Gli anni `20 e l`industria dell`automobile

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Gli anni `20 e l`industria dell`automobile
Gli anni 1920 e l’industria
dell’automobile
Gli anni ’20 e l’industria
dell’automobile
• L’economia americana fu colpita nel 1921 da una dura
depressione, provocata da una brusca diminuzione delle
esportazioni, soprattutto per articoli di lusso come i tessuti di
seta e le automobili.
• Dal 1923 cominciarono però la ripresa e una lunga fase
espansiva che durò fino al 1929 con brevi rallentamenti nel
1924 e nel 1927.
• Si trattò di un boom industriale di nuovi prodotti (automobili,
elettrodomestici, radio, ferri da stiro, frigoriferi).
• Settori più vecchi – carbone, cotone, cantieristica, calzature e
cuoio – subirono invece un declino simile a quello di molti
paesi europei, il cui risultato fu la formazione di sacche di
disoccupazione.
Gli anni ’20 e l’industria
dell’automobile
• Anche il settore agricolo americano fu colpito da una grave
depressione negli anni ’20.
• La ripresa del 1921 della produzione agricola europea aveva reso
l’Europa occidentale più autosufficiente e gli agricoltori americani si
trovarono a competere in un mercato saturo in cui i prezzi erano
nettamente inferiori ai costi di produzione.
• Si ebbero così conseguenze particolarmente gravi in quanto molti
agricoltori americani si erano indebitati a partire dal 1915 per
acquistare terra e attrezzature. Le loro difficoltà finanziarie si
ripercuotevano sulle banche rurali da cui avevano ottenuto prestiti
ipotecari.
• Si ebbe un esodo dalle aree rurali: nel corso degli anni ’20 la
popolazione agricola diminuì mediamente di mezzo milione di unità
all’anno.
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• Tra il 1919 e il 1924 la superficie coltivata scese di oltre
5 milioni di ettari.
• Il governo americano intervenne inizialmente con una
tariffa doganale d’emergenza nel 1921 e con una nuova
tariffa nel 1922, nonché con il ripristino della War
Finance Corporation nel 1921 e con l’emanazione di
una legge sul credito all’agricoltura nel 1923 e una sulla
commercializzazione dei prodotti agricoli nel 1929.
• Il basso livello dei prezzi delle derrate alimentari facilitò
l’espansione industriale, che fu favorita anche dalla
diminuzione del prezzo delle materie prime.
Gli anni ‘20 e l’industria
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• Il perfezionamento delle tecniche produttive introdotte
prima della guerra condusse a una maggiore efficienza, e la
produttività del lavoro quasi raddoppiò nel corso del
decennio.
• Sul finire degli anni ’20, tuttavia, il tasso di crescita del
consumo di nuovi prodotti stava cominciando ad
affievolirsi, con effetti pesanti sulle industrie.
• Mentre gli agricoltori americani erano in difficoltà con le
loro banche, altri produttori primari si mantennero a galla,
alla metà degli anni ’20, ricorrendo a prestiti sui mercati di
New York e di Londra.
• Questa fragilità strutturale cominciò a palesarsi alla fine del
1927 per esplodere nella crisi del1929.
Gli anni ’20 e l’industria
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• Negli anni ’20 cominciò ad avere un grande rilievo
l’industria dell’automobile. L’auto era nata e aveva mosso i
primi passi tra il 1890 e il 1900.
• Nel primo decennio era rimasta una specie di giocattolo,
costoso, difficile a usarsi e costruirsi su misura per i pochi
clienti ricchi che potevano permettersi non tanto la spesa
iniziale, quanto gli elevati costi di manutenzione e di
esercizio, incluso il salario del pressoché indispensabile
autista di professione o chauffeur.
• Le automobili erano soggette a continui guasti, sia per
difetti al motore, sia perché i pneumatici non resistevano al
logorio a cui li sottoponevano le sospensioni inadeguate e
le strade in cattivo stato.
Gli anni ’20 e l’industria
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• Non era insolito che si avessero anche 3-4 gomme di
ricambio per percorrere più di 10-15 Km; ma anche in
questo caso il materiale per i rattoppi di fortuna era un
accessorio indispensabile.
• La vita del motorista era resa ancora più disagevole dalla
mancanza di servizi di assistenza: pochissime le officine di
riparazione, quasi introvabili i pezzi di ricambio, con i
motoristi costretti ad acquistare i bidoni di benzina presso i
negozi di alimentari o di prodotti casalinghi.
• Le compagnie petrolifere, dal canto loro, prendevano la
precauzione di consegnare i propri prodotti ai dettaglianti
in carri trainati dai cavalli. In breve, il motorismo era
un’avventura costosa.
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• L’automobile offriva due vantaggi che compensavano ampiamente i costi
elevati e le scomodità: l’emozione della velocità e la libertà di movimento.
• Nel 1913 circolavano nel Regno Unito, in Francia e in Germania più di
400.000 autoveicoli nella stragrande maggioranza automobilistici.
• L’espansione su larga scala dell’industria automobilistica era appena agli
inizi. La via dello sviluppo era indicata dagli Stati Uniti, dove l’introduzione
della manifattura di precisione, delle parti intercambiabili e della catena di
montaggio stavano facendo dell’automobile un bene di consumo alla
portata degli stessi operai che le costruivano.
• Il modello T della Ford risale al 1908, e il suo prezzo iniziale era di 1000
dollari: 16 anni dopo, nel 1924, il prezzo era sceso a meno di 300 dollari, e
a tutto il 1926 Henry Ford ne aveva venduto 15 milioni.
• Di conseguenza, nel 1913 circolava negli Stati Uniti circa il triplo delle
automobili esistenti nei tre maggiori paesi europei messi insieme; nel
1921, a causa della guerra, il rapporto era salito a 13:1.
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• L’industria europea fece grandi progressi negli anni fra le due guerre.
Anche se, in termini assoluti, la produzione rimase parecchio inferiore a
quella americana: circa 10 milioni per i 4 maggiori paesi produttori (Regno
Unito, Germania, Francia, Italia) dal 1923 al 1938, rispetto a 57 milioni
negli Stati Uniti.
• L’automobile stava cominciando a svolgere un ruolo analogo a quello della
ferrovia verso la metà del secolo XIX: era una consumatrice su vastissima
scala di prodotti intermedi semilavorati e lavorati (acciaio laminato, legno,
vetro e vernici) e di componenti (pneumatici, lampadine elettriche,
accumulatori e così via); richiedeva un piccolo esercito di meccanici e di
altri addetti per mantenerla in efficienza; diede un impulso fortissimo agli
investimenti nelle infrastrutture sociali (strade, ponti, gallerie).
• Nello stesso tempo, essa poneva nuovi problemi tecnici nella metallurgia,
nella chimica organica e nell’ingegneria elettrica, sollecitando soluzioni
che avevano conseguenze importanti anche in altre industrie. Nel
linguaggio della teoria dello sviluppo economico, nessun altro prodotto
dava un frutto altrettanto ricco di effetti indotti a monte e a valle.
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• L’industria automobilistica era la massima consumatrice di macchine
utensili, e nessun’altra branca manifatturiera offriva un mercato in così
rapido sviluppo all’industria pesante.
• Nell’industria automobilistica di questi anni alla crescita produttiva si
accompagna un significativo progresso tecnologico, che ne è insieme
causa ed effetto.
• L’esempio americano era sotto gli occhi di tutti. L’adozione di quello che
venne definito Fordismo presupponeva cospicui investimenti in impianti
fissi e in attrezzature specializzate, e dall’altro canto consentiva forti
economie di scala: era quindi al di sopra dei mezzi di quasi tutti i
costruttori, a eccezione dei più grandi.
• La dispersione dell’industria europea costituiva un ostacolo rilevante.
Diversamente dagli Stati Uniti, in Europa non esistevano veri e propri
giganti del settore all’indomani della prima guerra mondiale. In Gran
Bretagna nel 1922 operavano 96 case costruttrici, 150 in Francia nel 1921,
più di 200 in Germania nel 1925.
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I requisiti della nuova tecnologia ridussero il numero dei produttori in eccesso; sia
in Inghilterra che in Germania questo processo fu anche affrettato dall’apertura,
negli anni ’20, di grossi stabilimenti a catena di montaggio, di proprietà americana.
Anche così la produzione era molto meno meccanizzata che negli Stati Uniti:
secondo una stima, negli anni ’30 il rapporto fra cavalli-vapore installati e addetti
era in America 4 o 5 volte più alto rispetto all’Inghilterra.
La concentrazione fu ancora più veloce in Germania. Nel 1937, i 3 massimi
produttori tedeschi si distribuivano il 74% della produzione totale; i 5 massimi
produttori quasi il 90% delle automobili e l’81% dei veicoli industriali.
Alcuni osservatori nel dopoguerra furono colpiti dalla diversità dei modelli di
automobile offerti sul mercato tedesco. La produzione di massa era quasi del tutto
assente e i fabbricanti sembravano disposti a provare di tutto. Ne risultava una
buona capacità di innovare, ma una lenta diffusione delle novità e una larga
sopravvivenza dei vecchi metodi. Tuttavia gli impianti migliori, come i nuovi
stabilimenti della Volkswagen, erano davvero eccellenti.
In Francia nel 1928 la Renault, la Citroen e Peugeot controllavano il 68% delle
vendite totali; nel 1938 la loro quota era salita al 75%.
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• A partire dal 1924, vi fu un periodo di grande prosperità per
gli Stati europei.
• Per 5 anni, dal 1924 al 1929, sembrò che si fosse
effettivamente tornati alla normalità: la riparazione dei
danni materiali era ormai realizzata, i problemi più urgenti
del periodo post-bellico erano stati risolti.
• Con l’istituzione della Società delle Nazioni sembrava che si
fosse aperta una nuova era nelle relazioni internazionali e
molti paesi, in particolare gli Stati Uniti, la Germania e la
Francia attraversarono un periodo di grande prosperità.
• Le basi di questa prosperità erano tuttavia assai fragili, e
dipendevano dal continuo afflusso spontaneo di fondi
dall’America alla Germania.
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• Alla fine della prima guerra mondiale tutti i paesi
belligeranti europei erano ampiamente impoveriti.
• I costi della ricostruzione erano enormi.
• Si partì dal presupposto di attribuire alla Germania la
responsabilità della guerra, addossandole di conseguenza i
costi della ricostruzione, ma non poteva pagare che una
piccola parte di quanto si voleva da lei. Peraltro traeva
buona parte dei mezzi di pagamento da prestiti degli Stati
Uniti.
• Francia e Inghilterra dovevano restituire agli Stati Uniti i
cosiddetti prestiti di guerra. La Germania doveva pagare
loro le riparazioni. Gli Stati Uniti facevano prestiti alla
Germania. Era un circolo vizioso.
Gli anni ’20 e l’industria dell’automobile
• L’Europa, quindi, priva in gran parte di risparmi, viveva
forzatamente al di sopra dei propri mezzi.
• Negli anni Venti i governanti europei si sforzarono di
ripristinare la normalità monetaria.
• Nel 1925 gli Inglesi riuscirono a tornare al gold
standard, con la sterlina alla parità prebellica con il
dollaro. Ma l’effetto indotto di questo procedimento fu
la deflazione sistematica che costò cara all’economia in
termini di produzione e di pace industriale. La sterlina
era infatti leggermente sopravalutata e questo costituì
un grave svantaggio per le industrie inglesi.
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• La Francia non riuscì a tornare alla parità prebellica con il
dollaro: nel 1926, al momento di massimo ribasso, per
acquistare un dollaro erano necessari ben 50 franchi,
rispetto ai 5 di prima della guerra.
• La Germania mise fuori corso la vecchia moneta e ripartì da
zero.
• In queste condizioni di grande instabilità monetaria e di
squilibrio dei pagamenti il gold standard era ormai
sorpassato.
• Quando venne la depressione dopo il 1929, i pochi paesi
che erano riusciti a tornare al tallone aureo furono costretti
ad abbandonarlo nuovamente,ma lo fecero in ritardo.
La grande espansione degli anni venti.
I mutamenti tecnologici fra le due guerre.
• Le conseguenze delle difficoltà monetarie ebbero effetti
rilevanti nella storia europea del periodo tra le due guerre:
- distolsero risorse dalle attività produttive e le incanalarono
verso la speculazione sui cambi;
- rafforzarono i meccanismi protezionistici portando ad
adottare alte tariffe doganali.
• Di conseguenza, il commercio internazionale non si
sviluppò con lo stesso ritmo del periodo precedente, né si
mantenne al passo con la crescita produttiva prebellica.
• Soltanto nel 1924 il volume degli scambi tornò al livello del
1913 e per 4 anni ebbe una buona ripresa, con un tasso
annuo di crescita pari a circa il 5%, ma negli anni Trenta
ebbe un calo disastroso.
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• Negli anni Venti le economie europee ebbero notevoli sviluppi, ma in
modo ineguale e discontinuo. Nella seconda metà del decennio vennero
poste le basi di un vigoroso slancio economico e molti si convinsero che
fosse stato scoperto il segreto dell’eterna prosperità. Il reddito nazionale
salì in Germania, fra il 1925 e il 1929 da 60 a 76 miliardi di Reichmark, con
tasso medio annuo del 6%. In Francia il ritmo di crescita fu quasi
altrettanto rapido e in Inghilterra solo di poco inferiore.
• Il paese che ebbe maggiori problemi in questo periodo fu la Gran
Bretagna. Nel 1925 Churcill decise per un ritorno della Gran Bretagna al
regime aureo alla parità del periodo precedente la guerra. Per mantenere
la competitività delle industrie britanniche i prezzi avrebbero dovuto
scendere di circa il 10%, il che a sua volta avrebbe richiesto un’equivalente
diminuzione dei salari. L’effetto complessivo fu una redistribuzione del
reddito in favore dei possessori di rendite e a spese dei lavoratori.
• Lo stesso fece in Italia Mussolini con la cosiddetta “Quota 90”.
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• L’industria del carbone fu una delle più colpite dalla
perdita dei mercati esteri e dalla lievitazione dei costi. I
minatori di carbone erano tra i lavoratori britannici più
agguerriti e di fronte alla prospettiva di un taglio dei
salari il 1° maggio 1926 scesero in sciopero e
persuasero molti altri sindacati a unirsi a loro in quello
che avrebbe dovuto essere uno sciopero generale, che
vide una partecipazione di circa il 40% degli iscritti ai
sindacati. Lo sciopero durò 10 giorni e si concluse con
una sconfitta del sindacato.
• Nonostante questi problemi britannici, nei tardi anni
Venti la maggior parte dell’Europa attraversò un
periodo di crescita.
Gli anni ’20 e l’industria dell’automobile
• Ma il periodo di prosperità fu vissuto soprattutto dagli Stati
Uniti, che erano usciti dalla guerra più forti che mai. In
termini economici, erano passati da un paese debitore
netto a paese creditore netto.
• Con i loro grandi mercati, la popolazione in crescita e il
rapido progresso tecnologico sembrava che essi avessero
scoperto la ricetta della prosperità perpetua.
• I critici che denunciavano le condizione degli slums urbani e
rurali, o che facevano notare che la nuova prosperità era
distribuita in modo estremamente ineguale tra le classi
medie urbane da un lato e i lavoratori di fabbrica e gli
agricoltori dall’altro, erano definiti delatori che rifiutavano
il sogno americano. Questo sogno si infranse però
bruscamente alla fine degli anni Venti.
Gli anni ’20 e l’industria dell’automobile
• Nell’estate del 1928 le banche e gli investitori
americani cominciarono a limitare gli acquisti di titoli
tedeschi e di altri paesi per investire i propri fondi sul
mercato azionario di New York, che iniziò così una
spettacolare ascesa.
• Con questo boom speculativo anche chi aveva redditi
modesti fu invogliato ad acquistare titoli.
• Verso la fine dell’estate 1929 iniziarono i primi sintomi
di crisi. La produzione di auto era scesa di un terzo,
finché il 24 ottobre si ebbe un’ondata di vendite per la
diffusione del panico nel mercato azionario, che vide il
crollo dei titoli.
La crisi del ‘29
• La crisi del ’29, causata dal crollo della borsa di Wall Street
a New Yor, sconvolse l’economia mondiale alla fine degli
anni ’20 e nel decennio successivo.
• La successiva depressione ebbe effetti recessivi devastanti
sia nei paesi industrializzati sia in quelli esportatori di
materie prime con un calo generalizzato della domanda e
della produzione. Il commercio internazionale diminuì e
con esso i redditi dei lavoratori, le entrate fiscali, i prezzi e i
profitti.
• Vi fu un crollo generalizzato dei prezzi che colpì soprattutto
i ceti medi, che avevano investito in borsa i propri risparmi
e che avevano sostenuto la domanda di beni durevoli.
La grande depressione
• L’uscita dal mercato dei ceti medi indeboliva le
industrie produttrici di beni di consumo durevole,
come quelle dell’automobile. Queste industrie smisero
di commissionare materiali all’indotto, provocando una
contrazione a valanga anche nel settore primario di
consumo (come l’agricoltura).
• Una volta innescata la crisi, con l’aumento della
disoccupazione e il parallelo calo dei consumi, la crisi
assunse il carattere di sovraproduzione.
• L’eccesso di offerta rispetto alla domanda fece
ridimensionare la produzione che scese di quasi il 50%
tra il 1929 e il 1932.