Lo scultore di gessi - Morgan Miller Edizioni
Transcript
Lo scultore di gessi - Morgan Miller Edizioni
www.morganmilleredizioni.it Questo romanzo è opera del frutto della fantasia e dell’ingegno dell’Autore Tutti i diritti riservati. Copyright @ 2011 – Morgan Miller Edizioni è un marchio di proprietà di CDB s.r.l. Via Roma, 32 – 71036 Lucera (FG) P.IVA 03642490712 – scr. Rea 262208 Foto di copertina © Vlad Kononov - Fotolia.com ISBN 9788897659402 È vietata ogni riproduzione, anche parziale. Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere autorizzate per iscritto dall’Editore. 2 ANTONELLA BALESTRIERI Lo scultore di gessi Romanzo 3 Alle prime persone che hanno letto il mio libro e mi hanno incoraggiata ed emozionata: i miei bambini. Al sostegno e alla pazienza di Gerardo. Alla mia famiglia, a Veronica e al nostro profondo e indissolubile legame. A mio suocero che ricorderò per sempre... 4 Note dell’Editore Questo libro è un’opera del frutto della fantasia dell’Autore. Nomi, persone, società, organizzazioni, luoghi fatti e avvenimenti citati sono invenzioni dell’Autore, o usati in maniera fittizia per incitare la narrazione. Qualsiasi analogia o somiglianza con eventi, luoghi e persone realmente esistiti o esistenti, è da considerarsi puramente casuale e involontaria. 5 CAPITOLO 1 La mia vita era perfetta. Ero felice, soddisfatta di me stessa e della mia famiglia. Amavo il mio paese: era un piccolo borgo, ma non vi mancava quasi niente. Adoravo andare a scuola. Ma, come ho detto, la mia vita era perfetta, ero felice e amavo il mio paese. Si, parlo al tempo passato. Un giorno di sette anni fa qualcosa è cambiato e ho perso l’uomo più importante della mia vita: mio nonno. Tutti hanno perduto una persona cara, non sono né la prima e né l’ultima a soffrire a causa della morte, ma quello che è successo a nonno Paolo ha dell’incredibile che rende la sua perdita inaccettabile o almeno difficile da concepire… Il sole di Falldown Falldown era situato su un dirupo, da qui il suo nome che significa “cadere giù”. Certo il nome per primo non ispira molto i turisti, infatti non si vede mai una faccia nuova e ancor di più la vista del paese da lontano pare uno di quei castelli abbandonati che si vedono nei film. Nonostante questo, tutti gli abitanti di questo luogo giurano che mai e poi mai andranno via di qui. Tutti tranne una, cioè me. Sono nata in questo posto un po’ lugubre e che sa tanto di film dell’horror. Alla mia nascita il paese ha festeggiato per giorni. Perché? Perché erano almeno dieci anni che a Falldown non nasceva una bambina e dopo la mia nascita non ne sono nate altre per ancora dieci anni. Proprio così io non ho coetanee e il paese è popolato prevalentemente da maschi. E i maschi si sa, sono dei combina guai! Mio nonno 6 era uno di quelli. Era uno scultore, uno scultore di gessi. Un lavoro insolito, che quasi non si usa più ma lui era un maestro nell’arte di creare e formare ogni sorta di cose meravigliose con quel materiale bianco e che sa tanto di purezza. Io lo aiutavo. Mi aveva insegnato a dipingere e così quando creava uno dei suoi capolavori non aveva mai paura che potessi rovinarglielo. Lasciava spazio alla mia fantasia e diceva sotto i suoi lunghi baffi grigi: “Sono sicuro che gli darai vita. Farai un magnifico lavoro come sempre.” Quanto mi faceva stare bene guardare la sua espressione commossa nel momento in cui lo portavo a vedere il nostro lavoro finito. Non parlava. Socchiudeva gli occhi tirava su con il naso e si asciugava una lacrimuccia che gli bagnava un occhio. Sempre così. E sempre quelle erano le sue parole: “Ben fatto!” La mamma non voleva che passassi tutto il mio tempo libero chiusa in una bottega ma non aveva scelta: o con il nonno o con i maschiacci del quartiere che adoravano giocare con il pallone (col quale rompevano ogni giorno una finestra e poi scappavano via) oppure facevano la gara degli sputi. Una volta avevo partecipato con loro a questo stupido gioco e devo dire che mi era piaciuto perché anche se non l’avevo mai fatto, ero arrivata più lontano di tutti gli altri. Loro c’erano rimasti piuttosto male ed erano andati ognuno a casa sua offeso. Non mi avevano parlato per giorni. La mamma era felice per questo. -Una ragazza per bene non tratta con quei tipi. – diceva grattugiando il formaggio. -Mamma, ho solo otto anni, se non gioco con loro, che devo fare? 7 -Hai ragione piccola mia. Ma sai, prima impari come sono gli uomini e meglio è. Sono tutti dei… -Combina guai! –la interrompevo sempre io, conoscendo ormai a memoria le sue parole. -Oh, Sunny…credo che tu l’abbia capito ma…ricordalo sempre. -Si mamma. Il nostro discorso si concludeva lì. Io non avevo il coraggio di chiedere che fine avesse fatto mio padre e lei non tirava ma fuori quell’argomento. Credo che le facesse molto male parlarne e che non avesse nessuna voglia di ripensarci. Io allora tornavo dal nonno e lui mi faceva scordare le parole della mamma. Lui era un uomo, ed era vero, era un combina guai, ma io lo amavo, lo amavo più di me stessa. Ora erano passati sette anni e io mi ritrovavo di nuovo a Falldown dopo tutto quel tempo. Mi guardavo qua e là, ma nulla sembrava essere cambiato. Solo io mi sentivo diversa, un’altra persona. -Sunny…- mi sentii chiamare alle spalle. -…Ma sei proprio tu?... Mi voltai lentamente riconoscendo quella voce. Era lei, proprio come avevo capito, solo più invecchiata e ingrigita. -Signora Brooks! -Quanto tempo!...Sei tornata?... -Per poco. Ho intenzione di ripartire fra qualche giorno. -Da quando sei andata via questo posto non è più lo stesso… Tua madre ti ha detto che… -Che il sole è sempre coperto dalle nuvole? -Si. Sono…Quanti anni sono? -Sette anni. 8 -Già sette. Sono sette anni che il sole non splende. -Si, mia madre me l’ha detto ma…credevo fosse solo una metafora… -E’ assurdo vero? Invece è proprio così. Guarda tu stessa…disse indicando il cielo.- Quella coltre di nuvole non si allontana mai…Il nostro sole è andato via… Fissai il suo volto che si era riempito di rughe. L’espressione spenta pareva perdersi nel vuoto. Alzai gli occhi al cielo. Lei riprese a parlare. -Ricordi quello che avevo detto il giorno in cui ti ho fatta nascere?...Te lo avrà detto tua madre o tuo nonno. -Si, me l’hanno detto. - It’s the sunny! Si…C’è il sole! Una bambina! Finalmente era nata una bambina, il nostro sole… La signora Brooks era l’ostetrica del paese ma fungeva anche da dottoressa. Aveva visto nascere tutti i bambini di Falldown. Era una donna inglese, che era arrivata in quel posto dove non vi era anima viva e si era stabilita con la sua famiglia. Era stata lei a battezzare quel luogo Falldown ed era da lei che mia madre prese l’idea del nome. Voleva chiamarmi Gabriella, come sua madre oppure Olivia, come la bambola di pezza che aveva da bambina, ma quando la signora Brooks aveva fatto quell’esclamazione nel vedermi, quando aveva urlato: It’s the sunny!, mia mamma aveva perso la testa per quel nome e aveva deciso che io sarei stata il sole di Falldown. -Il nostro sole è andato via…- ripeté la signora Brooks. -Non dica così…Il sole torna sempre a splendere! 9 Di colpo mi abbracciò lasciandomi senza parole. -Il sole non tornerà più…Se non sarai tu a tornare! La guardai perplessa. Era cambiata, era…strana e le cose che stava dicendo erano a dir poco assurde. Provai pena per il modo in cui mi supplicava, così decisi di assecondarla. -Non si preoccupi…Ora sono qui. Forse…forse potrei trattenermi più di quello che avevo pensato… -Non mentire…Solo quando deciderai di tornare veramente, il sole tornerà…Ricordalo Sunny. Mi lasciò lì, mentre immobile, come una delle sculture che faceva mio nonno, la guardavo andare via. Mia mamma fu felice di riabbracciarmi. Mi guardò dalla testa ai piedi orgogliosa di come fossi diventata. -Mi sei mancata…Sentirti per telefono ormai non mi bastava più. E poi come faccio a sapere se è vero che stai bene?!... Sei a mille miglia da qui!… -Sto bene mamma e lo sai. -Se non fosse per questa occasione speciale non saresti mai venuta a trovarmi! Vuoi più bene a tuo nonno che a me! Dovetti tacere, per non dire una bugia. Volevo bene a mia madre ma era vero, per il nonno avevo un debole e anche se erano passati sette anni da che lui era sparito, il dolore non si mitigava, anzi semmai cresceva ogni giorno. Ogni minuto che passava mi mancava sempre di più. -Quando sarà esattamente la celebrazione?- chiesi togliendomi il cappotto. -Visto? Pensi sempre a lui!- ribatté la mamma quasi piagnucolando. -Mamma…- le dissi dolcemente, avvicinandomi. –Mi sei mancata parecchio, però non fare la gelosa, ok? 10