Lo scultore di gessi - Morgan Miller Edizioni

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Lo scultore di gessi - Morgan Miller Edizioni
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Questo romanzo è opera del frutto della fantasia
e dell’ingegno dell’Autore
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ISBN 9788897659402
È vietata ogni riproduzione, anche parziale. Le richieste per l’utilizzo della
presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura
privata devono essere autorizzate per iscritto dall’Editore.
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ANTONELLA BALESTRIERI
Lo scultore di gessi
Romanzo
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Alle prime persone che hanno letto il mio libro e mi hanno
incoraggiata ed emozionata: i miei bambini.
Al sostegno e alla pazienza di Gerardo.
Alla mia famiglia,
a Veronica e al nostro profondo e indissolubile legame.
A mio suocero che ricorderò per sempre...
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Note dell’Editore
Questo libro è un’opera del frutto della fantasia dell’Autore.
Nomi, persone, società, organizzazioni, luoghi fatti e
avvenimenti citati sono invenzioni dell’Autore, o usati in
maniera fittizia per incitare la narrazione.
Qualsiasi analogia o somiglianza con eventi, luoghi e persone
realmente esistiti o esistenti, è da considerarsi puramente
casuale e involontaria.
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CAPITOLO 1
La mia vita era perfetta. Ero felice, soddisfatta di me stessa e
della mia famiglia. Amavo il mio paese: era un piccolo borgo,
ma non vi mancava quasi niente. Adoravo andare a scuola.
Ma, come ho detto, la mia vita era perfetta, ero felice e
amavo il mio paese. Si, parlo al tempo passato. Un giorno di
sette anni fa qualcosa è cambiato e ho perso l’uomo più
importante della mia vita: mio nonno.
Tutti hanno perduto una persona cara, non sono né la prima
e né l’ultima a soffrire a causa della morte, ma quello che è
successo a nonno Paolo ha dell’incredibile che rende la sua
perdita inaccettabile o almeno difficile da concepire…
Il sole di Falldown
Falldown era situato su un dirupo, da qui il suo nome che
significa “cadere giù”. Certo il nome per primo non ispira
molto i turisti, infatti non si vede mai una faccia nuova e
ancor di più la vista del paese da lontano pare uno di quei
castelli abbandonati che si vedono nei film. Nonostante
questo, tutti gli abitanti di questo luogo giurano che mai e
poi mai andranno via di qui. Tutti tranne una, cioè me. Sono
nata in questo posto un po’ lugubre e che sa tanto di film
dell’horror. Alla mia nascita il paese ha festeggiato per
giorni. Perché? Perché erano almeno dieci anni che a
Falldown non nasceva una bambina e dopo la mia nascita
non ne sono nate altre per ancora dieci anni. Proprio così io
non ho coetanee e il paese è popolato prevalentemente da
maschi. E i maschi si sa, sono dei combina guai! Mio nonno
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era uno di quelli. Era uno scultore, uno scultore di gessi. Un
lavoro insolito, che quasi non si usa più ma lui era un
maestro nell’arte di creare e formare ogni sorta di cose
meravigliose con quel materiale bianco e che sa tanto di
purezza. Io lo aiutavo. Mi aveva insegnato a dipingere e così
quando creava uno dei suoi capolavori non aveva mai paura
che potessi rovinarglielo. Lasciava spazio alla mia fantasia e
diceva sotto i suoi lunghi baffi grigi: “Sono sicuro che gli
darai vita. Farai un magnifico lavoro come sempre.” Quanto
mi faceva stare bene guardare la sua espressione commossa
nel momento in cui lo portavo a vedere il nostro lavoro
finito. Non parlava. Socchiudeva gli occhi tirava su con il
naso e si asciugava una lacrimuccia che gli bagnava un
occhio. Sempre così. E sempre quelle erano le sue parole:
“Ben fatto!”
La mamma non voleva che passassi tutto il mio tempo libero
chiusa in una bottega ma non aveva scelta: o con il nonno o
con i maschiacci del quartiere che adoravano giocare con il
pallone (col quale rompevano ogni giorno una finestra e poi
scappavano via) oppure facevano la gara degli sputi. Una
volta avevo partecipato con loro a questo stupido gioco e
devo dire che mi era piaciuto perché anche se non l’avevo
mai fatto, ero arrivata più lontano di tutti gli altri. Loro
c’erano rimasti piuttosto male ed erano andati ognuno a
casa sua offeso. Non mi avevano parlato per giorni. La
mamma era felice per questo.
-Una ragazza per bene non tratta con quei tipi. – diceva
grattugiando il formaggio.
-Mamma, ho solo otto anni, se non gioco con loro, che devo
fare?
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-Hai ragione piccola mia. Ma sai, prima impari come sono gli
uomini e meglio è. Sono tutti dei…
-Combina guai! –la interrompevo sempre io, conoscendo
ormai a memoria le sue parole.
-Oh, Sunny…credo che tu l’abbia capito ma…ricordalo
sempre.
-Si mamma.
Il nostro discorso si concludeva lì. Io non avevo il coraggio di
chiedere che fine avesse fatto mio padre e lei non tirava ma
fuori quell’argomento. Credo che le facesse molto male
parlarne e che non avesse nessuna voglia di ripensarci. Io
allora tornavo dal nonno e lui mi faceva scordare le parole
della mamma. Lui era un uomo, ed era vero, era un combina
guai, ma io lo amavo, lo amavo più di me stessa.
Ora erano passati sette anni e io mi ritrovavo di nuovo a
Falldown dopo tutto quel tempo. Mi guardavo qua e là, ma
nulla sembrava essere cambiato. Solo io mi sentivo diversa,
un’altra persona.
-Sunny…- mi sentii chiamare alle spalle. -…Ma sei proprio
tu?...
Mi voltai lentamente riconoscendo quella voce. Era lei,
proprio come avevo capito, solo più invecchiata e ingrigita.
-Signora Brooks!
-Quanto tempo!...Sei tornata?...
-Per poco. Ho intenzione di ripartire fra qualche giorno.
-Da quando sei andata via questo posto non è più lo stesso…
Tua madre ti ha detto che…
-Che il sole è sempre coperto dalle nuvole?
-Si. Sono…Quanti anni sono?
-Sette anni.
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-Già sette. Sono sette anni che il sole non splende.
-Si, mia madre me l’ha detto ma…credevo fosse solo una
metafora…
-E’ assurdo vero? Invece è proprio così. Guarda tu stessa…disse indicando il cielo.- Quella coltre di nuvole non si
allontana mai…Il nostro sole è andato via…
Fissai il suo volto che si era riempito di rughe. L’espressione
spenta pareva perdersi nel vuoto. Alzai gli occhi al cielo. Lei
riprese a parlare.
-Ricordi quello che avevo detto il giorno in cui ti ho fatta
nascere?...Te lo avrà detto tua madre o tuo nonno.
-Si, me l’hanno detto.
- It’s the sunny! Si…C’è il sole! Una bambina! Finalmente era
nata una bambina, il nostro sole…
La signora Brooks era l’ostetrica del paese ma fungeva anche
da dottoressa. Aveva visto nascere tutti i bambini di
Falldown. Era una donna inglese, che era arrivata in quel
posto dove non vi era anima viva e si era stabilita con la sua
famiglia. Era stata lei a battezzare quel luogo Falldown ed
era da lei che mia madre prese l’idea del nome. Voleva
chiamarmi Gabriella, come sua madre oppure Olivia, come la
bambola di pezza che aveva da bambina, ma quando la
signora Brooks aveva fatto quell’esclamazione nel vedermi,
quando aveva urlato: It’s the sunny!, mia mamma aveva
perso la testa per quel nome e aveva deciso che io sarei
stata il sole di Falldown.
-Il nostro sole è andato via…- ripeté la signora Brooks.
-Non dica così…Il sole torna sempre a splendere!
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Di colpo mi abbracciò lasciandomi senza parole.
-Il sole non tornerà più…Se non sarai tu a tornare!
La guardai perplessa. Era cambiata, era…strana e le cose che
stava dicendo erano a dir poco assurde. Provai pena per il
modo in cui mi supplicava, così decisi di assecondarla.
-Non si preoccupi…Ora sono qui. Forse…forse potrei
trattenermi più di quello che avevo pensato…
-Non mentire…Solo quando deciderai di tornare veramente,
il sole tornerà…Ricordalo Sunny.
Mi lasciò lì, mentre immobile, come una delle sculture che
faceva mio nonno, la guardavo andare via.
Mia mamma fu felice di riabbracciarmi. Mi guardò dalla testa
ai piedi orgogliosa di come fossi diventata.
-Mi sei mancata…Sentirti per telefono ormai non mi bastava
più. E poi come faccio a sapere se è vero che stai bene?!...
Sei a mille miglia da qui!…
-Sto bene mamma e lo sai.
-Se non fosse per questa occasione speciale non saresti mai
venuta a trovarmi! Vuoi più bene a tuo nonno che a me!
Dovetti tacere, per non dire una bugia. Volevo bene a mia
madre ma era vero, per il nonno avevo un debole e anche se
erano passati sette anni da che lui era sparito, il dolore non
si mitigava, anzi semmai cresceva ogni giorno. Ogni minuto
che passava mi mancava sempre di più.
-Quando sarà esattamente la celebrazione?- chiesi
togliendomi il cappotto.
-Visto? Pensi sempre a lui!- ribatté la mamma quasi
piagnucolando.
-Mamma…- le dissi dolcemente, avvicinandomi. –Mi sei
mancata parecchio, però non fare la gelosa, ok?
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