Calabresi, ragazzi guardate avanti

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Calabresi, ragazzi guardate avanti
Calabresi, ragazzi guardate avanti
Esce "Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa"
Un libro che, sin dal titolo, è un inno alla speranza e alla vita per le
giovani generazioni. Mario Calabresi, giornalista e scrittore, direttore
della "Stampa", come sempre sceglie di narrare da un punto di vista
inedito una categoria a torto bistrattata. Li ascolta questi ragazzi e,
attraverso le loro storie, il lettore scopre che stanno affrontando sfide un
tempo impensabili per riuscire ad affermare una propria idea di futuro.
Un libro che nasce dopo l'incontro di Calabresi, tre anni fa, con duecento
studenti della sponda piemontese del Lago Maggiore: "Alla fine
dell'incontro mi avvicina un ragazzo timido, che non voleva parlare
davanti a tutti, e mi dice: 'Ma davvero pensa che la nostra scelta
individuale possa fare una qualche differenza nelle nostre vite? Io, ma
come me tutti i miei compagni, credo che le condizioni esterne siano
molto più forti di qualunque sogno e di qualunque volontà, e che l'unica
strada sia la fuga da questa Italia. Siamo nati nel tempo sbagliato'".
"Questo libro - racconta l'autore - è nato quella mattina di tre anni fa. Le domande, lo scetticismo e lo
scoraggiamento di quei ragazzi mi hanno tormentato, e allora sono andato a cercare le risposte e gli
antidoti. La prima risposta l'avevo sotto gli occhi fin da quando ero bambino e dovevo solo andare a
ritrovarla".
"La lista di nozze - è da qui prende le mosse il racconto - comprende 22 letti per adulti, 9 lettini per bambini,
culle per neonati, lenzuola, elettrocardiografo, microscopio, lettino operatorio, lampada operatoria, attrezzi
per la chirurgia. Deve servire ad arredare la loro nuova casa, un minuscolo ospedale in mezzo a una savana
molto arida, terra rossa e pochi arbusti spinosi, nel Nordest dell'Uganda. Nessuno regala servizi di piatti o
cornici d'argento, le uniche eccezioni due valigie e una sacca rotonda che per anni saranno le loro
compagne di viaggio. Alla vigilia della partenza scrivono una lettera di ringraziamento (erano stati raccolti 4
milioni e mezzo di lire, 40.000 euro di oggi): 'Con questa somma si è potuto provvedere all'attrezzatura
completa del primo reparto dell'ospedale di Matany. Vi siamo grati perché col vostro gesto avete
dimostrato di capire il senso profondo della nostra scelta'. L'ospedale non esiste ancora e quel posto,
chiamato Matany, non l'hanno mai visto, è solo un cerchietto rosso su una cartina". Gianluigi Rho, 26 anni,
e Mirella Capra, 27, partono da Linate con un aereo che trasporta i missionari, fanno scalo ad Atene prima
di atterrare a Entebbe. Lei si è accorta di aspettare un figlio e forse il lunghissimo viaggio in jeep sullo
sterrato non è stata una grande idea, ma la bambina che nascerà in autunno con il nome di Lucia si abitua
subito e, a soli due mesi di vita, è presente all'inaugurazione della lista di nozze dei suoi genitori, a cui segue
un rinfresco a base di carne di capra arrostita.
Quando Calabresi era bambino ascoltava i racconti 'africani' a casa dei nonni. "Succedeva ogni volta che
arrivava una lettera su carta leggerissima, era un mondo lontano e inimmaginabile, non c'erano i
documentari in televisione, le mappe su Internet su cui curiosare, ma solo qualche rara foto in cui si
vedevano i cuginetti giocare con dei bambini neri e nudi in mezzo alle pozzanghere. Finalmente un Natale,
avrò avuto cinque anni, si materializzarono. Oltre a Lucia c'erano Stefano e Marco. Erano biondissimi e
avevano i pantaloni corti, mentre io portavo un loden fin sotto il ginocchio. Parlavano tra loro in una lingua
incomprensibile, il nonno disse che era il dialetto acioli.
Tutti i parenti cercavano di abbracciarli e baciarli, anche se erano praticamente degli sconosciuti, ma loro
sfuggivano alla presa e correvano da ogni parte".
Mirella, il 15 luglio 1970, dopo la prima visita all'ospedale in costruzione, scrive una lettera a casa in cui,
dopo aver evidenziato una lunga lista di problemi, conclude: "Non temete per noi, la nostra vita sarà
meravigliosa". Mario Calabresi conosce questa storia da quando è bambino: Gigi e Mirella sono i suoi zii.
Oggi ha scelto di raccontarla, perché è necessario provare a dare risposte allo scoraggiamento di tanti
ragazzi che si chiedono se valga ancora la pena coltivare dei sogni. Quella di Gigi e Mirella, ma anche quella
di Elia con la sua lampara che ogni notte prende il largo dal porto di Genova o quella di Aldo Bongiovanni, il
produttore di farina che a 18 anni si fece regalare le macine di pietra per fare la farina con i grani antichi.
Un capitolo in cui ad un certo punto Calabresi racconta: "Ci sono arrivato in modo insolito, grazie a Paolo
Massobrio, grande esperto di vini e padre del 'Golosario'. Era venuto a trovarmi alla 'Stampa', gli avevo
offerto un caffè e poi mi ero sfogato contro quest'Italia che si ripiega e contro chi ripete che abbiamo una
sola possibilità: la resa. Lui aveva sorriso per la mia fiammata polemica e si era messo a dirmi che il
territorio italiano è pieno di persone che fanno, che silenziosamente costruiscono, ma nessuno li racconta
perché non sono in sintonia con lo spirito dei tempi e mettono in discussione il sacro mantra del
catastrofismo".
Sono le storie di giovani di ieri e di oggi che hanno saputo guardare avanti con coraggio. Sono storie di
ragazzi italiani che non hanno avuto paura di diventare grandi.
Tratto da ANSA.it