L`IMPORTANZA DELLA MEMORIA TRA ORRORE DEL PASSATO E
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L`IMPORTANZA DELLA MEMORIA TRA ORRORE DEL PASSATO E
L'IMPORTANZA DELLA MEMORIA TRA ORRORE DEL PASSATO E RISCHIO PER IL PRESENTE Un’allucinante furia razzista prese i tedeschi sin dai primi giorni di guerra, ma già da anni i “teorici” della supremazia germanica su tutti gli altri popoli della terra avevano seminato il veleno dell’odio tra gli uomini. I processi intentati ad alcuni responsabili nazisti hanno rivelato i sistematici piani di sterminio con i mezzi più subdoli e più efficienti. Nei territori occupati sorsero a decine i campi di concentramento: Auschwitz, Belsen, Buchenwald, Ravensbruck sono i nomi dei più famigerati; in essi furono “eliminati” dodici milioni di uomini. Un’esperienza come quella che abbiamo vissuto visitando il campo di Buchenwald è un importante ammonimento a scolpire nel cuore i terribili ricordi del recente passato, perché per nessuna ragione, in nessun altro caso, si ripetano tali crimini e si violenti la sacralità della vita umana. L’importanza della memoria di questi terribili eventi deve però avere come presupposto la consapevolezza che lo sterminio umano avvenuto nella Germania nazista non può essere attribuito unicamente alla follia di un solo uomo, ma trova le sue radici e terreno fertile in un intero popolo che era stato suggestionato da un’idea che aveva iniziato a prender corpo già dal periodo della Belle Epoque. Più che ricordare gli accadimenti orribili ed agghiaccianti all’interno dei campi di concentramento, è forse più importante ragionare su quali siano stati i meccanismi e le condizioni che hanno permesso che la follia di un uomo venisse accettata da un’ intera nazione, per evitare che non vengano mai più a crearsi. Il razzismo non è scaturito dal nulla, e tantomeno ha avuto inizio negli anni trenta, si tratta in realtà di idee molto antiche. Fu però solo dal periodo della Belle Epoque che queste idee trovarono un sostegno razionale nella scienza, e nacque l’idea di portar avanti una selezione della razza umana che “purificasse” il sangue degli uomini. Quello fu anche un periodo di grandi progressi scientifici, durante il quale compirono i loro studi Mendel, avviando la moderna genetica, e Charles Darwin, che formulò le sue teorie sulla selezione biologica naturale delle specie, evoluzione collaterale delle quali furono le idee scientifiche di suo cugino, Francis Galton. Il nome che Galton attribuì alle sue idee fu “Eugenetica”: gi individui migliori dovevano essere incrociati, mentre a quelli imperfetti doveva essere impedita la riproduzione. Erano le istituzioni che dovevano promuovere una selezione della specie e impedire la riproduzione degli individui imperfetti, più deboli, fuori da un predefinito canone di perfezione e da certi parametri, che “rallentavano la marcia” dei predestinati verso il miglioramento sistematico della razza. In quel periodo gli scienziati erano forse troppo privi di dubbi riguardo il futuro e la razionalità dell’uomo e della vita. Sorge dunque spontaneo il quesito ricorrente sui rapporti che devono intercorrere tra scienza e potere: il progresso è sempre un bene, se i frutti della scienza diventano i semi da cui nascono idee malvagie? La memoria deve servirci non tanto per compiangere in maniera sterile, superficiale e senza scopo le vittime dell’olocausto, ma per capire come la Germania nazista abbia potuto raggiungere un tale livello di aberrazione, e per far in modo che i meccanismi che hanno portato a questo non si ripetano mai più. I nazisti non erano improvvisati nella gestione dei campi di concentramento: è impossibile decidere da un giorno all’altro di sterminare milioni di persone, bisogna avere già un’”esperienza”. Quella macchina terribile, produttrice fredda e seriale di morte era frutto dell’esperienza di tanti anni di esperimenti con cavie umane e soppressioni negli ospedali psichiatrici. E il popolo non poteva non esserne a conoscenza: alle spalle di quest’attività c’era una vera industria (basti pensare alle industrie chimiche produttrici di veleni necessari, alle industrie che costruivano i forni crematori …). Sarebbe comodo pensare che certe cose capitano solo una volta, frutto della follia di pochi, dei “cattivi”. Non é possibile stabilire una causa unica e precisa che possa giustificare quello che successe in Germania a partire dal 1930, ma fu sicuramente molto importante per dar corso a quegli eventi la crisi economica mondiale del 1929. In una Germania in cui non si riusciva a provvedere alle primarie necessità a causa dell’inflazione, sembrava ovvio doversi sbarazzare di persone che vivevano sulle spalle dello Stato senza produrre niente, come i malati mentali. La follia nazista si è innestata in una società impaurita dalla crisi, e nella quale pian piano erano state accettate come razionali e scientifiche le idee dell’eugenetica. Inoltre il nazionalismo tedesco, come riscatto dalla sconfitta della prima guerra mondiale, proponeva il popolo tedesco come razza sana e pura, discendente dei fieri popoli descritti da Tacito come incorrotti e sempre temuti dai Romani. Anche nel pensiero di un filosofo come Hegel la Germania trova massima espressione nella guerra, con la quale deve portare la sua civiltà superiore agli altri popoli. In Europa allora inizia ad essere accettata l’idea di una selezione dei caratteri, della possibilità di decidere chi ha diritto di vivere e chi no. Nella sua missione civilizzatrice la Germania era infatti rallentata dai cittadini impuri. Anche anni prima del Mein Kampf circolava in Germania un libro dal titolo: “il permesso di annientare vite indegne di essere vissute”. Si iniziò prima con la sterilizzazione delle persone “inadatte” poi si iniziarono a uccidere in modo sistematico i neonati malformi (le ostetriche e i medici di famiglia erano stati invitati a segnalare le nascite di bambini mentalmente ritardati o deformati con malattie ereditarie) per passare alla soppressione negli ospedali psichiatrici dei malati di mente e dei disabili. Agghiacciante è che prima della Germania hanno fatto uso della pratica della sterilizzazione paesi come Stati uniti, Svezia, Danimarca, Norvegia e Svizzera, anche fino a pochissimi ani fa. Quello che lascia attoniti è che ogni cittadino era perfettamente informato che esseri umani all’interno degli ospedali psichiatrici erano utilizzati come cavie e uccisi in nome della scienza. Semplicemente i cittadini, come i medici responsabili ed i loro collaboratori, non si rendevano ormai più conto dei loro crimini: erano persone normali, tedeschi e non nazisti ma l’idea eugenetica era pian cresciuta nelle coscienze degli uomini ed aveva trovato legittimazione. Uccidere un uomo perché “imperfetto” era accettato dalla società e considerato scientificamente giusto per il progresso comune. L’importanza della memoria, del ricordo, sta proprio in questo: non si può di certo condannare un popolo, ma non si può nemmeno credere che il nazismo sia stato frutto di pochi uomini squilibrati, i cattivi che hanno sobillato il popolo e lo hanno costretto a seguirli. Ragionando su queste vicende, che hanno pian piano fatto crescere la credenza di dover preservare la razza perfetta, ci mostra che i primi morti in nome della perfezione genetica non sono stati fatti da uomini in divisa e armati, ma dai medici di famiglia e dalle ostetriche, dalla Germania civile. La memoria ci dovrebbe anche spingere senza pregiudizi a chiederci cosa avremmo fatto noi se fossimo stati parte di quella civile Germania: avremmo sopportato un simile governo senza opporre resistenza? Sicuramente ci sono stati tentativi di opposizione al sistema, ma la nostra domanda deve rimanere senza risposta, perché certe esperienze si può giudicarle solo avendole vissute. Piuttosto la domanda deve spingerci a mantenere sempre gli animi e le coscienze all’erta, sempre critiche e attente per evitare che convergano tutte su un unico pensiero conformista, ed accettare dunque le idee diverse dalle nostre e le opinioni altrui. In Germania in quegli anni la spiegazione che uomini malati pesavano economicamente sui sani, e rallentavano il progresso verso la razza pura era stato inculcato nelle persone da una martellante campagna di informazione, che andò dalla propaganda e dai manifesti all’autorità di documentari scientifici e persone autorevoli del mondo medico-scientifico che sostenevano le tesi eugenetiche. Fu poi un passo, la naturale conseguenza di un processo, il passaggio dopo il 1939 alla forma di sterminio di massa attuato nella “Soluzione finale” dei campi di concentramento. Il momento storico attuale è particolarmente pericoloso, sia per la crisi economica che, come detto, fu un importante presupposto per il diffondersi delle tesi razziali, sia per la pericolosa omologazione e per il conformismo che la società dei consumi è riuscita a produrre forse in maniera ancor più profonda di quanto non fossero riusciti a fare i regimi dittatoriali del secolo scorso. Un’intervista Rai fatta allo scrittore Pierpaolo Pasolini nel 1974 è incredibilmente attuale e denuncia con chiarezza ed efficacia il pericolo di una “dittatura mascherata” della borghesia in cui apparentemente ogni uomo è libero ma in realtà le coscienze sono sopite e rispondono solo agli stimoli imposti dalla società di consumo, e chi è fuori dallo stereotipo è un inetto, un emarginato della società. Una dittatura che non usa armi ma con mezzi più subdoli imbonisce le menti e le schiavizza alle logiche del denaro e del benessere. Queste le parole del poeta: “Il regime è un regime democratico […] però quella aculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere il potere di oggi, cioè il potere della civiltà dei consumi, invece riesce a ottenere perfettamente; distruggendo le varie realtà particolari,togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l'Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato. […] il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi.” Il rischio è di creare una società che è solo una giungla economica priva di solidarietà sociale, basata solo sull’individualismo e la competizione. Se ognuno pensa solo a sé e al proprio interesse la memoria di quello che è stato sarà vana, come la morte di milioni di persone. A tal fine dovremmo ricordare l’insegnamento di una poesia del grande poeta tedesco Bertolt Brecht: Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare. Il male perpetrato nei campi di concentramento era “a prova di razionalità”: pochi tedeschi servirono per uccidere un enorme numero di persone, i lager erano una efficientissima macchina di morte nei quali ogni ingranaggio doveva funzionare alla perfezione. Per distruggere le vittime le SS ne coltivarono la razionalità: gli stessi prigionieri erano utilizzati per sorvegliare, soggiogare i compagni e addirittura recuperare i cadaveri dalle camere a gas. Non è facile infatti dividere in due schieramenti precisi “i buoni” e “i cattivi”, come ci ricorda Primo Levi nel suo libro “I sommersi e i salvati”. Nel lager, come nella vita c’è una zona grigia nella quale la parte dei “buoni”, “il noi perdeva i suoi confini,[…]il nemico era intorno ma anche dentro” (cit. Primo Levi, “I sommersi e i salvati”) in una guerra di tutti contro tutti. Levi ricorda che si cercava in questo modo di demolire anche psicologicamente i deportati, ridurli alla condizione di carnefici di loro stessi, quasi per ricordare loro che, benché fossero vittime, non erano più umani, migliori dei loro carnefici. Il terrore causato dal nazismo ha trovato la sua efficacia basandosi sulla razionalità. È riuscito a far capire al suo popolo che in nome della razionalità e della logica si doveva andare contro anche alla morale. La propria difesa individuale implicava il non interessamento alla distruzione degli altri. La logica della razionalità aveva indotto l’uno contro l’altro. Se il nazismo era riuscito ad ottenere un tale imbonimento delle menti negli anni trenta, pensiamo ai rischi che corriamo oggi, nell’era di internet, dei social network e di tutti quei potenti mezzi di comunicazione che possono diventare un’arma in mano alla società dei consumi, così come temeva Pasolini. L’Olocausto diventa allora la metafora della società moderna, tutta improntata sulla razionalità ed il profitto. L’olocausto è l’estremizzazione del nostro modo di vivere e concepire le cose. Non è purtroppo una cosa lontana e irripetibile. Ecco allora l’importanza di un viaggio nella memoria come quello che abbiamo fatto a Buchenwald. Ci ha insegnato a chiederci sempre se siamo veramente liberi nel pensare cosa è giusto, ad essere consapevoli che se un qualcosa è razionale non è detto sia anche rivolto al bene. Non dobbiamo avere paura delle nostre idee, della peculiarità nostra e degli altri e del libero confronto di pensiero, dobbiamo essere indipendenti nei nostri ragionamenti, senza pregiudizi e senza farci condizionare in maniera acritica dai modelli imposti. Gabrielli Alessio 4D