Rassegna stampa - Ordine degli Avvocati di Trani

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Rassegna stampa - Ordine degli Avvocati di Trani
ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
Ufficio stampa
Rassegna
stampa
5 - 7 gennaio 2008
Responsabile :
Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – e-mail:[email protected])
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
SOMMARIO
Pag. 3 CLASS ACTION: Class action, debutto al 30 giugno (italia oggi)
Pag. 5 GIUDICI: Aspiranti giudici ma un po' somari - Oltre il 90% bocciati agli scritti
(la repubblica)
Pag. 6 GIUDICI: Aspiranti giudici ma somari (il tempo)
Pag. 7 AVVOCATI: Gli avvocati napoletani annunciano otto giorni di sciopero
(mondo professionisti)
Pag. 8 EUROPA: Una spallata al carcere duro (italia oggi)
Pag. 9 CARCERI: Carceri sovraffollate - Agenti penitenziari al limite sopravvivenza
(il tempo)
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ITALIA OGGI
Legittimati a esperire l'azione collettiva risarcitoria: le associazioni dei consumatori
Class action, debutto al 30 giugno
Il giudice dovrà indicare gli strumenti di diffusione della notizia
Class action ai blocchi di partenza. La Finanziaria 2008 annovera tra le sue mission la tutela collettiva
dei consumatori, realizzata con l'importazione di uno strumento processuale ben noto negli ordinamenti
anglosassoni: l'azione collettiva. Che in Italia partirà il 30 giugno 2008, una volta trascorso il termine di
180 giorni di vacatio legis, previsto dalla legge finanziaria.
Il testo originario è stato modificato nel corso dell'iter parlamentare e ha perso per strada alcuni punti
fortemente criticati: dal collo di bottiglia della legittimazione attiva, alle norme anti-avvocati sul limite
massimo delle spese legali. Non è passato il punitive damage, e anzi uno dei punti deboli della
procedura rimane la quantificazione delle somme da corrispondere al singolo consumatore/utente, ma
l'impianto potrà fornire qualche utilità alla prova dei fatti. Si tratta, comunque, di un'opzione in più per
il consumatore, che può sempre esercitare l'azione individuale se non vuole aderire all'azione collettiva
o intervenire nell'azione proposta.
Il soggetto proponente. Sono legittimati a esperire l'azione collettiva risarcitoria le associazioni dei
consumatori maggiormente rappresentative (iscritte presso il ministero dello sviluppo economico) e
altri soggetti appositamente individuati. La questione della legittimazione ad agire è stata oggetto di
forti discussioni nell'iter di approvazione della Finanziaria e dopo una iniziale restrizione sono stati
ammessi associazioni e comitati che siano adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti
valere (non solo le associazioni iscritte presso il ministero) e senza un previo riconoscimento
amministrativo. Il nodo da sciogliere è nelle mani non dell'autorità amministrativa, ma dell'autorità
giudiziaria, chiamata a vagliare la ammissibilità della proposta. Sarà la stessa giurisprudenza a costruire
i criteri per la valutazione della adeguatezza del livello di rappresentatività. Associazione iscritta o altro
soggetto, la procedura parte da un proponente dell'iniziativa processuale collettiva, cui i singoli
consumatori possono dare la loro adesione. La procedura prevede, quindi, un soggetto proponente
l'azione, al quale gli interessati possono comunicare per iscritto la propria adesione all'azione collettiva.
Il limite temporale per l'adesione è l'udienza di precisazione delle conclusioni in appello. L'associazione
o il comitato potrà essere costituito anche per iniziativa di uno studio legale che potrà animare il gruppo
dei consumatori allo scopo di avanzare e portare avanti l'azione collettiva. In qualche misura la
posizione dei legali italiani viene avvicinata a quella dei colleghi statunitensi. Attraverso la
legittimazione di associazioni e comitati si realizza un sistema di legittimazione potenzialmente diffusa
(che pare il più coerente per una azione che vuole essere relativa a una intera categoria di interessati),
con la possibilità per gli avvocati di fare vera e propria attività di promozione dell'azione collettiva.
Nella prima versione l'azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori non era una possibilità a
disposizione di tutti, ma solo delle associazioni dei consumatori e degli utenti maggiormente
rappresentative (iscritte presso il ministero dello sviluppo economico) e di ulteriori associazioni di
consumatori, investitori e di altri soggetti portatori di interessi collettivi individuati dal ministero della
giustizia di concerto con il ministro dello sviluppo economico, sentite le competenti commissioni
parlamentari.
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Con la versione definitiva si apre la porta alla possibilità di un certo numero di consumatori che si
riuniscono e danno mandato a uno studio legale per essere rappresentati come una singola parte lesa.
Altrettanto a dirsi per lo studio legale che vuole promuovere il processo per poi pubblicizzarlo fra i
consumatori, in modo da avere maggiori clienti possibili e quindi più chance di guadagno in caso di
esito favorevole.
L'oggetto dell'azione collettiva è esclusivamente un accertamento/ condanna. Si tratta di una procedura
che ha molte peculiarità: dalla efficacia del giudicato alla procedura bifasica
(accertamento/quantificazione del diritto).
La procedura. L'oggetto dell'azione è innanzitutto l'accertamento del diritto al risarcimento del danno
e alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti.
Il risarcimento del danno può avere molteplice giustificazione. La pretesa collettiva può trovare la
propria fonte in un contratto commerciale o una fonte extracontrattuale o può essere basata su pratiche
commerciali scorrette o comportamenti anticoncorrenziali. Ad esempio un cartello tra imprese
determina un incremento del prezzo pagato da ciascun utente: è un caso tipico da class action. Il
presupposto della class action è comunque la lesione contestuale dei diritti di una pluralità di
consumatori. Proprio la pluralità dei soggetti interessati rende improcedibile il criterio del foro del
consumatore e le esigenze di unificazione del giudizio hanno portato il legislatore a individuare quale
foro competente il foro dell'impresa (tribunale in composizione collegiale del luogo in cui ha sede
l'impresa).
In materia di competenza va considerato che, in caso di azione del singolo consumatore avente il
medesimo oggetto della class action, non risultano derogate la norme sulla competenza del giudice di
pace e le disposizioni sul foro del consumatore (residenza del consumatore). La forma collettiva
dell'azione varia, dunque, la competenza territoriale e per materia del giudice. In particolare l'azione
collettiva sottrae la materia alla cognizione del giudice di pace, che in passato si è dimostrato
estremamente sensibile alle ragioni del consumatore/utente. L'esercizio dell'azione collettiva o
l'adesione all'azione collettiva interrompe la prescrizione del credito al risarcimento del danno.
Scomparso il filtro ministeriale al riconoscimento della legittimazione attiva, le norme introducono un
filtro giurisdizionale di ammissibilità. È il primo fondamentale scoglio che il soggetto proponente,
consumatori aderenti e intervenuti devono superare. La domanda è dichiarata inammissibile in tre casi:
manifesta infondatezza, conflitto di interessi, inesistenza di un interesse collettivo suscettibile di
adeguata tutela. Se, invece, l'azione è ritenuta ammissibile è previsto che dell'iniziativa si dia la
maggiore diffusione possibile, così da suscitare le adesioni di consumatori e utenti. Sarà il giudice a
dare indicazioni concrete sugli strumenti comunicativi idonei a realizzare la maggiore diffusione
possibile della notizia. La ragione della class action è la possibilità di definire in un unico contesto
processuale di posizioni, cosicché deve essere incentivato il maggior numero possibili di adesioni. Il
giudice con la pronuncia di ammissibilità deve anche dare le disposizioni sulla prosecuzione del
giudizio. Antonio Ciccia
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LA REPUBBLICA
Errori di grammatica e verbi sbagliati nelle prove scritte al concorso
Oltre 4mila hanno consegnato ma solo 342 candidati sono stati ammessi agli orali
Aspiranti giudici ma un po' somari
Oltre il 90% bocciati agli scritti
Un paradosso visto il record di domande di partecipazione (43mila) - In servizio 322 nuovi magistrati,
58 in meno dei posti da coprire
ROMA - Verbi sbagliati, errori di grammatica e di ortografia. Un disastro per gli esaminatori che sono
inorriditi di fronte a lacune da scuola dell'obbligo e incapacità di coniugare i verbi secondo regole
elementari, e hanno respinto oltre il 90 per cento dei candidati aspiranti giudici. Al punto che,
nonostante il numero da record dei partecipanti al concorso per l'accesso in magistratura (43mila
domande), alla fine sono rimasti scoperti una sessantina dei 380 posti da assegnare.
Una situazione che ha preoccupato la categoria e ha gettato ombre sulla formazione scolastica,
universitaria e non solo, visto che la maggior parte dei candidati non era costituita da semplici neolaureati, ma da avvocati, giudici onorari, funzionari della pubblica amministrazione, titolari di dottorati
di ricerca e di specializzazioni giuridiche.
Questi i drammatici risultati registrati all'ultimo concorso che si è concluso con l'immissione in servizio
di 322 nuove toghe, 58 in meno dei posti da coprire. Un risultato a dir poco inaspettato tenuto conto del
vero e proprio boom di domande di partecipazione che c'era stato, senza precedenti nella storia della
magistratura. Dell'esercito dei 43mila, ne sono stati ammessi alle prove scritte 18mila. Oltre 6mila
candidati si sono effettivamente presentati e poco più di 4mila hanno consegnato tutte e due le prove
scritte, il doppio dei precedenti concorsi.
Ma nonostante il dato così elevato, gli ammessi agli orali sono stati appena 342, pari all'8,53%. E una
ventina di loro alla fine non è riuscita a tagliare il traguardo finale: i vincitori, proclamati dalla
Commissione di esami, sono infatti stati 319 e altri 3 - che pur non avendo riportato alcuna
insufficienza, non avevano raggiunto la votazione minima prevista - sono stati dichiarati tali con un
provvedimento del ministro della Giustizia Mastella.
Dati preoccupanti che hanno indotto uno dei componenti della commissione d'esame, il giudice della
Corte d'appello di Palermo Matteo Frasca, a esprimere "non poche perplessità sul livello medio di
preparazione dei partecipanti", in un intervento pubblicato sul sito del Movimento per la Giustizia. E le
lacune riscontrate non sono solo giuridiche : "La conoscenza della lingua italiana è una pre-condizione
per partecipare al concorso, ma alcuni candidati non ce l'avevano" racconta il magistrato. "Ci siamo
trovati a fare la disarmante constatazione che in alcune prove c'erano errori di grammatica e di
ortografia, oltre che di forma espositiva, testimonianze evidenti di una mancanza formativa, che non è
emendabile".
"Non faccio esempi per ragioni di riservatezza" prosegue Frasca, "posso dire solo che se il mio maestro
delle elementari avesse visto in un mio compito verbi coniugati come in certe prove che ci sono state
consegnate, mi avrebbe dato una bacchettata sulle dita". Tuttavia il giudice Frasca non vede tutto nero:
"Abbiamo trovato anche candidati con livelli di preparazione eccellenti" assicura, "punte esaltanti che
inducono all'ottimismo".
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IL TEMPO
Aspiranti giudici ma somari
Candidati impreparati e in certi casi con lacune da scuola dell'obbligo; qualcuno incapace persino di
coniugare i verbi secondo le regole che si dovrebbero aver appreso già alle elementari
Così, nonostante il numero da record dei partecipanti al concorso per l'accesso in magistratura (43mila
domande), alla fine sono rimasti scoperti una sessantina dei 380 posti da assegnare. Un paradosso che
getta ombre sulla formazione scolastica, universitaria e non solo, visto che la maggior parte dei
concorrenti non era costituita da semplici neo-laureati, ma da avvocati, giudici onorari, funzionari della
pubblica amministrazione, titolari di dottorati di ricerca e di specializzazioni giuridiche.
La «Caporetto» è avvenuta all'ultimo concorso che ha esaurito definitivamente il suo iter, con
l'immissione in servizio di 322 nuove toghe, 58 in meno dei posti da coprire. Un risultato a dir poco
inaspettato tenuto conto del vero e proprio boom di domande di partecipazione che c'era stato, senza
precedenti nella storia della magistratura. Dell'esercito dei 43mila, ne sono stati ammessi alle prove
scritte 18mila: oltre 6mila candidati si sono effettivamente presentati e poco più di 4mila hanno
consegnato tutte e due le prove scritte, il doppio dei precedenti concorsi. Ma nonostante il dato così
elevato, gli ammessi agli orali sono stati 342, pari all'8,53%. E una ventina di loro alla fine non è
riuscita a tagliare il traguardo finale: i vincitori, proclamati dalla Commissione di esami, sono infatti
stati 319 e altri 3 - che pur non avendo riportato alcuna insufficienza, non avevano raggiunto la
votazione minima prevista - sono stati dichiarati tali con un provvedimento del ministro della Giustizia
Mastella. Una realtà preoccupante che ha indotto uno dei componenti della commissione d'esame, il
giudice della Corte d'appello di Palermo Matteo Frasca, a esprimere «non poche perplessità sul livello
medio di preparazione dei partecipanti», in un intervento pubblicato sul sito del Movimento per la
Giustizia. E le lacune riscontrate non sono solo giuridiche: «la conoscenza della lingua italiana è una
pre-condizione per partecipare al concorso, ma alcuni candidati non ce l'avevano - racconta il
magistrato - Ci siamo trovati a fare la disarmante constatazione che in alcune prove c'erano errori di
grammatica e di ortografia, oltre che di forma espositiva, testimonianze evidenti di una mancanza
formativa, che non è emendabile.
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MONDO PROFESSIONISTI
Gennaio caldo sul fronte giustizia
Gli avvocati napoletani annunciano otto giorni di sciopero
Diserteranno anche l’inaugurazione del nuovo anno giudiziario, in programma il prossimo 26 gennaio.
Gli avvocati partenopei annunciano infatti nuove poteste e assicurano che nessuno rappresenterà la loro
categoria in occasione della solenne cerimonia del 2008. Per adesso l’ordine forense in una nota
conferma ben otto giorni di nuove astensioni dalle udienze: dal 10 al 24 gennaio. Al centro della
protesta ancora il trasferimento del settore civile da Castel Capuano alla torre A del nuovo Palazzo di
Giustizia. A nulla sarebbe servita infatti la decisione del presidente del tribunale Carlo Alemi di
spalmare su tutta la settimana le date utili per le udienze in modo da diminuire l’afflusso, quantomeno
del pubblico, nei giorni dei processi. Anno nuovo dunque, vecchie proteste, riprese tra l’altro subito
probabilmente per denunciare che nonostante il blocco delle udienze, già avvenuto diverse volte, e le
varie manifestazioni di solidarietà giunte dagli uffici del ministero di giustizia, ad oggi ancora nulla è
stato fatto.
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ITALIA OGGI
Corte di Strasburgo contro l'Italia. Contestata la prassi dei decreti ministeriali fotocopia
Una spallata al carcere duro
I ritardi dei tribunali di sorveglianza violano i diritti umani
Una spallata al carcere duro. Il regime del 41-bis, introdotto nell'ordinamento penitenziario nel 1992
dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è finito
nel mirino della Corte europea dei diritti dell'uomo. Colpa dei tribunali di sorveglianza, chiamati a
giudicare sulla legittimità dei decreti ministeriali che applicano le misure restrittive ai detenuti per reati
di mafia (divieto di utilizzare il telefono, di ricevere visite da terzi, di intrattenersi con altri detenuti, di
ricevere o inviare denaro e corrispondenza che non sia sottoposta al controllo del direttore del carcere) e
le prorogano nel tempo. I tribunali, dice la Corte, sistematicamente non rispettano il termine di dieci
giorni imposto dalla legge per pronunciarsi sui provvedimenti del ministro della giustizia. Con una
sentenza del 27 novembre 2007, finora inedita, i giudici di Strasburgo hanno, in parte, accolto il ricorso
(causa n. 35795/02) presentato da un detenuto italiano (rappresentato dall'avvocato Claudio Defilippi)
condannato all'ergastolo per omicidio e associazione a delinquere di stampo mafioso. Secondo i giudici
di Strasburgo la violazione sistematica da parte dei tribunali di sorveglianza del termine previsto dalla
legge, assieme alla prassi ministeriale di reiterare decreti di proroga con motivazioni “fotocopia”,
contrasta con la Convenzione europea per la salvaguardia dei dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali. Il cui articolo 6 sancisce il diritto di ogni individuo a un processo equo, concluso in un
tempo ragionevole da parte un giudice imparziale.
Cosa prevede la legge. L'art. 41-bis, introdotto, come detto, nel 1992 (e modificato nel 2002 ndr)
all'interno della legge n.354 del 1975 sul trattamento penitenziario, prevede che spetti al Guardasigilli la
decisione di applicare con decreto le misure restrittive. I provvedimenti ministeriali hanno durata non
inferiore ad un anno e non superiore a due e sono prorogabili di anno in anno, “purché non risulti che la
capacità del detenuto di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sia
venuta meno”. Il detenuto ha dieci giorni di tempo dalla data di comunicazione per impugnare il
decreto ministeriale davanti al tribunale di sorveglianza che, a sua volta, deve pronunciarsi entro il
termine di dieci giorni. Contro l'ordinanza del tribunale è possibile fare ricorso in Cassazione.
La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. I giudici di Strasburgo si sono chiesti se la
prassi dei tribunali di sorveglianza di non rispettare, nel caso di specie, il termine previsto dalla legge
per l'esame dei ricorsi abbia determinato una lesione del diritto del detenuto a un equo processo. E la
risposta è stata affermativa. “Il mancato rispetto sistematico del termine di dieci giorni imposto dalla
legge”, si legge nella sentenza, “può ridurre sensibilmente e persino annullare l'impatto del controllo
esercitato dai tribunali sui decreti del ministro della giustizia”. E a questa decisione la Corte arriva
tenendo conto di due elementi: “la durata limitata di ciascun decreto che applica il regime speciale e il
fatto che il ministro della giustizia non è vincolato da un'eventuale decisione del tribunale di
sorveglianza che revoca in tutto o in parte le restrizioni imposte dal decreto precedente”. Cosa
puntualmente accaduta nel caso di specie. “Il ministro della giustizia”, ricorda la Corte ricostruendo
l'accaduto, “aveva emanato, subito dopo la scadenza del termine di validità dei decreti impugnati, nuovi
decreti che reintroducevano le restrizioni nel frattempo eliminate dal tribunale di sorveglianza”. Per
questo, hanno concluso i giudici, “non si può non constatare come il mancato rispetto sistematico del
termine legale di dieci giorni abbia sensibilmente ridotto, per non dire annullato l'impatto del controllo
giurisdizionale sui decreti ministeriali e ha comportato un susseguirsi di provvedimenti difformi dalle
decisioni giudiziarie”. Francesco Cerisano
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IL TEMPO
La denuncia dell'Osapp
Carceri sovraffollate - Agenti penitenziari al limite sopravvivenza
«Le voci allarmanti che nello scorso anno si sono alzate da più parti sulle disastrose condizioni del
sistema penitenziario italiano in relazione al crescente afflusso di detenuti, dopo il provvedimento
dell'Indulto del luglio 2006, trovano la piena conferma all'inizio del corrente anno per problemi non più
solo di carattere infrastrutturale, ma anche organizzativo degli istituti e dei servizi penitenziari» a
sostenerlo è il segretario Generale dell'OSAPP Leo Benedici in una lettera indirizzata al Ministro
Mastella e al Capo del D. .P. alla luce delle rivelazioni riportate dall'Espresso di questa settimana sul
problema carceri. «Tutto questo, - continua Beneduci - solo ed esclusivamente a carico del Corpo di
Polizia Penitenziaria». «Emblematico il caso del cibo avariato somministrato a San Vittore, e per i cui
rischi tutto il personale è stato sottoposto a profilassi d'urgenza per un sospetto caso di meningite di un
detenuto», speiga il sindacato. «Questa è solo una delle tante difficoltà a cui il personale deve far fronte
ogni giorno e a cui l'amministrazione non pone rimedio da tempo. Aggiungiamo l'aumento dei turni e
delle ore di servizio giornaliero - spiega l'Osapp -, dei già insostenibili carichi di lavoro, dell'utilizzo in
lavoro straordinario invariabilmente non retribuito».
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