Rassegna stampa - Ordine degli Avvocati di Trani

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Rassegna stampa - Ordine degli Avvocati di Trani
ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
Ufficio stampa
Rassegna
stampa
17 luglio 2008
Responsabile :
Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – e-mail:[email protected])
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
SOMMARIO
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Pag. 4
Pag. 6
Pag. 8
AVVOCATI: Ipoteche, gli avvocati chiedono di autenticare la firma (italia oggi)
AVVOCATI: Portabilità, utilizzare gli avvocati gratuitamente (la padania)
PROFESSIONISTI: Professionisti, stop ai conti dedicati (italia oggi)
RIFORME GIUSTIZIA: Il premier: la priorità è la giustizia. No della Lega
(il corriere della sera)
Pag. 9 RIFORME GIUSTIZIA: Cossiga, Gargani, Vaccarella Silvio si sceglie tre
«saggi» (il corriere della sera)
Pag.10 CONVEGNI: Un giudice giudichi la giustizia (italia oggi)
Pag.11 PROCESSI: Processi somma rizzati - di Laura Pernigo - Responsabile della
commissione per il processo civile Anf (italia oggi)
Pag.12 FORMAZIONE FORENSE: Specializzazioni col bollino (italia oggi)
Pag.13 PREVIDENZA FORENSE: La riforma pensionistica al "via", per chi parte
adesso il traguardo è lontano - di Paolo Rosa - Avvocato, Presidente della Cassa
Forense (diritto e giustizia)
Pag.15 STUDIO LEGALE: Le regole organizzative precedono la certificazione di studio
di Giovanna Stumpo (italia oggi)
Pag.16 SICUREZZA: Legalità : unica via per la sicurezza - di Antonfredi De Simone,
responsabile macroarea penale dell'Anf (mondo professionisti)
Pag.18 PRIVACY: Nella giustizia privacy a picco (italia oggi)
Pag.19 CLASS ACTION: Class action, parte la riforma (il sole 24 ore)
Pag.20 GIUDICI DI PACE: Regole chiare per i giudici di pace - di Francesco Cersosimo
Presidente Associazione Nazionale Gudici di Pace (italia oggi)
Pag.22 CASSAZIONE: Processo lungo, risarcimento ko (italia oggi)
Pag.23 EUROPA: Norme Ue, l'Italia lascia la coda (italia oggi)
Pag.24 CARCERI: Più detenuti, meno penitenziari (italia oggi)
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ITALIA OGGI
La proposta dell'Oua al governo
Ipoteche, gli avvocati chiedono di autenticare la firma
Avvocati in pressing sulle ipoteche. È stato infatti presentato da alcuni parlamentari di
maggioranza e opposizione il pacchetto di emendamenti proposto dall'Organismo unitario
dell'avvocatura (Oua) al disegno di legge collegato alla manovra, con cui si chiede che si estenda
agli avvocati la possibilità di autenticare le sottoscrizioni, anche nelle cessioni immobiliari,
l'autentica delle firme nelle surroghe delle ipoteche, l'abilitazione all'invio telematico degli atti di
cessione di quote di srl. La categoria sarebbe anche disposta a rinunciare inizialmente
all'onorario per l'autentica della firma. A questo punto, la prossima mossa dell'Oua sarà
incontrare l'Autorità garante della concorrenza e del mercato già la prossima settimana per
ottenere il suo via libera all'iniziativa. E se il governo dovesse porre la fiducia alla manovra senza
l'inserimento del pacchetto di emendamenti dell'Oua la strategia sarebbe quella di «spostarlo nel
ddl collegato alla Finanziaria, in discussione a settembre». Intanto, la proposta degli avvocati ha
già riscosso un grande successo, tra gli addetti ai lavori e non: numerose sono state le delibere di
appoggio degli Ordini e le manifestazioni di sostegno inviate da avvocati di tutta Italia. Ma l'Oua
ha riscontrato anche il consenso delle associazioni dei consumatori e «un'attenzione positiva» da
parte del responsabile della direzione industria e servizi dell'Authority, Giuseppe Galasso, che è
intervenuto l'altro ieri al convegno «Liberalizzare per tornare a crescere», organizzato dal
network Glocus (Innovare per competere), guidato da uno dei parlamentari firmatari del
pacchetto, Linda Lanzillotta (Partito democratico), e dagli Avvocati per le riforme. Al dibattito
sono anche intervenuti Maurizio Lupi (Pdl), Giacomo Vaciago (ordinario di politica economica
presso l'università Cattolica di Milano), Michelina Grillo e Paolo Giuggioli (presidente
dell'Ordine degli avvocati di Milano). «La sfida degli avvocati per la concorrenza e il risparmio
dei cittadini trova il consenso di parlamentari di maggioranza e opposizione e l'attenzione delle
Authority competenti», ha dichiarato la presidente dell'Oua, Michelina Grillo, «purtroppo, vista
la mole di emendamenti presentati al disegno di legge collegato alla Finanziaria, si corre il serio
rischio che il governo ponga la fiducia e che con essa venga vanificato e travolto il pacchetto di
proposte presentato dagli avvocati. Si tratta di misure per lo stato a costo zero, che possono però
rappresentare un sensibile risparmio di spesa per i cittadini. Non si comprenderebbe come una
misura di tal genere nell'interesse della collettività possa essere sacrificata dalla battaglia
parlamentare», ha continuato Grillo, «soprattutto vista la grave contingenza dell'aumento dei
tassi e della necessità di agevolare al massimo per le famiglie italiane la portabilità dei mutui.
Chiediamo al governo di accogliere e di fare propri i nostri emendamenti, per il bene dei
cittadini». L'Oua ha anche rilanciato la proposta di rinunciare all'onorario sull'autentica delle
firme per le surroghe delle ipoteche. «L'avvocato è come sempre al fianco dei cittadini», ha
concluso Grillo, «siamo disposti a rinunciare all'onorario, chiedendo solo un rimborso spese, per
autenticare le firme per le surroghe delle ipoteche per favorire la portabilità del mutuo, venendo
così incontro alle famiglie che si trovano in difficoltà. In questo modo gli avvocati vogliono dare il
loro contributo alla risoluzione di alcuni problemi come i costi tuttora elevati della portabilità dei
mutui». Gabriele Ventura
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LA PADANIA
Emergenza casa, emendamento della Lega
Portabilità, utilizzare gli avvocati gratuitamente
La crisi economica internazionale innescata, contestualmente, dal vorticoso crescere dei prezzi
energetici e dal “black hole” causato dai subprirne americani, si sta dipanando pian piano anche in
Italia. Nel nostro Paese, il problema non sono i crack finanziari delle banche, bensì quelli delle
famiglie. 121- sono 5 milioni di nuclei familiari che hanno contratto il mutuo per la prima casa o di
liquidità. Si stanno effettuando migliaia di esecuzioni immobiliari con grandi gruppi bancari tra i più
esposti. Ma per le famiglie è un disastro: le banche nell’ultimo biennio hanno finanziato, mediante
perizie false e contratti preliminari fasulli perché attestano un valore degli immobili più alto di quello
reale. In pratica una famiglia deve vendere la casa che doveva- costituire una sicurezza per il futuro dei
suoi componenti perché non ce la fa più a pagare il mutuo. Migliaia di persone che non riuscendo a
rinegoziare i mutui stanno vendendo i beni ad un valore inferiore a quello del mutuo che gli è stato
concesso e sono costretti a garantirsi con un prestito personale, che resta sempre molto oneroso,
I dati dell’ultima relazione della Banca d’Italia parlano chiaro: sono 320 mila famiglie in cui le rate al
credito al consumo pesano per un terzo dello stipendio mensile. E per 93 mila superano il 50% del
proprio stipendio. Ci sono quindi 530 mila famiglie in difficoltà per il pagamento delle rate. Tutto
questo si assomma alla esosità del costo davanti al notaio. La commissione europea, nella relazione
sulla concorrenza nei servizi professionali del 2008, ha analizzato le limitazioni che caratterizzano i
servizi offerti dai professionisti negli Stati membri. In questa relazione è stato segnalato uno studio
dell’Università di Brema in cui emerge come in Italia la relazione dei servizi sia maggiormente
restrittiva. In particolar modo i prezzi dei servizi notarili necessari al trasferimento delle proprietà
immobiliari sono vistosamente più elevati, cui non ha fatto riscontro un più elevato livello nella qualità
delle prestazioni offerte. Siamo al decimo posto su Paesi esaminati, in termini di qualità del servizio.
Alcune esclusive riserve di attività professionali costituiscono grave ostacolo al funzionamento dei
mercati e si traducono solo in una protezione delle categorie professionali con danno per i consumatori
e del mercato. A questo scopo deve essere presa in considerazione la necessità di prevedere un riesame
delle riserve previste dalla Legislazione vigente verificandone la loro obiettiva giustificazione. A tal
fine è necessaria la possibilità di ampliare il novero dei professionisti abilitati facendo riferimento a
quelli dotati di competenze analoghe, che non sono solo i notai ma che possono essere benissimo anche
gli avvocati. L’ordine professionale dei notai, infatti, è stato citato nello studio della università di
Brema per l’eccessivo corporativismo: beneficiando di un regime di monopolio, utilizza le tariffe
professionali più alte dei Paesi Cee. Queste risultano aumentate fino ad un massimo del 150 %. Di
recente la Corte d’Appello di Bolzano ha autorizzato i cittadini italiani a rivolgersi anche a notai
austriaci per l’autentica delle scritture private utilizzate nei trasferimenti immobiliari della provincia.
Nel Tirolo, ad esempio, esiste la figura del “Legalisator”. un soggetto nominato dal presidente della
Corte d’Appello che ha la funzione di autenticare le scritture private dei contratti immobiliari. 11 costo
per un passaggio di proprietà del valore superiore a 35 mila euro ammonta attualmente a 30 euro oltre
la marca da bollo. ll problema è che se poi vieni in Italia a depositare ratto fatto in Austria, il notaio
“nostrano” chiede 250 euro. In Italia; solo sui valore dell’ipoteca il notaio chiede almeno 2 mila euro,
In Italia ci sono 4.500 notai per 60 milioni di cittadini a fronte di 210.000 avvocati. Da qui la necessità,
per la Lega Nord di porre un freno a questa emorragia di denaro che sta colpendo le famiglie,
presentando un emendamento che dà la possibilità di usufruire gratuitamente degli avvocati per
stipulare l’atto riguardante la portabilità del mutuo.
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VECCHIO EMENDAMENTO SU PORTABILITÀ DEL MUTUO: Nell’ipotesi di surrogazione ai
sensi del comma 1, il mutuante surrogato subentra nelle garanzie accessorie, personali e reali, al credito
surrogato. L’annotamento di surrogazione può essere richiesto al conservatore senza formalità,
allegando copia autentica dell’atto di surrogazione stipulato per atto pubblico o scrittura privata.
NUOVO EMENDAMENTO SU PORTABILITA’ DEL MUTUO: Nell’ipotesi di surrogazione ai sensi
del comma 1, il mutuante surrogato subentra nelle garanzie accessorie, personali e reali, al credito
surrogato. L’annotamento dì surrogazione può essere richiesto al conservatore senza formalità,
allegando »copia semplice di atto di surrogazione autenticato gratuitamente nelle sottoscrizioni da un
avvocato ., o allegando copia autentica dell’atto di surrogazione stipulato per atto pubblico o scrittura
privata”. Piergiorgio Stiffoni (ha collaborato l’avv. Agostino D’Antuoni)
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ITALIA OGGI
Il decreto 112 del 2008 svincola i lavoratori autonomi da una serie di adempimenti burocratici
Professionisti, stop ai conti dedicati
Va in soffitta il divieto di riscuotere compensi in contante
Professionisti italiani di nuovo liberi. Grazie agli interventi operati con il dl 112/08 l'esercizio
dell'attività professionale è stato svincolato da una serie di obblighi strumentali che di fatto ne
compromettevano l'esercizio stesso. Il riferimento naturalmente è all'abrogazione delle norme contenute
nei commi 12 e 12-bis dell'articolo 35 del famoso dl 223/2006 (cosiddetta Visco-Bersani) che avevano
introdotto l'obbligo per i professionisti della tenuta di uno o più conti correnti «dedicati» nel quale
dovevano transitare tutte le movimentazioni finanziarie inerenti l'attività di lavoro autonomo e il divieto
di riscuotere compensi in denaro contante. Obbligo quest'ultimo mitigato da un regime transitorio di
entrata in vigore della norma che dal 1° luglio 2008 avrebbe fatto scattare la soglia di ammissibilità ad
euro 500 per poi scendere, definitivamente, a 100 euro dal 1° luglio 2009. Le norme sopra descritte
oltre che imitatrici all'esercizio dell'attività di lavoro autonomo avevano anche un contenuto
discriminatorio nei confronti degli esercenti attività di lavoro autonomo. Seppur finalizzate a una causa
condivisibile, quale la lotta all'evasione fiscale, era veramente difficile comprendere il motivo che
obbligava un professionista all'istituzione di un conto corrente dedicato e gli vietava l'incasso di somme
per contanti mentre tutto ciò non valeva, ad esempio, per un artigiano o un agente di commercio. Il
ritorno alla normalità operato dal dl 112/08 apre comunque alcuni spazi di riflessione sull'eredità
lasciata nel periodo di vigenza delle norme sopra descritte nonché sui nuovi scenari che si aprono nella
gestione amministrativa e fiscale delle attività professionali. Difficile pensare che il lavoratore
autonomo che in ossequio alle disposizioni contenute nel dl 223/06 ha istituito uno o più conti correnti
dedicati all'esercizio della propria attività professionale decida adesso di chiudere tali rapporti a seguito
del mutato scenario normativo. Evitare commistioni fra la gestione dell'attività di lavoro autonomo e le
movimentazioni finanziarie derivanti da altre attività e soprattutto dalla sfera privata, può comunque
costituire un valido schermo contro l'ipotesi, tutt'altro che remota, di accertamenti fiscali basati sul
controllo delle movimentazioni finanziarie e sul cosiddetto redditometro. Certo d'ora in poi non vi sarà
più la necessità di rendicontare ogni e qualsiasi movimento in entrata o in uscita dal conto corrente
dedicato tralasciando di dover giustificare, anche a se stesso, i prelievi necessari al sostentamento
proprio e della propria famiglia. Tuttavia, una sorta di prima nota delle movimentazioni bancarie
continua a svolgere un ruolo importante in un'ottica di prevenzione da rischio accertamento fiscale.
Anche l'abolizione del divieto di riscossione dei compensi per contante costituisce, di fatto, un ritorno
alla normalità. Grazie alle norme transitorie il divieto aveva esplicato effetti solo per importi superiori
ai mille euro e pertanto l'impatto non si era ancora fatto sentire in tutte le sue proporzioni. Già
l'abbassamento della soglia a 500 euro che sarebbe scattata dal 1° luglio scorso avrebbe messo in
difficoltà più di un lavoratore autonomo. Il clou lo si sarebbe raggiunto fra un anno quando la soglia si
sarebbe abbassata a 100 euro creando difficoltà generalizzate per tutti i lavoratori economici. Molti
ipotizzavano la necessità di dover installare presso il proprio studio professionale o ambulatorio
medico, un dispositivo p.o.s. per consentire ai propri clienti di effettuare pagamenti tracciabili tramite
bancomat o carte di credito. Operazione quest'ultima che, come del resto l'apertura di uno o più conti
correnti dedicati, finiva per creare opportunità e vantaggi unicamente al sistema bancario. Del recente
passato legislativo in tema di lavoro autonomo è sopravvissuto però l'obbligo della cosiddetta
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riscossione accentrata all'interno delle strutture mediche e paramediche. Anche quest'obbligo è frutto di
una logica di trattamento del tutto particolare riservata al lavoro autonomo rispetto alle altre attività
economiche che però, almeno per adesso, il legislatore ha ritenuto di mantenere in vigore. Sembrerebbe
invece naturale sopprimere anche tale obbligo la cui sopravvivenza finisce per creare un'ulteriore e
ingiustificato trattamento per i medici che operano all'interno di strutture sanitarie private rispetto sia
alla generalità degli altri esercenti attività di lavoro autonomo sia nei confronti dei colleghi medici che
esercitano all'esterno di dette strutture. Oggi quindi, ad eccezione dei professionisti operanti nelle
strutture sanitarie private, i liberi professionisti italiani dovranno gestire le proprie movimentazioni
finanziarie così come tutti gli altri soggetti economici. Il buon senso e la necessità di dover comunque
giustificare le movimentazioni in entrata e uscita dai propri conti correnti nell'ipotesi di una verifica
fiscale approfondita consiglieranno loro di operare lasciando aperta la possibilità, anche documentale,
di tracciare ogni movimento non perché obbligati da una norma ma perché ciò è imposto dal comune
buon senso. La possibilità di poter comunque riscuotere somme per contanti dovrà poi essere gestita,
come in genere è sempre stato, con la dovuta cautela, onde evitare le ovvie difficoltà nel dover
dimostrare, a posteriori, la provenienza dei relativi versamenti sul conto corrente specie nelle ipotesi di
riscossioni per contanti e frazionate nel tempo. Quanto infine all'obbligo di riscossione accentrata nelle
strutture mediche e paramediche non resta che augurarsi che i mutati orientamenti del legislatore
finiscano per ritenere inutile e superato anche tale obbligo sancendone la definitiva abrogazione e il
ripristino delle condizioni operative normali e comuni a tutte le attività economiche siano esse
professionali che d'impresa. Andrea Bongi
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IL CORRIERE DELLA SERA
Il premier: la priorità è la giustizia. No della Lega
Berlusconi: torni l’immunità parlamentare. Testo sulle intercettazioni, il Pdl vuole votare prima delle
ferie
Il ministro Calderoli: il 2008 già troppo pieno, prima va approvato il federalismo fiscale. I
timori del Csm
ROMA — «Sulla giustizia non farò passi indietro». Siivio Beriusconi conferma davanti alla pattuglia di
parlamentari europei che incontra a pranzo in un albergo del centro che quella è appunto «priorità nazionale che
andrà in agenda già a settembre». Ma la Lega Nord con Roberto Calderoli cerca di imporre una frenata ai
propositi del Cavaliere sostenendo che «il 2008 è già abbastanza pieno visto che c’è da approvare il federalismo
fiscale, il codice delle autonomie e poi la riforma costituzionale». Nella maggioranza, insomma, si profila un
braccio di ferro su chi debba scrivere le priorità dell’agenda di governo. L’insistenza di Berlusconi. nell’andare
avanti, secondo i suoi più stretti collaboratori, è un modo per riaffermate che spetta a lui, in quanto leader della
coalizione e capo del governo, decidere. Ecco perché esponenti del Pdl non escludono che nei prossimi giorni,
prima cioè della pausa per le ferie estive, si proceda a fare approvare in Parlamento il disegno di legge sulle
intercettazioni, adottando la stessa rapidità con cui è stato varato il «Lodo Alfano». ii provvedimento sul quale il
premier sta riflettendo non sarebbe quello rivisto, su pressioni della Lega Nord, che autorizza l’utilizzo di questo
strumento anche per i reati contro la pubblica amministrazione. La sua idea sarebbe quella di ripristinare la
stesura originaria, che appunto escludeva le intercettazioni per quel tipo di reati, una scelta questa motivata dalla
circostanza che una soluzione del genere si potrebbe prestare ad abusi da parte di pubblici ministeri. L’insistenza
di Berlusconi di rimarcare che è lui a decidere, aggiungono alcuni suoi collaboratori, nasce anche dalla
preoccupazione che pezzi della maggioranza possano, in nome del dialogo sulle riforme, saldarsi con altrettanti
pezzi dell’opposizione, come è avvenuto nel corso del convegno di Italiani europei. Ecco perché Berlusconi
rimarca i capisaldi di «una riforma dalle fondamenta» sulla quale si comincerà a discutere già a settembre. Non
solo. Il Cavaliere riscopre la bozza presentata dal centro- destra nel 2001, con il sottinteso che quel testo era
allora sostenuto anche dalla Lega Nord mentre oggi invece appare poco convinta. Berlusconi li elenca, e tra
questi cita il ritorno dell’immunità parlamentare, la priorità nell’esercizio dell’azione penale con regole e criteri
precisi, la separazione delle carriere, la riforma dél Csm e della sezione disciplinare. Idee che preoccupano il
Csm il quale vede in ciò «minaccia all’indipendenza della magistratura» e Antonio Di Pietro, secondo il quale
«questo era il progetto della P2, un progetto criminogeno». In ogni caso, Berlusconi non arretra. «Sono più
determinato che mai», dice ai suoi, aggiungendo che un «comitato di saggi rappresentativi dell’area liberale e,
soprattutto, non giustizialisti» darà una mano al Guardasigilli in questo delicato lavoro. E indica anche alcuni
nomi che potrebbero fare parte del gruppo (quattro-cinque persone al massimo): il presidente emerito della
Repubblica Francesco Cossiga, l’ex giudice della Corte costituzionale dimessosi in polemica con il governo
Prodi, Romano Vaccarella, il giurista e parlamentare di Forza Italia, Giuseppe. Gargani. Il momento nel quale
Berlusconi rilancia la riforma della giustizia — lo stesso giorno del via libera della Camera al decreto sicurezza
— non è per nulla casuale. E neppure l’enfasi che vi pone quando ricorda ai suoi «che il problema di questo
Paese è la giustizia che influisce nella vita di tutti i giorni di ogni cittadino e va anche dritto dritto al cuore
dell’economia». La giustizia, insiste il Cavaliere, «viene usata per condizionare l’economia e la politica. E
proprio per questo motivo non mi fermerò mai, questa volta non mi fermerà nessuno». Parole dure le sue, parole
che giungono dopo le puntualizzazioni di Calderoli, il quale appunto nega che la giustizia sia tra le priorità.
«Sulle riforme — nota il ministro leghista — abbiamo una tabella temporale e in questa tabella la riforma della
giustizia non compare». Tuttavia, precisa il responsabile alla Semplificazione legislativa, «ciò non vuole dire che
la riforma non si farà, ma che si farà dopo». Prima, dice Calderoli, c’è il federalismo fiscale il cui disegno di
legge è già pronto e verrà presentato alla conferenza Stato-Regioni. Insomma, dietro la brusca frenata di
Calderoli si indovina la preoccupazione della Lega, che teme di vedere rinviati alle calende greche sia il
federalismo fiscale sia la riforma costituzionale. Lorenzo Fuccaro
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IL CORRIERE DELLA SERA
La riforma/ Il compito: aiutare il Guardasigilli
Cossiga, Gargani, Vaccarella Silvio si sceglie tre «saggi»
ROMA — Francesco Cossiga, Romano Vaccarella, Giuseppe Gargani. A loro tre, magari con
l’aggiunta di qualche altro professore di diritto, titolato e di area 1iberale, pensa Silvio Berlusconi
quando annuncia che un comitato di saggi dovrà aiutare il Guardasigilli a stendere la riforma della
giustizia. Una riforma, assicura il capo del governo, che dovrà essere radicale, andare cioè alle
fondamenta. A parte Gargani, che è parlamentare europeo e in questa veste partecipa all’incontro con
Berlusconi in un albergo del centro, gli altri due sono all’oscuro, ignorano cioè di essere inseriti tra i
candidati a dare una mano al ministro della Giustizia. «Non so nulla. Apprendo da lei la notizia. Non ho
nulla da aggiungere», dice il professor Romano Vaccarella. Già giudice costituzionale dimessosi in
polemica con il governo Prodi che avrebbe influenzato le decisioni dell’alta Corte sui referendum
elettorali, Vaccarella è considerato un giurista vicino al centrodestra che appunto lo indicò per la
Consulta. Non altrettanto può dirsi del senatore a vita, Francesco Cossiga, un battitore libero che in
passato ha condotto aspre battaglia contro il giustizialismo e le interferenze dei magistrati. Basti
pensare che da presidente della Repubblica minacciò di inviare i carabinieri nella sede del Csm per
impedire una riunione il cui ordine del giorno non era stato da lui espressamente approvato in quanto
presidente del Csm. «Ringrazio Berlusconi di avere pensato a me— dice —. Accetto di buon grado,
perché l’idea di riformare la giustizia mi pare una cosa saggia», commenta il presidente emerito della
Repubblica. Cossiga non intende anticipare argomenti e questioni sulle quali a suo giudizio si deve
intervenire. Si limita a fare alcune considerazioni di natura politica. «L’idea del comitato è apprezzabile
perché offre un tavolo di trattative che consente di stabilire rapporti coni non giustizialisti del Partito
democratico, che esistono e che hanno in Massimo D’Alema il loro campione». Più loquace Giuseppe
Gargani che, con tutta probabilità, avrà il compito dì coordinare il comitato. Lui ha ben chiaro dove si
devono mettere le mani per riformare la giustizia. «Occorre tornare a quella parte del programma con
cui vincemmo nel 2001». Entrando nei dettagli, Gargani osserva che i punti rilevanti sono cinque: «La
separazione delle carriere tra pm e giudici, il ripristino dell’immunità parlamentare e quindi una diversa
disciplina delle autorizzazioni a procedere, una revisione del Csm che introduca la parità tra membri
togati e “laici”, cosa questa che a parola trova favorevole anche Luciano Violati- te, e per quanto
riguarda l’azione penale vanno indicate le priorità bisogna cioè dare degli indirizzi, dei criteri ai quali i
magistrati devo attenersi e non più affidarsi alla loro discrezionalità». L. Fu.
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ITALIA OGGI
Tavola rotonda organizzata dall'Unione delle camere penali apre il cantiere delle riforme
Un giudice giudichi la giustizia
Alta corte disciplinare di giuristi per magistrati e avvocati
Un benchmarking dell'obbligatorietà dell'azione penale, due Csm separati e con prevalenza di non togati e
un'Alta corte disciplinare di giuristi a giudicare magistrati e avvocati: l'Unione camere penali apre ufficialmente
il cantiere delle riforme e Alfano risponde all'invito annunciando l'apertura dell'agenda Giustizia in autunno. Il
ministro parla dell'attuale legislatura come della «candidata legittima a una riforma organica della giustizia: se
non sarà capace di produrla, nessuno darà le attenuanti a questo governo». Nella giornata in cui la camera vota la
fiducia al decreto sicurezza del governo con 322 sì, 267 no e 8 astenuti, al residence Ripetta, Dominioni tira le
fila di una tavola rotonda organizzata dall'Unione camere penali sulle riforme inprorogabili della giustizia. Da
notare la massima presenza degli esponenti di maggioranza del parlamento e del governo nonostante la
sovrapposizione temporale con il voto alla camera. A dibattito appena iniziato arriva Alfano e poco dopo, passo
sicuro e codice alla mano, anche Niccolo Ghedini. Non si alzeranno più per buona parte della tavola rotonda. Tra
i relatori, anche Luca Palamara, presidente dell'Anm, Giulia Buongiorno, presidente della commissione giustizia
della Camera, e Lanfranco Tenaglia, ministro ombra della giustizia per il Pd.
Si discute dell'opportunità di riforme tout court e di singoli aggiustamenti: magistratura, avvocatura, Csm,
obbligatorietà dell'azione penale e codici di diritto penale e procedura penale. Temi caldi, anzi incandescenti
dopo questa nuova onda d'urto vibrata tra magistratura e presidenza del consiglio temporaneamente riassorbita
dai cambiamenti apportati alla disciplina «blocca processi». Nel suo discorso di apertura, Dominioni affronta
così i nodi del sistema: «Il Csm che da organo di autogoverno, è diventato terza camera della repubblica e da
ultimo ha assunto un ruolo di supplenza del sindacato della magistratura che», definisce, «è la massima distanza
possibile dalla Costituzione». L'Unione camere penali propone quindi «due csm separati, uno per la giudicante e
l'altro per la requirente per attuare una reale separazione delle carriere e spezzare il legame organizzativo che
unisce giudici e pm, con una preponderanza di non togati all'interno». Ce n'è anche per una gestione della
sezione disciplinare del Csm diventata secondo Dominioni «domestica e indulgente, una proposta più radicale e
innovativa», rilancia, «sarebbe quella di istituire un'alta corte disciplinare composta da giuristi e competente a
giudicare la disciplina di magistrati e avvocati». Mano dura, invece, sui magistrati assegnati fuori ruolo ai
ministeri: «Va annientato il fenomeno, la longa manus dell'Anm per farsi sentire nelle altre istituzioni».
Obbligatorietà dell'azione penale: «Non si tratta di abolirla», esclude Dominioni, «però l'esercizio deve avere
meccanismi di selezione indispensabili perché le strutture giudiziarie sono sottodimensionate rispetto alla
domanda di reato e non è possibile pensare che a ogni notizia di reato corrisponda un processo penale. Ed ecco
perché come già in molti altri ordinamenti e in settori del nostro ordinamento, a cominciare dal processo
minorile, vanno previsti da parte del legislatore dei criteri di selezione per l'esercizio dell'azione penale: criteri
assistiti dalla legalità che non mettano in campo una libera discrezionalità dei magistrati: una sorta di
benchmarking dell'azione penale ma inquadrata in una legge». Critica la reazione di Palamara a difesa delle
prerogative costituzionali della categoria: «Mi chiedo quanto la modifica di questi temi sia funzionale al
miglioramento del processo_ questo paese vuole ancora magistrati liberi? Sul bloccaprocessi ci siamo limitati a
osservazioni di carattere tecnico, l'Anm non vuole essere un sindacato di resistenti ma intende battersi perché ci
siano magistrati liberi e soggetti solo alla legge». Pronta la reazione di Ghedini: «Avvocatura e magistratura forti
e indipendenti ma dalla politica, Palamara, dite di essere per l'intransigente difesa dei valori costituzionali ma
perché non avete mai voluto applicare l'articolo 106 che prevede la chiamata a consigliere di cassazione anche
per gli avvocati con 15 anni di esercizio?». Marzia Paolucci
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ITALIA OGGI
Processi sommarizzati
di Laura Pernigo - Responsabile della commissione per il processo civile Anf
Mettere mano al processo civile, magari con l'intento in sé apprezzabile di migliorarne durata e qualità,
è una tentazione alla quale nessun governo sembra saper resistere. L'attuale esecutivo, come il
precedente, però, non è stato in grado di affrontare le vere urgenze del sistema, numero dei magistrati
togati, qualificazione di quelli onorari, geografia giudiziaria, né di proporre soluzioni capaci di invertire
la rotta: unicità dei riti, omogeneità degli atti introduttivi e seria riflessione, come da tempo fa
l'avvocatura, sui diritti giustiziabili e sui circuiti della giurisdizione. La manovra d'estate appena varata
ricalca in larga misura il progetto Mastella della precedente legislatura, e si espone pertanto alle
medesime osservazioni critiche. Il modello processuale che la manovra governativa ci consegna è un
modello autoritario, in cui nelle mani del giudice è lasciata un'enorme discrezionalità: il giudice
concede i termini per la modifica delle domande e la richiesta di prove solo se sussistano giusti motivi;
il giudice può autorizzare la testimonianza «per posta» in tutti i casi in cui lo ritenga opportuno; il
giudice condanna la parte vittoriosa, che non abbia accettato la proposta conciliativa di importo uguale
alla condanna, alla rifusione delle spese o, in subordine, alla compensazione; il giudice può rilevare
d'ufficio l'estinzione del processo. I termini a favore delle parti sono invece drasticamente ridotti e
mostrano il chiaro intento di gravare di pesanti conseguenze l'inerzia delle parti e di favorire l'estinzione
dei procedimenti. Se questa è la prospettiva, tagliare il numero delle cause quiescenti per dimostrare
una riduzione del carico (ma non una delle cause davvero da decidere sarà eliminata), c'è di che
preoccuparsi, potendo facilmente verificarsi la prescrizione dei tanti diritti soggetti a prescrizione breve.
L'accentuata tendenza alla sommarizzazione del processo, peraltro, deve preoccupare chi ha a cuore le
sorti dei diritti, l'effettività della loro tutela, le condizioni di lavoro degli operatori, e non solo numeri e
statistiche. Il processo deve essere il luogo in cui i diritti delle parti diventano effettivi perché ricevono
tutela, con meccanismi semplici e comprensibili, con il duplice obiettivo di una durata ragionevole e
della qualità del diritto di difesa, garantito a tutte le parti in condizioni di parità. In quest'ottica la
manovra del governo, che pure contiene previsioni apprezzabili, non centra l'obiettivo: è l'ennesimo
provvedimento-tampone che, sull'altare della celerità, sacrifica il principio dispositivo con il rischio di
sacrificare i diritti dei cittadini.
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ITALIA OGGI
Alla camera una pdl scritta dalle associazioni forensi e targata Pecorella
Specializzazioni col bollino
Una scuola di alta formazione per gli avvocati
Attenzione a carte intestate e biglietti da visita in bella mostra: presto gli avvocati che intendano avvalersi di un
«titolo specialistico» dovranno andare a «scuola di alta formazione». È quanto prevede nella sostanza la proposta
di legge Pecorella dal nome del deputato e avvocato penalista del Pdl, già presidente della commissione giustizia
della camera e oggi membro della commissione affari costituzionali della camera. Un testo in prima lettura alla
camera, assegnato in referente da poco più di un mese alla commissione giustizia, che, a dispetto del pluricitato e
incompiuto ddl Mantini della scorsa legislatura, sorta di piattaforma generale di riforma delle professioni
intellettuali, è invece un proposta di legge di riforma esclusiva dell'ordinamento della professione di avvocato,
con una disciplina autonoma di 70 e oltre articoli. In sostanza, quello che gli avvocati andavano chiedendo da
tempo: una disciplina tutta loro che senza piazzarli nel calderone delle professioni intellettuali puntasse
sull'accesso, le specializzazioni e la formazione permanente. Ed è quanto hanno fatto elaborando questo
articolato le associazioni forensi specialistiche di Ucpi-Unione camere penali italiane, Aiaf-Associazione degli
avvocati per la famiglia e i minori, Agi-Associazione giuslavoristi italiani e Uncat-Unione nazionale camere
avvocati tributaristi. E larga sembra essere anche la condivisione politica di maggioranza e opposizione in
materia di specializzazione forense, visto che un testo analogo di riforma della professione è stato presentato
qualche giorno fa anche dal Pd.
Per l'accesso alla professione, in accordo con il disegno di legge presentato al senato nella scorsa legislatura, il
testo prevede un test preselettivo abilitante allo svolgimento delle prove di esame così come già avviene per gli
esami scritti di magistratura. Ma questa volta il candidato potrebbe vedersela veramente brutta, visto che in base
all'attuale proposta gli sarà vietato l'utilizzo dei codici commentati finora ammessi; all'orale, poi, il testo adegua
il numero e la tipologia delle materie di esame ai settori del diritto in base ai quali dimostrare l'effettiva capacità
professionale escludendo determinate materie e aggiungendone invece altre. E veniamo al principio ispiratore
della specializzazione, tendenza mutuata dagli studi anglosassoni, con un avvocato specialista che per dirsi tale
dovrà aver frequentato per due anni una scuola di alta formazione e superare anche un esame finale di
specializzazione. Tutto ciò non prima di aver raggiunto un'anzianità di iscrizione all'albo di almeno due anni. Da
questo momento lo specializzato, se vuole mantenere il titolo, entra a far parte di un programma di formazione
continua annualmente organizzato dal Consiglio nazionale forense e dalle varie associazioni forensi: saranno
infatti loro i soggetti privilegiati per organizzare su base regionale e interregionale le scuole di formazione. Il
percorso di formazione sarà differenziato secondo le scelte del professionista previste a monte dai regolamenti
del Cnf. E salendo gli scalini della giurisdizione, cambia anche il regime di abilitazione al patrocinio prevedendo
a ogni passaggio il superamento di un esame. Per Oreste Dominioni, presidente dell'Unione camere penali, che
martedì scorso ha patrocinato una tavola rotonda sulle riforme necessarie alla giustizia, «servono criteri selettivi
reali a cominciare da un test per la sola ammissione all'esame a fronte di numeri non più controllabili. La
specializzazione passerà invece dalle scuole». Probabilità che passi? Dominioni parla a ItaliaOggi di «tempi
maturi: sono due anni che ci lavoriamo, abbiamo grande consenso nell'ambito politico. Un testo nato però senza
alcun contributo da parte dell'Oua, l'Organismo unitario dell'avvocatura italiana. È prudente», ritiene Dominioni,
«laddove avverte perplessità da parte degli ordini o di alcuni settori di essi che frenano perché con un'idea
sbagliata della riforma, a cominciare dall'istituzione di albi separati tra gli specialisti, temono una loro
frantumazione. Diversamente, invece, la riforma prevede elenchi di specialità all'interno dello stesso albo». E se
le specialità non dovessero essere istituite o per legge o attraverso il Cnf, Dominioni ha pronto anche un piano
«b»: «Le istituiremo noi». Marzia Paolucci
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DIRITTO E GIUSTIZIA
La riforma pensionistica al "via", per chi parte adesso il traguardo è lontano
di Paolo Rosa - Avvocato, Presidente della Cassa Forense
Il Comitato dei Delegati nelle riunioni del 10 e 11 luglio 2008, dopo aver rigettato in limine la richiesta di rinvio
della votazione avanzata dall'Unione Regionale dei Consigli degli Ordini della Campania sostenuta dai Consigli
dell'Ordine del Distretto di Lecce e dal Consiglio dell'Ordine di Palermo che auspicavano un'ulteriore
approfondimento e la rivisitazione dei criteri adottati per testare l'effettiva sostenibilità del sistema pensionistico
proiettato a 30 anni ed il successivo ampliamento di tale arco temporale a 50 anni così come disposto dal decreto
interministeriale 06.02.2008, ha sostanzialmente approvato l'impianto della proposta di riforma del sistema
previdenziale forense votando a favore dell'aumento dell'età pensionabile di vecchiaia secondo la seguente
scaletta:
- fino al 31 dicembre 2011, 65 anni di età e almeno 30 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa;
- dal 1 gennaio 2012, 66 anni di età e almeno 31 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa;
- dall'1 gennaio 2017, 67 anni di età e almeno 32 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa;
- dal 1 gennaio 2022, 68 anni di età e almeno 33 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa;
- dal 1 gennaio 2025, 69 anni di età e almeno 34 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa;
- dal 1 gennaio 2027, 70 anni di età e almeno 35 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa.
È peraltro riconosciuta all'iscritto la facoltà di anticipare, rispetto a quanto previsto dalla citata scaletta, il
conseguimento del trattamento pensionistico a partire dal compimento del 65° anno di età, fermo restando i
requisiti della anzianità di iscrizione e contribuzione di cui si è detto più sopra.
In caso di anticipazione della pensione, l'importo della quota di base verrà ridotto nella misura dello 0,45% per
ogni mese di anticipazione rispetto al requisito anagrafico più sopra ricordato e che corrisponde ad un 5% in
ragione d’anno. Con un emendamento piuttosto sofferto il Comitato dei Delegati ha stabilito che la riduzione di
cui innanzi non si applica ove l'iscritto, al raggiungimento del 65° anno di età, abbia raggiunto il requisito
dell'effettiva iscrizione e contribuzione per almeno 40 anni. Il Comitato dei Delegati ha accolto anche
l'introduzione della pensione cd. modulare e quindi la pensione di vecchiaia sarà costituita dalla somma di due
distinte quote confluenti in un trattamento unitario. Una prima quota, detta di base, calcolata secondo il criterio
retributivo ed una seconda quota, detta modulare, che sarà in piccola parte obbligatoria e per la maggior parte
facoltativa, calcolata secondo il criterio contributivo. Sempre attraverso un emendamento che recuperava il
lavoro svolto dalle Commissioni riunite è stato introdotto il concetto dell'integrazione al trattamento minimo. Su
domanda dell'avente diritto, infatti, qualora applicando i criteri di calcolo la pensione annua sia inferiore agli
attuali € 10.160,00, preso come base l'anno 2008, è corrisposta un'integrazione sino al raggiungimento del
suddetto importo. L'integrazione al trattamento minimo compete però solo nell'ipotesi in cui il reddito
complessivo dell'iscritto e del coniuge, non legalmente ed effettivamente separato, comprensivo dei redditi da
pensione nonché di quelli soggetti a tassazione separata o a ritenuta alla fonte, non sia superiore al triplo del
trattamento minimo. Tale integrazione al trattamento minimo compete solo sino al raggiungimento del reddito
complessivo massimo pari a tre volte il trattamento minimo di cui sopra. Ai fini del computo del reddito
massimo di cui sopra non si considerano il reddito della casa di abitazione del titolare della pensione, anche se
imputabile al coniuge, il trattamento di fine rapporto e le erogazioni ad esso equiparate. Per i fini di cui alla
presente normativa si considera la media dei redditi effettivamente percepiti nei tre anni precedenti quello per il
quale si chiede l'integrazione al trattamento minimo della pensione. All'atto della presentazione della domanda di
integrazione al trattamento minimo il richiedente dovrà sottoscrivere autocertificazione relativa ai requisiti
reddituali di cui si è detto, impegnandosi a comunicare le variazioni che comportino la perdita del diritto
all'integrazione. In ogni caso ogni tre anni il pensionato dovrà ripetere la domanda di integrazione con le
modalità di cui sopra.
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Qualora risulti che il pensionato abbia ricevuto l'integrazione al minimo a seguito di dichiarazioni non
rispondenti al vero, egli sarà tenuto, oltreché alla restituzione delle somme indebitamente percepite, maggiorate
degli interessi, al pagamento di una sanzione che sarà pari al 30% delle somme lorde indebitamente percepite,
ferme le eventuali sanzioni previste dalle leggi penali. La normativa sull'integrazione al minimo, vera novità per
Cassa Forense, risale al 1952 ed ha subito, nel sistema della previdenza generale italiana, una serie di modifiche
fino alla riforma Amato del 1992 che ha introdotto il concetto di reddito “coniugale” e, pertanto, dopo aver
verificato la situazione reddittuale del richiedente la prestazione, occorre anche verificare la situazione reddituale
di entrambi i coniugi non effettivamente e legalmente separati. Non sfuggirà a chi legge che l'integrazione al
trattamento minimo costituisce un beneficio del quale non possono usufruire tutti gli iscritti ma soltanto quelli
bisognosi. Sino ad oggi l'integrazione al trattamento minimo scattava in automatico quanto l'iscritto, sulla base
della contribuzione versata, non riusciva a raggiungere il minimo previsto. Oggi l'integrazione dovrà essere
richiesta e giustificata dal reddito complessivo dell'iscritto e del coniuge che non può essere superiore, per
poterne beneficiare, a tre volte il trattamento minimo e quindi ad € 30.480,00. È un passaggio certamente
delicato ma finalizzato ad un moderno concetto di Welfare forense.
La quota modulare della pensione di vecchiaia è determinata secondo il metodo di calcolo contributivo definito
dalla legge 335/95 e dal regolamento approvato. Il montante contributivo individuale al 31 dicembre di ciascun
anno è costituito dalla somma dei contributi obbligatori e facoltativi versati dall'iscritto. Il montante contributivo
individuale è rivalutato su base composta al 31 dicembre di ogni anno ad un tasso annuo di capitalizzazione pari
al 90% della variazione media quinquennale del tasso di rendimento netto del patrimonio investito dalla Cassa in
tale periodo, con un valore minimo dell'1,5%. Tale valore minimo è garantito da un fondo di riserva di rischio
alimentato dal rimanente 10% del rendimento non attribuito all'iscritto.
All'atto del pensionamento il montante sarà trasformato in rendita secondo i seguenti criteri:
- per i primi 5 anni di applicazione del presente regolamento, utilizzando i coefficienti per età, come previsti
dalla legge 335/95 e successive modifiche ed in uso presso gli Enti di cui alla legge 103/96;
- successivamente con coefficienti per età costruiti tenendo conto delle particolari caratteristiche demografiche
della categoria e dei conseguenti effetti attuariali, come risultanti dalla redazione dei bilanci tecnici.
È stata confermata la pensione di anzianità con la seguente scaletta:
- fino al 31/12/2011, 58 anni di età e almeno 35 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa;
- dal 01/01/2012, 58 anni di età e almeno 36 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa;
- dal 01/01/2014, 59 anni di età e almeno 37 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa;
- dal 01/01/2016, 60 anni di età e almeno 38 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa;
- dal 01/01/2018, 61 anni di età e almeno 39 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa;
- dal 01/01/2020, 62 anni di età e almeno 40 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa.
La corresponsione della pensione di anzianità è in ogni caso subordinata alla cancellazione dall'albo degli
avvocati e dall'albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori. Essa è incompatibile con la
reiscrizione ad uno degli albi suddetti. Verificatasi l'incompatibilità, la pensione di anzianità è sospesa sino
all'eliminazione della relativa causa, con diritto della Cassa a ripetere i ratei di pensione corrisposti dall'insorgere
della incompatibilità stessa.
Il Comitato dei Delegati ha poi ridotto da dieci a cinque , come per l'infortunio,
gli anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa per poter fruire ,ricorrendone i requisiti , della pensione
di inabilità e invalidità cosi' allargando la tutela per le generazioni più giovani iscritte , continuativamente,da data
anteriore al compimento del quarantesimo anni di età.
Nel prossimo Comitato dei Delegati del 24 luglio 2008 proseguiremo l'esame degli articolati proposti nella
speranza di poter arrivare prima della sospensione feriale all'approvazione dell'intera riforma.
Imprescindibile sarà l'aumento del contributo integrativo dal 2 al 4% sul quale vi è il generalizzato consenso del
Comitato dei Delegati.
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ITALIA OGGI
A lezione di marketing
Le regole organizzative precedono la certificazione di studio
di Giovanna Stumpo
L'art. 17-bis del codice deontologico forense indica la «certificazione di qualità» tra le informazioni opzionali
che lo studio può riportare nei mezzi di comunicazione informativa (logo, targa, biglietto da visita, carta da
lettere, brochure, sito internet).
Nel contesto legale e più in generale del settore delle libere professioni vi è tuttavia scarsa conoscenza del
percorso che occorre seguire per dare corso al «processo di certificazione»; soprattutto, si è spesso inconsapevoli
del fatto che alla base di tale scelta è prima di tutto la volontaria adozione di una norma internazionale e tecnica
di riferimento (la Uni En Iso 9001:2000 - Sistemi di gestione per la qualità - Requisiti), che è importante e utile
per realizzare un modello di organizzazione, gestione e controllo (alias di management), efficiente, funzionale e
su misura. Perché tale norma rappresenta un parametro di riferimento cui improntare «il modus» delle attività
operative, gestionali e di controllo di studio, utile per lo sviluppo di una metodologia pianificata del lavoro, in
base a una chiara definizione di «chi fa cosa, come lo deve fare, entro quali tempi e con quali risorse e sotto il
controllo di chi». Autonomamente, ovvero con l'ausilio di un esperto dello standard Iso lo studio può infatti
arrivare a «codificare per iscritto» le regole organizzative (i.e. specifica dei compiti, delle mansioni dei ruoli e
delle responsabilità di ogni livello funzionale; pianificazione delle attività; programmazione dei tempi; scelta
delle risorse fisiche, strutturali e di budget; analisi dei dati, monitoraggi e controlli) in una apposita
«documentazione di sistema» (i.e. Manuale della Qualità: documento che «fotografa» le metodologie di lavoro
prescelte e definite nell'ottica del conseguimento di «obiettivi di risultato»; Procedure interne: regole che
individuano metodi di raccolta dati e di gestione, ovvero chi specificano modalità utili e necessarie a condurre le
periodiche attività di verifica interna/ di audit. Individuando anche gli strumenti per intervenire su eventuali
criticità ed apportare le opportune leve correttive/di miglioramento; Istruzioni di lavoro: documenti che
specificano ruoli, mansioni e compiti assegnati ai vari livelli funzionali e relative modalità di attuazione; oltreché
più in generale le regole di comportamento e azione volute dallo studio). Per lo studio legale dotarsi di un
sistema di management Iso significa poi adottare volontariamente la metodologia suggerita dalla norma tecnica
citata ed acquisirla, a livello di organizzazione e persone, come fatto culturale da implementare internamente,
allo scopo di garantire la corretta gestione dei metodi di lavoro scelti e di migliorare la qualità delle prestazioni.
Questa la regola.
Vi sono poi situazioni specifiche, tali per cui il percorso organizzativo-gestionale e di controllo interno
rappresenta solo il primo passo verso un obiettivo più ampio ed ambizioso; che trova la sua ragion d'essere nella
scelta o nell'esigenze sentita dallo studio di conseguire la certificazione di conformità. La «certificazione» ai
sensi della norma Uni Cei En 45020:1998 (Normazione e attività connesse) consiste nell'attestazione fornita da
un soggetto indipendente e autonomo (rispetto all'organizzazione ed al di lui cliente) del fatto che un
prodotto/servizio o un processo è conforme ai requisiti specificati da una previsione di natura tecnica di
riferimento. Nel caso dello legale, si tratta dell'attestazione, rilasciata da un organismo terzo, autonomo e
indipendente rispetto allo studio, al consulente che lo ha eventualmente supportato nel percorso di «project
management» e al cliente target, circa l'idoneità della struttura e delle persone che in essa operano, a lavorare e
sviluppare i processi secondo la metodologia suggerita dallo standard di riferimento (i.e. Uni En Iso 9001:2000).
È cioè «certificazione di processo» (i.e. del metodo organizzativo adottato) e non «certificazione di
prodotto/servizio» (i.e. della risultante della prestazione d'opera intellettuale ovvero il singolo atto, parere,
contratto ecc.). Avendo chiaro il concetto (non si tratta cioè come molti pensano di un mero «bollino»), ben si
comprende perché sempre più studi che, avendo realizzato un Sistema di gestione per la qualità conforme allo
standard Iso, ne richiedano poi la certificazione di conformità. Il fine è quello di effettuare, con tale richiesta ed
in caso di accertamento positivo, una «scelta strategica di competitività», anche in chiave di marketing legale.
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MONDO PROFESSIONISTI
Legalità : unica via per la sicurezza
di Antonfredi De Simone, responsabile macroarea penale dell'Anf
L’approfondimento compiuto dalla Ns Associazione nell’ultimo numero della Rivista “ Rassegna degli avvocati
Italiani” ha evidenziato come le esigenze di giustizia formale e sostanziale rappresentino, un denominatore
presente tra tutte le componenti sociali. Il nostro Paese ha affrontato il tema della globalizzazione e della
migrazione con forti ritardi e con un dibattito politico non pienamente soddisfacente, se rapportato ai contenuti e
alle prerogative della nostra Carta Costituzionale. I temi in maniera pregnante ed in forma antesignana erano stati
già affrontati dalla nostra associazione in maniera “ soggettiva” si pensi al Congresso di Rimini e alla riflessione
, sulla professione forense, che il mondo globalizzato poneva. Inoltre nell’ottobre del 2006, nella Conferenza di
Roma Aula Università Valdese, la nostra associazione iniziava un percorso in tema di funzionamento della
giustizia nel Paese, mettendo a nudo la lentezza e la conseguente mancanza di giustizia, con dati riconfermati ed
ampliati nel febbraio del 2008 dalla Corte di Giustizia Europea. Il 18 e 19 aprile del 2008 all’assemblea
dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura e al Seminario sulla giustizia penale per la società moderna, Antonio
Leonardi ed il sottoscritto, con una coincidenza di intenti, ribadivano la necessità di collegare il funzionamento
della macchina giudiziaria con l’esigenza di sicurezza e legalità richiesta dal Popolo Italiano. La consapevolezza
che nel nostro Paese il problema sicurezza sia successivo e conseguente all’affermazione del principio di legalità
ed al corretto funzionamento della giustizia, è un dato ormai acquisito almeno all’interno delle nostre
associazioni. Il ragionamento è talmente coerente in quanto basato sulla certezza che un semplice stato di polizia
o l’affermazione severa delle norme da parte di uno Stato, non risolve il problema più profondo e cioè, che il
rispetto della convivenza civile e la necessità dell’ottemperanza delle regole deve essere un elemento fondante
della società. Nella parte prima della nostra Costituzione, dedicata ai diritti e doveri dei cittadini, il dato comune
è l’affermazione della legge come strumento di regolamento dei rapporti civili che sovrintende e regola ogni
rapporto giuridico e diritto soggettivo (e interesse legittimo). La costituzione repubblicana, nell’affermare la
sovranità del popolo, estrinsecava anche il metodo attraverso il quale la sovranità e la legalità dovevano essere
impartiti , a mio avviso: non ad una legalità autoritaria e proveniente da un’entità ( idea soggettiva di legalità) e
solo perché proveniente da tale soggetto, giusta, ma l’affermazione delle regole come esse stesse pilastro e/o
fondamento delle convivenza civile, regole provenienti da valori e principi fondanti. A distanza di sessant’anni la
nostra Costituzione ha creato una cultura di legalità nel nostro Paese come assoluto rispetto delle regole oppure
sussiste ancora la necessità dell’affermazione dell’ autorità ? è giusto parlare di sicurezza quando forse è la
legalità il problema del nostro Paese come cultura della convivenza civile come affermazione dei principi
universali dell’umanità e dei diritti degli uomini universalmente condivisi? E allora una volta violate le regole di
convivenza civile e si assiste inermi all’attuale funzionamento della giustizia, a che serve aver imposto una
regola e non essere in grado di comminare la sanzione? Quali solo le regole necessarie per rendere sicura la
convivenza civile ed in che modo il processo penale interviene in maniera tempestiva ed efficace? La nostra
macroarea ha iniziato una riflessione sulla sanzione penale e sul sistema penale italiano . In primo luogo ci siamo
posti il problema dell’incidenza del diritto naturale e della cognizione naturalistica della pena in rapporto al fine
rieducativo stabilito nella costituzione; è stato avviato un esame sul della persona offesa con particolare
riferimento alla direttiva comunitaria in materia.
Gli interrogativi oggetto del convegno e del dibattito dovevano e sono state le seguenti:
1) L’esigenza delle vittime del reato è solo un’aspettativa risarcitoria od anche una richiesta di carattere punitivo
che inerisce direttamente con l’esigenza di certezza della pena?
2)Per il funzionamento della macchina giudiziaria, il problema delle risorse , della durata del processo e della
celebrazione dei processi , influisce sull’esigenza di legalità ?
3) E’ giusto punire il solo accesso nel territorio dello Stato dei cittadini extracomunitari oppure è più efficace
agire con le misure di prevenzione nei confronti di coloro che sono già autori di reato?
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4) Il ruolo della collaborazione internazionale delle polizie europee consente già una mappatura dei soggetti
pericolosi e che normalmente delinquono e, quindi, in che modo avviene l’ottemperanza delle regole di polizia
internazionale?
5) La topografia giudiziaria attuale tiene conto dei flussi migratori ed è efficace ?
6) Il ruolo dei sindaci dei comuni è determinante in direzione della richiesta di misure di sicurezza e controllo
delle persone all’interno delle città e quali sono i limiti delle funzioni?
7) Il decreto legge 92/2008 in che modo cerca di risolvere le richieste di sicurezza immediata dei cittadini?
A tutte queste domande si è cercato di dare una risposta. I lavori sono iniziati con l’intervento del presidente
della Corte di Appello dott. Giorgio Santacroce, il quale ha evidenziato il ruolo essenziale di un percorso
educativo in tema di legalità. È seguito l’intervento del Presidente del Tribunale di Roma dott. De Fiore che ha
posto l’accento sul concetto di solidarietà come presupposto della sicurezza e, quindi , non solo legalità e
giustizia. Una volta introdotti i lavori con la necessaria attenzione da parte del sottoscritto all’affermazione del
percorso culturale che è necessario all’interno del Ns Paese in tema di legalità ha preso la parola l’Avv. Cesare
Piazza che ha immediatamente infiammato la platea con un percorso storico rapportato ai valori di giustizia e
legalità che è necessario intraprendere in ogni strato sociale del Ns Paese. Il richiamo formulato dallo stesso alla
persecuzioni razziali , attraverso leggi dello Stato, ha introdotto il ragionamento come l’affermazione della legge
ed il rispetto delle regole debba provenire da valori fondanti e condivisi universalmente. La prima parte del
convegno è proseguito con gli interventi del Consigliere della Corte di Cassazione dott. Carlo Brusco e del
direttore del Servizio Relazioni Internazionali –ufficio Coordianamento Forze di Polizia e Dipartimento dott.
Salvatore Guglielmino . Nel suo intervento il dott. Gulglielmino sottolineava come :” ..si può affermare che sta
prendendo sempre più corpo un concetto globale di sicurezza interna dell’Unione Europea, come valore a sé
stante, non più fondato sulla somma dei livelli di sicurezza in ogni Stato membro ma come principio autonomo e
primario dello spazio comune di Libertà Sicurezza e Giustizia”. Inoltre facendo riferimento al Trattato di Lisbona
il dott. Guglielmino precisava che:” è stato confermato e consolidato un principio generale introdotto dal trattato
di Maastricht e ripreso da quello di Amsterdam : L’Europol – ufficio Europeo di polizia è il soggetto principale
della cooperazione di polizia in senso all’Unione Europea”. Nel pomeriggio gli interventi del Dott. Giovanni
Mellillo della Direzione Nazionale Antimafia, del Segretario Generale di ANF Avv. Bruno Sazzini e del dott.
Mario Almerighi , presidente del Tribunale di Civitavecchia hanno posto l’accento sulla necessità della giustizia
efficiente in grado di dare risposte adeguate al nostro sistema. L’emergenza sicurezza in un Paese in cui vi è
rispetto di legalità e una giustizia funzionante , probabilmente, neppure ci sarebbe. Alla tavola rotonda animata
da tali illustri ospiti hanno partecipato, tra gli altri, il segretario dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Avv.
Maurizio Cecconi, che ha posto l’attenzione sulle risorse economiche della giustizia e il dott. Giulio Romano del
Consiglio Superiore della Magistratura , fornendo entrambi idee e soluzioni semplici ed efficaci per snellire e
velocizzare il nostro sistema giudiziario. Nel corso del convegno sono stati esaminati dettagliatamente il Decreto
legge 92/08 e la norma sulla sospensione dei processi con opinioni discordi come quella del Segretario di ANF
Avv. Sazzini, con precisi richiami alla direttiva comunitaria sulle vittime del reato e alla mancanza di attenzione
alla persona offesa del reato nel processo penale. In visione positiva alla sospensione dei processi si è espresso il
dott. Melillo evidenziando il fine della norma come necessità di perseguire reati più gravi. La questione dal punto
di vista culturale come necessità ed esigenza sociale è stata più volte posta all’attenzione dei circa duecento
colleghi presenti, da parte del Presidente dott. Almerighi con le sue citazioni delle illuminanti parole di giuristi
come Piero Calamandrei. Ciò evidenzia come il nostro Paese debba recuperare il passato culturale e storico in
tema di legalità ed affrontare con serenità il dibattito all’interno delle diverse componenti sociali. Non ci può
essere contrapposizione tra magistratura, avvocatura e politica nel momento in cui è il bene del Paese e delle
future generazioni ad essere in ballo. È stato piacevole sentire dal sottosegretario alla Pubblica Istruzioni
Giuseppe Pizza pronunciare le seguenti parole: “ . So anche che molti avvocati e molti magistrati vorrebbero
portare un contributo effettivo e concreto ai nostri ragazzi ed alle loro famiglie, in tema di educazione alla
legalità ..”. L’avvocatura esce , a mio parere, da una stagione in cui le veniva attribuita chiusura culturale e
corporativa. Lo sforzo operato non è solo quello di approfondire il dibattito sulle nuove riforme in corso ma far
comprendere l’apertura e il fatto che l’avvocatura è un soggetto sociale in grado di interloquire e dialogare,
pronto a confrontarsi con il modo della scuola e dei giovani sui quali bisogna investire e credere.
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ITALIA OGGI
Il garante Francesco Pizzetti nella relazione 2007: anno zero per la riservatezza nei procedimenti
Nella giustizia privacy a picco
Nei tribunali è caos sul rispetto del codice sulla tutela dei dati
La giustizia alla sbarra per violazione della privacy. E non ha risorse per rimediare. I problemi dell'applicazione
del codice della privacy nei tribunali è trasversale e non riguarda solo le intercettazioni, ma la vita quotidiana
delle cancellerie e delle aule. Riguarda giudici, avvocati e consulenti. Non a caso il garante nella sua relazione
per il 2007 ha parlato di anno zero per la tutela della riservatezza nei procedimenti giudiziari. Eppure non sono
stati pochi gli interventi dell'Authority sia sulla questione delle pubblicazioni delle telefonate intercettate sia su
problemi puntuali: dal rispetto dei debitori nei procedimenti di esecuzione immobiliare ai limiti alla
conservazione dei dati da parte dei consulenti tecnici di ufficio. Ma vediamo su quali piaghe ha messo il dito
Francesco Pizzetti nella sua relazione. In realtà, la funzione giustizia ha un suo trattamento specifico con molte
zone di esenzione per quanto concerne l'attività giurisdizionale (sul punto l'articolo 47 del codice della privacy
elenca tutti gli articoli che non si applicano agli uffici giudiziari). Ma questo non va scambiato con un completo
esonero da qualsiasi principio di tutela della riservatezza delle persone coinvolte in procedimenti giudiziari.
Innanzitutto e rimanendo su un piano molto concreto si deve rilevare che il problema più evidente è quello della
sicurezza nella conservazione dei dati. L'esperienza quotidiana dei grossi tribunali, ma anche e soprattutto delle
sezioni distaccate, mette in evidenza l'uso di sistemi di scambio di atti tra avvocati, di consultazione dei fascicoli
non rispettosi delle minime esigenze. Tranquillamente un avvocato o un privato potrebbe accedere senza
controllo e senza garanzie ai faldoni, consultarne o alterarne il contenuto. Solo da qualche tempo alcune sedi
giudiziarie escludono dagli elenchi affissi nei corridoi i nominativi delle parti nelle cause da trattare, limitandosi
a segnalare il numero di ruolo. E dire, come rileva Pizzetti, che i dati trattati possono essere delicati e sensibili,
come quelli relativi a una causa di separazione o di successione o in un'azione di interdizione di un incapace o in
una causa di lavoro. Altrettanto delicati possono essere i dati trattati nei processi penali. Da qui la constatazione
che la privacy (entrata in vigore nel 1997) è per i tribunali ancora quasi all'anno zero. Ma anche la constatazione
che non sempre bastano accorgimenti di carattere organizzativo: sono le risorse economiche quello che potrebbe
far cambiare registro. In materia di intercettazioni, dopo aver richiamato il quadro del problema (pubblicazioni
sui media) in sintonia con la ricostruzione del ministro Angelino Alfano, relativo all'anomalia italiana. E bisogna
barcamenarsi tra esigenze delle indagini, esigenza di tutela delle persone e bilanciamento con il diritto di
cronaca. La materia è in evoluzione e Pizzetti ritiene utile la disposizione contenuta nel disegno di legge sulle
intercettazioni con cui si darebbe al garante il potere di imporre la pubblicazione dei provvedimenti volti a
censurare comportamenti scorretti da parte della stampa o dei mezzi di informazione. Diverso problema al di
fuori della competenza del garante è se le intercettazioni siano troppe o se sono sproporzionate rispetto ai reati
per cui sono ammesse dalla legge. Il garante si è esercitato, invece, su un problema sicuramente di sua
competenza relativo alla sicurezza delle intercettazioni e dei dati raccolti: necessarie dunque la concentrazione
delle attività in uniche sedi di ascolto; la comunicazione cifrata dei rapporti con i gestori; l'adozione di modalità
tecniche per tracciare chiunque abbia accesso ai dati; la rigorosa limitazione delle persone che possono
conoscerli. E ulteriori sviluppi sono attesi dal garante nel ddl intercettazioni. Un accenno specifico è stato inoltre
dedicato agli ausiliari e dei periti del giudice. I periti possono operare su incarico di autorità giudiziarie diverse e
in giudizi differenti, ha rilevato Pizzetti, accumulando in tal modo una grande quantità di dati. Il presidente
dell'Authority nel suo intervento ha richiamato un provvedimento del suo ufficio nel quale ha sottolineato che
occorrono regole precise sui tempi di conservazione, sulle modalità con le quali devono essere conservati o
distrutti e sui casi e i modi in cui è lecito incrociare fra loro informazioni raccolte in attività peritali diverse e su
delega di autorità giudiziarie differenti. Il garante ha dato regole puntuali, specificando che il perito non può mai
usare i dati di cui è venuto a conoscenza se non per consegnarli esclusivamente all'autorità che li ha delegati, che
si possono incrociare i dati con quelli acquisiti in altre e diverse indagini soltanto con il consenso di tutte le
autorità giudiziarie interessate e che le informazioni raccolte, una volta consegnate all'autorità giudiziaria, non
possono più essere utilizzate e devono essere cancellate secondo i modi e nei termini indicati. Pizzetti ha infine
annunciato l'imminente definitivo varo del codice deontologico sulle investigazioni difensive. Antonio Ciccia
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IL SOLE 24 ORE
Diritto dell’economia. Insediato il gruppo di lavoro del ministero della Funzione pubblica
Class action, parte la riforma
Da definire la platea dei destinatari e il problema retroattività
Parte la riforma della class action. Almeno per quanto riguarda la sua estensione alla pubblica amministrazione.
Con un incontro svoltosi ieri al ministero della Funzione pubblica è stato insediato il gruppo di lavoro che ha il
compito di studiare i presupposti e le condizioni normative per includere anche i soggetti pubblici nel perimetro
delle figure nei confronti delle quali può essere esercitata l’azione collettiva. Del resto che una delle modifiche
debba andare in questa direzione è previsto dallo stesso decreto legge parte della manovra finanziaria. Lo
slittamento dallo scorso 1° luglio al 1° gennaio 2009 dell’entrata in vigore della class action è stato previsto
proprio per la necessità di un allargamento al settore pubblico. Il ministro Renato Brunetta ha sottolineato
l’importanza di uno strumento in grado di mettere nelle mani dei cittadini un’arma più efficace per contrastare
abusi e prevaricazioni. Che però avrà bisogno di una messa a punto non invasiva. Anche perché, nello stesso
tempo, da parte del ministero dello Sviluppo economico dovranno essere predisposte altre modifiche. La
scadenza, in entrambi i casi, è quella di fine anno ma, mentre il gruppo di lavoro della Funzione pubblica ha una
mission ben precisa, per quanto riguarda l’intervento dello Sviluppo economico i confini sono meno rigidi. Di
sicuro c’è da chiarire una serie di punti critici che sono già all’attenzione del ministero guidato da Claudio
Scajola e che hanno contribuito a provocare lo slittamento, tra le polemiche sollevate soprattutto dalle
associazioni dei consumatori, di una misura che vedeva già ai nastri di partenza del i0 luglio alcune decine di
azioni collettive. Azioni che, a testimonianza della eterogeneità del mezzo giuridico, spaziavano in diversi
settori, dal caro libri alla frode finanziaria, passando per i ritardi ferroviari. E sarebbe opportuno proprio qualche
chiarimento sulla natura degli interessi che possono essere tutelati con l’azione collettiva. Anche perché il rischio
di conflitti con il campo di azione delle Authority è sempre presente e la disciplina approvata con l’ultima
Finanziaria si limita a stabilire sul punto una sorta di coordinamento procedimentale. A non volere tenere conto
poi del fatto che la figura istituzionalmente protetta dalla class action dovrebbe essere quella del consumatore e
quanto questa coincida con quella di risparmiatore è ancora tutto da verificare. Altro nodo cruciale da sciogliere
dovrebbe essere poi quello della retroattività dell’azione. La versione attuale della normativa non prevede una
preclusione er il passato, ma la dottrina si è già divisa tra chi, nel nome di una visione più “sostanzialista’, ritiene
che la novità mette nelle mani degli interessati uno strumento nuovo attribuendo nuovi diritti esercitabili solo per
il futuro e chi, invece, ritiene che la novità sia di natura procedurale e possa essere applicata anche per fatti
passati. Restano anche da definire i criteri in base ai quali verificare la rappresentatività dei soggetti collettivi
che, al di fuori di quelli previsti dal Codice del consumo, possono proporre l’azione o, ancora, l’istituzione di un
giudice specializzato per affrontare controversie ad alto tasso di specificità tecnica. Sul piano della procedura, da
parte delle associazioni imprenditoriali era stato sostenuto, per esempio, che fosse necessario un filtro
conciliativo da sperimentare prima della vera e propria proposizione della class action. Giovanni Negri
Gli obiettivi
I soggetti. Il ministero della Funzione pubblica ha insediato un gruppo di lavoro con il compito di definire [e
condizioni per l’estensione della class action alla pubblica amministrazione; l’obiettivo è quello di concludere i
[avori entro la fine dell’anno quando dovrebbe essere pronto anche il lavoro delle Attività produttive
Le modifiche. Tra i punti che dovrebbero essere chiariti con la revisione della disciplina introdotta con la legge
244/ 07, la Finanziaria 2008, c’è quello della retroattività e quello dell’istituzione di un filtro conciliativo. Da
misurare c’è anche la rappresentatività dei soggetti abilitati alla presentazione della class action e la natura degli
interessi tutelati
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ITALIA OGGI
Regole chiare per i giudici di pace
In temi: permanenza in servizio, previdenza e assistenza
di Francesco Cersosimo – Presidente Associazione Nazionale Gudici di Pace
Lettera aperta al ministro Alfano
Signor ministro,
il 9 maggio 2008 abbiamo chiesto di poterla incontrare. Il 9 luglio scorso era programmato un primo
incontro. Suoi impegni inderogabili in Parlamento hanno fatto sì che il tutto fosse posposto a nuova
data. Abbiamo compreso. Allo stato non sappiamo se e quando vi sarà un'altra data utile. Com'è noto
gli avvenimenti si susseguono. Ieri è iniziata alla Camera dei deputati la discussione sulla manovra
finanziaria del governo, approvata in consiglio dei ministri il 18 giugno scorso.
Tale atto all'articolo 52 si occupa di modifiche al libro primo del codice di procedura civile. Vi si legge
quanto segue: «1. All'art.7 del cpc sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma le
parole “lire cinque milioni” sono sostituite dalle seguenti “settemilacinquecento euro”, b) al secondo
comma le parole “lire trenta milioni” sono sostituite dalle seguenti “venticinquemila euro”».
In sostanza è previsto un aumento di competenza per valore, più volte proposto e auspicato
dall'Associazione nazionale dei giudici di pace. Dopo varie riunioni al ministero, il ministro Scotti
aveva avviato l'iter. L'aumento è sostanzioso per i beni mobili. Si passa dagli attuali 2.582,28 euro
rivalutati al maggio 2008 (euro 4.073,75) all'aumento di euro 7.500,00. L'aumento del valore per il
danno prodotto dalla circolazione dei veicoli e dei natanti dall'attuale soglia di euro 15.493,70 passa a
euro 25.000,00. In pratica si acquisisce solo la rivalutazione del valore del 1991 che è pari a euro
24.444,09.
Poca cosa. Ai fini della deflazione del carico dei tribunali sarebbe utile un più corposo intervento. La
competenza dovrebbe passare quantomeno a euro 10.000,00 per i beni mobili e ad euro 50.000,00 per i
veicoli e natanti. Solo così si potrebbe parlare di effettiva deflazione, tanto più che nel secondo caso le
cause tendono a diradarsi per effetto della riforma della Responsabilità civile per le auto (Rca). Inoltre
tutti gli operatori della giustizia si chiedono: dal momento che i giudici di pace giudicano secondo
diritto (e non secondo equità, come ritiene qualche organo di stampa poco aggiornato), impegnarsi
professionalmente per euro 25.000,00 oppure per euro 50.000,00, le norme da riversare in una sentenza
sono le stesse, pur con gli approfondimenti necessari. E comunque vi è l'appello in tribunale e non
Corte d'appello, che è il grado che maggiormente soffre la dilatazione temporale del giudicato ai limiti
del grottesco. Infine rivolgiamo un appello agli attuali legislatori: prevedere comunque una norma di
raccordo che permetta la traslazione dei «fascicoli» delle cause in corso ad approvazione del
provvedimento.
Questo vorremmo poter dire al ministro Alfano. E ancora.
Prevista e acquisita la nuova competenza penale per valore, si è prospettata anche una competenza in
materia di espulsione dei cittadini clandestini. L'Associazione nazionale dei giudici di pace è stata
elogiata dal ministro Calderoli per senso dello stato, per avere dichiarato la disponibilità a farsi carico
dell'eventuale provvedimento, che va ad aggiungersi a quello sulle convalide delle espulsioni degli
extracomunitari. Dato. Tolto. Visto il fallimento, ridato ai giudici di pace. I soliti cultori della materia
sono insorti: un giudice di pace non può occuparsi di restrizione della libertà. Non ne ha la competenza.
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Giusto. Invece di erogare il carcere si potrebbe erogare, se prevista in legge, la multa. Ma ritorniamo
alla manovra finanziaria. Vorremmo dire in tempi brevi al ministro Alfano: signor ministro, quando era
un semplice deputato di opposizione, il 14 giugno 2007 ebbe a sottoscrivere, quale secondo firmatario,
la proposta di legge n. 2788 dell'onorevole Marinello in uno con i deputati Pili, Iannarilli, Romele,
Germanà e Licastro Scardino, avente ad oggetto «Disposizioni in materia di durata dell'ufficio,
trattamento previdenziale e ruolo organico dei giudici di pace». All'articolo 1 vi si legge che «il
rapporto di servizio del magistrato onorario che esercita le funzioni di giudice di pace ha la durata di
quattro anni a decorrere dalla data del giuramento e di immissione nel possesso delle funzioni, esso si
protrae per ulteriori periodi di quattro anni, subordinatamente al giudizio di idoneità di cui al comma 2bis». Il seguito è dedicato molto opportunamente alla previdenza ed assistenza, di cui siamo privi. Sono
i punti nodali da sciogliere in qualunque discussione sullo status, sulla riforma del giudice, che ormai di
onorario ha ben poco. È la linea di realismo che l'Associazione nazionale sta portando avanti da anni.
Signor ministro, potrebbe trasformare questi articoli della sua proposta di legge in emendamenti nella
manovra finanziaria?
Non costerebbero niente alle casse dello stato e il ministro dell'economia non avrebbe nulla da eccepire.
Il provvedimento darebbe ai giudici di pace quella serenità, che è mancata nell'ultimo anno e che ha
visto i magistrati astenersi dalle udienze con due scioperi generali, che hanno coinvolto il 94% di quanti
sono in servizio. Tenga altresì conto, signor ministro, che nel 2010 e nel 2012 quasi tutti i giudici di
pace saranno in scadenza di mandato e non credo che sarebbe proficuo ed intelligente per uno stato
rinunciare alla professionalità acquisita in tanti anni e su cui ha investito molto con i corsi di
formazione e aggiornamento. Nulla osta al permanere degli attuali giudici di pace nell'incarico sino al
settantacinquesimo anno la natura del rapporto. Si pensi a quanto ottenuto dai giudici tributari_
In conclusione, signor ministro Alfano, signor ministro Calderoli, noi siamo responsabili e abbiamo il
senso dello stato e delle istituzioni. Ma siamo anche frustrati e stanchi di essere privi di una prospettiva
di programmazione di vita. Finora ciò non si è riverberato nel nostro lavoro, al massimo della
produttività, che ha evitato il collasso definitivo della giustizia. Tuttavia non sappiamo quanto questo
possa durare.
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ITALIA OGGI
CASSAZIONE/ Respinto il ricorso di un contribuente vittima di un contenzioso-lumaca
Processo lungo, risarcimento ko
Indennizzo da ingiusta durata solo in caso di reati tributari
I contribuenti non hanno armi contro le lungaggini della giustizia tributaria: non hanno diritto cioè a
nessuna indennità se la lite fiscale è durata troppo. Con un'eccezione, però. Il cittadino può essere
risarcito per l'ingiusta durata del processo qualora sia stato imputato per reati tributari.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione, che, con la sentenza n. 19367 del 15 luglio 2008, ha
respinto il ricorso di un contribuente che chiedeva di essere risarcito perché la lite fiscale, instaurata per
decidere su un accertamento Irpef, era durata molti anni.
Il motivo di questa scelta legislativa, precisa la sezione tributaria, va ricercato prima di tutto nelle
indicazioni fornite dalla stessa giurisprudenza della Corte europea che da molti anni è nel senso «di non
estendere il campo di applicazione dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo alle
controversie tra cittadino e fisco, aventi a oggetto provvedimenti impositivi».
Questa volta il fatto che i cittadini italiani non siano titolari di nessuna tutela per la giustizia lumaca,
almeno quando si parla di accertamenti o rimborsi di imposta, non dipende da una scelta nostrana.
Infatti, l'Italia non ha fatto altro che allinearsi al dettato europeo.
Nessun problema, ad avviso della Cassazione, neppure con la nostra Costituzione e il giusto processo. Il
legislatore poteva decidere in autonomia, scrivono i giudici di «Piazza Cavour». Fatto sta che al giorno
d'oggi non è possibile fare nulla se la causa su una richiesta di rimborso, per esempio, viene seppellita
nei palazzi di giustizia.
Ma ecco l'eccezione che conferma la regola. L'indennità per l'ingiusta durata del processo può essere
chiesta se la causa verteva su reati tributari gravi: «La materia penale», si legge in fondo alle lunghe
motivazioni, «secondo la nozione autonoma elaborata anche per tal profilo dalla giurisprudenza della
Cedu, di cui il giudice nazionale deve tener conto, dev'essere intesa come comprensiva anche delle
controversie relative all'applicazione di sanzioni tributarie, ove queste siano commutabili in misure
detentive ovvero siano, per la loro stessa gravità, assimilabili sul piano dell'afflittività a una sanzione
penale, e che pertanto, in relazione ai profili che in questa sede rilevano, per ritenere assimilabile una
controversia tributaria a una causa penale occorre che la controversia fiscale concerna l'irrogazione di
sanzioni amministrative aventi le caratteristiche sopra descritte (commutabilità, particolare afflittività),
prescindendo dalla soglia di imposta evasa e indipendentemente dalla sussistenza di una rilevanza
anche penale dei fatti per i quali si controverte nel giudizio tributario». Debora Alberici
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ITALIA OGGI
La relazione della Commissione sul recepimento delle disposizioni in materia di giustizia
Norme Ue, l'Italia lascia la coda
Risultati migliori su adeguamento leggi e comunicazione
Migliora il deficit globale italiano di recepimento delle norme europee del programma dell'Aia. Lo
confermano i dettagli forniti in settimana dalla Commissione europea relativi al 2007 e contenuti nella
Terza Relazione sull'attuazione del programma dell'Aia. L'Italia ha infatti abbandonato le posizioni di
coda sia per quel che riguarda la classifica per paesi membri della mancata comunicazione delle misure
nazionali, sia per quella riguardante l'errata applicazione o la non conformità della propria legislazione.
Quest'ultima è guidata dalla Francia, con quasi il 14% delle proprie misure errate o non conformi alla
normativa europea, seguita da Belgio, Irlanda e Paesi Bassi, Danimarca, Germania, Lituania,
Lussemburgo, Malta e Slovacchia. Segue l'Italia, con solo il 4%. Stessa nota positiva arriva anche dalla
classifica del deficit globale di recepimento, guidata nettamente dalla Grecia, con oltre il 20%. Più in
generale, per quel che riguarda la giustizia, la Relazione ha sottolineato come nel settore del reciproco
riconoscimento, il mandato Ue d'arresto è operativo in tutti gli stati membri, anche se molti devono
ancora produrre sforzi per conformarsi del tutto alla decisione quadro. Rimangono «deludenti» le
attuazioni della decisione quadro relativa all'esecuzione dei provvedimenti di blocco dei beni o di
sequestro probatorio. A oltre due anni dalla scadenza del termine di attuazione ben 12 stati membri non
hanno ancora adempiuto all'obbligo di comunicazione o l'hanno fatto solo in parte. Globalmente
insoddisfacente, poi, il livello di recepimento dei provvedimenti in materia di cooperazione giudiziaria
nel settore penale, con molti stati membri ancora inadempienti. Quanto alla decisione quadro sulla lotta
contro il terrorismo, tutti gli stati membri hanno comunicato le rispettive misure di recepimento, ma
rimangono alcune lacune. E la Commissione giudica i progressi «soddisfacenti». Stesso giudizio per i
progressi nella ratifica (quattro stati membri) della convenzione relativa alla tutela degli interessi
finanziari delle Comunità europee. Nonostante il secondo protocollo non sia ancora entrato in vigore a
causa della mancata approvazione di un solo stato membro. Molto meglio è andata alla cooperazione in
materia civile. Passi avanti ha fatto segnare il recepimento della direttiva sul patrocinio a spese dello
stato e di quella relativa all'indennizzo delle vittime di reato (ma uno stato membro sta incontrando
difficoltà). Il livello generale dell'applicazione di due regolamenti, uno sulla cooperazione fra le attività
giudiziarie degli stati membri nel settore dell'assunzione delle prove in materia civile o commerciale,
l'altro concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in
materia civile e commerciale, è stato giudicato «soddisfacente». Paolo Bozzacchi
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ITALIA OGGI
L'associazione Antigone ha presentato il quinto rapporto sullo stato dell'arte in Italia
Più detenuti, meno penitenziari
In Italia si incarcera il doppio rispetto alla media europea
Crescono i detenuti. Non crescono gli operatori penitenziari. È questo uno dei temi di cui dovrà occuparsi Franco
Ionta, nuovo capo dell'Amministrazione penitenziaria che sostituisce Ettore Ferrara, il quale fu nominato da
Clemente Mastella. Crescono anche gli imputati. Il 55,32% della popolazione detenuta è in attesa di condanna
definitiva. Il tasso medio europeo dei detenuti in attesa di giudizio è invece ben inferiore al 25%. In Italia quindi
si incarcerano gli imputati in modo più che doppio rispetto agli altri paesi dell'area Ue. Ciò è l'effetto sia dei
tempi lunghi della custodia cautelare sia della durata eccessiva dei processi. È questo uno dei dati più allarmanti
emersi durante la presentazione del Quinto rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia curato
dall'associazione Antigone avvenuto alla presenza dell'Unione camere penali e dell'Anm. Il 29,5% dei reati
ascritti alla popolazione detenuta consiste in delitti contro il patrimonio. Il 16,5% in reati contro la persona. Il
15,2% in violazioni della legge Fini-Giovanardi sulle droghe. Il 3,2% dei reati riguarda crimini direttamente
connessi ad associazioni a delinquere di stampo mafioso; 1.357 sono gli ergastolani; 10.800 detenuti devono
scontare una pena residua inferiore ai tre anni. I detenuti sono oggi complessivamente 54.605. I posti letto
regolamentari sono 42.890. Vi sono 11.715 persone in più rispetto ai posti letto disponibili. Il 31 dicembre del
2007 i detenuti erano 48.693. In sei mesi sono cresciuti di poco meno di 6 mila unità. Mille detenuti in più al
mese. Erano 39.005 il 31 dicembre del 2006. Per tutto il 2007 il tasso di crescita mensile è stato di 807 detenuti.
Il 31 dicembre del 2005, ossia sette mesi prima dell'approvazione dell'indulto, la popolazione detenuta
ammontava a 59.523 unità. Si consideri che il 31 dicembre del 2001 i reclusi erano 55.275. Il tasso di crescita nel
quadriennio del primo governo Berlusconi (2001-2005) è stato quindi di circa mille unità l'anno. Il 31 dicembre
del 1996 i detenuti erano 47.709. Nei cinque anni di governo del centro-sinistra i detenuti sono cresciuti di poco
più di 1.500 unità l'anno. L'aumento progressivo del tasso di crescita carcerario è l'effetto di due leggi: la ex
Cirielli sulla recidiva e la Bossi-Fini sull'immigrazione. Leggi del 2005 e del 2002 che oggi iniziano a produrre i
loro effetti inflativi. Alcune situazioni di particolare affollamento a livello regionale sono: in Emilia Romagna le
presenze ammontano a 3.857 mentre la capienza regolamentare è pari a 2.270. La percentuale di
sovraffollamento è del 170%. In Lombardia ci sono 8.231 detenuti per 5.382 posti letto. La percentuale di
sovraffollamento è del 152%. In Abruzzo, Sardegna e Umbria vi sono meno detenuti rispetto alla capienza
regolamentare. Tra le carceri più sovraffollate: Monza (dove oltre 100 persone dormono sui materassi), la Dozza
a Bologna, Poggioreale a Napoli. Nella Casa circondariale di Ravenna tre detenuti vivono in celle da 7,5 metri. Il
livello di sovraffollamento comporta una preoccupante sproporzione tra numero dei detenuti e numero degli
operatori penitenziari. Sia le organizzazioni sindacali del personale di polizia che del personale amministrativo
lamentano i numeri insufficienti e sproporzionati rispetto alla popolazione detenuta in crescita esponenziale. Al
momento aspettano l'assunzione 397 educatori, posizione economica C1. Dopo un lunghissimo iter procedurale,
durato ben quattro anni, il concorso si è concluso il 13 giugno 2008. Un altro capitolo del Rapporto riguarda gli
ospedali psichiatrici giudiziari. Condizioni di vita molto dure, diversi casi di detenzione ingiustificata, eccessivo
uso dei letti di contenzione, strutture in alcuni casi sovraffollate e sporche. Gli internati sono 1.348, dei quali 98
donne. Il 65,1% degli internati in misura di sicurezza ha commesso un reato contro la persona, il 15,4 contro il
patrimonio, il 4,9% contro la libertà sessuale. In tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari italiani sono presenti una
o più sale di coercizione, con letti aventi cinghie di cuoio e in alcuni casi un buco al centro per i bisogni fisici.
Mancano i dati relativi ai tempi medi della coercizione. In media almeno un internato su sei ha conosciuto
l'esperienza della coercizione fisica. Un dato sottostimato se consideriamo che non sono disponibili i dati relativi
a Napoli e ad Aversa. Pertanto, esclusi questi ultimi due, sono stati 195 i soggetti coerciti nel 2007. A Reggio
Emilia 84, a Castiglione delle Stiviere 47, a Barcellona Pozzo di Gotto e a Montelupo 32. Complessivamente gli
episodi di coercizione sono stati 515. Patrizio Gonnella
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