Lo conosco.»
«Non dirmi il suo nome.» dissi.
«Perché?»
Perché vorrei piantargli un proiettile in mezzo agli occhi, pensai.
«Non è affar mio.» dissi. «Davvero mi regali questo iPod?»
«Mi hai appena visto.»
«Non posso fare affidamento in ciò che vedo e sento in questi
giorni. Davvero, voglio credere che tu sia reale. L’iPod è un regalo
troppo costoso.»
«Non per me. Mi dà più soldi del necessario.»
«Il mio portafogli è nel cassetto del comodino.»
«Devo andare, Mr. Dave.»
«Prenditi i soldi.»
«No. Spero ti piacciano le canzoni. Ce ne ho messe tre delle mie.
Anche una di Taj Mahal perché so che ti piace.»
«Sei qui davvero?» le chiesi.
Appoggiò la sua mano sulla mia fronte. «Scotti, tu.» Disse. Poi se
ne andò.
Nove giorni dopo, un omone con un vestito a righe, un papillon
e scarpe lustrate a sputo e un nuovo taglio di capelli che portava una
borsa di canapa a tracolla sulla spalla entrò nella stanza, avvicinò una
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sedia al letto e si infilò una sigaretta spenta in bocca.
«Non stai per fumare quella qui, vero?» gli chiesi.
Lui non si preoccupò di rispondere. I suoi capelli biondi erano
tagliati in modo da farlo sembrare un ragazzino. I suoi occhi erano
verde brillante, molto più energici di quello che avrebbero dovuto
essere, quasi strani. Appoggiò la sua borsa sul pavimento e cominciò
a tirar fuori riviste, due libri della biblioteca e una scatola di praline,
una confezione di succo d’arancia e una copia del Times-Picayune.
Quando si chinò, il suo cappotto si aprì completamente, mettendo
in mostra una fondina da spalla in nylon e una 38 di colore nero blu
che portava. Prese una bottiglia di vodka dalla borsa e svitò il tappo
e versò almeno tre pollici nella confezione di succo d’arancia.
«Già di prima mattina.» dissi.
Gettò la parte finale della sua sigaretta spenta nel cestino e bevve
dal contenitore, guardando fuori dalla finestra i pettirossi che svolazzavano tra le querce e il muschio bianco che si agitava nel vento.
«Dimmi se vuoi che me ne vada, grande uomo.»
«Non essere ingenuo.» dissi.
«Ho visto Alafair e Molly salire sulla loro auto. Quando torni a
casa?»
«Forse tra una settimana. Mi sento molto più forte. Dove sei finito?»
«Stavo cercando due fuggitivi. Devo ancora pagare le bollette.
Non dormo molto bene. Penso che il dottore si sia dimenticato del
piombo dentro di me.» I suoi occhi brillavano di una energia frenetica che non penso fosse legata all’alcol. Continuava a deglutire e a
schiarirsi la gola come se della ruggine si fosse bloccata lì.
«Le trote maculate si stanno muovendo. Dobbiamo uscire nell’acqua salata. La Casa Bianca dice che il petrolio è finito.»
Aspettò che dicessi qualcosa, ma io non risposi.
«Non ci credi?» disse.
«La compagnia petrolifera dice la stessa cosa. Non credi a loro?»
Giocherellava con le dita e guardava nel vuoto, e io sapevo che
aveva qualcosa in mente oltre all’esplosione del pozzo di petrolio nel
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Golfo.
«È successo qualcosa?» dissi.
«Ho avuto uno scontro con Frankie Giacano due notti fa. Te lo
ricordi? Scassinava le casseforti con suo cugino Stevie Gee. Si stava
scolando degli shot con un paio di zoccole in questo locale a Decatur; e io per sbaglio gli ho calpestato il piede, e lui mi dice, “Ehi,
Clete, mi fa piacere vederti, anche se probabilmente hai rotto un
paio delle mie dita. Almeno mi hai evitato il disturbo di venire nel
tuo ufficio. Mi devi ventimila dollari, più gli interessi ventennali.
Non so quanto sia in totale. Qualcosa come il debito pubblico del
Pakistan. Hai una calcolatrice con te?”»
Clete bevve dalla confezione, guardando gli uccelli agitarsi tra
gli alberi, la sua gola lavorava, le sue guance si riempivano di colore
come facevano sempre quando l’alcol andava dritto nelle sue vene.
Appoggiò la confezione sul comodino e sgranò gli occhi.
«Allora gli ho detto, “Mi sto bevendo una birra in santa pace qui,
Frankie, e ti chiedo scusa per aver calpestato le tue scarpe a punta,
che nessuno tranne gli italo-americani porta più, quindi mi siederò
laggiù nell’angolo e ordinerò un po’boy e leggerò il giornale e berrò
la mia birra, e tu non mi darai più fastidio. Capito?”. A quel punto,
davanti alle sue racchie, mi dice di aver aperto una vecchia cassaforte
di proprietà di suo zio Didi Gee, e di averci trovato una cambiale
che io avevo firmato per mille bigliettoni. E in tutti questi anni gli
interessi sono aumentati e ora gli dovevo il capitale e gli interessi.
Allora gli dico “Penso che un certo tipo di malattia venerea è salita
dalle tue parti basse fino al cervello, Frankie. In secondo luogo non
hai il permesso di chiamarmi per nome. Terzo, tuo zio Didi Gee,
che era una vasca di trecento libbre di merda di balena, è morto che
ancora mi doveva soldi, non il contrario”.»
«Frankie allora disse, “Se fossi un po’ più rispettoso, avrei trovato
una soluzione. Ma sapevo già cosa avresti detto. Per questa ragione
ho venduto la cambiale a Bix Golightly. Comunque sia, dà un’occhiata al cruciverba sul tuo giornale. Lo stavo facendo questa mattina e non riuscivo a trovare la soluzione per una parola di tredici
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lettere per una malattia delle ghiandole. E poi sei arrivato tu e mi
è venuta in mente. La parola è elefantiasi. Non ti sto prendendo in
giro. Controlla”.»
«Pensi che stesse mentendo sul fatto che ha venduto la cambiale
a Golightly?» chiesi.
«Chi se ne frega?»
«Bix Golightly è uno psicotico.» dissi.
«Lo sono tutti.»
«Metti via gli alcolici, Clete, almeno fino al pomeriggio.»
«Quando eri nel rifugio, hai mai smesso di bere perché qualcuno
te l’ha detto?»
Fuori c’era l’estate indiana, e la luce del sole tra i lecci sembrava
fumo dorato. Alla base dei tronchi degli alberi, all’ombra, i petali
della bella di notte erano aperti, e un gruppo di pettirossi dal petto
grasso stavano beccando nell’erba. Era una bella mattina, non una
di quelle in cui compromettersi o arrendersi al mondo ingannevole
in cui io e Clete Purcel avevamo speso gran parte della nostra vite
adulte.
«Lascia stare.» dissi.
«Lascia stare cosa?» mi chiese.
«La fogna in cui gente come Frankie Giacano e Bix Golightly
prosperano.»
«Solo i morti la pensano così. Tutti noi altri dobbiamo farci i
conti.»
Siccome non risposi, prese l’iPod e cliccò. Tenne un capo delle
cuffie vicino al suo orecchio e ascoltò, poi sorrise riconoscendola.
«Questi sono Will Bradley e Freddie Slack. Dove l’hai trovata?»
«Da Tee Jolie Melton.»
«Ho sentito che è scomparsa o che se ne è andata da qualche
parte. È stata qui?»
«Saranno state le due di notte, e mi sono girato sul cuscino e lei
era seduta lì, sulla stessa sedia dove sei seduto tu.»
«Lavora qui?»
«Non che io sappia.»
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«Dopo le dieci di sera questo posto è chiuso come un convento.»
«Mi aiuti ad andare in bagno?» dissi.
Appoggiò nuovamente l’iPod sul comodino e lo fissò, il ritmo
trascinante di Beat Me Daddy, Eight to the Bar usciva ancora dalle
imbottiture di gommapiuma sulle cuffie.
«Non mi dire cose del genere, amico.» disse. «Non spetta a me.
Non ascolterò più questo genere di discorsi.»
Alzò la confezione di succo d’arancia e bevve da essa, fissandomi
con solo un occhio come un ciclope.
Clete aveva due uffici di investigazione privata, uno in Main Street a New Iberia, al di là della bayou country, e uno a New Orleans,
sulla St. Ann nel French Quarter. Dopo Katrina, aveva comprato e
ristrutturato un edificio sulla St. Ann che aveva precedentemente
affittato.
Con grande orgoglio, viveva al secondo piano sopra il suo ufficio,
con una bella vista dal suo balcone sulla St. Louis Cathedral e le
querce e il giardino verde scuro recintato dietro a essa. Come investigatore privato faceva il lavoro sporco per garanti e avvocati, mogli
che volevano i propri mariti traditori falliti in tribunale per il divorzio, e cornuti che volevano le loro mogli e i loro amanti crocifissi. Il
lato positivo della situazione è che Clete si offriva a prezzi quasi pro
bono a genitori in lutto i cui figli scomparsi erano stati ascritti come
fuggitivi, o a persone i cui familiari erano stati portati in prigione e
persino messi nel braccio della morte.
Era disprezzato da molti suoi vecchi colleghi del New Orleans
Police Department e dai rimasugli della mafia. Era anche la disgrazia
delle compagnie di assicurazioni per via della enorme quantità di
danni alle proprietà da Mobile a Beaumont. Se l’era filata da New
Orleans per un’accusa di omicidio dopo aver sparato e ucciso un
testimone federale, e aveva combattuto a fianco dei comunisti in El
Salvador. Aveva anche ricevuto la Croce della Marina, la Stella d’Argento e due Cuori Porpora.
Quando un aereo privato carico di mafiosi era caduto sul fianco
di una montagna nell’ovest del Montana, l’indagine della National
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Transportation Safety Board aveva determinato che qualcuno versò
della sabbia nel serbatoio del carburante. Clete lanciò una valigia
nel retro della sua Caddy decappottabile arrugginita e filò via da
Polson, Montana, come se stesse bruciando tutto. Fece cadere un
funzionario corrotto del Teamster a testa in giù dal balcone di un
hotel in una piscina vuota. Versò un dispenser di sapone liquido
nella gola di un sicario nella toilette degli uomini dell’aeroporto di
New Orleans. Ammanettò un membro del Congresso ad un idrante
sulla St. Charles Avenue. Aprì una manichetta contro un sicario nel
casinò in fondo a Canal Street e lo fece volare in un cesso della toilette come un disco da hockey umano. Distrusse la casa di un gangster
sul Pontchartrain con una motolivellatrice, abbattendo i muri, rivoltando i pavimenti, e riducendo i mobili a pezzi, sradicando anche
i cespugli e i fiori e gli alberi, schiacciandoli assieme ai mobili da
giardino nella piscina.
Un giorno qualunque nella vita di Clete Purcel era come un asteroide che rimbalzava attraverso Levittown.
Pedofili, papponi, spacciatori, e uomini che abusavano di donne
non potevano rilassarsi e avevano paura di lui come della collera
divina. Ma il ruolo di Clete come allegro burlone e classico prestigiatore di folklore aveva un prezzo. Un demone viveva nel suo petto
e non gli dava tregua. Lo aveva portato con se dall’Irish Channel a
New Orleans al Vietnam e nei bordelli di Bangkok e Cherry Alley a
Tokyo e di nuovo a New Orleans. Nella mente di Clete, lui non era
degno dell’amore di una brava donna; né si era mai dimostrato all’altezza agli occhi di suo padre alcolizzato, un lattaio che tirava fuori
la sua rabbia sul suo primogenito confuso e sofferente abbassandogli
l’autostima.
I suoi due visitatori avevano parcheggiato le loro auto a Decatur
e avevano camminato per Pirates Alley, avevano passato la piccola libreria che una volta era l’appartamento di William Faulkner, quindi
avevano salito le scale dell’edificio di Clete, dove uno di loro batté
forte alla porta col palmo della mano.
Era sera, e Clete si era appena fatto la doccia dopo un’ora ad
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alzare pesi vicino al muro di pietra nel suo cortile. Il cielo era color
malva e pieno di uccelli, i banani nel suo cortile tremanti nella brezza che soffiava dal Pontchartrain. Aveva appena indossato dei pantaloni nuovi e calzini bianchi e dei sandali con una camicia hawaiana,
la sua pelle ancora luminosa per il calore della doccia, i suoi capelli
umidi e pettinati, sempre fischiettando una melodia e non vedendo
l’ora di sedersi al suo tavolo davanti ad una scodella di gumbo di
gambero e una pagnotta di pane francese al burro. Era quel tipo di
serata senza tempo nella Louisiana quando la primavera e l’autunno,
l’inverno e l’estate si uniscono in un equinozio perfetto, così delizioso e piacevole al calar della luce da sembrare una violazione ad
un’ordinanza divina. Era una serata bellissima in ogni modo possibile. I musicisti di strada stavano suonando in Jackson Square; l’aria
profumava dei bignè che venivano preparati al Café du Monde; le
nuvole erano striate come strisce di fuoco su di una fascia di luce blu
che rimaneva ancora attaccata alla base del cielo. Forse c’era anche
una possibilità di vedere inaspettatamente il sorriso di una bellissima
donna. Era una di quelle sere che sarebbe stata buona per qualunque
cosa tranne che per una visita inaspettata da parte di Bix Golightly
e di un killer part-time ricoperto di pustole, teppista a tempo pieno,
di nome Waylon Grimes.
Clete aprì la porta. «Oggi sono chiuso. Se avete affari con me,
chiamatemi in ufficio domani e prendete un appuntamento.» disse.
Bix Golightly aveva ancora le spalle spioventi, il petto piatto,
braccia vascolari e cicatrici attorno agli occhi che lo avevano marcato
quando faceva pugilato ad Angola, rompendosi il naso, spaccandosi
labbra e denti, rovesciando i paradenti degli avversari oltre le corde
nella folla sul green. La sua faccia era tutta ossa, il ponte del suo naso
storto, il suo taglio di capelli stretto, la sua bocca un mesto taglio.
Certa gente diceva che Bix si facesse di metanfetamine. Altri dicevano che non ne aveva bisogno; Bix era venuto fuori dall’utero di sua
madre con un’erezione, ed era sempre stato in overdrive.
Tre piccole gocce verdi erano tatuate all’angolo del suo occhio.
Una stella rossa era tatuata sulla gola, proprio sotto la mandibola.
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«Sono felice di vedere che stai così bene.» disse Bix. «Ho sentito
che hanno sparato a te e al tuo amico Robicheaux. Ho anche sentito
che hai ucciso una donna. O è stato Robicheaux a finirla?”
«Sono stato io. Che fai qui, Bix?»
«Frankie Gee ti ha parlato del fatto che mi sono comprato la tua
cambiale?» disse.
«Sì, so tutto a riguardo. Con tutto il rispetto, questo affare della
cambiale è falso.» disse Clete. «Penso che Frankie ti abbia preso in
giro. Spero che tu non te la sia presa troppo.»
«Se è falso, perché c’è il tuo nome scritto sopra?» chiese Bix.
«Perché una volta giocavo a Bourrée con i fratelli Figorelli. Ho
perso un po’ di denaro in una puntata, ma mi sono rifatto la settimana successiva. Non ho idea di come quella cambiale sia finita nella
cassaforte di Didi Gee.»
«Forse perché eri ubriaco marcio.»
«É una possibilità. Ma non lo so, non ricordo e non mi interessa.»
«Purcel, non lo so e non mi interessa non funzionano.»
«Farebbero meglio a funzionare, perché questo è. Che ci fa qui
Waylon?» disse Clete.
«Lavora per me. Perché lo chiedi?»
«Ha ucciso un bambino di quattro anni, ecco perché.» rispose
Clete.
«Quello è successo durante una rapina. Waylon è la vittima, non
quello che ha fatto la rapina.» disse Bix.
«Ha fatto retromarcia sopra un bambino e ha fatto testimoniare
ai genitori che è stato un rapinatore d’auto.» disse Clete.
«Questo non lo sapevo.» disse Bix, guardando il suo amico. «Cos’è
questa storia di minacciare i genitori, Waylon?»
«Mi hai beccato.» disse Waylon Grimes. Era un uomo piccolo
con un petto concavo, sottili baffi rossi a matita e capelli che si appoggiavano alle orecchie come stringhe. Portava la camicia fuori dai
pantaloni, le maniche abbottonate ai polsi come le portavano i malviventi negli anni cinquanta, una catena agganciata al portafogli nella sua tasca nera. Si accese una sigaretta, le sue mani a coppa attorno
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all’accendino. «Vuoi che me ne vado di sotto?»
«No, resta dove sei.» disse Bix. «Purcel, io non sono avido. Ho
controllato le tue finanze. Hai circa cinquantamila azioni in questo
posto. Puoi prendere in prestito le azioni e dare a me l’assegno, visto che non hai contante. Ma non mi importa in che tagli, voglio
trentamila. Li voglio anche in sette giorni lavorativi. Non cercare di
fregarmi su questo, amico.»
«Io voglio un brevetto retroattivo sulla ruota, ma questo non significa che possa averne uno.» rispose Clete.
«Posso usare il bagno?» chiese Waylon.
«È rotto.» disse Clete.
«Sei con una donna?» disse Waylon.
Clete fece un passo avanti, forzando i due visitatori ad arretrare
sul pianerottolo, una banda di ottoni prendeva vita nella sua testa.
«Ascoltate, voi pezzi di merda.» disse. «Se mai tornaste ancora
qui, vi farò a pezzi. Non è una metafora. Vi strapperò le vostre braccia e gambe dal corpo e ve le ficcherò su per i vostri culi. Avete voglia
di scherzare? Lo spero, perché ho intenzione di farvi neri dalla testa
ai piedi.»
Waylon aspirò profondamente la sua sigaretta, facendo uscire il
fumo lentamente, come palle di cotone umido che salivano dalla
bocca. Fece cadere la sigaretta sul pianerottolo e la schiacciò con la
scarpa e guardò Bix Golightly, la sua espressione contemplativa. «Mi
trovi all’alimentari vietnamita.» disse.
«No, adesso risolviamo questa cosa.» disse Bix. «Tu non parli ai
miei dipendenti in questo modo, Purcel. Oltretutto abbiamo molte
cose in comune. Lo sapevi che ci trombavamo la stessa ragazza, quella con le tette extra-large?»
«Questo tizio è un idiota e uno che non paga i debiti, Bix.» disse
Waylon. «Perché perdere il tuo tempo a parlare con lui? Lo sai come
andrà a finire.»
Scese le scale, tanto indifferente al suo datore di lavoro quanto
alla minaccia di Clete.
Si fermò in fondo, il vento soffiava attraverso il foyer di mattoni,
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James Lee Burke
stropicciandogli i vestiti. Guardò in alto le scale verso Clete.
«Per quanto riguarda quel bambino che si è fatto stritolare sotto
la macchina, era un mongoloide e indossava ancora i pannolini, anche se aveva quattro anni. L’unica ragione per cui i suoi genitori lo
tenevano era l’aiuto che ricevevano dallo Stato. Stava anche giocando in strada, e non doveva stare lì, soprattutto perché i suoi non lo
stavano guardando. Se me lo chiedi, è meglio che se ne sia andato.»
Prima che Clete potesse rispondere, Bix Golightly si avvicinò a
lui, bloccando la vista di Clete sul foyer, il calore del suo corpo e l’odore astringente del suo deodorante salirono al volto di Clete. «Puoi
leggere il mio tatuaggio?» disse.
«Tu che ne pensi?»
«Dimmi cosa dice.»
«Le lacrime significano che hai sparato a tre tizi per il bordello
ariano. La stella rossa sulla tua carotide dice ai tipi ambiziosi di dare
il meglio. Sei un culo che cammina per ogni cazzone della zona.»
«Credi di essere un duro perché hai mangiato un paio di proiettili
sul bayou? Duro è quando non hai nulla da perdere, quando non te
ne frega nulla, quando non te ne frega nemmeno se andrai all’inferno o no. Sei così tanto un duro, Purcel?»
«Non ti seguo.»
«Farò venire un perito a dare un’occhiata alla tua proprietà. Abbiamo una possibilità qui. Non far andare le cose fuori controllo.»
«Non soffiarti il naso troppo forte, Bix. Penso che il tuo cervello
abbia cominciato a sciogliersi.»
Bix prese un foglio piegato di un taccuino a righe dalla tasca della
sua camicia e lo passò a Clete. «Controlla gli indirizzi e guarda se li
ho presi giusti.»
Clete aprì il foglio di taccuino e fissò le lettere e i numeri scritti a
matita su di esso, la sua fronte sudava. «E se ti passassi questo sulla
gola?» disse.
«Sì, lo puoi fare, purché non ti dispiaccia che Waylon sappia dove
vivono tua sorella e tua nipote. Dall’odore direi che stai cucinando gumbo. Passa una buona serata. Mi piace questo quartiere. Ho
Creole Belle
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sempre desiderato viverci. Tu, stupido, non rimanerci. Non restare
bloccato con l’uccello nella presa elettrica.»