1. Le funzioni della lingua - Dipartimento di Scienze Umane per la

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1. Le funzioni della lingua - Dipartimento di Scienze Umane per la
Corso di laurea in Scienze dell’Educazione
A. A. 2010 / 2011
Istituzioni di Linguistica (M-Z)
Dr. Giorgio Francesco Arcodia
([email protected])
1. Le funzioni della lingua
Funzionalismo linguistico: correnti teoriche che studiano le funzioni del linguaggio,
piuttosto che i suoi aspetti formali → qual è la funzione svolta dalle singole unità
linguistiche “in riferimento agli altri elementi che sono in gioco nel processo
comunicativo, proprio perché il linguaggio è prima di tutto uno strumento di interazione
sociale tra gli individui e le strutture linguistiche sono non solo sensibili, ma strettamente
correlate ai bisogni comunicativi degli utenti”
(Basile, G. et al., 2010, Linguistica Generale, Roma, Carocci).
Funzioni = scopi che possiamo conseguire tramite un atto linguistico
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Componenti dell’atto di comunicazione linguistica (R. Jakobson):
2. Referente
(Contesto)
1. Parlante
(Mittente)
3. Messaggio
6. Ascoltatore
(Destinatario)
4. Canale
(Contatto)
5. Codice
→ referente: contesto, ciò a cui l’atto linguistico rimanda, realtà extralinguistica.
→ canale (contatto): fisico (l’aria, la linea telefonica…), ma anche psicologico
(connessione tra i partecipanti), permette la comunicazione.
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Funzioni della lingua:
2. Referenziale
1. Emotiva
3. Poetica
6. Conativa
4. Fàtica
5. Metalinguistica
→ ogni funzione è associata ad un componente dell’atto comunicativo.
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1. Funzione emotiva / espressiva (parlante): quando il parlante esprime stati d’animo,
messaggio incentrato sull’esprimere, piuttosto che sul comunicare.
→ ess.: “sono stufo!!”, “che paura”, etc.
2. Funzione referenziale (referente): funzione informativa, neutra, incentrata sul
contenuto informativo.
→ es.: “il volo BA 39 parte alle ore 10.23”
3. Funzione poetica (messaggio): “si realizza la funzione poetica quando il messaggio
che il parlante invia all’ascoltatore è costruito in modo tale da costringere l’ascoltatore a
ritornare sul messaggio stesso per apprezzare il modo in cui è formulato (per la scelta dei
suoni, delle parole, dei giri di frase, ecc.)”
(Graffi, G. & Scalise, S., 2002, Le Lingue e il Linguaggio, Bologna, Il Mulino, p. 46)
→ ess.:
“vespizzatevi”
“wir leben Autos”
“Nel mezzo del cammin di nostra vita / Mi ritrovai per una selva oscura / Ché
la diritta via era smarrita”
“Inclinado en las tardes, tiro mis tristes redes a tus ojos oceánicos”
(‘Chino sulle sere, lancio le mie reti tristi nei tuoi occhi oceanici’, P. Neruda)
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4. Funzione fatica (canale): quando si vuole aprire il canale, verificare questo sia aperto e
“disponibile” o chiuderlo; in altre parole, se il destinatario ci sente, ma anche se ci ascolta.
→ ess.: “pronto!!”, “mi senti?”, “ci sei?”, “mi stai ascoltando?”, “mi segui?”, etc.
5. Funzione metalinguistica (codice): uso del codice (lingua) per parlare del codice
stesso; funzione realizzata, per esempio, da una grammatica descrittiva (dell’italiano, del
tedesco, etc.) o da un manuale per l’apprendimento di una lingua.
→ es.: “i verbi italiani possono appartenere a tre classi di coniugazione”, “in giapponese
gli aggettivi si comportano in parte come i verbi”, “che cos’è un newbie?” etc.
6. Funzione conativa (ascoltatore): quando si usa la lingua per “agire” sul
comportamento dell’ascoltatore, con ordini o esortazioni (spesso associata al modo
imperativo, nelle lingue ove è presente tale distinzione).
→ es.: “non parlare a voce così alta”, “non gettare i mozziconi di sigaretta in cortile”,
“dai, sbrigati!!”, etc.
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N.B.: normalmente, ogni messaggio assolve a più di una funzione; tuttavia, la struttura
del messaggio dipende principalmente dalla funzione predominante.
→ ess.: un manuale per l’apprendimento dell’inglese può assolvere a funzioni sia
metalinguistiche che conative; la poesia, oltre a realizzare la funzione poetica, realizza
spesso quella espressiva (i sentimenti del poeta).
(cf. Jakobson, Roman, 1960, Linguistics and poetics, trad. it. in Heilmann, Luigi (a cura
di), Saggi di Linguistica Generale, Milano, Feltrinelli)
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Funzioni (maggiori) del linguaggio (secondo M. A. K. Halliday):
Linguaggio come forma di interazione tra le persone → è così com’è a motivo di quello
che deve fare
(1) Funzione ideazionale: trasmissione dell’informazione, ulteriormente suddivisibile in
funzione esperienziale (descrizione del mondo esterno, dei pensieri, dei sentimenti)
funzione logica (organizzazione sintattica
subordinazione, discorso indiretto, etc.)
del
discorso,
coordinazione,
(2) Funzione interpersonale: esprime e specifica le relazioni e i contatti tra i membri di
una comunità linguistica
(3) Funzione testuale: capacità del linguaggio di creare testi e di mettersi in relazione sia
al contesto situazionale, sia a quanto detto in precedenza
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2. Le dimensioni della variazione
Presupposto: una lingua (storico-naturale) non è un “blocco monolitico”, conosce una
certa articolazione interna e stratificazione; il repertorio del parlante comprende almeno
una lingua, articolata nelle sue varietà e, eventualmente, uno o più dialetti e/o altre lingue.
Es.: il repertorio linguistico di un italiano comprende l’italiano (con una coloritura
regionale) nelle sue varietà e, spesso, uno o più dialetti e/o una o più lingue minoritarie.
→ Roma: italiano (varietà “alta”), varietà locale (varietà “bassa”)
→ aree tedescofone dell’italia settentrionale: italiano (varietà “alta”), dialetto italoromanzo circostante (varietà media), varietà locale di tedesco (varietà bassa)
“Come tutte le 'grandi' lingue di cultura, l'italiano ha sviluppato una gamma assai ampia
di diversificazione, nella quale si possono riconoscere specifiche varietà di lingua,
determinate dalle fondamentali dimensioni di variazione, vale a dire dai parametri
extralinguistici con cui la variazione interna alla lingua è correlata.”
(G. Berruto (1993), Varietà del repertorio, in A. A. Sobrero (a cura di), Introduzione
all'italiano contemporaneo. Vol II: La variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza, pag. 8)
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La linguistica teorica si basa su “idealizzazioni”, su un parlante nativo ideale, facente
parte di una comunità linguistica* sostanzialmente omogenea. La sociolinguistica si
occupa della variazione della lingua negli usi concreti; si basa su parlanti “reali”, facenti
parte di una comunità linguistica stratificata.
*Comunità linguistica = “insieme di tutte le persone che parlano una determinata lingua o
varietà linguistica e ne condividono le norme d’uso.”
(Graffi, G. & Scalise, S., 2002, Le Lingue e il Linguaggio, Bologna, Il Mulino, p. 228)
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Dimensioni sincroniche della variazione (asse della simultaneità):
(1) Variazione diatopica: in rapporto all’area geografica in cui viene usata la lingua, alla
regione di provenienza dei parlanti e alla loro distribuzione geografica.
Ess.: italiano standard “normativo”, italiano regionale piemontese, etc.
(2) Variazione diastratica: in rapporto alla posizione che il parlante occupa nella
stratificazione sociale.
Ess.: italiano colto ricercato, italiano popolare “basso”, etc.
(3) Variazione diafasica (o situazionale): in rapporto alla situazione comunicativa in cui
si usa la lingua.
Ess.: italiano formale aulico, italiano informale trascurato, etc.
(4) Variazione diamesica: in rapporto al canale attraverso cui la lingua viene usata.
Ess.: scritto, parlato.
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→ N.B.: ogni asse è un continuum
“Nelle reali varietà d'uso della lingua spesso le varie dimensioni si intersecano, e le
relative varietà possono determinarsi [...] contemporaneamente secondo più assi di
variazione [...]. Un italiano fortemente marcato in diatopia sarà per lo più anche una
varietà socialmente bassa; l'italiano popolare, varietà diastratica tipica di fasce sociali non
istruite, sarà per i suoi parlanti anche una varietà diafasica, il registro delle occasioni più
formali”
(G. Berruto, 1993, Varietà del repertorio, in A. A. Sobrero (a cura di), Introduzione
all'italiano contemporaneo. Vol II: La variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza, p.10)
Dimensione diacronica della variazione (asse della successione):
La variazione della lingua nel tempo.
Ess.: Inglese antico (o anglossassone), antico alto tedesco, italiano contemporaneo, etc.
→ la dimensione diacronica della variazione non viene normalmente tenuta in
considerazione nello studio del repertorio linguistico di un parlante o di una comunità
(per ovvi motivi…)
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3. La variazione diatopica: lingua, dialetti…
Tre nozioni fondamentali:
(1) Italiano standard (normativo)
(2) Italiano regionale
(3) Dialetto (locale)
Italiano standard: a partire dal XVI secolo, “costruzione” di una lingua letteraria a base
toscana (Petrarca modello per la poesia, Boccaccio per la prosa; P. Bembo, 1525, Prose
della Volgar Lingua); toscano urbano della classe colta di Firenze.
→ fino al 1861 non esisterà uno Stato italiano e l’italiano “bembiano” resta una lingua
letteraria.
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“in Italia, quella lingua (…) diventò con il nuovo Stato unitario il modello imposto (…) a
comunità che per l’innanzi erano spesso soltanto dialettofone. (…) in Italia, come in
Francia, la lingua nazionale incomincia ad essere sottoposta, proprio nel momento del suo
faticoso trionfo, a processi di frammentazione, di divisione, di «destandardizzazione» (…)
ciò avviene soprattutto sul fronte della diatopia, cioè della variabilità spaziale.”
(T. Telmon, 1993, Varietà regionali, in A. A. Sobrero (a cura di), Introduzione
all'italiano contemporaneo. Vol II: La variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza, p.96)
→ una “convergenza” verso lo standard si attua quasi esclusivamente nella lingua scritta;
“in Italia, nessuno (se non notabili eccezioni del tutto speciali) possiede l’italiano
standard come lingua materna (…). La pronuncia standard è il frutto artificiale di
apposito addestramento”
(Berruto, Gaetano, 1998, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, Carocci, p.
59)
→ nell’interazione quotidiana, pressoché in tutti i contesti, noi utilizziamo una varietà di
italiano regionale o, eventualmente, di dialetto (magari in contesti più specifici)
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Italiani regionali: “un sottoinsieme coerente di italiano fortemente influito, a tutti i livelli,
dal dialetto, al punto che i tratti identificanti di questo italiano, quelli che lo differenziano
da un (ipotetico) italiano medio, sono proprio, e quasi solo, quelli locali”
(Cortelazzo, M.A., Paccagnella, I., 1992, Il Veneto, in Bruni, F. (a cura di), L’italiano
nelle regioni. Lingua nazionale e identità regionali, Torino, UTET, p. 269)
→ gli italiani regionali sono un livello intermedio tra lingua standard e dialetti; sono
influenzati dal dialetto locale (sostrato dialettale) e influenzano a loro volta la lingua
nazionale, con l’apporto di forme dialettali italianizzate, così come “trasmettono” ai
dialetti elementi dello standard.
Esempi di tratti caratteristici di varietà regionali di italiano:
(1) Riduzione del dittongo <uo> (ovo, novo, bono); Toscana e Roma
(2) “Gorgia” toscana (casa → hasa)
(3) Realizzazione di <e> “apertissima” accentata (in sillaba aperta o in sillaba chiusa da
consonante nasale (perché, tre, questo); Lombardia
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(4) Apocope degli infiniti verbali (faticare → faticà, sentire → sentì); Lazio, Abruzzo,
Molise
(5) Uso dell’oggetto preposizionale (ho chiamato a Carlo); Centro-Sud
(6) Costruzioni ellittiche (voglio che mi sia spiegata la lezione → voglio spiegata la
lezione); Italia meridionale
(7) Uso di “geosinonimi”, “lessemi della lingua italiana aventi, come i sinonimi, forma
diversa e significato uguale, ma aventi anche, a differenza dei sinonimi comunemente
riportati negli appositi dizionari, una diffusione arealmente più limitata, tanto da poter in
taluni casi identificarsi in una singola città o poco più”
(T. Telmon, 1993, Varietà regionali, in A. A. Sobrero (a cura di), Introduzione all'italiano contemporaneo. Vol II:
La variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza, p.96)
→ ess.: cacio / formaggio, cocomero / anguria, panetteria / forno / prestino
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Dialetti: “Un dialetto è una lingua che ha un esercito e una marina” (M. Weinrich). Dal
punto di vista linguistico, non c’è sostanziale differenza tra “lingua” e “dialetto”; la
distinzione tra di esse è di natura socioculturale.
I dialetti italiani: meglio dire “dialetti italiani” che “dialetti dell’’italiano”, in quanto
questi sono tutti discendenti del latino
latino
emiliano
lombardo
toscano
pugliese …
italiano standard
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Come distinguere una “lingua” da un “dialetto”?
(a) X è un dialetto di Y se X deriva dalla stessa lingua da cui deriva Y
→ questo è vero anche per italiano e francese, derivate entrambe dal latino
(b) X è un dialetto di Y se i parlanti di X e Y si comprendono reciprocamente
→ questo è vero, di nuovo, anche per italiano e francese: per i parlanti di certe zone è più
facile comprendere una persona che parla francese o spagnolo di una che parla, ad
esempio, dialetto napoletano
(c) X è un dialetto di Y se X e Y condividono circa l’80% del loro lessico
→ questo è vero anche per tutte le lingue “sorelle”, cioè derivate dalla medesima lingua
madre; it. albero, sp. arbol, fr. arbre…
(d) X è un dialetto di Y se X e Y condividono una buona percentuale della struttura
→ vedi punto (c)
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La distinzione tra lingua e dialetto non è giustificabile in termini puramente
linguistici; i fattori rilevanti, di natura sociolingusitica, sono:
(a) sul piano sociale, le lingue hanno un riconoscimento che il dialetto non ha.
(b) sul piano funzionale, le lingue hanno un ambito di uso più ampio di quello dei dialetti.
(c) sul piano politico, le lingue hanno uno statuto ufficiale (e una conseguente
legislazione di riferimento) che i dialetti non hanno. Le lingue sono state 'create' per
consentire scambi economici e culturali tra gruppi sociali geograficamente distanziati e
come strumento imprescindibile per l'assetto amministrativo degli Stati nazionali
costituitisi nell'età moderna.
→ la gamma di funzioni dell’italiano è aperta verso il basso, quella del dialetto è
limitata verso l’alto
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Principali raggruppamenti dei dialetti d’Italia:
(1) Dialetti settentrionali (gallo-italici e veneti)
(2) Dialetti toscani
(3) Dialetti centro-meridionali
(3bis) Dialetti meridionali estremi (salentino, calabrese meridionale e siciliano)
→ dialetti di koinè (regione dialettale: veneto, Lombardia), dialetti del capoluogo
(milanese, trevigiano) e forme più locali (anche di un quartiere, come il Castello a
Venezia)
→ divisione fondamentale lungo la linea La Spezia-Rimini (o, meglio, MassaSenigallia), che divide i dialetti settentrionali da quelli centro-meridionali
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Alcune caratteristiche dei dialetti settentrionali:
(a) sonorizzazione delle consonanti sorde intervocaliche (lat. fratellum > lomb. fradel)
(b) presenza di vocali anteriori arrotondate (soprattutto nei dialetti occidentali; lomb. lüna,
ünich)
(c) semplificazione del nesso latino <cl> (lat. clamare > lomb. ciamà)
Alcune caratteristiche dei dialetti centro-meridionali:
(a) il raddoppiamento sintattico (a casa → accasa)
(b) assimilazione nd > nn (lat. mundum > rom. monno)
(c) posposizione del possessivo (nap. frateme ‘mio fratello’)
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Minoranze linguistiche riconosciute in Italia:
→ legge 482/1999
(1) Sardo (Sardegna)
(2) Friulano (Friuli, esclusa la provincia di Trieste)
(3) Tedesco (Alto Adige)
(4) Francese (Val d’Aosta)
(5) Sloveno (province di Udine, Trieste e Gorizia)
(6) Francoprovenzale (Valle d’Aosta, torinese, Faeto e Celle San Vito [FG])
(7) Arbëreshë (Campania, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia)
(8) Ladino (Alto Adige, Trentino, provincia di Belluno)
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(9) Catalano (Alghero)
(10) Greco / Grico (Salento, Aspromonte, Reggio Calabria)
(11) Walser (Valle d’Aosta, Piemonte)
(12) Croato (Montemitro, San Felice del Molise, Acquaviva-Collecroce)
(13) Mòcheno (Palù, Fierozzo, Frassilongo)
(14) Cimbrico (Rotzo, Roana, Rudi, Giazza)
(15) Altri dialetti tedeschi bavaresi e carinziani (Trentino, bellunese, udinese)
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4. “Pregiudizi” linguistici
Un dialetto è una lingua “incompiuta”: secondo un’opinione diffusa, è una varietà della
lingua nazionale poco diffusa (cioè diffusa a livello locale), con una modesta tradizione
scritta, con una ‘grammatica’ poco sviluppata, utilizzata da pochi parlanti (soprattutto
anziani) e in poche circostanze (allora, il sardo e il friulano sarebbero lingue, non
dialetti…).
→ i dialetti hanno, dal punto di vista linguistico, la stessa complessità delle lingue
nazionali; le lingue nazionali sono, frequentemente, dialetti “promossi” a lingue per
ragioni storiche.
“(...) dialetti (o lingue) non si nasce, ma di diventa. Una qualsiasi varietà linguistica che si
affermi in ambiti geografici e funzionali che in partenza non aveva può diventare così una
lingua, e contrapporti a dei dialetti: è quello che è avvenuto al fiorentino del Trecento,
che è diventato lingua solo imponendosi coi secoli sulle parlate delle altre regioni d’Italia;
e queste, per converso, sono diventate dialetti solo dopo aver adottato il fiorentino come
varietà di riferimento”
(Basile, G. et al., 2010, Linguistica Generale, Roma, Carocci)
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