Milano, 31 gennaio 2006
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Milano, 31 gennaio 2006
L’AUTO E LA SOCIETÀ La storia del costume raccontata attraverso l’automobile Nel ‘900 Roland Barthes, semiologo strutturalista francese, paragonò l’automobile alle cattedrali: una grande creazione d’epoca consumata nella sua immagine da un popolo che si appropria con essa di un oggetto magico. Fin dalla sua nascita, infatti, l’automobile è entrata con prepotenza nella vita della società occidentale industrializzata e ha cambiato in modo permanente gli usi e i costumi dei popoli che l’hanno utilizzata. Sono molteplici i settori della società in cui questo mezzo di trasporto si è insinuato, trasformandosi via via in oggetto di culto, specchio di un mondo in continuo e rapido mutamento. L’auto è diventata uno status symbol, sinonimo di stile e di moda, oggetto attraverso cui ostentare il proprio prestigio in società. Si pensi, ad esempio, al ruolo che l’automobile ha avuto in alcune pellicole cinematografiche o al fascino che da sempre scaturisce da modelli come quelli prodotti da Ferrari, Porsche, Maserati, Lamborghini ecc. Oppure al mito della velocità che l’automobile incarna soprattutto nello sport e nelle sue gare, simboli di una sfida contro sé stessi e i propri limiti. Non solo oggetto mitico e sinonimo di fascino e passione, ma anche pericolo, tema delicato al centro delle cronache odierne. Gli incidenti stradali e i giovani automobilisti che li provocano o ne sono vittima nascondono in realtà un disagio sociale e culturale ben più complesso. L’auto e il design: tra progettazione e creatività Italia sinonimo di moda e stile: il legame con questi due concetti non poteva che trovare espressione anche nel mondo dell’automobile dove, fin dai suoi esordi, i carrozzieri italiani creavano meravigliosi prototipi da salone e parallelamente si occupavano della progettazione di automobili per uso quotidiano. Nella produzione convivono e si fondono quindi la serialità industriale e la singolarità artigianale, caratteristiche che hanno portato il nostro paese ad essere un centro d’avanguardia nel campo del design. Il design italiano emerge negli anni del dopoguerra ed è «capace di coprire con un salto i vuoti di una produzione che possiede ancora gravi squilibri di consumo - sostiene l’architetto Vittorio Gregotti - dando un forte impulso all’industria automobilistica e a un’intera generazione di nuove realtà produttive». Nomi come Gian Piero Brunetta, Pierluigi Cerri, Giorgetto Giugiaro, Tomàs Maldonado, Adolfo Orsi, Sergio Pininfarina e Mauro Tedeschini rappresentano la magia del design industriale italiano e fanno di questa disciplina una scuola di avanguardia nell’arte del dare forma estetica agli oggetti di uso pratico. Negli anni in cui si afferma lo stile italiano, gli “anni del boom”, l’Italia è epicentro di numerose rivoluzioni di costume: la rottura con la generazione dei padri, la questione femminile, le lotte giovanili sono tutti temi che hanno influenzato l’evoluzione del design automobilistico. Donna al volante … L’emancipazione femminile ha completamente rivoluzionato l’idea di macchina: se un tempo i modelli ideali si basavano su vetture aggressive con una fisionomia slanciata e sontuosa, oggi si predilige un equilibrio più formale che coniughi comfort e adattabilità, senza dimenticare i temi dell’eco-sostenibilità. La forma di una vettura utilitaria è più compatta, più gentile e sensibile. Questi stessi valori sono associati anche nel mondo della pubblicità dove, fin dai primordi, la rappresentazione della donna è molto frequente in senso metaforico: essa richiama garbo ed eleganza, sicurezza ed affidabilità. Anche i giornali fanno largo uso dell’immagine femminile, evidenziando il comportamento delle donne nei confronti di un’innovazione straordinaria, si soffermano nel descriverne lo scetticismo iniziale dovuto agli incidenti, alle frequenti soste per guasti meccanici, all’impossibilità di mantenere pettinature e abiti in ordine. Un atteggiamento negativo destinato a mutarsi e a sostituirsi con un entusiasmo per la velocità sperimentata sul veicolo rivoluzionario. Celebri sono i casi di Ada Pace, detta Sayonara, pilota motociclistica ed automobilistica degli anni ’50 e ’60, e di Maria Teresa de Filippis, la prima donna in assoluto a guidare una vettura di Formula 1, nel Gran Premio del Belgio del 1958, su una Maserati. Soprannominata Pilotino, nel ‘58 disputò 4 Gran Premi (Belgio, Monaco, Portogallo e Italia). Abbandonò la carriera dopo la morte per incidente di Jean Behra avvenuta nel 1959 al Gran Premio di Germania, titolare della scuderia e suo amico che in quella gara l'aveva sostituita all'ultimo momento, anche utilizzando la vettura con la quale avrebbe dovuto correre lei. L’auto e i giovani: dalla ribellione al dibattito odierno sulla sicurezza stradale Negli anni del boom e nei successivi anni ’70, i giovani italiani conquistano consapevolezza della propria condizione e rompono gli schemi con la generazione dei propri padri. Il mondo giovanile diventa universo a parte, lontano anni luce da quello degli adulti, con propri riti, utopie, sogni, aspirazioni e linguaggi. La Citroen 2 CV e il pulmino Kombi Volkswagen diventano simbolo delle generazione on the road, il viaggio alla scoperta di sé stessi, e della ribellione a un sistema “ingessato” e immobile rappresentato dagli adulti. Oggi il significato del binomio auto e giovani è profondamente cambiato così come il campo semantico ad esso associato: sicurezza stradale, educazione civile, controlli etilometrici e incidenti stradali sono i temi che accendono il dibattito attorno a questo rapporto. I giovani sono oggetto, da un lato, del linguaggio ammaliante della pubblicità che propone modelli di auto sempre più potenti e veloci e, dall’altro, della giungla di divieti e limiti imposti per cercare di risolvere un problema che è innanzitutto sociale e culturale e, sotto questa luce, andrebbe analizzato. Movie cars: le auto che hanno fatto la storia del cinema Come in tanti linguaggi artistici, anche nel cinema l’auto ha recitato il ruolo di protagonista. Le auto hanno sempre riflesso i costumi e le epoche di riferimento, i gusti e gli status sociali dei propri guidatori. È il caso, ad esempio, dei film dedicati a James Bond, l’agente segreto più famoso della cinematografia mondiale, dove il fascino del protagonista è indissolubilmente legato alla sua Aston Martin DB5 che ricompare in numerosissime pellicole dedicate allo 007 (Missione Goldfinger - 1964, Si Vive Solo Due Volte - 1966, Operazione Tuono – 1965, per citarne solo alcuni). In alcuni casi le auto sono diventate vere e proprie protagoniste all’interno della narrazione: in Italian Job (Un colpo all’italiana, 1969), inserito nel 1999 dal British Institute al 38° posto nella lista delle cento migliori pellicole della storia del cinema britannico, le tre Mini Cooper mostrano una Torino futuribile appena restaurata per il centenario dell’Unità. La Delorian di Ritorno al Futuro (Back to the Future, 1985), la Ectomobile dei Ghostbusters (Ghostbusters, Gli Acchiappafantasmi, 1984), Herbie, il Maggiolino tutto matto (The Love Bug) dell’omonimo film Disney del 1969, Benny il taxi di Roger Rabbit di Chi ha incastrato Roger Rabbit (Who Framed Roger Rabbit, 1988), la Gran Torino del burbero Walt Kowalsky, reduce della Guerra in Corea ed ex operaio Ford, dell’omonima pellicola interpretata e diretta da Clint Eastwood (Gran Torino, 2009), sono tra le auto più antropomorfe presenti nella storia del dialogo tra l’arte cinematografica e l’universo dei motori: veri personaggi dei loro film. Attraverso il ruolo affidato all’automobile all’interno della pellicola cinematografica è anche possibile cogliere gli aspetti distintivi di una società e i suoi cambiamenti (o il suo immobilismo). Si pensi ad esempio all’estrema attualità della storia del brusco e doloroso passaggio all'età adulta narrata in Gioventù Bruciata (Rebel Without a Cause, 1955), il documento sui riti della generazione post-bellica nella provincia statunitense, con le sue corse clandestine in automobile, l’abuso di alcool e le bande criminali. Ultimo esempio sono gli affreschi cinematografici rappresentativi del benessere e del miracolo economico degli anni “ruggenti” del cinema italiano, come quello dipinto ne Il Sorpasso, il film di Dino Risi del 1962, manifesto della cosiddetta commedia all’italiana. Motori, gioie e dolori … Chi ha una certa confidenza con la guida, sa che ogni modello di auto ha una sua peculiarità: ogni macchina, nella complessità del suo organismo, nel motore, nelle svariate forme del suo corpo, nella carrozzeria, ha un proprio carattere ed una sua anima. Il connubio che si crea tra l’uomo e la sua autovettura è un rapporto fiduciario: una vera e propria interazione. Nello sport questa relazione raggiunge un livello di sofisticatezza mitica. Le prime gare automobilistiche degli inizi del ‘900, la formula 1 e i rally, la Mille Miglia e la Nascar, pur non coinvolgendo una prova fisica diretta, sono etichettati come sport perché l’uomo si relaziona con la velocità attraverso una sua invenzione. Il rapporto tra abilità del pilota e prestazioni dell’automobile ha reso l’automobilismo un campo di ricerca tecnologica e un mezzo pubblicitario per le case produttrici di auto. All’interno del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino si possono osservare le storiche vetture che hanno corso le principali gare automobilistiche, antiche quanto l’automobile stessa: la prima vera competizione automobilistica organizzata con un consistente numero di veicoli a motore risale addirittura al 1894 (Parigi-Rouen). Tra i modelli esposti ci sono la Fiat 130 HP del 1907, l’auto che partecipò al Grand Prix dell’Automobile Club di Francia disputato sul circuito di Dieppe; l’Alfa Romeo P2 del 1930, considerata il capostipite di tutte le celebri Alfa Romeo da corsa; la Cisitalia 202 SMM spider Nuvolari del 1947, così ribattezzata in onore del pilota modenese che la guidò nella Mille Miglia dello stesso anno; la Ferrari 500 F2 con cui Alberto Ascari vinse il titolo di Campione del Mondo nel 1952 e nel 1953; la Ferrari 246 F1 del 1960 con cui il titolo fu assegnato a Mike Hawthorn nel 1958. C’è anche la Ferrari 312 T5 del 1980, la vettura contrassegnata con il n.2 (il n.1 era stato assegnato a Jody Scheckter) di Gilles Villeneuve, scomparso nel 1982 durante le prove del G.P. del Belgio. Dalla morte di Marcel Renault sulla Parigi-Madrid al mito di Nuvolari, per arrivare ad Ayrton Senna e Michael Schumacher, gli uomini che hanno sfidato la velocità sono stati l’antropomorfizzazione del futurismo, spingendo le loro http://it.wikiquote.org/wiki/Automobileruggenti automobili a correre sulla mitraglia (Filippo Marinetti). UFFICIO STAMPA MUSEO NAZIONALE DELL’AUTOMOBILE DI TORINO: PAOLA MASETTA T. 011 677666 @ [email protected] MAILANDER per MUSEO NAZIONALE DELL’AUTOMOBILE DI TORINO: MARCELLA LATERZA, T. 011 5527322 M. 335 7559154 @ [email protected] STELLA CASAZZA, T. 011 5527327@ [email protected]