apri e stampa la sentenza - Giurisprudenza delle imprese

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apri e stampa la sentenza - Giurisprudenza delle imprese
Sentenza n. 14762/2015 pubbl. il 28/12/2015
RG n. 41394/2014
Repert. n. 12659/2015 del 28/12/2015
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI MILANO
Sezione specializzata in materia di impresa
Sezione A
Il Tribunale in composizione collegiale, nella persona dei seguenti magistrati:
Dott. Paola Maria Gandolfi
Presidente rel.
Dott. Alessandra Dal Moro
Dott. Alima Zana
Relatore
Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al N. 41394/2014 R.G. promossa da:
ORO PIU’ 1995 SRL (c.f. 02410000695 ), con il patrocinio degli avv. SIMEONE
ALESSANDRO e
MANCINI ENRICO (MNCNRC77A21D972S) CORSO
MATTEOTTI, 1 00040 CASTEL GANDOLO; MASTRACCI MARCO
(MSTMRC69D16H501J) LARGO MATTEOTTI, 1 00040 CASTEL GANDOLFO; ,
ATTRICE;
contro:
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Sentenza n. 14762/2015 pubbl. il 28/12/2015
RG n. 41394/2014
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THE SWATCH GROUP ITALIA SPA (C.F. 08604100159 ), con il patrocinio dell’avv.
CATTANI GIUSEPPE e
CONVENUTA
Conclusioni delle parti:
“Voglia, l’Illustrissimo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione:
- Accertare l’illegittimità del recesso esercitato da The Swatch Group Italia SpA per
violazione dei diritti di correttezza e buona fede ex articoli 1175 e 1375 cc;
- Accertare la nullità dell’articolo 11.4 del contratto tra Oro Più 1995 Srl e The
Swatch Group Italia Srl a norma della Legge 18/06/1998 n. 192 articolo 9 comma
3, ovvero per contrarietà all’articolo 101 T.F.U.E.
- Dirsi tenuta e condannarsi The Swatch Group Italia SpA al pagamento di €
1.200.000,00, ovvero al pagamento dell’importo maggiore o minore che risulterà
di giustizia, quale risarcimento per i danni subiti e subendi da Oro Più 1995 Srl.
In ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari della presente procedura, oltre
CPA, IVA e spese generali come per legge”.
Per la convenuta:
In via principale, nel merito:
accertare e dichiarare la legittimità del comportamento tenuto da The Swatch
Group (Italia) S.p.A. in ordine a tutti i fatti di causa, e conseguentemente respingere le
domande formulate nei suoi confronti dall’attrice, in quanto totalmente infondate sia in
fatto che in diritto;
In ogni caso:
-
con vittoria di spese e competenze, IVA e CPA come per legge.
In via istruttoria:
- nella non creduta ipotesi di rimessione della causa in istruttoria, si richiamano
integralmente le istanze e deduzioni precedentemente formulate in atti.
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per l’attrice:
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Infine, The Swatch Group (Italia) S.p.A. dichiara di non accettare, in ogni caso, il
contraddittorio su eventuali domande che l’attrice dovesse formulare per la prima volta
in questa sede.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 9/6/14 la s.r.l. Oro Più 1995 chiamava in giudizio la
s.p.a. The Swatch Group Italia per sentire accertare l’illegittimità del recesso esercitato
dalla convenuta, per violazione dei doveri di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e
1375 c.c., nonché la nullità della clausola dell’art. 11.4 del contratto inter partes per
contrarietà alla normativa, nazionale e comunitaria, antitrust, il tutto con conseguente
condanna al risarcimento del danno, quantificato in euro 1.200.000,00.
Allegava l’attrice, appartenente al “Gruppo Sarni”, di avere dal 2007 un rapporto
commerciale di distribuzione al dettaglio degli orologi e gioielleria a marchio Tissot e
Kalvin Klein. L’accordo, originariamente verbale, veniva poi formalizzato, con contratti
scritti a rinnovo annuale, in forza dei quali l’attrice era entrata a far parte della rete di
distribuzione selettiva della convenuta. Nel giugno 2013, improvvisamente, SGI aveva
comunicato la sua intenzione di recedere dai contratti, a far tempo dal dicembre 2013,
adducendo la necessità di rivedere la propria struttura distributiva. Nell’agosto
successivo, la convenuta comunicava che, in realtà, la decisione era stata originata da
inadempimenti contrattuali dell’attrice, peraltro mai prima contestati. Nel mese di
novembre 2013, Oro Più aveva inviato una richiesta di fornitura per il valore di euro
600.000,00, accompagnata da due assegni in garanzia, che tuttavia non era stata onorata,
in forza dell’art. 11.4 dell’accordo contrattuale.
Oro Più agiva quindi in questa sede, ritenendo che SGI avesse compiuto un abuso del
proprio diritto di recesso, in violazione dei generali principi di buona fede ex art. 1175 e
1375 c.c., nonché un abuso di dipendenza economica. Inoltre, secondo l’attrice, la
clausola di cui all’art. 11.4 dei contratti inter partes, che prevedeva limitazioni alla
fornitura in pendenza del preavviso di recesso, doveva considerarsi in violazione
dell’art. 101 TFUE.
Si costituiva la convenuta, ricostruendo i suoi rapporti con le molteplici società del
“Gruppo Sarni” (colosso imprenditoriale operativo in vari settori) che si occupano di
gioielleria ed oreficeria, delle quali cui fa parte Oro Più. In specifico, l’attrice svolgeva
anche il ruolo di “centrale acquisti” per l’intero gruppo “SarniOro”, in ciò avendo
sostituito la Folliegross, precedente interlocutore contrattuale di SGI. Nel corso del
rapporto con le società del “Gruppo Sarni”, la convenuta aveva contestato molteplici
violazioni contrattuali -in particolare la vendita dei prodotti presso punti vendita non
autorizzati, l’utilizzo di mobili espositori Swatch per esporre prodotti di terzi- che
avevano determinato la risoluzione dei contratti aventi per oggetto i prodotti a marchio
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Swatch. Malgrado le rassicurazioni, siffatti inadempimenti erano proseguiti nel corso del
rapporto con Oro Più -relativo ai marchi “Tissot” e “Calvin Klein”- accompagnati dalla
continua violazione dei termini di pagamento e dall’utilizzazione di mezzi di pagamento
anomali (assegni postdatati). In tale contesto, con l’utilizzo della clausola di recesso,
anziché di risoluzione, SGI aveva voluto garantire alla controparte una chiusura il più
indolore possibile dei rapporti.
Inoltre, la convenuta sottolineava l’eccezionalità quantitativa dell’ordine ricevuto a
novembre 2013, in fase di chiusura dei rapporti. Pertanto, SGI contestava recisamente la
ricostruzione in diritto dell’attrice e chiedeva il rigetto delle domande proposte nei suoi
confronti.
Concesso lo scambio di memorie ex art. 183,VI c.p.c., senza istruttoria, all’udienza del
7/7/15 la causa veniva rimessa in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Dalla documentazione prodotta emerge che i rapporti tra la convenuta e le società del
“gruppo Sarni”, che, nel settore oreficeria, agiscono unitariamente sotto il logo SarniOro
(cfr. gli indirizzi mail e l’intestazione delle lettere, es docc. 24, 29 e 32 conv.) sono
iniziati intorno al 2005 (inizialmente con Folliegross) e sono stati caratterizzati da
continue contestazioni di SGI ed inesatti adempimenti della controparte (evidentemente
comunque tollerati, cfr docc. 23-27 conv., salvo il recesso dal contratto avente per
oggetto i prodotti a marchio Swatch).
Per quanto qui rileva, i rapporti contrattuali tra la convenuta e la società attrice (che
pacificamente ha sostituito Folliegross quale centrale acquisti del “gruppo Sarni”, doc.
10 conv.) sono iniziati con la sottoscrizione, in data 10-19/11/12 di due contratti, con
durata sino al 31/12/13 relativi ai prodotti a marchio “Tissot” e “cK”.
Fin dal dicembre 2012 iniziano gli inesatti adempimenti del “gruppo Sarni” (e quindi di
Oro Più, vincolata contrattualmente), che richiede pressantemente proroghe delle
scadenze di pagamento (doc. 28 conv.). In data 24/1/13, SarniOro chiede una ulteriore
dilazione dei pagamenti scaduti, inviando a saldo un assegno bancario, (n. 004821982100), firmato dall’attrice, di euro 288.309,64 che porta come data di emissione il 31
maggio 2013 (doc. 31 conv.). Ancora, in data 20/2/13, per onorare fatture con scadenza
di novembre 2012, viene inviato un ulteriore assegno (per euro 119.423,13) pure con
data di traenza 31 maggio 2013. Poco rileva se (come vorrebbe dimostrare l’attrice)
agenti di zona di SGI avessero coonestato tale modalità di sanatoria del debito, non
risultando alcuna accettazione esplicita degli organi decisori dalla convenuta, che, al
contrario, in data 12/3/13 restituisce il primo assegno ed addebita gli interessi (con nota
del 12/2/13, docc. 35 e 36 conv.). L’utilizzazione di siffatti mezzi di “pagamento” –che
più che anomali devono definirsi illeciti- evidenzia l’esistenza di una situazione di
complessivo inadempimento, che viene tardivamente sanata, mediante bonifico, soltanto
il 27/5/13. In questo contesto, di palese e perdurante violazione dei propri obblighi
contrattuali di pagamento da parte di Oro Più 1995, la convenuta presceglie, anziché la
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traumatica via della risoluzione immediata (previa richiesta scritta di immediata
sanatoria delle pendenze) ex art. 10 dei contratti, quella, indubbiamente meno onerosa
per la controparte, del tempestivo esercizio del diritto di recesso, riconosciuto ad
entrambe le parti dall’art. 9.2 dei contratti, che non è subordinato all’esistenza di
qualsiasi ragione o addebito a carico dell’altro contraente.
Infatti, in data 10/6/13 SGI invia una raccomandata con cui avvisa Oro Più che ha
“deciso di terminare le relazioni commerciali” con l’odierna attrice. A fronte delle
contestazioni di controparte, in data 5/8/13, SGI chiarisce che ha deciso di intimare il
recesso ad nutum, anziché risolvere il contratto con effetto immediato per
inadempimento, “in relazione al sistematico mancato rispetto dei termini di pagamento
pattuiti” proprio per consentire una chiusura “il meno traumatica possibile” di un
rapporto comunque pluriennale con il “gruppo Sarni” (doc. 38 conv.).
Alla luce di tali emergenze documentate, possono quindi esaminarsi le doglianze attoree.
Abuso del diritto.
L’attrice afferma che la convenuta avrebbe abusato del suo diritto di recesso, anche in
relazione alla motivazione addotta nella lettera 10/6/13 secondo cui “per soddisfare le
esigenze dei nostri clienti, occorre continuamente rivedere la struttura e lo sviluppo del
sistema di distribuzione selettiva”, incongrua e dissimulatrice delle effettive doglianze di
inadempimento poi evidenziate.
Come è noto, da tempo prima la dottrina e poi la giurisprudenza si sono poste il
problema del c.d. “abuso del diritto”: in proposito, la S.C., dopo avere riconosciuto la
vigenza, nel sistema, di un generale divieto di abuso di ogni posizione soggettiva (Cass.
SU 23726/07) ha autorevolmente ribadito che “si ha abuso del diritto quando il titolare
di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non
necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno
sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di
conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà
furono attribuiti” (Cass. 20106/09).
Secondo il giudice di legittimità “l'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza
costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio
di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso,
fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462). Una volta collocato nel quadro dei valori
introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come una
specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost.,
e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto
obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a
prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente
stabilito da singole norme di legge. In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare
che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare,
anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia
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del
giusto
equilibrio
degli
opposti
interessi.
La Relazione ministeriale al codice civile, sul punto, così si esprimeva: (il principio di
correttezza e buona fede) "richiama nella sfera del creditore la considerazione
dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del
creditore", operando, quindi, come un criterio di reciprocità. In sintesi, disporre di un
potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione
data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che
incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato. In questa ottica la
clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche
nell'ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di posizione
dominante. La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei
binari dell'equilibrio e della proporzione. Criterio rivelatore della violazione
dell'obbligo di buona fede oggettiva è quello dell'abuso del diritto.
Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario
e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad
un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere
effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la
circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice
attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio
di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale
modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del
titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del diritto,
quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione
alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi
ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. È ravvisabile, in sostanza,
quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto
di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo
prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola
generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in
violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari
alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di
impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti
connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da
alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui
l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata.
Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l'abuso del
diritto”. Tuttavia, “oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell'abuso del diritto,
debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali - funzione
sociale ex art. 42 Cost. - e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In
questa prospettiva i due principii si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un
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canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico
e l'interpretazione dell'atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l'abuso, la
necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono
conferiti. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall'ordinamento, si
avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del
diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio” (ibid.).
In concreto, certamente la motivazione, peraltro non necessaria, data da SGI attraverso
una clausola di stile non corrisponde all’effettiva ragione sottostante, di grave
turbamento del sinallagma contrattuale addebitabile alla controparte, che probabilmente
ha motivato la convenuta ad utilizzare lo strumento di cessazione dei rapporti che il
contratto le metteva a disposizione con l’art. 9.2.
Tuttavia, a fronte delle alternative possibili, il recesso “con preavviso” -lungi dall’essere
effettuato con modalità censurabili, sotto un profilo giuridico od extragiuridico- non ha
certamente determinato una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del
diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. Al contrario, Oro Più, che avrebbe
ben potuto trovarsi di fronte ad una –ben più traumatica- risoluzione con effetto
immediato, ha potuto godere di un termine di quasi sette mesi per smaltire le scorte e
riorganizzare la propria attività imprenditoriale al di fuori del sistema di distribuzione
selettiva della controparte.
Pare al Tribunale che, al contrario di quanto ritiene la difesa attorea, la condotta della
convenuta sia stata improntata da una attenzione agli interessi di Oro Più e del gruppo di
cui è espressione, che li ha preservati ben oltre gli obblighi di solidarietà imposti dalla
clausola generale di buona fede nel’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c.
Anche l’utilizzazione di una motivazione del recesso (come detto, non necessaria)
mediante una clausola di stile -anziché facendo comunque riferimento alle difficoltà che
ostavano alla prosecuzione dei rapporti a causa dei reiterati inadempimenti di
controparte- lungi dall’occultare una torsione dello strumento contrattuale prescelto
(rispetto ad altro ben più traumatico), garantisce pure la reputazione commerciale di una
controparte evidentemente dotata, in ragione delle sue dimensioni, di una indubbia forza
contrattuale e relazionale.
Abuso di dipendenza economica.
L’attrice invoca anche la norma dell’art. 9 L. 192/98, che secondo il S.C. “configura una
fattispecie di applicazione generale, che può prescindere dall’esistenza di uno specifico
rapporto di subfornitura, la quale presuppone, in primo luogo, la situazione di
dipendenza economica di un’impresa cliente nei confronti di una sua fornitrice, in
secondo luogo, l’abuso che di tale situazione venga fatto, determinandosi un
significativo squilibrio di diritti e di obblighi, considerato anzitutto il dato letterale della
norma, ove si parla di imprese clienti o fornitrici, con uso del termine cliente che non è
presente altrove nel testo della L. n. 192 del 1998”. (v. ordinanza delle Sezioni Unite
della Cassazione n. 24906 del 25 novembre 2011).
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Ora, i contratti di distribuzione sono idonei in astratto a porre il distributore in posizione
di dipendenza economica, in quanto assoggettato ad un complesso di obblighi
contrattuali, che trasferisce sullo stesso gli oneri di reperimento clientela promozione,
pubblicizzazione dei prodotti ed i relativi rischi imprenditoriali (talvolta con cospicui
minimi garantiti), che potrebbero essere squilibrati rispetto a quelli assunti dal
concedente.
Ciò peraltro si riscontra laddove la distributrice, di dimensioni assai più ridotte della
produttrice, abbia organizzato la sua attività su quella della controparte, assumendo
obblighi di esclusiva, sicchè la riconversione produttiva pur possibile, necessita un
tempo adeguato di riorganizzazione.
In concreto, Oro Più appartiene pacificamente ad un gruppo, per cui svolgeva funzione
di centrale acquisti, che solo sul settore gioielleria fattura circa 30 milioni all’anno e
dispone di un’invidiabile rete distributiva sul territorio nazionale, di circa 200 punti
vendita, di cui 55 di titolarità dell’odierna attrice (cfr. doc. 4 conv.). Il contratto di
distribuzione selettiva con SGI riguardava ben 21 punti vendita, e, soprattutto, non
prevedeva alcun vincolo di esclusiva.
Al contrario pacificamente risulta che, come è ragionevole nel settore, l’attrice è un
rivenditore multimarca, che commercializza orologi e gioielli contraddistinti da svariati
loghi, anche del medesimo prestigio e target di quelli, contrassegnati Tissot e cK,
oggetto dei contratti di cui si discute. La circostanza emerge documentalmente dalla
pagine web dell’attrice (doc. 54 conv.) ed è lo stesso “Gruppo Sarni” a ribadirlo alla
convenuta, allorchè, in data 17/12/12 dichiara di avere realizzato un “megastore in una
prestigiosa location, con oltre 96 importanti marchi, tra cui il vostro”.
Alla luce del notorio panorama del settore -che presenta prodotti del tutto analoghi per
prestigio e valore a quelli della convenuta, dotati delle medesime attrattività
commerciali- e delle potenzialità economiche dell’attrice (in uno con il suo gruppo di
riferimento) può ragionevolmente escludersi che non siano reperibili alternative
soddisfacenti per consentirle di mantenere una posizione competitiva sul mercato. Né
pare plausibile che un colosso distributivo multimarca, quale quello di cui Oro Più
rappresenta la “centrale acquisti”, abbia una sostanziale identificazione con i due
marchi di cui si controverte che non le consenta di preservare e sviluppare un’immagine
di mercato, anche rinnovata in forza di altri prodotti.
La clausola contrattuale di limitazione del riordino nel periodo di preavviso.
Infine l’attrice lamenta la contrarietà alla normativa antitrust della disposizione dell’art.
11.4 dei contratti inter partes, che prevede che “durante il periodo di preavviso il
Rivenditore Autorizzato potrà continuare ad acquistare i prodotti. A SG Italia potrà
tuttavia essere richiesto di fornire i prodotti soltanto nella quantità comparabile alla
media delle consegne dei 12 mesi precedenti il preavviso di risoluzione”.
Secondo parte attrice, la clausola si risolverebbe in un sostanziale rifiuto a vendere nel
periodo di preavviso, ed, in un sistema di distribuzione selettiva fondato su criteri
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qualitativi, non se ne vede la ragione, che porrebbe il distributore, nella fase finale del
rapporto in posizione di svantaggio rispetto agli altri membri della rete di distribuzione
Come è noto, l’accordo di distribuzione selettiva è quello con cui “il fornitore si
impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente,
solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi
distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a distributori non autorizzati
nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema” (art.1 §1 lett. e) Reg. UE
330/2010). Siffatti accordi sono esentati dalle restrizioni ex art. 101 TFUE se fornitore
ed acquirente non detengono una quota di mercato superiore al 30% (questione in
questa sede non posta) e se i distributori autorizzati non siano soggetti, a loro volta, a
restrizioni nella vendita attiva tra di loro e vero gli utilizzatori finali.
Poiché dai contratti non risulta la presenza di siffatte condizioni (né vi sono doglianze
delle parti in proposito), ci si trova di fronte ad un accordo verticale di fornitura e
distribuzione da ritenersi tendenzialmente esentato dall’applicazione dell’art. 101, §3
TFUE, in relazione ai ritenuti effetti positivi pro-concorrenziali, in quanto non
coinvolgono concorrenti diretti e possono determinare guadagni di efficienza, in ragione
delle sinergie e delle complementarietà delle imprese partecipanti all’intesa
Pertanto, la disposizione contrattuale va riguardata non in relazione agli effetti sul
mercato o nei confronti dei consumatori, ma dei rapporti concorrenziali intrabrand, tra i
diversi distributori autorizzati, che, in fase terminale del rapporto, verrebbero
discriminati -rispetto agli altri appartenenti ad una rete di cui fanno ancora partemediante un indebito rifiuto a fornire, che non consentirebbe loro di continuare ad
offrire la gamma completa dei prodotti.
Pare al Tribunale evidente, invece, che la ratio della disposizione contrattuale stia nel
garantire un equilibrato e paritario funzionamento del sistema di distribuzione selettiva,
essendo posta ad impedire che, nella fase di fine del rapporto, il distributore accumuli
scorte tali da consentirgli di continuare a presentarsi sul mercato quale rivenditore
autorizzato o financo ad inflazionarlo mediante una riduzione al minimo dei prezzi, che
renda agli altri distributori insostenibile proprio la concorrenza intrabrand.
La stessa formulazione dell’art. 11.4 si riferisce non ad un limite numerico assoluto di
acquisti, ma ad una “quantità comparabile”, clausola generale che dovrebbe consentire
la possibilità di ragionati ordini anche un poco superiori alla media matematica dei
dodici mesi precedenti.
Di per sé, quindi la disposizione non pare affetta da nullità né per ragioni antitrust né di
abuso di posizione dominante (peraltro, come detto, da escludersi nel caso di specie).
Ed in concreto, pare proprio che la pretesa di Oro Più di ordinare una quantità di
prodotti, ad un mese dalla scadenza del rapporto, pari a cinque volte tanto la media dei
mesi precedenti sia finalizzata non tanto al necessario riassortimento in previsione delle
feste natalizie, quanto alla volontà di realizzare ingenti scorte per il periodo successivo
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Firmato Da: GANDOLFI PAOLA MARIA Emesso Da: POSTECOM CA3 Serial#: 68067 - Firmato Da: CARLONI STEFANO Emesso Da: POSTECOM CA3 Serial#: 2b0cd
Sentenza n. 14762/2015 pubbl. il 28/12/2015
RG n. 41394/2014
Repert. n. 12659/2015 del 28/12/2015
alla naturale scadenza del rapporto, e così continuare a presentarsi al mercato quale
distributore autorizzato dei prodotti “Tissot” e “cK”.
Peraltro, pare incontestato che il “gruppo Sarni” abbia potuto accedere, attraverso canali
diversi (non oggetto di doglianza da parte di SGI) alla fornitura di prodotti con i marchi
della convenuta ed alla loro massiccia rivendita nei propri negozi, sicchè nessun
mutamento della sua competitività sul mercato risulta intervenuto (se non quello,
legittimo, di non potersi più fregiare del titolo di “rivenditore autorizzato”).
In conclusione, il Collegio ritiene che le domande proposte da Oro Più 1995 siano prive
di fondamento e vadano disattese.
L’attrice, soccombente nel merito, deve essere condannata a rifondere alla convenuta le
spese di lite, qui liquidate, tenuto conto del valore della controversia e dell’impegno
difensivo, in euro 23.106,70 per compensi, oltre 15% spese generali ed accessori di
legge.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione disattesa,
rigetta le domande proposte con atto di citazione notificato il 9/6/14 dalla s.r.l. Oro Più
1995 nei confronti della s.p.a. The Swatch Group Italia;
condanna l’attrice a rifondere alla convenuta le spese di lite, come sopra liquidate in
euro 23.106,70 per compensi, oltre 15% spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Milano, Camera di Consiglio del 10/11/15
Il Presidente est.
Dott. Paola Gandolfi
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Firmato Da: GANDOLFI PAOLA MARIA Emesso Da: POSTECOM CA3 Serial#: 68067 - Firmato Da: CARLONI STEFANO Emesso Da: POSTECOM CA3 Serial#: 2b0cd
Sentenza n. 14762/2015 pubbl. il 28/12/2015
RG n. 41394/2014
Repert. n. 12659/2015 del 28/12/2015