Lezione 27 - Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione

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Lezione 27 - Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione
Corso di laurea in Scienze dell’Educazione
A. A. 2014 / 2015
Istituzioni di Linguistica (M-Z)
Dr. Giorgio Francesco Arcodia
([email protected])
1. Il contatto linguistico: la linguistica areale
“Fra le lingue diverse presenti in un repertorio, e più generalmente fra lingue diverse i cui
parlanti vengano in qualche modo o si trovino ad avere rapporti comunicativi, si crea
tutta una serie di fenomeni di contatto, vagamente condizionati dai caratteri
sociolinguistici delle comunità interessate”
(Berruto, G., Cerruti, M., 2011, La linguistica. Un corso introduttivo, Torino, UTET)
Es.: interferenza
→ Sinti-romani (lingua dei sinti della Germania) kerau pre ‘apro’, lett. ‘faccio su’ (< ted.
Ich mache auf)
(Matras, Y., 2009, Languge Contact, Cambridge, Cambridge University Press)
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trasmissione verticale (rapporto di filiazione genetico-genealogica, asse della diacronia)
vs.
trasmissione orizzontale (diffusion, rapporto tra lingue compresenti in uno stadio
sincronico)
→
“(...) le lingue non possono essere semplici, ma conviene che sieno miste con l’altre
lingue”
(Nicolò Machiavelli, Discorso intorno alla nostra lingua, 1515)
→
“(...) there are no cases of language evolution that have involved no external
influence at all”
(Mufwene, S., 2001, The Ecology of Language Evolution, Cambridge, Cambridge University Press)
→
“In fact, there is good reason to believe that language change almost always implies
language contact; a correlation between isolated populations and lack of linguistic
mutation can be observed in cases such as Iceland and Sardinia, where prolonged
isolation from contact with other populations led to the maintenance of archaic
varieties”
(Ansaldo, U., 2009, Contact Languages. Ecology and Evolution in Asia, Cambridge, Cambridge University
Press)
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→
“(...) language contacts typically occur in densely populated places where speakers
of many languages live together and bi- and multilingualism is common”
(Dahl, Ö., 2001, Principles of areal typology, in M. Haspelmath / E. König / W. Oesterreicher / W. Raible
(eds.), Language Typology and Language Universals, Berlin – New York, Walter de Gruyter)
N.B.: il contatto può anche (solo o prevalentemente) avvenire tramite il medium scritto
→
“(...) un fenomeno che talvolta porta notevoli conseguenze per le lingue sul piano
strutturale, anche se i parlanti interagiscono raramente. Per contatto tramite scrittura
intendo una forma di contatto linguistico indiretto in cui la grande maggioranza delle
persone coinvolte non interagiscono per nulla. Conseguentemente, il contatto è
limitato ad una ristretta minoranza di individui sulla base di relazioni politiche,
economiche, religiose e culturali.”
(Bisang, W., 2001, Syntax/morphology asymmetry in Vietnamese - a consequence of contact by writing
between Vietnamese, Chinese and Standard Average European Languages, in Igla, B. & Stolz, T. (eds.), Was
ich noch sagen wollte ... A multilingual Festschrift for Norbert Boretzky, Berlin, Akademieverlag; trad. mia)
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Es.: ‘trasferimenti’ lessicali tra cinese, giapponese, coreano e vietnamita
‘Modernizzare’: giapp. 現 代 化 gendaika, cin. xiàndàihuà, viet. hiện đại hoá,
coreano 현대화 hyeondaehwa
‘Filosofia’: giapp. 哲学 tetsugaku, cin. zhéxué, viet. triết học,
coreano 철학 cheolhag
→
parole ‘europee’ ri-costruite su modello cinese nelle opere tradotte da inglese,
francese, tedesco, etc.
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Cosa succede quando un gruppo di lingue non (strettamente) imparentate, ma con una
storia di contatto, sviluppano tratti comuni (non ereditati da una fase comune precedente)?
→ nascita di un’area (o lega) linguistica
“By linguistic area (also sometimes called Sprachbund, convergence area, diffusion area,
adstratum, and affinité linguistique) is usually meant an area characterized by a number
of linguistic features which are shared, due to diffusion, by a number of languages either
unrelated or from different subgroups of the same family, in a geographically contiguous
area”
(Campbell, L., 1994, Grammar: Typological and Areal Issues, in Asher, R. E. & Simpson, J. M. Y. (eds.), The
Encyclopedia of Language and Linguistics, Oxford, Pergamon)
→ l’Europa centro-occidentale, la penisola balcanica, l’Asia orientale e sud-orientale, etc.
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Es.: fenomeni di contatto nelle lingue dei Balcani
“Dal punto di vista etnico-linguistico l’ambiente balcanico
dell’alto medioevo, basato su una economia prevalentemente
agricolo-pastorale, su (scarsi) sfruttamenti minerari e su intensi
scambi tra le diverse componenti etniche, era certamente
caratterizzato da estesi fenomeni di mescolanza etnicolinguistica (slava-romanza-romeica-albanese) e da conseguenti
condizioni di plurilinguismo. La mobilità della popolazione era,
come spesso altrove in età medievale, condizione del tutto
normale: mancano poli urbani significativi, se si fa eccezione
per i centri ove sorgevano le modeste corti slavo-meridionali, la
vita sociale si svolgeva lungo le tradizionali piste del
nomadismo interbalcanico, ed aveva importanti punti di riferimento nella rete dei monasteri
e dei centrireligiosi che si andavano via via organizzando.
Tali condizioni condussero alla formazione di una sorta di lingua franca interbalcanica
mistione di elementi greci, latino-romanzi, slavo-meridionali, albanesi, strumento per la
comunicazione informale e per gli scambi quotidiani da parte di parlanti non cólti,
appartenenti a gruppi etnico-linguistici diversi e tuttavia posti in condizioni di dover
necessariamente comunicare”
(Banfi, E., 1991, Storia linguistica del sud-est europeo, Milano, Franco Angeli)
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→ inoltre, influsso del latino medievale (lingua della chiesa cattolica) e del greco
bizantino-medievale
Tratti balcanici ‘popolari’ → prodotto del plurilinguismo di età medievale (e anche
successivo)
numerali da 11 a 19
lingue romanze: it. undici, dodici; fr. onze, douze; sp. once, doce; port. onze, doze; rum.
unsprezece, doisprezece (lett. ‘uno-su-dieci’, ‘due-su-dieci’)
→ modello slavo (cfr. croato jedanaest, dvanaest) diffusosi nelle lingue dell’area
balcanica non-slave (rumeno, albanese)
Tratti balcanici ‘dotti’ → prodotto dell’influsso delle lingue di cultura (latino medievale,
greco bizantino)
sostituzione dell’infinito con subordinate di tipo finale/consecutivo
macedone
možete da dojdere ‘potete venire’, lett. ‘potete (a) venite’
→ fenomeno già presente (sporadicamente) nel greco classico, diventa comune nel greco
bizantino e si diffonde per via dotta e popolare nei balcani
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Es.2: islandese
Islandese antico < norvegese occidentale (IX sec.)
Unione
di
Kalmar
(1397-1523)
Svezia/Finlandia e Norvegia
tra
Danimarca,
→ separazione tra norvegese e islandese
→ “L’islandese è la più conservativa tra le lingue scandinave e
rappresenta un caso unico di continuità linguistica, avendo
conservato piuttosto bene la sua morfologia flessiva e il suo
lessico di base originale fino ai giorni nostri”
(Henriksen, C., van der Auwera, J., 1994, The Germanic Languages, in König, E., van der Auwera, J., The
Germanic Languages, London, Routledge, trad. mia)
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→ fattori geografici e storici hanno portato ad un certo ‘isolamento’ dell’islandese, che
si è mostrato la lingua germanica più resistente al cambiamento (nell’area della
morfologia flessiva e del lessico)
→ cfr. la situazione dell’inglese: massiccia semplificazione della morfologia flessiva e
ristrutturazione del lessico dall’Old English ai giorni nostri; cambiamento spiegabile con
il contatto tra inglese antico e Late British (lingua celtica delle Isole Britanniche) prima e
con il contatto con il franco-normanno poi
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2. Le lingue di contatto: pidgin e creoli
“Raramente i linguisti hanno la possibilità di osservare o documentare la ‘nascita’ di una
lingua, o di individuare l’esatto momento dell’emergere di una lingua. Le lingue sono
trasmesse da una generazione all’altra e persino le fasi della storia di una singola lingua
(...) sono il risultato di un accumulo graduale di mutamenti nel corso di numerose
generazioni. Fanno eccezione le lingue che emergono in seguito al contatto linguistico.
Queste lingue sono dette ‘lingue di contatto’”
(Matras, Y., 2009, Languge Contact, Cambridge, Cambridge University Press)
→ lingue pidgin e creole (→ nel database Ethnologue, 16 lingue pidgin e 93 creoli)
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Es.: WAPE (West African Pidgin English), lingua di contatto a base inglese
Insieme di varietà oggi parlate soprattutto nella zona
compresa tra Ghana, Nigeria e Cameron
Varietà di lingua risultato dei contatti tra europei e
popolazioni locali nel periodo coloniale e
precoloniale (dalla seconda metà del XV secolo fino
al secondo dopoguerra)
→ zona strategica per le rotte commerciali; varietà
di inglese ‘commerciale’ usate per la comunicazione,
con tratti ‘misti’
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Esempio di WAPE ghanese
(Turchetta, B., 1996, Lingua e diversità. Multilinguismo e lingue veicolari in Africa occidentale, Milano, Franco Angeli)
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1.1 Le lingue pidgin
“Un pidgin è una lingua ridotta, prodotta da contatti estesi tra gruppi di persone privi di
una lingua comune; emergono quando questi hanno bisogno di un qualche mezzo per la
comunicazione verbale, magari per il commercio, ma nessuno impara la lingua dell’altro
gruppo per motivi di ordine sociale, come la mancanza di fiducia o di contatti
ravvicinati”
(Holm, John, 2004, An Introduction to Pidgins and Creoles, Cambridge, CUP; trad. mia)
→ lingua di substrato (lingua della comunità parlante con meno potere) vs. lingua di
superstrato (lingua della comunità parlante con più potere) → con eccezioni!!
→ la lingua di maggior prestigio è quella che fornisce la gran parte del lessico → lingua
lessificatrice (lexifier); spesso, una lingua europea (inglese, francese, spagnolo,
portoghese, nederlandese)
Es.: WAPE, Chinese Pidgin English (Cina meridionale, ormai estinto), Russenorsk
(pidgin a base russa e norvegese, estinto), Italiano semplificato d’Etiopia, lingua franca
(base parzialmente italiana, estinto)
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“In sostanza, una comunità umana si trova costretta ad esprimersi in una lingua diversa
dalla propria, senza avere tempo sufficiente per acquisirla in modo ‘naturale’. In uno
scenario che comporta perciò un’esposizione parziale e limitata alla nuova lingua, la
soluzione di emergenza più immediata è quella di salvaguardare l’efficacia comunicativa,
a scapito di della buona formazione grammaticale. Questo porta gli apprendenti a
concentrarsi sul lessico e a trascurare la grammatica. (...)
Un pidgin è quindi sempre una L2 [lingua non nativa] ed ha un uso e una diffusione
limitati a pochissimi ambiti funzionali, cioè alle situazioni in cui i due gruppi umani
devono effettivamente interagire.”
(Grandi, N., 2008, Pidgin e creoli, in Banfi, E. e N. Grandi (a cura di), Le lingue extraeuropee: Americhe,
Australia e lingue di contatto, Roma, Carocci)
→ pidgin e creoli erano originariamente percepiti come forme corrotte, ‘imbastardite’
della lingua lessificatrice; cfr. le denominazioni broken English, português bastardo
“Questo disprezzo spesso proveniva in parte dalla sensazione che pidgin e creoli fossero
la corruzione di lingue ‘superiori’, di solito lingue europee, e in parte dall’atteggiamento
nei confronti dei parlanti di queste lingue, che erano percepiti come semiselvaggi, la cui
acquisizione parziale di abitudini civili era in qualche modo un affronto.”
(Holm, John, 2004, An Introduction to Pidgins and Creoles, Cambridge, CUP; trad. mia)
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“(...) le ideologie relative alle lingue creole dal XIX secolo sono strettamente connesse
con assunzioni razziali sui neri africani. Per esempio, Bertrand-Bocandé (1849) ritiene
che una civiltà e la sua lingua siano ugualmente complesse, e propone che, per gli
africani, le intricate proprietà mofologiche delle lingue europee sarebbero troppo
complicate e quindi devono essere semplificate per permetterne l’acquisizione.
(...) L’idea (a base razziale) dei neri africani come ‘più semplici’ è estesa alle loro lingue,
basandosi sull’equivalenza tra lingua, cultura e razza.”
(Ansaldo, U., 2007, Deconstructing creole. The rationale, in Ansaldo, U., Matthews, S. & Lim, L. (eds.),
Deconstructing Creole, Amsterdam-Philadelphia, John Benjamins; trad. mia)
“(...) È da relativamente poco tempo che i linguisti si sono resi conto del fatto che pidgin
e creoli non sono versioni scorrette di altre lingue ma, piuttosto, nuove lingue”
(Holm, John, 2004, An Introduction to Pidgins and Creoles, Cambridge, CUP; trad. mia)
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Alcune caratteristiche dei pidgin:
(a) lessico ridotto, ristretto agli ambiti funzionali del pidgin (poche sfere semantiche),
scarsità di parole funzionali (articoli, congiunzioni, etc.), molte parole polisemiche
Es.: figiano (lingua austronesiana, isole Fiji) vs. Pidgin Fijian
Significato
figiano standard
Pidgin Fijian
scatola, cesto
cesto da pesca
cesto di foglie di cocco
vassoio di foglie
intrecciate
kato
noke
sū
i lalakai
kato
kato
kato
kato
(Grandi, N., 2008, Pidgin e creoli, in Banfi, E. & Grandi, N. Le lingue extraeuropee: Americhe, Australia e
lingue di contatto, Roma, Carocci)
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(b) grammatica semplice, assenza quasi totale di desinenze grammaticali (morfologia
flessiva e derivazionale quasi assente), sintassi semplice (perlopiù coordinazione)
Es./1: Chinese Pidgin English:
He every day tipsy
Lui ogni giorno brillo
‘È ubriaco tutti i giorni.’
Two man alla same
2
uomo tutto uguale
‘noi siamo uguali’
These belong
you?
questi appartenere tu
‘Questo è tuo?’
You look see dog no bitee
you
tu guarda vedi cane no mordere tu
‘Non lasciarti mordere dal cane.’
(Ansaldo, U., S. Matthews & G. Smith, 2011, The Cantonese substrate in China Coast Pidgin, in Lefevbre, C. (ed.)
Creoles, their Substrates, and Language Typology, Amsterdam-Philadelphia, John Benjamins)
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Es./2: Italiano dei lavoratori stranieri della Svizzera tedesca (Fremdarbeiteritalienisch, FAI)
→ Varietà parzialmente pidginizzata di italiano usata come lingua franca dai lavoratori
stranieri nella Svizzera tedesca (spagnoli, portoghesi, greci, slavi meridionali, turchi, etc.)
“Si parla poco tedesco?” (intervistatore italiano)
“Sì, solo con chefa [caposquadra]; con altri donne tutti parlare italiano; anche
portughese parlare italiano, spagnoli, tutti, tutti” (L1 serbo-croato)
→ riduzione delle desinenze di nomi e verbi, uso del singolare per il plurale, mancato
accordo: andare questi due uomi via, volere una bicchiera?, mio mamma, mio genitori
→ omissione di parole grammaticali, copula: tutti bastardo, io grande, grande istoria
→ presenza di termini (svizzeri) tedeschi adattati: diecisette anni a questa ferma [<
Firma, azienda], ma io sono cranista [< Kran ‘gru’], mio marito non mangiare alla
cantina [< Kantine ‘mensa’]
(Berruto, G., 1991, Fremdarbeiteritalienisch: fenomeni di pidginizzazione dell’italiano nella Svizzera tedesca,
“Rivista di Linguistica”, 3:2, pp. 333-367 )
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→ cfr. Italiano Semplificato d’Etiopia (ISE, varietà usata negli anni ‘70 del ‘900 intorno
ad Addis Abeba e Asmara, utilizzato tra italiani/europei e nativi e parlanti lingue locali, e
anche tra parlanti lingue locali diverse)
uso di c’è con funzione di predicato di possesso:
FAI: albanesi non c’è una repubblica sua
ISE: iyo non ce [c’è] makkina
uso dell’infinito come forma indifferenziata del verbo (usi non perfettivi)
FAI: prima, io lavorare na-a ristorante
ISE: loro stare addis abeba
→ uso di una forma corrispondente al participio passato dell’italiano (−to) per
esprimere il passato perfettivo
→ strategie analoghe a quelle utilizzate nelle varietà iniziali di italiano come
seconda lingua
(Bernini, G., 2010, Italiano come Pidgin, in Simone, R. (a cura di), Enciclopedia dell’Italiano, Bari, Laterza)
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1.2 I creoli
“(...) si chiamano creole le varietà linguistiche che, pur avendo avuto la stessa origine del
pidgin, sono parlate come lingua materna da una comunità e hanno quindi la latitudine di
domini propria di una qualsiasi varietà linguistica”
(Cardona, G.R., 2009, Introduzione alla sociolinguistica, Torino, UTET)
Creolo/1: si sviluppa quando un pidgin diviene la lingua materna di una generazione,
ovvero quando il pidgin viene parlato anche in contesto familiare, ad esempio a seguito
dell’aumento di matrimoni misti (Creolo giamaicano).
→ “Un creolo ha un pidgin o un gergo (jargon) come antenato; è parlato come lingua
nativa da un’intera comunità di parlanti, spesso una comunità i cui antenati sono stati
ricollocati geograficamente, così che i legami con la loro lingua originale e con la loro
identità socioculturale sono stati in parte spezzati. Queste condizioni sociali erano spesso
il prodotto della schiavitù”
(Holm, John, 2004, An Introduction to Pidgins and Creoles, Cambridge, CUP; trad. mia)
→ creolo < fr. créole (criole) < port. bras. crioulo ‘schiavo africano nato nel Nuovo
Mondo’ > ‘europeo nato nel nuovo mondo’ > ‘lingua e cultura degli africani e degli
europei nati nel nuovo mondo’
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Es.: Tok Pisin (< talk pidgin; detto anche Melanesian Pidgin English), creolo a base inglese,
una delle tre lingue ufficiali della Papua Nuova Guinea (insieme ad inglese e hiri motu)
→ lingua più parlata del Pacifico meridionale; i parlanti di tok pisin, pijin (Isole Solomon)
e bislama (Vanuatu) si comprendono tra di loro
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→ 122.000 parlanti nativi, 4.000.000 di parlanti come seconda lingua; principale lingua
di comunicazione della Papua Nuova Guinea tra parlanti di lingue diverse (oltre 800!!),
comunemente usata nel commercio e in parlamento
‘I tre porcellini’ (Tripela liklik pik)
(N.B.: i < ingl. he)
Bipo tru tripela liklik pik i stap. Ol i stap long bus tasol. Ol i no gat haus.
‘Molto tempo fa c’erano tre piccoli porcellini. Essi vivevano in un bosco. Non
avevano casa.’
(Grandi, N., 2008, Pidgin e creoli, in Banfi, E. & Grandi, N. Le lingue extraeuropee: Americhe, Australia e
lingue di contatto, Roma, Carocci)
‘Padre nostro’
Papa bilong mipela
Yu stap long heven
Nem bilong yu i mas i stap holi.
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→ alcune caratteristiche austronesiane (sostrato)
Es.: sistema dei pronomi personali
mi
‘io’
yumi
yumitupela
yumitripela
‘noi’
‘noi’ (duale; noi due)
‘noi’ (triale; noi tre)
→
comprendono l’interlocutore
(plurale inclusivo)
mipela
mitupela
mitripela
‘noi tutti’
‘noi’ (duale; noi due)
‘noi’ (triale; noi tre)
→
escludono l’interlocutore
(plurale esclusivo)
→ cfr. pronomi personali del figiano (famiglia austronesiana):
(Clark, R., 2009, Austronesian Languages, in Comrie, B. (ed.), The World’s Major Languages, London , Routledge)
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“Tutte e tre le varietà di Melanesian Pidgin English [Tok Pisin] traggono le loro origini
dalle piantagioni di canna da zucchero del Queensland, per le quali 100.000 lavoratori da
questi tre paesi [Papua Nuova Guinea, isole Solomon, Vanuatu] furono reclutati nel XIX
secolo. Uomini con lingue non reciprocamente intelligibili si ritrovarono a vivere e
lavorare insieme, così come a dover comunicare con gli amministratori anglofoni delle
piantagioni. Una forma di inglese pidgin serviva a tale scopo. Quando il commercio della
forza lavoro terminò nel 1905, la maggior parte dei lavoratori rientrò al proprio paese di
origine, portando con loro la conoscenza di questo Queensland Plantation Pidgin. In
questi paesi notevolmente plurilingue, il pidgin svolgeva l’utile funzione interna della
comunicazione attraverso i confini etnolinguistici. Le condizioni sociali dunque
contribuirono non solo alla ritenzione e alla diffusione del pidgin, ma anche alla sua
stabilizzazione e alla seguente creolizzazione”
(Romaine, S., 2006, Tok Pisin, in Brown, K. (ed.), Encyclopedia of Language and Linguistics (2nd edition),
Amsterdam, Elsevier; trad. mia)
→ tra i fattori sociali della stabilizzazione e creolizzazione del tok pisin, matrimoni misti
(interetnici) e nascita di ambienti urbani plurilingue
→ cfr. i pidgin parlati dagli schiavi africani nelle piantagioni del Nuovo Mondo, poi
creolizzati nelle generazioni nate nelle Americhe, che acquisiscono un pidgin come
lingua nativa / primaria
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→ “Ciclo di vita” dei pidgin:
(1) Pidgin gergale (lessico molto limitato, sintassi molto elementare, molta variazione)
(2) Pidgin stabile (compaiono regolarità grammaticali, espansione del lessico,
stabilizzazione della norma grammaticale; maggiore attenzione alla forma)
(3) Pidgin esteso (complessificazione della grammatica, crescita degli ambiti d’uso)
→ nessuno di questi stadi è necessario
(4) Creolizzazione (detta anche nativizzazione) → nascita di una lingua creola
(N.B.: questo ciclo non è da intendersi come ‘necessario’; moltissimi pidgin scompaiono
quando vengono meno le condizioni sociali e linguistiche che hanno portato alla loro nascita)
→ con l’estensione/creolizzazione, la complessità del sistema diventa quella di
qualunque lingua storico-naturale
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Creolo/2: lingua prodotta da contatti intensi tra diversi sistemi linguistici in particolari
contesti sociali e storici
→ “(...) le lingue cambiano perché i loro parlanti le cambiano”
→ Lingue di contatto come prodotto di ambienti multilingue, dove la trasmissione delle
lingue avviene in maniera ‘informale’ (non apprendimento normativo scolastico) e in cui
la lingua è un elemento nella costruzione di una nuova identità culturale
‘Poli’ dell’ecologia linguistica:
A
B
Plurilinguismo
Commistione di lingue
Trasmissione informale
Notevole variazione
Creatività
Monolinguismo
‘Purismo’ linguistico
Scolarizzazione
Tendenze normative
Conformismo
(Ansaldo, U., 2009, Contact Languages. Ecology and Evolution in Asia. Cambridge, Cambridge University Press;
trad. mia)
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“(...) l’ecologia B, nella sua forma estrema, è il prodotto degli stati-nazione dell’Europa
occidentale degli ultimi duecendo anni e non si applica agli insediamenti umani
precedenti in generale (...) associare la normalità al monolinguismo è fuorviante; i
contesti monolingue sono storicamente e culturalmente molto marcati, perché
l’acquisizione monolingue, con insegnamento esplicito è un fenomeno recente che non
riguarda la maggioranza della popolazione mondiale come pratica linguistica. (...) in una
teoria linguistica realistica, il contatto linguistico e il cambiamento indotto dal contatto
sono onnipresenti, e le grammatiche miste sono il risultato normale dell’ecologia
linguistica che li definisce”
→ network intercomunitari, scambi (anche genetici) e confilitti tra gruppi umani sono
caratteristici di pressoché ogni forma di vita associata; il contatto linguistico, con la
possibilità di prestiti e interferenze, è la norma (e non l’eccezione) nelle società umane
→ la variazione (negli usi linguistici), la commistione di codici, la trasmissione informale
e la creatività linguistica (= usi innovativi del codice) sono tratti normali in molte società
contemporanee
(Ansaldo, U., 2009, Contact Languages. Ecology and Evolution in Asia. Cambridge, Cambridge University Press;
trad. mia)
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→ minore pressione normativa, input più ricco, più spazio alla creatività
(Ansaldo, U., 2009, Contact Languages. Ecology and Evolution in Asia. Cambridge, Cambridge University Press)
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Es.: Singlish (o Singapore Colloquial English); lingua mista con elementi sinitici/cinesi
(mandarino, hokkien, cantonese), malese/malay (austronesiani) e tamil (dravidici, india
meridionale)
Predicazione senza copula:
this your car?
(vs. is this your car?
today weather very hot
(vs. today’s weather is very hot)
→ cfr.
cantonese
che1 hou2 wu4jou4
lett. ‘macchina molto sporca’
malay
buku itu baru
lett. ‘libro questo nuovo’
→ l’assenza di copula non è una semplificazione dell’inglese, ma la selezione di una
caratteristica di due importanti lingue presenti nell’ecologia in cui si è sviluppato il Singlish
→ i parlanti lingue cinesi erano (e sono) in maggioranza; le lingue cinesi e il malay sono
congruenti per questa (ed altre) caratteristiche, e quindi questo modello è più frequente e
viene selezionato nella ‘ristrutturazione’ del sistema
(Ansaldo, U., 2011, The Asian typology of English: theoretical and methodological considerations, in Lim, L. &
Gisborne, N. (eds.), The Typology of Asian Englishes, Amsterdam-Philadelphia, John Benjamins)
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Es./2: Baba Malay; lingua di contatto a base malese/malay, con forti influssi cinesi
(soprattutto hokkien), caratteristica dei peranakan della Malesia (Malacca, Singapore)
→ Peranakan (o baba(-nyonya), o straits Chinese):
discendenti degli immigranti dalla Cina meridionale
(tipicamente, di lingua hokkien o teochew) e di
donne malesi (di lingua malese)
→ identità culturale mista: cucina con forte influsso
malese, utilizzo di abiti malesi/indonesiani (sarong,
kebaya) per le nyonya (donne peranakan), ma
conservazione di costumi e riti cinesi (es. nel
matrimonio, nella vita religiosa)
→ nessuna forma di oppressione: i peranakan erano
una minoranza di benestante e privilegiata,
impegnata tipicamente nel commercio, e
consideravano Malacca o Singapore la loro casa
(Ansaldo, U., Lim, L. & Mufwene, S.S., 2007, The sociolinguistic
history of the Peranakans. What it tells us about ‘creolization’, in
Ansaldo, U., Matthews, S. & Lim, L. (eds.), Deconstructing Creole,
Amsterdam-Philadelphia, John Benjamins)
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→ cfr. lo sviluppo tipico di pidgin e creoli:
“I pidgin più noti si svilupparono nelle colonie commerciali europee dell’Africa e della
regione del Pacifico (attorno ai trade forts e lungo le rotte commerciali), prima che queste
furono acquisite politicamente e espanse in colonie di sfruttamento nella seconda metà
del diciannovesimo secolo. Erano basati sui vernacolari non-standard parlati dai
commercianti europei, a cui le controparti non-europee erano esposte durante i contatti
commerciali occasionali.”
“(...) i creoli si sono sviluppati nelle colonie d’insediamento [settlement colonies],
caratterizzate da contatti tra schiavi e colonizzatori europei che erano inizialmente
regolari e intimi. (...) Le popolazioni creole (...) avevano pieno accesso alle lingue
europee, nelle loro varietà coloniali (...). È stata in effetti la successiva approssimazione
dei loro vernacolari coloniali da parte degli schiavi delle piantagioni che produsse i
creoli (...). Questo processo fu intensificato dalla decrescita della sproporzione di parlanti
nativi fluenti (...) e parlanti non pienamente competenti (...). I creoli si sono sviluppati in
un periodo nel quale le popolazioni erano separate per razza e crescevano più per
importazione di nuova manodopera che per nascita”
(Mufwene, S., 2001, The Ecology of Language Evolution, Cambridge, Cambridge University Press; trad. mia)
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→ nella creazione del Baba Malay, invece:
nessuno spostamento forzato e/o traumatico della popolazione
relazioni di potere (socio-economico) non a svantaggio dei peranakan
evoluzione della lingua non caratterizzata da semplificazione (del malese)
nessuna ‘rottura’ nella trasmissione della lingua ‘lessificatrice’ (il malese); i
peranakan sono comunque stati immersi in un ambiente linguistico dove il malese
era ben presente (spesso all’interno della famiglia/casa), con diffuso plurilinguismo
individuale e societario
→ Baba Malay come elemento essenziale dell’identità peranakan, parte di un sistema di
usi e costumi che caratterizzano la comunità
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Pidgin e creoli nel mondo
(Holm, John, 2004, An Introduction to Pidgins and Creoles, Cambridge, CUP)
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