Rassegna stampa - Ordine degli Avvocati di Trani

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Rassegna stampa - Ordine degli Avvocati di Trani
ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
Ufficio stampa
Rassegna
stampa
23 gennaio 2008
Responsabile :
Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – e-mail:[email protected])
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SOMMARIO
Pag. 3 RELAZIONE GIUSTIZIA: La relazione sulla giustizia una mossa per l’Udeur
(il sole 24 ore)
Pag. 4 RELAZIONE GIUSTIZIA: «I giudici non devono cercare consenso»
(il messaggero)
Pag. 5 ANNO GIUDIZIARIO: Caccia a una giustizia «pratica» (il sole 24 ore)
Pag. 6 ANNO GIUDIZIARIO: Legali d’ufficio meno cari dei periti (il sole 24 ore)
Pag. 7 ANNO GIUDIZIARIO: In due anni raddoppiate le richieste (il sole 24 ore)
Pag. 8 ANNO GIUDIZIARIO: La fotografia delle liti pendenti (il sole 24 ore)
Pag. 9 ANTIRICICLAGGIO: Nuove norme antiriciclaggio: prime brevi riflessioni sugli
obblighi per gli avvocati e per gli Ordini forensi
di Gianluca Gambogi - Avvocato (diritto e giustizia)
Pag.12 MAGISTRATI: Giudici a responsabilità limitata (il sole 24 ore)
Pag.13 MAGISTRATI: Battuta d’arresto (il sole 24 ore)
Pag.14 CLASS ACTION: Class action, vendetta delle banche (Italia oggi)
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IL SOLE 24 ORE
Guardasigilli
La relazione sulla giustizia una mossa per l’Udeur
Il potere giudiziario deve «affermare e tutelare la sovranità della legge», ma i giudici devono «essere i
primi a sotto- porsi con lealtà, purezza di cuore e serenità di intenti, al rispetto pieno delle nostre regole
giuridiche». Bastano queste poche parole, e subito si capisce che il discorso di Romano Prodi è anche
l’estremo tentativo per convincere Mastella che il Governo non gli ha girato le spalle nè come uomo né
come ministro né come politico. «Clemente Mastella non è stato lasciato solo», esordisce il premier alla
Camera. Poi apre il capitolo più lungo (3 cartelle su 6) delle sue comunicazioni, quello sulla Giustizia.
Anzi, sulle «tensioni» tra politica e giustizia. E il tema che più sta a cuore a Mastella, dopo il ciclone
giudiziario abbattutosi su di lui e sulla sua famiglia da Santa Maria Capua Vetere. L’ex ministro ha
lamentato la mancanza di un “comune sentire’ nella maggioranza, ma Prodi sembra volergli dire che
non è così. Il premier non parla mai di «emergenza democratica» con riferimento alla magistratura,
come aveva fatto Mastella nel discorso di dimissioni; ma riprende un passaggio della «Relazione sulla
giustizia» depositata dall’ex ministro in Parlamento, «approvata da tutto il Consiglio dei ministri». E
quello sulla soggezione dei magistrati «solo alla legge». «Almeno alla legge», aveva detto Mastella;
«sempre e costantemente alla maestà della legge», dice ora Prodi. Che aggiunge: la magistratura non
deve «cercare il consenso sulle proprie decisioni, in quanto esse sono conseguenti all’applicazione della
legge e, quindi, “vincolate”». Il premier, nonché ministro ad interim della Giustizia, ricorda che potere
politico e potere giudiziario hanno dei «contrappesi». Nel primo caso, il «controllo di legalità» è «solo
un rimedio nell’equilibrio delle istituzioni»; il vero contrappeso non è «la responsabilità penale» ma la
«responsabilità politica», che spetta ai cittadini far valere con il voto e con «una reale e continua
capacità di partecipazione e di controllo». Quanto ai giudici, autonomia e indipendenza hanno come
«presupposto necessario e imprescindibile» la «professionalità», la «responsabilità», la «neutralità
politica», «l’imparzialità», «il rigido rispetto della legge». Questi sono iloro contrappesi. Così si chiude
il capitolo giustizia. L’unico su cui l’opposizione non ha fischiato e su cui la maggioranza non ha
applaudito. Fuori, invece, l’Anm applaude. «Sono stupito — dice il presidente Simone Luerti - della
consonanza che c’è con noi». di Donatella Stasio
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IL MESSAGGERO
«I giudici non devono cercare consenso»
Il richiamo del premier: la magistratura sia neutrale e indipendente dalla politica
Solidarietà all’ex ministro Mastella: la relazione sottoscritta da tutto il governo
ROMA - «Nell’esercizio delle sue funzioni, ogni magistrato è soggetto soltanto alla legge... Né la
magistratura deve o può cercare il Consenso sulle proprie decisioni, in quanto esse sono conseguenti
all’applicazione della legge e sono dunque vincolate». Così ieri il presidente del consiglio Romano
Prodi alla Camera che ha più volte ribadito di aver dato la solidarietà all’ex ministro della
Giustizia Clemente Mastella «come esponente politico,come ministro e come uomo». Non evoca
«guerre, «scontri», «conflitti», Prodi e tuttavia non nasconde che «da quindici anni ci sono tensioni tra
politica e magistratura rese più drammatiche dalla crisi di fiducia che ha interessato entrambi». Prodi ha
ribadito da un lato l’obbligo dei magistrati di rispettare «sempre e costantemente» la legge. Dall’altro
ha ricordato che in uno Stato democratico, «il controllo di legalità è il contrappeso dell’ampia libertà di
cui gode l’autorità politica». Ma non si può affidare tutto al giudizio penale. Il «principio della
responsabilità penale» è «esterno» alla politica e «certo vale» per i politici per i quali tuttavia «vale
soprattutto quello interno di una responsabilità che è e resta di tipo politico: una responsabilità che
spetta direttamente ai cittadini far valere», Il premier ha difeso e ammonito i magistrati ribadendo che
«autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario hanno come presupposto necessario e
imprescindibile la professionalità, l’imparzialità, la neutralità politica, la responsabilità e il rigoroso
rispetto della legge». A Mastella Prodi ha rivolto «un sincero apprezzamento per il lavoro fatto come
Ministro e per avere operato con passione, non solo per portare a compimento la più ampia riforma
dell’ordinamento giudiziario che il nostro Paese abbia avuto». La relazione di Mastella sottoscritta
«dall’intero governo» ridipinge un quadro di ternpi lentissimi dei processi. La giacenza media in giorni
dei procedimenti penali «è aumentata in tutti gli uffici tranne che perle procure». Quanto diminuisce?
«Da 469 giorni del 2005 a 457 del 2006». Nelle Corti d’appello invece cresce da 622 giorni a 681. Nel
civile ci sono oltre 5 milioni di processi pendenti e aumentano soprattutto in Corte d’appello (giacenza
media 1.405 giorni nel 2006) e presso giudici di pace. Un peso enorme è ancora quello delle
intercettazioni legali, sia per il costo (224 milioni di euro nel 2006) che per il numero (aumentato dal
2000 al 2004 del 128%). Mario Coffaro
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IL SOLE 24 ORE
Anno giudiziario. Le elaborazioni del ministero sul settore civile della cerimonia di venerdì
Caccia a una giustizia «pratica»
In tribunale solo se si possono ottenere risultati immediati
Sono dati dai quali emerge «rassegnazione e scoraggiamento» nei confronti della risposta della giustizia. Alla
quale ormai i cittadini si rivolgono solo quando possono trarne «un ritorno pratico diretto». Non usano mezzi
termini i tecnici del ministero accompagnando le cifre sull’andamento dei processi, nel periodo 2006-primi 6
mesi del 2007, che scandiranno venerdì la relazione del Presidente della Cassazione Vincenzo Carbone. Nel
dettaglio, le condizioni del paziente si potrebbero definire stazionarie. Non si registrano particolari aggravamenti, ma neanche un miglioramento significativo. Parole che di solito lasciano un filo di speranza in chi è più
prossimo al malato, ma se il paziente è la giustizia italiana le cose cambiano. E vanno lette in tutt’altra maniera.
Così, negli ultimi periodi monitorati l’arretrato civile è rimasto stazionario: 4 milioni e 525 mila cause pendenti a
fine 2006,4 milioni e 6omila a giugno 2007 (incremento dello 0,8 per cento, che però sale fino al 6% circa se il
confronto è effettuato sui dati del 2005). All’apparente stazionarietà dei numeri complessivi, fa da contraltare la
diversificazione della richiesta di giustizia, sia per materia, sia per tipo di giudice adito. E ad esempio aumentato
l’arretrato dei giudici di pace del 25% in due anni. Un risultato fortemente influenzato dal continuo ampliamento
della competenza dei conciliatori e che ha radicalmente modificato la loro “offerta” di giustizia. Tanto da fare
pensare come sia urgente un intervento di revisione complessiva per l’intero settore. Le elaborazioni dell’ufficio
statistica del ministero, infatti, mostrano una flessione della domanda nelle materie che caratterizzano tale tipo di
cause (ad esempio le conciliazioni non contenziose). Allo stesso tempo è invece aumentato il ricorso ai giudici di
pace (e dunque i procedimenti pendenti a fine periodo) per altre materie, ad esempio le opposizioni alle sanzioni
amministrative, come le multe per le violazioni al Codice della strada, passate dalle 370 mila del 2005 alle 580
mila a giugno2007. Secondo i tecnici del Ministero, il diverso andamento registrato sui carichi di lavoro dei
giudici di pace sembra testimoniare, più in generale, di un diverso atteggiamento del cittadino di fronte agli
organi giurisdizionali, mosso appunto da una sostanziale sfiducia. E anche così che forse bisogna leggere
l’incremento di richieste di riparazione per la ragionevole durata dei processi (si veda l’altro articolo).
Naturalmente, il peso maggiore dell’arretrato complessivo del contenzioso civile è sulle spalle dei tribunali
ordinari. Nonostante la perfomance del primo semestre 2007, in cui si è riusciti a definire più ricorsi di quanti ne
siano subentrati, il carico è da brivido: l’eredità supera infatti i 3 milioni di cause. Con l’incremento percentuale
significativo nelle materie del diritto societario, del divorzio (giudiziale e non) e delle cause di lavoro nel
pubblico impiego (sul tema si veda «Il Sole 24 Ore» del 21gennaio). A segnare il passo, più di altri settori, è
anche il rito societario, che ha visto accumularsi una pendenza che è cresciuta progressivamente (+ 222% in
appello e + 76% in primo grado), a riprova della difficoltà con cui gli operatori stanno affrontando un modello
che, forse paradossalmente, aveva l’ambizione di costituire la carta vincente per affrontare la crisi della giustizia
civile. Lieve, per ora la flessione dei fallimenti, in attesa probabilmente che faccia sentire tutti i suoi effetti la
riforma che ha iniziato ad operare nel 2007 all’insegna della volontà di ridurre in maniera significativa il numero
delle dichiarazioni. Insomma si è ancora ben lontani da quell’inversione di rotta che pure era stata messa in
cantiere con almeno due progetti del ministero, il tetto di cinque anni per la durata del processo e l’attribuzione a
una nuova magistratura onoraria di gran parte dell’arretrato. Andrea Maria Candidi Giovanni Negri
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IL SOLE 24 ORE
La protesta dei penalisti. Oggi la «controcerimonia»
Legali d’ufficio meno cari dei periti
In aperta polemica con le manifestazioni ufficiali, un rito «vetusto e inutile», i penalisti italiani
tengono oggi a Roma la loro prima inaugurazione dell’anno giudiziario. Una sorta di controcerimonia
ha rispetto a quelle in calendario il 26 gennaio in tutte le Corti d’appello, che si terni in contemporanea
a uno sciopero della categoria e che è stata organizzata dall’Unione delle Camere penali. E ai dati
ufficiali, «parziali e incompleti»,i penalisti contrapporranno i loro. La durata media di un processo
sino alla sentenza è così di 560 giorni, se si svolge davanti a un collegio giudicante e di 302, se invece
se ne occupa un solo magistrato, rivela un’indagine compiuta dall’Eurispes, in collaborazione con la
Camera penale di Roma. Ma a questo periodo va aggiunto il tempo medio che trascorre tra l’inizio di
un’indagine e il suo approdo in tribunale, che è pari, nel primo caso, a tre anni e a due anni e sette mesi
per i procedimenti monocratici. Quasi un processo su sette viene rinviato ad altra udienza prima di
essere definito con sentenza. E non è questione di eccesso di garanzie, se è vero che il 20% dei rinvii è
determinate da ragioni legate all’imputato o al suo difensore, a fronte di un 61% provocato da altre
cause. Del patrocinio a spese dello Stato beneficiano soprattutto gli italiani (72%) rispetto agli stranieri
(28%). E la liquidazione media per ogni singolo processo con imputato ammesso a questo beneficio
è pari a poco più di L000 euro. Si scende a 720 euro a processo per le liquidazioni a favore dei difensori
d’ufficio, cioè coloro che assistono gli imputati che non scelgono un loro avvocato. Troppo? No se si
pensa che la liquidazione media di un perito è per lo Stato pari a 1.902 euro, quasi il triplo di quanto
viene pagato al difensore d’ufficio.
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IL SOLE 24 ORE
LEGGE PINTO
In due anni raddoppiate le richieste
Si allarga la voragine provocata dalla legge Pinto. Secondo i dati che saranno forniti nel corso delle
cerimonie inaugurali dell’anno giudiziario è più che raddoppiato, in meno di due anni, l’arretrato in
Corte d’appello dei procedimenti di equa riparazione per il superamento della ragionevole durata dei
processi. Poco meno di 10 mila a fine 2005, al 30 giugno del 2007 le richieste di indennizzo pendenti
per le lungaggini della giustizia hanno superato quota 22 mila. Una cattiva notizia non solo per i
cittadini che sperano di trovare soddisfazione, ma anche per le casse dello Stato. Tant’è che ci si trova
costretti a modificare, di anno in anno la voce di spesa sulla legge 89/01. L’ultima Finanziaria ha
stanziato 60 milioni di euro, 3° da utilizzare subito, la metà dei quali per «esigenze pregresse», e i
milioni ciascuno per gli anni 2009 e 2010. Di questo passo, se cioè l’andamento dovesse essere
confermato anche per i periodi successivi, è facile immaginare ulteriori ritocchi. Non va poi
dimenticato che sul contenzioso pende la spada di Damocle della corretta interpretazione della norma
che oggi consente l’indennizzo solo sulla durata eccedente quella ritenuta ragionevole. I giudici di
Strasburgo, infatti, una volta accertato il superamento del termine, calcolano invece il risarcimento
(mediamente mille euro l’anno) sull’intera durata del procedimento. A.M.Ca.
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Nuove norme antiriciclaggio: prime brevi riflessioni sugli obblighi per gli avvocati e
per gli Ordini forensi
di Gianluca Gambogi - Avvocato
IL RECEPIMENTO DELLA TERZA DIRETTIVA CE ANTIRICICLAGGIO. Con l’entrata in vigore del
D.Lgs. 21/11/07, n. 231 è stata recepita nell’ordinamento nazionale italiano la terza direttiva CE relativa alla
prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di
finanziamento del terrorismo (direttiva 2005/60/CE del 26/10/05). Si deve immediatamente rilevare come il
nostro legislatore abbia approfittato dell’occasione per rivisitare l’intera materia di cui trattasi, contraddistinta da
numerosi interventi normativi che si erano stratificati nel corso del tempo. Tant’è vero che l’art. 64 del citato
D.Lgs. n. 31/2007 stabilisce l’abrogazione di numerose norme, tra le quali anche il D.Lgs. n. 56/2004 (con il
quale si dette attuazione ad una precedente direttiva UE), che per primo aveva introdotto nel nostro ordinamento
obblighi antiriciclaggio per i professionisti e, più specificatamente, per gli avvocati. Si deve altresì rilevare come
il campo di applicazione della disciplina resta sostanzialmente identico a quanto già previsto nella seconda
direttiva antiriciclaggio. In virtù dell’art. 12, comma I del nuovo D.Lgs., gli avvocati sono soggetti agli obblighi
antiriciclaggio «[…] quando, in nome o per conto dei propri clienti, compiono qualsiasi operazione di natura
finanziaria o immobiliare e quando assistono i propri clienti nella predisposizione o nella realizzazione di
operazioni riguardanti: 1) il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche;
2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni; 3) l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di
deposito e conti di titoli; 4) l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o
all’amministrazione dei società; 5) la costituzione, la gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o
soggetti giuridici analoghi». Nessuna sostanziale modifica, quindi, rispetto a ciò che era previsto nel vecchio art.
2 del D.Lgs. n. 56/2004. Identica alla vecchia normativa anche l’importante previsione di un’area nella quale gli
obblighi non si applicano. Infatti il citato art. 12 del D.Lgs. 231/2007, nel II comma, ribadisce che gli obblighi
non si applicano agli avvocati «[…] per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo
allo stesso, nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di
difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento,
compresa la consulenza sulla eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano
ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso».
GLI SPECIFICI OBBLIGHI GRAVANTI SUGLI AVVOCATI. Anche con la nuova disciplina per gli
avvocati sussiste, così come nella vecchia, un triplice obbligo: a) di adeguata verifica della clientela (art. 16); b)
di registrazione (art. 36); c) di segnalazione dell’operazione sospetta (art. 41).
Adeguata verifica della clientela. In merito al primo degli obblighi previsti si deve segnalare che vi è una novità
rispetto al passato visto che il medesimo sorge, con le nuove norme, allorquando la prestazione ha ad oggetto
mezzi di pagamento, beni od utilità di valore pari o superiore a € 15.000,00 e non più ad € 12.500,00.
L’obbligo sussiste anche quando si eseguono prestazioni professionali occasionali, sempre che ovviamente
riguardino movimentazioni o trasmissioni di importi superiori alla cifra sopra indicata ed indipendentemente dal
fatto che siano effettuate in un’unica o in più operazioni. Inoltre sussiste anche nel caso in cui l’operazione sia di
valore indeterminato o non determinabile ed il legislatore ritiene che in ogni caso sia operazione di valore non
determinabile la costituzione, gestione o amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi.
Infine sussiste sempre, a prescindere dal superamento o meno dalla soglia sopra indicata, quando vi è sospetto di
riciclaggio o di finanziamento di terrorismo. A parere di chi scrive anche nel caso in cui vi siano dubbi sulla
veridicità o sull’adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell’identificazione del cliente, l’obbligo in
questione sussiste sempre e quindi a prescindere da ogni soglia di riferimento. Per quanto attiene al contenuto e
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all’adempimento di adeguata verifica della clientela si deve far riferimento agli artt. 18 e 19 della nuova
normativa. Da segnalare che l’art. 18 evidenzia come l’obbligo in questione consista, tra l’altro, anche
nell’ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto continuativo o della prestazione
professionale, nonché sul controllo costante degli stessi.
Registrazione. In virtù di questo secondo obbligo gli avvocati devono conservare i documenti e devono altresì
registrare tutte quelle informazioni acquisite per poter assolvere all’obbligo di adeguata verifica della clientela.
Ciò al fine di consentire qualsiasi indagine su eventuali operazioni di riciclaggio o di finanziamento del
terrorismo che potranno essere effettuate dall’UIF (cioè dalla Unità di Informazione Finanziaria) o da altra
autorità competente, inoltre i dati e le informazioni sono sempre utilizzabili ai fini fiscali. Il legislatore ha
stabilito che per quanto attiene alle copie dei documenti ed ai riferimenti richiesti per assolvere l’obbligo di
adeguata verifica del cliente l’avvocato debba conservare gli stessi per un periodo di 10 anni dalla fine del
rapporti continuativo con il cliente o dal momento in cui si è conclusa l’operazione professionale.
Analogo periodo di conservazione, cioè 10 anni, è previsto per la conservazione delle scritture e delle
registrazioni riguardanti le operazioni effettuate per il cliente. A tal proposito si deve segnalare come le
informazioni relative alla data di instaurazione del rapporto, ai dati anagrafici del cliente, al riferimento alle
operazioni di importo pari o superiore ad € 15.000,00 debbano essere registrate tempestivamente e, comunque,
non oltre il trentesimo giorno successivo al compimento dell’operazione ovvero dall’apertura, dalla variazione e
dalla chiusura del rapporto professionale. Ne consegue che gli avvocati devono necessariamente (laddove vi
siano dati sensibili ai fini antiriciclaggio) istituire un archivio informatico, o in alternativa, un registro cartaceo
della clientela a fine antiriciclaggio nel quale conservare i dati identificativi del cliente. Il registro deve essere
tenuto in maniera ordinata, senza spazi bianchi e abrasioni. Nel caso in cui gli avvocati svolgano la propria
attività in più sedi possono istituire per ciascuna di esse un registro della clientela e quindi pare di poter dire che
il legislatore consente anche l’istituzione di un solo registro nel quale raccogliere i dati percepiti nell’una e
nell’altra sede.
Segnalazione. Non vi è dubbio che, così come nella vecchia normativa, le maggiori perplessità riguardano
proprio l’obbligo di segnalazione. Si deve peraltro escludere che tale obbligo violi il dovere del segreto
professionale atteso che l’art. 622 del c.p. consente la rivelazione dello stesso per giusta causa e vi è senz’altro
giusta causa quando l’obbligo è previsto dal legislatore come nel caso di specie (Cfr, sul punto, G. Gambogi
«Norme antiriciclaggio: guida agli obblighi per gli avvocati» – inserto speciale in D&G, n. 21/2006). Con la
nuova normativa gli avvocati dovranno effettuare la segnalazione dell’operazione sospetta «[…] quando sanno,
sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate
operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo». La segnalazione deve essere inviata alla UIF o,
questa è una novità, all’Ordine di appartenenza. La definizione di operazione sospetta è quindi mutata rispetto
alla vecchia disciplina proprio perché è nuova la differenza tra il semplice sospettare e l’aver motivo ragionevole
per sospettare. Così come è evidenziato da una recente nota dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale Forense,
trasmessa agli ordini locali il 27/12/07, pare dunque allargarsi il campo della latitudine del sospetto. Resta invece
immutato il meccanismo di rilevamento del sospetto che rimane ancorato agli elementi messi a disposizione
dell’avvocato il quale, quindi, non deve trasformarsi in un investigatore privato. Restano peraltro fermi gli
obblighi, contenuti anche nella precedente normativa di tempestività della segnalazione che, come detto in
precedenza è trasmessa alla UIF o all’Ordine di appartenenza. È importante segnalare che con decreto del
Ministro della Giustizia saranno emanati, nonché periodicamente aggiornati, gli indicatori di sospetto e a tal
proposito saranno sentiti anche gli ordini.
I NUOVI OBBLIGHI PER GLI ORDINI FORENSI. La nuova disciplina si occupa anche degli obblighi che
ricadono sull’Ordine forense. Senza entrare nel merito della questione sarà sufficiente osservare in questa sede
che detti obblighi sono: a) il controllo sugli inscritti affinché siano ottemperanti agli obblighi antiriciclaggio (art.
8); b) l’osservanza del segreto professionale in virtù del quale tutte le informazioni ricevute sono coperte da
segreto d’ufficio (art. 9 comma I); c) la collaborazione con l’UIF (art. 9 comma V); d) la comunicazione al UIF
di eventuali omissioni di segnalazioni (art. 9 comma VI); e) la formazione del personale. Particolarmente
significativa è proprio quest’ultima imposizione in virtù della quale gli Ordini forensi, sono tenuti ad adottare
misure di adeguata formazione del personale per consentire la corretta applicazione delle disposizioni
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antiriciclaggio A parere di chi scrive, peraltro, questo obbligo di formazione è tale per cui si deve ritenere che
abbia efficacia immediata e, pertanto, dal 29/12/07 gli Ordini devono predisporre tutto ciò che è necessario per
ottemperare all’obbligo in questione.
LE QUESTIONI DI NATURA TRANSITORIA E BREVI CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Dalla lettura complessiva del nuovo provvedimento legislativo emerge che solo una parte delle disposizioni sono
di immediata applicazione, mentre per altre occorrerà attendere l’integrazione da parte di regolamenti (anche con
la vecchia disciplina peraltro, il D.Lgs. 56/2004 – oggi abrogato - venne integrato con il decreto n. 141/2006 del
Ministero dell’Economia e delle Finanze). Da tenere quindi in considerazione quanto stabilito dall’art. 66,
comma I del nuovo decreto in virtù del quale «le disposizioni emanate in attuazione di norme abrogate o
sostituite continuano ad essere applicate, in quanto compatibili, fino alla data di entrata in vigore dei
provvedimenti attuativi del presente decreto». Ciò significa che i vecchi provvedimenti attuativi continueranno
ad essere applicati, se compatibile con la nuova disciplina, sino all’adozione di nuovi provvedimenti integrativi.
Per quanto riguarda gli avvocati si deve segnalare che i vecchi provvedimenti ancora in vita sono essenzialmente
due: a) il DM economia e finanza 3.02.1006, n. 141, con il quale si dette attuazione al D.Lgs. 20/2/04, n. 56; b)
provvedimento Uff. Italiano Cambi 24/2/06, recante le istruzioni applicative in materia di identificazione,
registrazione, conservazione delle informazione, nonché di segnalazione delle operazioni sospetti.La nuova
disciplina quindi introduce alcune novità di rilievo, basti pensare a tutti i nuovi obblighi per gli Ordini forensi.
Anche per gli avvocati, pur conservando il triplice obbligo di adeguata verifica (con la vecchia disciplina si
parlava di identificazione), registrazione e segnalazione, vi è qualche importante novità, come ad esempio in
ordine alla valutazione dell’operazione sospetta. Con la permanenza in vigore del DM n. 141/2006 pare, però,
ancora aperta una importantissima questione e cioè se vi sia comunque l’obbligo di istituire il registro
antiriciclaggio (informativo o cartaceo che sia) oppure se ciò debba avvenire solo al momento in cui si presenta
un operazione sospetta. La questione è molto importante e giova osservare che l’art. 6 comma VIII del decreto
141/2006 stabilisce espressamente che : «i liberi professionisti non sono tenuti ad istituire l’archivio qualora non
vi siano dati da registrare». Ne consegue che l’obbligo di istituzione non è automatico e nasce solo allorquando si
presenta la necessità di annotarvi dati utili ai fini antiriciclaggio. A parere di chi scrive, quindi, i colleghi che non
hanno, al momento, istituito alcunché, hanno tenuto un comportamento legittimo se ed in quanto non si siano
trovati nella necessità di annotare dati.
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IL SOLE 24 ORE
Magistratura. A vent’anni da referendum e legge risarcimenti ridotti al minimo (83 dal 2003)
Giudici a responsabilità limitata
Segna il passo la responsabilità civile dei magistrati. E questo, in una fase del dibattito pubblico in cui
si è riacceso — se mai si era spento — il fuoco della polemica tra politica e magistratura, induce a
qualche riflessione. I dati degli ultimi anni sono chiari: in tutto i provvedimenti emessi dai tribunali, nel
periodo 2003-2007 sono stati 189, e di questi solo 83 hanno accolto la domanda di risarcimento
presentata, mentre in 21 casi la domanda è stata respinta e in altri 8 vizi di forma o altra natura hanno di
fatto bloccato la richiesta. Meno della metà dei provvedimenti, quindi, ha visto partire un risarcimento
pubblico. Per la maggioranza delle richieste, invece, per una ragione o per l’altra, il semaforo è rimasto
rosso. Con anni, poi, come il 2004 e il 2005, in cui i provvedimenti accolti sono stati a una sola cifra
(rispettivamente 5 e 7). A vent’anni dal referendum e dalla successiva legge, la n. 1l7 del 1988, si tratta
di cifre comunque significative. Istituita tra le polemiche, per effetto di una consultazione referendaria
che cancellò anche il ricorso al nucleare, la disciplina che istituiva la responsabilità civile dei magistrati
è pronta per un primo bilancio. Che non può che lasciare perplessi- Non per ansia di rivalsa nei
confronti della magistratura (che sarebbe almeno sospetta se gli interessati al risarcimento fossero i
politici), ma perché il principio della responsabilità del giudice in caso di dolo o colpa grave,come
impone la legge, è innanzitutto a tutela dei cittadini e non di una singola categoria. I dati poi
testimoniano almeno del fatto che, nella realtà, il temuto (nel 1987) effetto di intimidazione nei
confronti della magistratura non c’è stato. I magistrati hanno continuato a svolgere tranquillamente il
loro lavoro e, se tranquilli in questi anni non sono stati, non è per colpa della disciplina introdotta nel
1988. Anche perché la quasi totalità dei magistrati, sia giudici sia pubblici ministeri, se aderenti
all’Anm, (e si tratta di più del 90% delle toghe) ha comunque una polizza a coprire l’eventuale azione
di rivalsa da parte dello Stato. Quanto poi alle cause della scarsità di provvedimenti, vanno tenuti
presenti i rigidi paletti messi dalla normativa: la colpa semplice non ha mai effetto, l’attività
giurisdizionale è insindacabile nel merito, per non istituire un quarto grado di giudizio, ed
eventualmente può dare luogo a responsabilità disciplinare. E poi previsto un rigido controllo di
ammissibilità della richiesta affidata ai tribunali: da qui le critiche di chiusura corporativa, anche se le
regole sulla competenza sono state modificate nel 1998, che si sono già fatte sentire più volte, per
esempio dal fronte radicale. Inoltre, prima di promuovere l’azione devono essere stati percorsi tutti i
rimedi “ordinari”, propri del nostro ordinamento giuridico, e quindi, di solito, appello e Cassazione.
Va poi tenuto presente che dal 2001 è entrata in vigore la legge Pinto, che attribuisce al cittadino il
diritto a ottenere un risarcimento per l’eccessiva durata del processo e che è invece in continua crescita
(si veda l’articolo sotto). Caso assai frequente e che non chiama sempre in causa una responsabilità
dell’autorità giudiziaria. Ma che può avere contribuito a stornare una parte delle domande che,
comunque, sarebbero state respinte il più delle volte. G. Ne.
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ITALIA OGGI
Il 5 febbraio summit all'Abi per rispondere all'azione di Adusbef & Co. contro l'anatocismo
Class action, vendetta delle banche
Gli istituti minacciano di farsi dare indietro gli interessi sui c/c
Proprio nel momento dell'esordio, al quale si stanno preparando a dir poco battagliere, le associazioni
dei consumatori rischiano un autogol clamoroso. Tanto più bruciante se solo si pensa a quanto hanno
atteso lo sbarco nell'ordinamento italiano della class action. Il problema è che quando dall'altra parte ci
sono le banche, il terreno su cui si vuole organizzare l'attacco deve essere solido, altrimenti si rischia di
subire una pesante controffensiva. Ed è esattamente quello che sta accadendo. Contro Alessandro
Profumo e gli altri big del credito, infatti, le associazioni dei consumatori hanno deciso di inziare
dall'anatocismo, ovvero dagli interessi che maturanto sugli interessi. Un meccanismo che, fino a non
molto tempo fa, gravava pesantemente sulle spalle dei clienti che andavano a debito nei confronti di
una banca. Forti di una sentenza della Corte di cassazione, che nel 2004 ha riconosciuto la nullità del
meccanismo, adesso Adusbef & Co. vogliono inchiodare le banche. E costringerle con una class action
a restituire tutti gli interessi che hanno incamerato sui debiti dei loro clienti attraverso il famigerato
anatocismo. Per carità, la rivendicazione ha grandi probabilità di trovare soddisfazione in tribunale. Ma
le banche sono pronte a calare un asso dalla manica. Perché se sono dovuti ai clienti gli interessi passivi
ingiustamente capitalizzati, sostengono, a loro volta i clienti dovranno restituire gli interessi, questa
volta attivi, che le banche corrispondono sui conti correnti. Con l'effetto perverso che a pagare il prezzo
sarebbero pensionati, casalinghe, impiegati e studenti. Ovvero quelle categorie che vantano
costantemente un credito nei confronti degli istituti. Insomma, il terreno su cui le associazioni dei
consumatori si stanno muovendo è particolarmente sdrucciolevole. E l'Abi di Corrado Faissola lo sa, al
punto che per il 5 febbraio prossimo, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, ha organizzato un incontro a
porte chiuse (all'inizio per parlare di class action in generale). Durante la riunione, raccolti intorno a un
tavolo esperti e consulenti, si valuterà un dossier che spiega nel dettaglio questo «inatteso» risvolto
della class action sull'anatocismo. Il punto da affrontare, tra le altre cose, coinvolge anche il modo in
cui dovrà essere speso politicamente dagli istituti questo possibile rilancio sugli interessi attivi. La
questione è spinosa, ma di rilievo. Tutto nasce con la sentenza n. 21095/2004 con cui la Cassazione ha
posto fine all'anatocismo. Fino a quel momento le banche capitalizzavano sia gli interessi a debito del
cliente, cosa che avveniva ogni tre mesi, sia gli interessi a credito, questa volta a cadenza annuale. Il
tutto fino al 2000, quando il legislatore ha reso identica la cadenza della capitalizzazione nei conti a
credito e a debito del cliente. Sta di fatto che dopo la sentenza le associazioni hanno subito esultato per
le prospettive che si aprivano. Esultanza che è salita alle stelle quando, con la Finanziaria 2008, è
arrivata la class action. Il problema, però, è che Adusbef e colleghi danno per scontato che gli effetti
della pronuncia della Cassazione impongano la sola restituzione degli interessi passivi pagati dai clienti
nel tempo andati a debito. Mentre oggi gli istituti sostengono che se questo è vero, è altrettanto vero che
gli stessi clienti dovranno restituire gli interessi attivi alle banche che li hanno corrisposti sui conti
correnti. Insomma, l'anatocismo è nullo a 360 grandi. La beffa è che il probabile successo dell'azione
collettiva avrebbe effetti benefici più che altro sulle imprese, perché sono questi i clienti che quasi
sempre vanno a debito nei confronti del sistema bancario. Ma se le banche rilanciassero, attraverso una
domanda riconvenzionale, la stessa sentenza potrebbe avere effetti dirompenti sui quei clienti che
invece vantano quasi sempre un credito nei confronti degli istituti. Questi clienti, appunto, sono
pensionati e impiegati, ossia i veri e propri «consumatori». Stefano Sansonetti
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