VERBALE DI ASSEMBLEA del 22-23
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VERBALE DI ASSEMBLEA del 22-23
ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA Ufficio stampa Rassegna stampa 10 marzo 2006 Responsabile : Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – e-mail:[email protected]) 1 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA SOMMARIO Pag. 3 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA: Meno ricorsi davanti ai Tar (il sole 24 ore) Pag. 4 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA: Il calo del contenzioso (il sole 24 ore) Pag. 5 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA: Nel 2005 calano i ricorsi (professionisti) Pag. 6 UNIVERSITA’: Rettori contro la riforma del Miur (professionisti) Pag. 7 ORDINI: Confronto sulla Giustizia - Brutti(Ds):Avvocati, l’Ordine non va abolito (il denaro) Pag. 8 INAPPELLABILITA’: Entra in vigore e finisce subito alla Consulta (diritto e giustizia) Pag.10 INAPPELLABILITA’: L'inappellabilità va alla Consulta (il sole 24 ore) Pag.12 INAPPELLABILITA’: Ragionevoli dubbi riscoperti di Luigi Domenico Cerqua (il sole 24 ore) 2 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA IL SOLE 24 ORE Ieri l'apertura dell' anno giudiziario Meno ricorsi davanti ai Tar ROMA. Davanti ai giudici amministrativi arrivano sempre meno ricorsi: nei Tar si è passati da oltre 80mila cause del 2004 a poco più di 62mila dello scorso anno; gli appelli al Consiglio di Stato si sono fermati, nel 2005, a 7.036, 844 in meno dell' anno prima. A far affievolire la voglia di litigare è l'aumento del costo del contributo unificato sulle controversie e la prassi sempre più diffusa di condannare al pagamento delle spese la parte soccombente. L'arretrato. Sta di fatto che la riduzione del contenzioso, unita alla maggiore produttività dei magistrati amministrativi (si definiscono più ricorsi di quanti ne vengano incamerati), contribuisce all'erosione dei fascicoli arretrati, che nei tribunali risultavano, a inizio anno, oltre 689mila e a Palazzo Spada più di 24mila. Per quanto ormai da tempo l'arretrato diminuisca, rimane comunque un «annoso problema». Così l'ha definito Alberto de Roberto, presidente del Consiglio di Stato, che ieri, alla presenza del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha aperto l'anno giudiziario. Bilancio di fine mandato. Per de Roberto è stata l'ultima cerimonia, perché a dicembre lascerà la magistratura, dopo «52 anni al servizio della Giustizia amministrativa, di cui ben 45 nei ruoli di Palazzo Spada, con una lunga presidenza al vertice dell' Istituto». «Mi considero un uomo fortunato», ha commentato. La relazione ha rappresentato, dunque, l'occasione per tracciare un bilancio dell'attività dei Tar e del Consiglio di Stato più ampio dell'arco di un anno. La giustizia amministrativa, ha sottolineato de Roberto, ha saputo evolversi al passo con i tempi e offrire risposte adeguate di fronte a un ordinamento che, soprattutto nell'ultimo mezzo secolo, ha conosciuto «tumultuose trasformazioni». A margine della cerimonia, de Roberto ha, però, precisato che «esiste una questione di confini tra la giustizia amministrativa e quella ordinaria». Si tratta «di un problema non corporativo, ma che riguarda i cittadini, che hanno diritto di conoscere a quale giudice rivolgersi per risolvere la controversia». «Ci dobbiamo dare una calmata», ha aggiunto: le due giurisdizioni devono entrambe contribuire a chiarire meglio le rispettive competenze. Il presidente del Consiglio di Stato è stato, poi, invitato - sempre a margine della cerimonia - ad alcune considerazioni sulla recente sentenza sul crocefisso nelle aule scolastiche. «Il giudice - ha affermato- non deve essere il postumo difensore delle sue decisioni. Sono abituato a rompere il cordone ombelicale con le sentenze. Non vorrei porre quella sul crocefisso su un piano diverso dalle altre». Le sospensive. Riguardo al contenzioso, un aspetto significativo è risultato quello relativo alle istanze cautelari: dei 62mila ricorsi presentati nel 2005 davanti ai Tar - ha spiegato nella relazione de Roberto - circa 40mila chiedevano anche la sospensiva. In appello il rapporto è ancora più elevato: su 7mila cause, più di 5.500 erano accompagnate dall'istanza cautelare. Basso, invece, il numero di impugnazioni contro le sospensive pronunciate dai Tar: 3.600 appelli contro circa 30mila ordinanze cautelari decise in primo grado. ANTONELLO CHERCHI 3 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA IL SOLE 24 ORE Il calo L’andamento del contenzioso Ricorsi 2004 2005 Var% 24.595 7.036 7.413 -1,5 -10,7 -9,2 CONSIGLIO DI STATO Pendenti Pervenuti Definiti 24.972 7.880 8.161 TAR Pendenti Pervenuti Definiti 787.567 80.320 111.030 738.339 62.046 111.274 -6,3 22,8 -02 4 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA PROFESSIONISTI Nel 2005 calano i ricorsi E’ l’effetto del passaggio di alcune competenze dallo Stato alle Regioni. Lo ha rilevato, nella relazione annuale, Alberto De Roberto, presidente del Consiglio di Stato Si riduce il volume del contenzioso giurisdizionale nell’anno appena trascorso per effetto della riforma del titolo V della Costituzione che ha spostato diverse competenze dallo Stato centrale alle regioni. È quanto ha rilevato ieri nella sua relazione annuale, a palazzo Spada a Roma (la sede del Consiglio di Stato, ndr), il presidente del Consiglio di Stato, Alberto De Roberto. Tra le prime file di magistrati ed esperti di giustizia amministrativa presenti all’inaugurazione dell’Anno giudiziario c’erano anche il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il presidente della Corte Costituzionale Annibale Marini e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, in rappresentanza del Governo. De Roberto ha sottolineato che i ricorsi in primo grado nel 2005 «nell’area del contenzioso giurisdizionale» hanno subito «una sensibile flessione», passando dagli 80 mila del 2004 ai 62 mila dell’anno scorso. Anche per quanto riguarda «l’attività consultiva obbligatoria in relazione agli atti normativi rilevo che nel 2005 risultano pervenute 112 richieste di parere», un dato nella media che ha preso avvio dal 2001 secondo De Roberto, che prosegue: «Quanto poi ai ricorsi straordinari il loro numero ascende a 5.500 nel 2005, un numero che eccede di poco la media dell’ultimo decennio, ma di molto inferiore agli 11 mila ricorsi del 2004 dovuti alla presenza di circa seimila impugnative seriali dei dipendenti di una amministrazione statale». I quesiti in sede di consultazione facoltativa, infine, «sono stati ottanta, con una lieve flessione rispetto alla media del precedente decennio oscillante tra i cento e i centodieci». Resta però, ha sottolineato De Roberto, il problema dell’arretrato: «È evidente che la differenza tra le entrate e le uscite non è tale da lasciar prevedere, in entrambi i gradi, in tempi brevi, la risoluzione dell’annoso problema dell’arretrato, che rimane comunque sempre al centro della nostra attenzione. Innanzi al consiglio di Stato comunque - ha sottolineato il presidente - il numero dei ricorsi in entrata sembra aver sopportato una flessione anche se più limitata, pur in termini percentuali, rispetto al primo grado: risultano introitati nel 2005 poco più di settemila ricorsi rispetto ai settemilaottocento del 2004». Note positive, sottolinea invece il presidente De Roberto, per quanto riguarda il lavoro in uscita, ovvero i pareri espressi nel 2005 dalla giustizia amministrativa sia in primo grado che in secondo (Tar e Consiglio di Stato): il numero delle decisioni conclusive dei ricorsi in primo grado, ha spiegato De Roberto, nel 2005 «resta sensibilmente maggiore di quello dei ricorsi in entrata. Risultano, infatti, definiti quasi 114 mila ricorsi, all’incirca il doppio dei ricorsi introitati», stessa dinamica registrata al Consiglio di Stato, dove «le uscite risultano in numero superiore ai ricorsi in entrata (circa 7.500 nel 2005)». Quanto alle cause di questa riduzione dei ricorsi alla giustizia amministrativa, il presidente del Consiglio di Stato le individua «oltre che negli effetti della sentenza n. 204 della Corte Costituzionale» (che ha ridefinito le competenze della giustizia amministrativa in tema di diritti soggettivi lesi dall’amministrazione nelle aree dei servi pubblici e dell’edilizia-urbanistica ndr.), anche «nell’aumento del costo del contributo unificato e alla sempre più diffusa prassi di far luogo, anche nel giudizio amministrativo, alla condanna alle spese della parte soccombente in caso di esito sfavorevole del ricorso». Quella di quest’anno è l’ultima relazione annuale di De Roberto come presidente del Consiglio di Stato. «Mi considero un uomo fortunato - ha detto il presidente concludendo il suo intervento – perché raggiungerò se Dio vorrà 52 anni al servizio della Giustizia di cui ben 45 nei ruoli di Palazzo Spada con una lunga presidenza al vertice dell’istituto: una permanenza (quella dei 45 anni) credo mai maturata da alcuno a partire dai tempi in cui Carlo Alberto dette vita nel 1831 al Consiglio di Stato». Secondo il presidente De Roberto quella affrontata in questi anni è una sfida sostanzialmente vinta dal Consiglio di Stato: «La giustizia amministrativa ha saputo reggere al ritmo dei tempi – ha affermato - di off rire sempre risposte adeguate in un ordinamento che è venuto, specie in quest’ultimo mezzo secolo, sopportando tumultuose trasformazioni. Un dato che è da ascrivere alle capacità con le quali la giustizia amministrativa ha saputo cogliere e fronteggiare le esigenze via via sopravvenute coniugando insieme, sempre armoniosamente, nuovo ed antico». Luigi Berliri 5 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA PROFESSIONISTI Rettori contro la riforma del Miur Mozione della Crui sulle nuove classi di laurea Diciamo che ai Rettori del Bel Paese proprio non è piaciuta la riforma dell’Università targata Letizia Moratti. In effetti, i vertici del mondo accademico italiano lo sbandierano da tempo di non essere assai convinti - anzi, per nulla convinti - delle migliorie apportate al sistema universitario nostrano dal ministro «azzurro» e dal sottosegretario di Alleanza Nazionale Maria Grazia Siliquini. Già in autunno, ad un oceanico incontro di Rettori ed accademici, era sembrata a tutti evidente l’assoluta mancanza di feeling fra il corpo accademico italiano e i responsabili di viale Trastevere. Ora, però, l’opposizione ha ancora più i crismi dell’ufficialità, con la dura presa di posizione della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane. L’Assemblea Generale della Crui, infatti, riunitasi a Roma in ordine agli schemi di decreti ministeriali che in attuazione del D.M. 22 ottobre 2004 n. 270 definiscono le classi dei corsi di studio universitari ed al relativo Decreto di accompagnamento, ha ritenuto la previsione di attivazione dei corsi di studio ai sensi della nuova normativa a partire dal prossimo ottobre 2006 del tutto inapplicabile per quella che viene definita in una nota «l’evidente mancanza dei tempi tecnici necessari ad approntare le modifiche degli ordinamenti didattici in adempimento delle previsioni dei decreti in oggetto». Inoltre, l’Assemblea Generale della Crui ha valutato come del tutto inopportuna la previsione del Miur, «poiché le modifiche implicano revisioni e congruenti procedure che richiedono tempi adeguati in una materia così importante e delicata». Ciò considerato, la Crui richiede al Ministero che l’intera procedura sia fatta assolutamente slittare di un anno ed esprime altresì il proprio sconcerto a fronte di prescrizioni normative contenute nel Decreto di accompagnamento che ritiene essere vistosamente lesive del principio dell’autonomia degli Atenei in materia di didattica. L’Assemblea Generale della Crui si riserva a questo punto, nel caso non si ritenesse da parte del Miur di intervenire per apportare le necessarie modiciche alla nuova normativa, di agire in ogni sede, ivi comprese quelle legali. Lo scontro fra Rettori e Ministero è quindi ormai deflagrato e, ovviamente, non si può non notare come, in piena campagna elettorale, questo abbia una valenza certo diversa che in un altro periodo dell’anno. Di sicuro, qualora il rassemblement di centrodestra dovesse riconfermarsi alla guida del Paese, diverrà assolutamente necessario un chiarimento globale fra vertici accademici e Miur. L’Università italiana ha bisogno di un clima sereno per crescere e certo quello odierno non lo è. Carlo Lo Re 6 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA IL DENARO Confronto sulla Giustizia Brutti(Ds):Avvocati, l’Ordine non va abolito "Non sono d'accordo con Boselli. L'ordine professionale degli avvocati non va abolito" lo ha detto ieri pomeriggio Massimo Brutti, responsabile Giustizia dei Ds e candidato al Senato alle prossime politiche nella Regione Campania, a margine di un dibattito pubblico sul tema" Giustizia e legalità nel Mezzogiorno", che si è svolto a Campagna, in provincia di Salerno. "Si può discutere e trovare un punto d'incontro –ha affermato Brutti, riferendosi alle dichiarazioni del Segretario della "Rosa nel pugno" che ancora ieri aveva avanzato l'ipotesi dell'abolizione degli ordini professionali - l'esigenza di liberalizzazione, in generale, è un' esigenza giusta. Ma la professione dell'avvocato si differenzia dalle altre, perché ha un rilievo costituzionale. L'avvocato è tramite necessario perché possa affermarsi il diritto dei cittadini alla giustizia. Si deve garantire che vi siano standard di professionalità elevata per l'avvocatura italiana". "Certo - ha aggiunto - , così come sono, gli ordini non ce la fanno ad adempiere alla loro funzione. E' dunque necessaria una riforma che innanzi tutto preveda la creazione di una struttura pubblicistica la quale governi e regoli l'accesso all'avvocatura, con prove selettive e con un tirocinio organizzato dal sistema degli ordini stessi, assicurando il controllo deontologico degli iscritti. Inoltre, crediamo che siano necessari incentivi fiscali per indurre gli avvocati ad assodarsi. Solo così si potrà evitare che approdino nel mercato europeo pochi studi del Nord e del Centro, con l'esclusione di quelli del Mezzogiorno" . Sulle proposte che, in materia di giustizia, i Ds intendono avanzare nel caso di vittoria del Centrosinistra, Brutti ha poi detto: "Intervenire immediatamente sull'organizzazione e su alcuni aspetti della procedura per rendere più brevi i processi. Le misure più urgenti, riguardano i tempi dei processi. Questa è "assoluta priorità". 7 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA DIRITTO E GIUSTIZIA Inappellabilità, entra in vigore e finisce subito alla Consulta Come debutto non è stato male. Appena la legge sull’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento è entrata in vigore ha subito incassato la prima eccezione di incostituzionalità. Due per l’esattezza, una presentata a Milano, ma respinta, ed una a Firenze. I giudici della terza sezione della Corte d’appello fiorentina, dopo neanche un’ora di camera di consiglio, hanno accolto un’eccezione sollevata dal sostituto procuratore generale, Marcello Scialoja, per un processo fissato in mattinata e subito sospeso nel quale è imputato un marocchino di 24 anni, H.S. assolto in primo grado a novembre del 2003 dall’accusa di mancata esibizione di documenti, con la motivazione che «il fatto non costituisce reato». Secondo le disposizioni della legge 46/2006, passata alle cronache come la legge Pecorella dal nome del primo firmatario del provvedimento, H.S. non dovrebbe più passare all’esame della Corte d’appello, ma vista l’eccezione sollevata dal procuratore, il processo adesso si congela in attesa della decisione della Consulta. Secondo il Pg, la legge sull’inappellabilità, laddove stabilisce limiti all’appello alle sentenze di proscioglimento, viola l’articolo 111 della Costituzione sulla parità delle parti nel processo, perché «penalizza in maniera sensibile solo il pubblico ministero». Le nuove disposizioni inoltre contrasterebbero con l’articolo 112 della Costituzione sull’obbligatorietà dell’azione penale a carico del Pm, essendo il potere di impugnazione «una estrinsecazione dell’azione penale». Infine la legge che vieta al procuratore di presentare appello a meno che non emergano prove decisive, contrasterebbe col principio di ragionevolezza, fissato sempre dalla Carta costituzionale sotto due profili. Secondo Scialoja sarebbe irragionevole una disciplina che vieta al Pm totalmente soccombente di proporre appello, quando invece è legittimato se la «sua soccombenza sia soltanto parziale» o quando, in caso di condanna, ritenga che l’imputato debba essere prosciolto. Inoltre, vietare per legge al pubblico ministero «di cercare, mediante l’appello, di correggere un più o meno evidente errore valutativo del giudice di merito o di rimuovere una decisione ingiusta non può che significare porre irragionevolmente un ostacolo a che l’esercizio della giurisdizione tenda effettivamente a realizzare le esigenze di giustizia». H.S. era stato denunciato per non aver esibito un documento d’identità valido, assolto nel 2003, aveva poi fatto perdere le sue tracce. Ieri il suo difensore d’ufficio, Giuseppe Larango, si è detto «sorpreso del ricorso in appello» per un caso del genere, ma molto più della decisione del sostituto procuratore generale e poi dei giudici. Larango ha anche aggiunto di essere certo «che le questioni presentate a Firenze saranno molto simili a quelle che altri rappresentanti delle diverse procure d’Italia sono pronti a sostenere. La Pecorella – ha aggiunto – si fermerà fino a quando la Corte costituzionale non risolverà la questione, nel frattempo però il tempo passa e la giustizia, a mio parere, non ne guadagna moltissimo». A Milano, la seconda Corte d’appello ha respinto, dopo cinque ore di camera di consiglio, l’eccezione sollevata dal sostituto procuratore generale, Laura Bertolè Viale, nel processo d’appello per le cosiddette tangenti idrogeologiche, versate per l’assegnazione di lavori di sistemazione in zone della Lombardia colpite da frane e alluvioni. Dopo l’intervento del procuratore, gli avvocati Pier Maria Corso e Carlo Gilli, difensori di due imputati assolti in primo grado, hanno preso la parola opponendosi alle argomentazioni della procura generale con diverse motivazioni. Successivamente, il presidente del collegio, Roberto Pallini, ha letto in aula la lunga ordinanza che ha accolto in pieno la motivazione oppositoria dell’avvocato Corso, dichiarando inammissibile l’appello presentato contro gli assolti in 8 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA primo grado. Il collegio giudicante, dopo aver dichiarato non separabili le posizioni degli imputati assolti da quelli condannati, ha rinviato a tempo indeterminato il processo. Ora la procura avrà 45 giorni di tempo per preparare il ricorso in Cassazione. Resta molto duro il commento dell’Unione delle Camere penali dopo la notizia arrivata da Firenze. «C’è una chiara resistenza di una parte della magistratura ad applicare la legge Pecorella, che se si tradurrà i ostruzionismo i penalisti sono pronti a reagire anche scioperando» ha detto il presidente Ucpi Ettore Randazzo. «La legge – ha continuato – è in linea con il principio costituzionale del giusto processo e rispetta sia il diritto di difesa, sia le convenzioni internazionali». Secondo Randazzo inoltre non ci sarebbe nessuna violazione del principio di parità delle parti «perché la presunzione di non colpevolezza dell’imputato garantisce il suo diritto a impugnare una sentenza di condanna e di avere un secondo grado di merito, non certamente quello del Pm di ripetere la sua tesi, dopo un giudizio pieno e nel contraddittorio delle parti che ha assolto l’imputato». La magistratura, secondo il presidente dei penalisti sta per mettere in atto quella resistenza «preannunciata nelle dichiarazioni di autorevoli esponenti istituzionali della magistratura che lasciavano intendere che la legge sarebbe stata interpretata in senso ostruzionistico. Contro questo ostruzionismo ci batteremo in maniera ferma, anche scioperando». Voci di corridoio danno per pronte nei cassetti altre eccezioni di incostituzionalità che potrebbero essere presentate a giorni. Dopo le note del Quirinale che aveva rinviato alle Camere la prima stesura del testo, ora bisognerà attendere quelle della Consulta. (p.a.) 9 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA IL SOLE 24 ORE PROCESSO PENALE/La riforma è stata rinviata alla Corte Costituzionale nel suo primo giorno di applicazione L'inappellabilità va alla Consulta Sono state accolte le richieste della Procura di Firenze MILANO. Uno a uno. Ma il gioco non è a somma zero. Perché la Consulta dovrà valutare la legittimità costituzionale delle legge Pecorella. A chiamare in causa la Corte costituzionale è stata la procura generale di Firenze con un'ordinanza poi accolta dalla Corte d'appello, mentre a Milano un'identica eccezione, ma per diversi motivi veniva giudicata infondata. A Venezia, poi, la questione è stata sollevata, ma la decisione non è stata presa. Un tam tam neanche tanto sotterraneo aveva messo nei giorni scorsi in contatto le procure di diverse sedi giudiziarie che, al primo momento utile, hanno presentato in serie le loro perplessità. Insomma,come un contemporaneo San Sebastiano del diritto, la nuova disciplina delle impugnazioni è stata crivellata da un capo all'altro dei tribunali. E il debutto (ieri era il primo giorno di entrata in vigore) si è rivelato un percorso a ostacoli. A Firenze il sostituto procuratore generale, Marcello Scialoja, ha segnalato in tre pagine numerosi profili di incostituzionalità che, poi, la corte d'appello ha accolto, sospendendo il processo nel quale la questione era stata sollevata e rinviando gli atti alla Consulta. A essere violato, innanzitutto, sarebbe il canone di parità tra le parti del giudizio, fissato dall'articolo 111 della Costituzione. Se è vero, infatti, che la legge Pecorella stabilisce i medesimi limiti all'appello contro la sentenza di proscioglimento sia per l'imputato sia per l'accusa, «non può sfuggire a un più attento esame che la nuova normativa penalizza in maniera sensibile soltanto il pubblico ministero, in quanto nella normalità dei casi è proprio il pubblico ministero che ha concreto interesse a impugnare una sentenza di proscioglimento». La legge, in altre parole, dissimula «sotto la lettera delle disposizioni una sostanziale e vistosa disparità di trattamento tra la parte privata e la parte pubblica a tutto svantaggio dell'accusa» . A venire compromesso, secondo l'eccezione sollevata dalla Procura fiorentina, è poi il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale. Se si ritenne infatti che il potere di impugnazione deve essere considerato «come un'estrinsecazione dell'azione penale, il cui meccanismo si attiva sulla base della notitia criminis, devesi coerentemente ritenere che anche il potere di interporre appello partecipa della "obbligatorietà" dell'azione penale le volte in cui il pubblico ministero ritenga di chiedere al giudice di secondo grado una diversa decisione». Di più. La riforma delle impugnazioni viola anche il principio di ragionevolezza sotto un duplice profilo. Per il sostituto procuratore generale di Firenze il pubblico ministero totalmente soccombente non può proporre appello, mentre può farlo in caso se sconfitto solo in parte, quando, per esempio, ritiene che l'imputato deve essere prosciolto e, invece, viene condannato. Inoltre, il divieto assoluto di proporre appello da parte dell'accusa, impedisce di porre rimedio a que1le forme di patologia de1la giurisdizione costituite dagli errori di valutazione dei giudici di merito. Tutte osservazioni, però, che non convincono il "padre" della legge, l'avvocato e deputato di Forza Italia Gaetano Pecore1la, che ha invece sottolineato come «la parità de1le parti prevista dall' articolo 111 riguarda l'eguale contributo al contraddittorio e non la parità di posizioni processuali. 10 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA La Corte costituzionale, in passato, ha già statuito che una differenza di diritti rispetto all'appello tra Pm e difensore non contrasta con il principio di uguaglianza. Già oggi nel giudizio abbreviato l'imputato può fare appello e il Pm no». Tesi riecheggiate a Milano in un' ordinanza di 7 pagine, che ha respinto l'eccezione di legittimità presentata da1laprocura generale (ma già oggi la questione dovrebbe essere riproposta). Infatti l'ordinanza rileva che la parità tra causa e difesa non comporta necessariamente l'identità :dei poteri processuali dell'imputato e del pubblico ministero. La diversità può invece essere giustificata «dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero». Tanto che il Codice di procedura penale contiene numerosi esempi di segno opposto, con poteri riconosciuti al Pm e non alla difesa. L'interesse processuale del Pm, inoltre, non è quello di ottenere una condanna a tutti i costi, ma anche, per esempio di svolgere accertamenti a favore degli indagati. Infine l’'ordinanza di Milano, cambiando orientamento., prende posizione su una questione controversa ammettendo l'applicazione del regime transitorio anche per le sentenze "miste", con reati prosciolti connessi a condanne. GIOVANNI NEGRI 11 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA IL SOLE 24 ORE Ragionevoli dubbi riscoperti di Luigi Domenico Cerqua La legge 20 febbraio 2006, n. 46 (legge "Pecorella"), in vigore da ieri, ha inserito nel Codice di procedura penale un'importante regola di giudizio e valutazione delle prove: il giudice pronuncia condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. La dottrina aveva da tempo auspicato l'introduzione nel sistema del codice di tale regola, alla cui stregua deve essere risolto il problema delle prove insufficienti e delle prove contraddittorie: insufficienti quando l'organo dell'accusa non ha dimostrato la colpevolezza"dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio; contraddittorie quando gli elementi di reità, pur se prevalenti, svelano uno o più ragionevoli dubbi. Nel processo penale, tra le due possibilità di errore giudiziario (l'assoluzione di un reo e la condanna di un innocente), lo Stato democratico preferisce la prima, anche se l'ipotesi di colpevolezza appare più probabile. Questa regola - ora espressamente dettata dal legislatore, come segnalato anche sul Sole-24 Ore di ieri - permea il sistema processuale e trova espressione nelle garanzie fondamentali inerenti al processo penale, tra le quali quelle sulla responsabilità penale per fatto proprio colpevole e sulla presunzione di non colpevolezza dell'imputato, che trovano riconoscimento nella Costituzione, nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e nel Patto internazionale sui diritti civili e politici, oltre che nello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, al quale l'Italia ha dato esecuzione. La regola, pertanto, non avrebbe dovuto essere marginalizzata nella prassi, ma applicata ancor prima della legge ricordata; tuttavia, ha trovato scarsa attuazione da parte della giurisprudenza, anche se vi sono alcune importanti decisioni della Suprema corte e di qualche giudice di merito (tra i primi, la corte d'assise di Milano), che ne hanno fatto applicazione. Non si tratta, peraltro, di una regola di giudizio scoperta di recente in sistemi giuridici diversi dal nostro, ma di una regola di giudizio che risale agli insegnamenti di grandi giuristi italiani dei secoli scorsi e che ha trovato ampio riconoscimento in altri sistemi giuridici. E che vi siano potenti ragioni che la supportano è fuor di dubbio: famosa la sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti in re Winship, redatta nel 1970 dal giudice Brennan, dove si legge che ogni requisito della fattispecie incriminatrice deve essere provato al di là di ogni ragionevole dubbio affinché la sentenza di condanna possa essere giustificata: trattasi di un diritto costituzionale inviolabile dell'imputato, equivalente alla presunzione di innocenza o al diritto al trial by jury. Ovviamente il ragionevole dubbio, come ha evidenziato la dottrina, non è il mero dubbio sempre possibile o il dubbio fantasioso o immaginario, che può essere sempre presente nei giudizi sulle azioni umane, ma è il dubbio che, dopo tutte le valutazioni e le considerazioni sulle prove, lascia la mente dei giudici in una condizione tale per cui non possono dire di provare una convinzione incrollabile, prossima alla certezza morale (da intendersi come pratica certezza), sulla verità dell'accusa: così il paragrafo 1096 del Codice penale della California e la sentenza sul caso O.J..Simpson (The people of the State of California v. Orenthal James Simpson). La convinzione incrollabile basata esclusivamente sulle prove, ovvero la certezza schiacciante, costituisce la linea di demarcazione, come è stato detto di recente, tra ciò che rimane dubbio immaginario o fantasioso e ciò che invece si connota come dubbio ragionevole, in grado di comportare, secondo la Suprema corte, la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall' accusa e determinare l'esito assolutorio del giudizio. Si è osservato che l'espressione colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio sta a significare, per riprendere una bella immagine di Wittgenstein, «che si è giunti a un punto, mai determinabile a priori, in cui la vanga del dubbio, che deve sempre armare il giudice, ha incontrato lo strato duro della roccia, rappresentata dalle prove, e si è piegata, risultando implausibile ogni spiegazione diversa dalla colpevolezza». Bisogna riconoscere che la verità certa, oggettiva, assoluta è irraggiungibile: se così è, ne consegue che, in presenza di un dubbio ragionevole sulla ricostruzione accusatoria, il giudizio finale non può che essere di assoluzione. E gli strumenti migliori per valutare l'effettiva sussistenza dei dubbi sono forniti dal processo accusatorio a struttura antagonistica. 12 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected]