Il Commissario Calabresi: mio papà

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Il Commissario Calabresi: mio papà
IL COMMISSARIO CALABRESI: MIO PAPÀ
Comunicato n.8 - 10 maggio 2007
Nel 1972 Mario Calabresi era un bambino di due anni e mezzo, aveva un fratellino e da
lì a qualche mese gliene sarebbe arrivato un altro; all’improvviso, la mattina del 17
maggio di quell’anno, scoppiò la tragedia che segnò per sempre la vita della sua famiglia
e, allo stesso tempo, rappresentò una delle pagine più drammatiche e controverse della
storia italiana: il 17 maggio 1972 venne assassinato suo padre, il commissario Luigi
Calabresi.
Oggi Mario Calabresi è inviato de La Repubblica negli Stati Uniti e ha di recente
pubblicato Spingendo la notte più in là: “Era da circa sei-sette anni che l’avevo in mente,
ma solo l’anno scorso ho deciso di scriverlo” ha confessato al pubblico della Fiera del
Libro. “L’idea ha preso forma all’indomani dell’elezione al Parlamento dell’ex terrorista di
Prima Linea Sergio d’Elia e del dibattito che ne è seguito, tra favorevoli e contrari”. Nel
dibattito tra la classe politica e una generazione di terroristi che rivendica –
“legittimamente”, come ha tenuto a precisare Calabresi – il diritto a reinserirsi nella
società dopo aver pagato i conti con la giustizia, è mancata la voce dei parenti delle
vittime e il libro è nato proprio dalla volontà di far parlare le mogli, i figli, le madri di chi è
morto negli attentati compiuti dai terroristi.
“Un libro che è la testimonianza del dolore vissuto da un bambino, un dolore che ha
accompagnato il passaggio all’adolescenza e poi all’età adulta” ha osservato il direttore
de La Repubblica Ezio Mauro, che ha presentato il libro insieme all’autore, ammonendo
la platea: “Il libro di Calabresi è anche un’opera di denuncia. Denuncia i ritardi con cui la
società, la nostra generazione e in particolare la sinistra hanno fatto i conti con gli anni
Settanta e con quella scheggia impazzita che fu il terrorismo”. Fare i conti significa
secondo Mauro prendere coscienza del danno morale vissuto dalle famiglie delle vittime,
un danno che ha un valore civile e politico di cui bisogna tenere conto.
Mario Calabresi è d’accordo: “Nel mio libro non si parla di eroi, ma di uomini con i loro
affetti, le loro virtù, i loro difetti, uomini che hanno lasciato un vuoto nei loro cari”;
dimenticare questo aspetto significa non solo non rendere giustizia alla memoria delle
vittime, ma anche mutilare ogni serio dibattito sul terrorismo e sulla sua eredità.
Il figlio del commissario ha raccontato un aneddoto personale: “Le commemorazioni e i
monumenti lasciano il tempo che trovano. Ho partecipato all’inaugurazione di un
monumento a mio padre nel liceo in cui aveva studiato; il Preside ne parlò per oltre
cinquanta minuti come di uno studente modello, quasi destinato a essere un eroe.
Quando mi invitò sul palco, decisi di rovinargli un po’ la festa, raccontando che in realtà
mio padre era stato bocciato per un 7 in condotta ed espulso da questo liceo”. Il monito,
dunque, è a restituire alle vittime dignità e dimensione umana. L’autore ha infine ricordato
sua madre, la vedova Calabresi: “Più volte le ho chiesto come avesse fatto a reagire e a
tenere insieme la nostra famiglia; lei mi ha sempre risposto che a 25 anni, con due figli e
un altro in arrivo, non le restava che credere nella vita”.
Cafè Letterario, ore 17.30, 10 maggio 2007
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