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INSEGNAMENTO DI
POLITICA ECONOMICA
LEZIONE XII
“LA POLITICA DI COESIONE”
PROF. GAVINO NUZZO
Politica Economica
Lezione XII
Indice
1 Introduzione ----------------------------------------------------------------------------------------------- 3 2 Le politiche settoriali ------------------------------------------------------------------------------------ 8 3 La politica sociale--------------------------------------------------------------------------------------- 10 4 Il coordinamento delle politiche occupazionali --------------------------------------------------- 12 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 Introduzione
Per quanto pervasa da un forte senso di identità culturale e storica, l'Europa è costituita
da un gruppo di paesi ben differenziati dal punto di vista economico. I redditi di cui possono
godere i cittadini comunitari divergono ampiamente tra un paese e l'altro, pertanto, per
poter affrontare un percorso di crescita e sviluppo unitario è risultato fondamentale
attuare una politica di coesione economica e sociale.
Per questo motivo a partire dal 19751a Comunità ha inaugurato la politica di coesione
economica e sociale, espressione con la quale si fa riferimento all'insieme delle misure che,
riducendo il divario tra livelli di sviluppo delle varie regioni europee, promuovono una
evoluzione armoniosa della Comunità.
La logica di tali misure risiede sia in considerazioni di carattere economico sia in motivi
di opportunità politica e può ricondursi a tre esigenze che rappresentano degli interessi primari
della Comunità:
- tutelare la competitività delle imprese che operano in aree geografiche disagiate.
Il mercato unico determina un allargamento dell'ambito di operatività delle imprese, ma anche
un ampliamento della concorrenza. Il diverso grado di sviluppo delle economie di alcuni Stati
membri o di determinate aree di questi, fa sì che le imprese che operano in tali regioni siano
meno competitive delle altre e, qualora si applicassero le regole della libera concorrenza senza
alcun correttivo, risentirebbero degli effetti negativi del mercato unico, senza beneficiare di
quelli positivi;
- garantire un livello di benessere omogeneo per tutti i cittadini. È interesse della
Comunità intervenire affinché i vantaggi promossi dalle sue politiche si distribuiscano
uniformemente su tutto il territorio comunitario e la struttura della nuova Unione sia quanto più
compatta possibile, al fine, altresì, di scongiurare fenomeni di grave impatto sociale, quali la
disoccupazione e le migrazioni di massa verso aree geograficamente meno depresse;
- salvaguardare l'uniforme efficacia delle altre politiche comunitarie. Il fatto che vi
siano in Europa regioni meno sviluppate di altre dipende, generalmente, da ragioni storiche,
economiche, ambientali, ovvero da endemiche carenze strutturali ed organizzative. La
Comunità ha interesse a correggere tali fattori di squilibrio, poiché essi rischierebbero di
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limitare il processo di integrazione dei singoli Stati membri, mortificando, in tal modo, gli
effetti delle politiche comunitarie.
L'attuale disciplina della politica di coesione economica e sociale è contenuta nel
regolamento 1083/2006 dell' l1 luglio 2006 che traccia le linee guida da seguire nel periodo
2007-2013. In tale lasso di tempo, la Comunità si prefigge uno sviluppo delle regioni meno
favorite o insulari, comprese le zone rurali, un aumento dei livelli di occupazione ed una
maggiore cooperazione tra le differenti realtà locali presenti sul suo territorio.
Tutto ciò si traduce in tre obiettivi:
1) obiettivo Convergenza, volto ad accelerare la coesione degli Stati membri e l'adeguamento delle regioni in ritardo di sviluppo. In particolare, tale obiettivo si prefigge la crescita
delle aree interessate e l'incremento dell'occupazione tramite l'aumento degli investimenti,
l'efficienza amministrativa, l'innovazione, l'adattamento ai cambiamenti economici e sociali e la
tutela ed il miglioramento della qualità dell'ambiente. L'obiettivo convergenza riguarda le
regioni il cui prodotto interno lordo pro capite è inferiore al 75% della media comunitaria. È
finanziato dal FESR, dal FSE e dal fondo di coesione.
L'ingresso dell'Unione di paesi dell'Est, aventi un PIL pro capite nettamente inferiore, ha
determinato un abbassamento della media comunitaria; di conseguenza, alcuni Stati membri
che, secondo i canoni precedenti
all'allargamento, avrebbero avuto diritto ai benefici della politica di coesione, ne sono
esclusi. A1 fine di ovviare a tale inconveniente, l'Unione ha disposto, in favore dei paesi che
risentono di tale effetto statistico, un considerevole aiuto transitorio, che consenta loro di
completare il processo di convergenza. Tale aiuto, erogato a titolo dell'obiettivo Competitività,
ha carattere decrescente e sarà erogato fino a12013;
2) obiettivo Competitività regionale e occupazione. Finanziato dal FESR e dal FSE, tale
obiettivo mira a rafforzare la competitività delle regioni che non rientrano nell'obiettivo
Convergenza. In particolare, per il raggiungimento della Competitività regionale e
dell'occupazione sono state predisposte delle misure volte a garantire l'incremento ed il
miglioramento della qualità degli investimenti, l'innovazione, l'imprenditorialità, l'adattabilità
dei lavoratori e delle imprese allo sviluppo dei mercati, anticipando i cambiamenti economici e
sociali, inclusi quelli connessi all'apertura degli scambi;
3) obiettivo Cooperazione territoriale europea. È finanziato dal FESR e riguarda tutte le
regioni comprendenti frontiere terrestri o marittime, nonché zone di cooperazione
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transnazionale. Il senso di questo obiettivo, infatti, è rafforzare la cooperazione transnazionale e
interregionale mediante azioni volte allo sviluppo territoriale integrato connesse alle priorità
comunitarie.
Come si è accennato in precedenza, il perseguimento degli obiettivi di politica
economica e sociale avviene soprattutto (ma non solo) attraverso gli strumenti finanziari di cui
dispongono le istituzioni comunitarie. Tali risorse sono i fondi strutturali e gli altri strumenti
finanziari (Fondo di coesione, finanziamenti della Banca europea per gli investimenti BEI) e Fondo europeo per gli investimenti - FEI).
I fondi strutturali, in particolare, sono gli strumenti finanziari volti a promuovere lo
sviluppo e l'adeguamento strutturale delle regioni a sviluppo ritardato, riconvertire le
aree a declino industriale, lottare contro la disoccupazione strutturale, facilitare l'inserimento
professionale dei giovani e accelerare la riforma del sistema agrario. Gli attuali fondi strutturali
sono:
- il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). È il principale strumento di
attuazione della politica regionale comunitaria. Istituito con regolamento del Consiglio n. 724
del 18 marzo 1975, il FESR si propone di sostenere lo sviluppo armonioso e la coesione
economica delle diverse regioni comunitarie attraverso la correzione dei principali squilibri e
l'adeguamento strutturale delle regioni in ritardo. Provvede al finanziamento:
a) di investimenti produttivi che permettono di creare o salvaguardare posti di lavoro
durevoli, in primo luogo attraverso aiuti diretti agli investimenti, principalmente nelle piccole e
medie imprese;
b) di investimenti nel settore delle infrastrutture;
c) dello sviluppo del potenziale delle regioni attraverso misure di sostegno delle
iniziative locali e, in particolar modo, delle attività delle piccole e medie imprese; d) di
investimenti nel campo della ricerca e dello sviluppo tecnologico;
- il Fondo sociale europeo (FSE). È stato creato nel 1958 per risolvere i problemi di
occupazione suscitati dalla stessa integrazione europea. Esso partecipa al finanziamento di corsi
di formazione professionale e di aiuti ai disoccupati. Tali sovvenzioni devono far parte di piani
elaborati dalle regioni a sviluppo ritardato, colpite dalla riconversione
industriale o agricola, oppure integrarsi con le azioni nazionali a favore dell'inserimento
professionale dei giovani al di sotto dei 25 anni o dei disoccupati da lungo tempo.
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Secondo quanto stabilito dal regolamento n. 1081/2006 del 5 luglio 2006, i principali
ambiti della sua attività sono:
a) l'istruzione e la formazione professionale;
b) migliorare l'accesso all'occupazione ed alla partecipazione al mercato del lavoro; c)
accrescere l'adattabilità dei lavoratori e delle imprese;
d) combattere la discriminazione ed agevolare l'accesso dei disabili al mercato del
lavoro;
e) promuovere partenariati per la riforma nel campo dell'occupazione.
Gli altri strumenti finanziari (non rientranti nella categoria dei fondi strutturali) sono:
i1 Fondo di coesione, previsto dall'articolo 161 TCE è stato istituito con il regolamento
n. 1164/94. La sua attuale disciplina è contenuta nel regolamento n. 1084/2006 dell' 11 luglio
2006. I suoi finanziamenti sono principalmente volti al sostegno di progetti nei settori
dell'ambiente e delle reti di trasporto transeuropee, ma solo negli Stati membri il cui PIL è
inferiore al 90% della media europea; pertanto, potranno beneficiarne tutti i paesi di nuova
adesione, più la Grecia, il Portogallo e la Spagna, quest'ultima, però, ammessa solo in via
transitoria;
i finanziamenti della BEI. La Banca Europea per gli Investimenti (BEI), «facendo
appello al mercato dei capitali ed alle proprie risorse», concede finanziamenti a lungo termine
per la realizzazione di progetti concreti di cui sia garantita l'attuabilità sotto il profilo
economico, tecnico, finanziario e della tutela ambientale;
il Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI). È lo strumento comunitario che opera a
supporto delle piccole e medie imprese. Il suo azionista di maggioranza è la Banca Europea per
gli Investimenti, con la quale costituisce il cosiddetto "Gruppo BEI". Il Fondo, istituito nel
1994, opera essenzialmente attraverso la concessione di capitale di rischio e la prestazione di
garanzie;
Non sono più inclusi più tra i fondi strutturali gli strumenti volti a promuovere lo
sviluppo rurale o dei territori dipendenti dal settore della pesca. Tali attività, infatti, rientrano
nelle competenze dei nuovi fondi ad hoc istituiti in sostituzione del FEOGA e dello SFOP (che
nel periodo di programmazione 2000-2006 erano inclusi nella famiglia dei fondi strutturali).
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In sostituzione del FEOGA è ora operativo il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo
rurale (FEASR), destinato al sostegno delle iniziative volte allo sviluppo rurale, mentre lo
SFOP è stato sostituito dal Fondo europeo per la pesca (FEP).
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2 Le politiche settoriali
Per molti anni la politica comunitaria settoriale più famosa, studiata, discussa e spesso
criticata è stata quella agricola, definita PAC (Politica agricola comune), messa a punto per
tutelare i redditi del comparto agricolo e con evidenti finalità redistributive.
La politica consiste, prevalentemente, nella fissazioni di prezzi minimi per i prodotti
agricoli, la cui individuazione può comportare l'introduzione di dazi sui prodotti agricoli
extracomunitari. Inoltre, allo scopo & evitare sovrapproduzioni in un settore protetto ed
esclusivamente per alcuni prodotti, viene concessa, ai diversi paesi membri, la produzione di
una certa quota, da distribuire tra gli operatori.
Gli episodi più clamorosi, collegati alla determinazione di quote, hanno riguardato le
quote latte, particolarmente avversate dagli allevatori italiani che si sono resi ripetutamente
protagonisti, alla fine degli anni Novanta, di manifestazioni di protesta molto suggestive (con
distribuzione gratuita del loro prodotto e cortei capeggiati da mucche).
La tutela degli agricoltori europei è stata criticata per le conseguenze ipotizzabili sulle
economie dei PVS, tradizionalmente produttori agricoli, mentre all'interno dei singoli paesi
sono state mosse critiche per i criteri di spartizione delle quote, entro cui taluni produttori si
sentono «stretti».
In effetti la PAC è uno degli ultimi strascichi di un orientamento protezionista ormai
obsoleto. In esso vige tuttora il principio di preferenza comunitaria che consente un sistema di
prelievi variabili sulle importazioni ed un sistema di restituzioni alle esportazioni. In pratica
mentre il primo impedisce che i prodotti stranieri entrino nell'Unione con un prezzo inferiore a
quello interno; il secondo restituisce agli esportatori quanto hanno eventualmente perduto
vendendo all'estero ad un prezzo inferiore al minimo europeo.
Altre politiche settoriali, in voga negli anni Settanta e Ottanta, sono andate via via
regredendo. In particolare il settore siderurgico, anch'esso organizzato per quote, ha registrato
una costante perdita di interesse da parte della Comunità in barba al suo antico nucleo
propulsore della CECA.
Gli sforzi comunitari si sono indirizzati, invece, verso il settore della R&S (ricerca e
sviluppo tecnologico). La ricerca ha assunto una maggiore rilevanza, nell'ambito delle politiche
comunitarie, parallelamente alla maturata consapevolezza della sua incidenza sul mercato.
Insieme all'istruzione e all'innovazione, infatti, compone il cosiddetto triangolo della
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conoscenza, l'insieme delle discipline che si propongono l'interazione tra mondo accademico e
mondo imprenditoriale, in vista della realizzazione di una economia dinamica.
La politica commerciale si è sempre più orientata in senso liberista eliminando le
barriere non tariffarie e fissando una imposta esterna pari attualmente a circa i14% per i
manufatti industriali, con una maggiore incidenza sui prodotti definiti sensibili (tessile,
abbigliamento, piccoli elettrodomestici da consumo).
Tutte le politiche settoriali vanno raccordate con la politica ambientale, secondo il
principio dell'integrazione della politica ambientale. In virtù di questo principio ogni politica
settoriale deve contenere una valutazione di impatto ambientale (VIA) e l'attenzione per
l'ambiente viene richiesto anche ai paesi in via di sviluppo che godono degli aiuti europei.
Nel 1990 è stata creata un'Agenzia per l'ambiente che ha lanciato il principio secondo
cui chi inquina paga, determinando anche gli standard europei di accettabilità di acqua, aria e
prodotti, nonché prescrizioni per l'uso di materie prime e impianti e limiti alla emissione degli
inquinanti.
La Comunità ha intrapreso una serie di iniziative encomiabili a difesa dell'ambiente, tra
cui rientrano:
- la distribuzione di sussidi per l'introduzione di tecnologie pulite e per la riduzione degli
inquinanti;
- l'imposizione fiscale per gli inquinatori, applicata con diverso successo nei paesi
dell'Unione, dopo il fallimento dell'introduzione della carbon tax, proposta dalla Commissione;
- il riconoscimento del marchio Ecolabel che informa il consumatore sulla compatibilità
ambientale del prodotto;
- l'introduzione dell'Ecoaudit o audit ambientale che attesta la compatibilità ambientale
dell'organizzazione e della gestione dei processi produttivi.
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3 La politica sociale
L'articolo 136 TCE individua nella Comunità e negli ordinamenti statali i soggetti che
sono chiamati a realizzare gli obiettivi enunciati; l'art. 137 TCE precisa che, nel condurre la
politica sociale, la Comunità sostiene e completa l'azione degli Stati membri. Tale formula
sintetizza l'equilibrio tra la normativa nazionale e quella sopranazionale che ha consentito di
superare la tradizionale dicotomia che rendeva ardua la disciplina comunitaria di tale settore. In
applicazione del principio di sussidiarietà, pertanto, l'intervento della Comunità ha carattere
complementare rispetto alla politica degli Stati membri e mira a realizzare una base di diritti
sociali fondamentali che sia riconosciuta nell'ambito dell'intero territorio comunitario.
Entrando in dettaglio, l'articolo 137 TCE individua gli specifici settori di intervento
comunitario:
a) miglioramento, in particolare, dell'ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la
salute dei lavoratori;
b) condizioni di lavoro;
c) sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori;
d) protezione dei lavoratori in caso di risoluzione del contratto di lavoro, e)
informazione e consultazione dei lavoratori,
f)
rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di
lavoro, compresa la cogestione, fatto salvo quanto previsto dal paragrafo 5 che esclude qualsiasi
tipo di intervento in materia di retribuzioni, diritto di associazione, diritto di sciopero e diritto di
serrata;
g) condizioni di impiego dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel
territorio della Comunità;
h) integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro, fatto salvo l'articolo 150, i)
parità tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro ed il
trattamento sul lavoro;
j) lotta contro l'esclusione sociale;
k) modernizzazione dei regimi di protezione sociale, fatto salvo quanto già previsto
dalla lettera c) in materia di sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori.
In tali settori il Consiglio dell'Unione può:
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- adottare misure destinate ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri attraverso
iniziative volte a migliorare la conoscenza, a sviluppare gli scambi di informazione e di migliori
prassi, a promuovere approcci innovativi e a valutare le esperienze fatte, ad esclusione di
qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri;
- prevedere, mediante direttive, le prescrizioni minime applicabili progressivamente:
Tale facoltà è esclusa per l'azione nel settore della lotta contro l'esclusione sociale e la
modernizzazione dei regimi di protezione sociale.
Un documento particolarmente importante in questo settore è la nuova Agenda sociale
per il periodo 2005-2010 (adottata i19 febbraio 2005) che si propone la realizzazione di azioni
mirate al perseguimento di due obiettivi strategici: l'obiettivo solidarietà, che si concretizza in
azioni in favore dell'occupazione, e l'obiettivo prosperità, consistente in interventi in materia di
lotta alla povertà e alla promozione delle pari opportunità.
In particolare, le azioni a sostegno dell'occupazione (obiettivo solidarietà) si prefiggono:
a) il miglioramento delle condizioni lavorative, gli incentivi e la formazione continua. In
vista di tali scopi, l'Agenda pone l'accento sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro, sui modelli
flessibili che possono garantire un bilanciamento tra la vita professionale e quella privata, sulla
formazione continua nonché sulle coperture sociali adeguate e sul buon dialogo tra i
rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro; essa fa, inoltre, riferimento ai lavori di
qualità, intendendo le attività sostenibili e caratterizzate da investimenti nelle risorse umane;
b) la rimozione delle barriere che impediscono ai lavoratori di cambiare sistema
pensionistico quando si trasferiscono in altri Stati, mantenendo inalterati i diritti acquisiti; c) la
modernizzazione del diritto del lavoro, necessaria, in virtù dei nuovi cambiamenti intervenuti
nell'economia. Lo scopo è, altresì, quello di incoraggiare una nuova dinamica delle relazioni
industriali, attraverso il rafforzamento del principio della responsabilità sociale delle imprese, la
modifica della direttiva sui comitati aziendali e le ristrutturazioni aziendali.
Sul tema della lotta alla povertà e delle pari opportunità (obiettivo prosperità) la
Commissione promuove l'iniziativa sui dispositivi di reddito minimo garantito e l'integrazione
degli esclusi al mercato del lavoro.
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4 Il coordinamento delle politiche occupazionali
Per quanto riguarda il coordinamento delle politiche occupazionali è da ricordare che i
sostenitori del mercato unico includevano la crescita dell'occupazione tra i vantaggi che
quest'ultimo avrebbe apportato; era, infatti, opinione diffusa che una maggiore apertura dei
mercati nazionali ed una sempre più marcata liberalizzazione economica, stimolando la
concorrenza, avrebbero inevitabilmente °conc ,tto ad un più elevato tasso di crescita e,
quindi, ad un maggiore livello occupazionale.
Tale convincimento si è rivelato solo parzialn_ mte esatto. Se, infatti, dalla creazione del
mercato interno sono derivati notevoli benefici economici, si deve, al contrario, constatare che
dal punto di vista occupazionale non vi sono stati sostanziali miglioramenti, tanto che l'elevato
tasso di disoccupazione costituisce il principale problema economico e sociale in quasi tutti i
paesi europei.
Ciò ha fatto sorgere la necessità di approntare una disciplina comunitaria che regolasse
compiutamente questo settore. A tale scopo, il Trattato di Amsterdam ha aggiunto un nuovo
titolo, specificamente dedicato all'occupazione, ed ha modificato gli artt. 2 e 3 TCE.
In particolare, ai sensi dell'art. 2 TCE, tra i compiti della Comunità rientra anche quello
di «promuovere ... un elevato livello di occupazione». Nel successivo articolo 3, lettera i, si
precisa che l'azione della Comunità comporta «la promozione del coordinamento tra le politiche
degli Stati membri in materia di occupazione al fine di accrescerne l'efficacia con lo sviluppo di
una strategia coordinata per l'occupazione».
Già da queste affermazioni di principio è, però, evidente il limite dell'azione
comunitaria; secondo le disposizioni del titolo VIII, infatti, questa deve sostanzialmente
limitarsi a promuovere il coordinamento delle politiche intraprese da singoli Stati membri,
i quali restano comunque i soli titolari dell'avvio di politiche occupazionali; ciò, del resto, è
esplicitamente affermato nell'articolo 127 TCE (sono ... rispettate le competenze degli Stati
membri). Alla Comunità, pertanto, spetta unicamente il compito di promuovere la cooperazione
e di intraprendere politiche di sostegno e di integrazione alle azioni degli Stati membri.
L'attività di coordinamento passa attraverso le seguenti fasi:
- un primo esame della situazione occupazionale è svolto dal Consiglio europeo, che
adotta le relative conclusioni;
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- su questa base il Consiglio dell'Unione elabora, annualmente, gli orientamenti
generali sull'occupazione, di cui devono tener conto gli Stati membri nell'elaborazione delle
rispettive politiche in materia. Tali indicazioni sono adottate con votazione a maggioranza
qualificata, previa consultazione del Parlamento, del Comitato economico e sociale, del
Comitato delle Regioni e del Comitato per l'occupazione;
- gli Stati membri presentano annualmente al Consiglio un rapporto, il Piano d'azione
nazionale (PAN), nel quale illustrano le concrete iniziative intraprese per dare attuazione agli
orientamenti decisi dal Consiglio. Tali Piani sono esaminati dalla Commissione che, oltre a
ricavare proposte per migliorare la strategia europea in materia di occupazione, evidenziato
alcune politiche nazionali che sono risultate particolarmente efficaci, suggerendole come
esempi di "buona pratica", anche ad altri Stati;
- il Consiglio dell'Unione, se lo considera opportuno, può rivolgere raccomandazioni,
deliberando a maggioranza qualificata.
Inoltre, il Consiglio dell'Unione può adottare misure volte a sviluppare gli scambi
d'informazione e delle migliori prassi, a fornire analisi comparative e indicazioni, nonché a
promuovere approcci innovativi e a valutare le esperienze realizzate, in particolare mediante il
ricorso a progetti pilota; si tratta delle cosiddette azioni di sostegno e di integrazione previste
dall'art. 129 TCE.
La politica europea dell'occupazione si fonda su una serie di orientamenti, progressivamente affermatisi in seno ai Consigli che si sono succeduti nel corso degli anni e
successivamente confluiti in un progetto organico di sviluppo economico e ai incentivo
alla crescita occupazionale: la cosiddetta strategia di Lisbona, approvata r.el corso del Consiglio
tenutosi nel marzo del 2000.
Tale espressione indica il piano d'azione adottato nella capitale portoghese cl, _ si pone
l'obiettivo di trasformare l'Unione europea, entro i12010, in «un'economia basata sulla
conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita
economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale»
(così si esprimeva la Presidenza nelle sue conclusioni).
In vista di tale scopo, è stata definita una strategia globale che si basa su una serie di
interventi strutturali nei settori dell'occupazione, dell'innovazione, delle riforme economiche e
della coesione sociale.
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In materia di politica occupazionale, la strategia di Lisbona, si prefiggeva, in particolare
di:
- realizzare un tasso di crescita economica pari al 3%; - raggiungere un tasso di
occupazione del 70%;
- acquisire un tasso di partecipazione della forza femminile al lavoro pari a160%.
Invero, questi erano soltanto alcuni degli scopi previsti. Gli obiettivi strategici contenuti
nel piano di sviluppo erano, infatti, circa 40 e spaziavano dal settore sociale a quello
economico. Ciò che caratterizzava la strategia di Lisbona era il suo approccio globale, fondato
sul presupposto che lo sviluppo economico potesse (e dovesse) avere delle ricadute positive sia
in termini di miglioramento delle condizioni sociali e dell'occupabilità, sia in termini di
maggiore concorrenzialità delle imprese europee sul mercato mondiale, il tutto all'insegna di un
rigoroso rispetto del principio dello sviluppo sostenibile e, quindi, con una particolare
\
attenzione alle problematiche ambientali.
1
Nei primi 5 anni di implementazione la strategia di Lisbona non ha prodotto i risultati
sperati, sia per la generale fase di stagnazione economica internazionale, sia per ché gli obiettivi
fissati erano probabilmente troppo ambiziosi.
In considerazione del sostanziale ritardo nel raggiungere le finalità indicate, pertanto,
nel corso del Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005, si è deciso di rivedere e rilanciare il
piano, concentrando l'attività su progetti concretamente più realizzabili.
Nella sua nuova versione la strategia di Lisbona prevede uno specifico programma
d'azione fondato su tre obiettivi principali che, a loro volta, si concretizzano in dieci campi di
intervento:
- obiettivo n. l: rendere l'Europa più capace di attrarre investimenti e lavoro. Per la sua
realizzazione occorre:
1. ampliare e rafforzare il mercato interno;
2. migliorare la normativa comunitaria e nazionale;
3. garantire mercati aperti e competitivi all'interno e all'esterno dell'Unione europea; 4.
ampliare e migliorare le infrastrutture europee;
- obiettivo n. 2: porre la conoscenza e l'innovazione al servizio della crescita. Nello
specifico ciò comporta:
5. aumentare e migliorare gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo;
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6. promuovere l'innovazione, l'adozione delle nuove tecnologie dell'informazione e della
comunicazione e l'uso sostenibile delle risorse;
7. contribuire alla creazione di una solida base industriale europea;
- obiettivo n. 3: creare nuovi e migliori posti di lavoro. Per raggiungere tale scopo è
necessario:
8. attrarre un maggior numero di persone nel mondo del lavoro e modernizzare i sistemi
di protezione sociale;
9. accrescere la capacità di adeguamento dei lavoratori e delle imprese e la flessibilità
dei mercati del lavoro;
10. aumentare gli investimenti in capitale umano migliorando l'istruzione e le
qualifiche.
Per una efficace e corretta attuazione della strategia di Lisbona è necessario un
coinvolgimento dei diversi livelli di governo, dagli enti locali fino alle istituzioni comunitarie;
in effetti, molte delle azioni da intraprendere, rientrano in settori nei quali la Comunità non
dispone di nessun potere decisionale, ma può svolgere solo un'attività di impulso e
orientamento. Per questo motivo la strategia di Lisbona prevede un complesso meccanismo di
attuazione, accompagnato da un altrettanto particolareggiato piano di monitoraggio. I passaggi
istituzionali possono essere così riassunti:
- il Consiglio europeo adotta una relazione strategica e degli orientamenti integrati (vale
a dire la sommatoria degli orientamenti in materia di politica economica e in tema di
occupazione, già previsti dal trattato);
- sulla base di tali atti, ogni Stato membro deve realizzare un Programma nazionale di
riforma triennale per la crescita e l'occupazione, con la nomina di un eventuale "coordinatore
nazionale Lisbona". Il programma nazionale è rafforzato dalla definizione di impegni e obiettivi
e dal coinvolgimento di governo, regioni, partner sociali e società civile;
- anche la Comunità si impegna ad adottare un Programma comunitario di Lisbona, che
ingloba l'insieme delle azioni da intraprendere al servizio della crescita e dell'oc~ - cupazione,
tenendo conto della necessità di attuare una necessaria convergenza del le diverse politiche;
- ogni anno, infine, gli Stati membri sono tenuti a trasmettere alla Commissione una
relazione sullo stato di attuazione della strategia di Lisbona. La Commissione provvede
successivamente all'elaborazione di un documento unico nel quale traccia un bilancio sullo stato
di attuazione della strategia.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Politica Economica
Lezione XII
Questa disciplina sarà valida fino a12008, quando si provvederà ad un riesame
dell'andamento della strategia e si provvederà, eventualmente, ad apportare i necessari
correttivi.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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