Le Memorie Di Adalberto

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Le Memorie Di Adalberto
Angela Nanetti Casari, Le memorie di Adalberto, Einaudi-E.Elle, Trieste, 1995
A otto anni mi è caduto il primo dente
A otto anni mi è caduto il primo dente e tutti in casa hanno fatto festa;
io no, che ho pianto per un'ora per la paura di diventare brutto come il
nonno quando si toglie la dentiera.
La mamma ha telefonato alla nonna e l'ho sentita gridare:
- Finalmente!
''Finalmente che cosa?'' ho pensato con rabbia, guardando il mio
buco. ''Perchè mi vogliono sdentato?''
A dieci anni ho capito: era per via della mia statura che volevano che
perdessi i denti.
Non è che i denti facciano crescere, sono io che ora sto facendo il
balbuziente col cervello. Mi spiego meglio, anzi comincio da capo.
Io sono nato settimino e così piccolo che entravo due volte
in una manica. Per giunta non avevo capelli, avevo la pelle color
carota ed ero il primo maschio di una famiglia di donne.
Quando mi hanno visto, la mamma, la nonna e le zie hanno detto:
- Mio Dio! Solo papà ha avuto il coraggio della verità:
- E' tutto il nonno Alberto, più in brutto. Il nonno Alberto è il fondatore della fabbrica di materassi
che, come dice papà quando vuole essere spiritoso,
''ci fa dormire tutti tra due guanciali''; insomma, che ci fa vivere bene.
La madre del nonno si chiamava Ada e, secono lui, se fosse
stata al mondo quando sono nato mi avrebbe trovato bellissimo. E
sarebbe stata l'unica.
Per farla breve, in onore del nonno Alberto, mio sosia, e della
bisnonna Ada, unica mia ammiratrice, sono stato chiamato Adalberto.
Io ero allora troppo piccolo per protestare, ma mi hanno raccontato
che, quando mi hanno battezzato, ho strillato per tutta la cerimonia.
Torniamo alla faccenda dei denti. Voi capite che mettere nome
Adalberto a uno che entra due volte in una manica ed è giallo come
una carota è una grossa responsabillità: e se resta davvero di questo
calibro, come farà a portare un nome così impegnativo?
Io credo che per questo hanno incominciato a misurarmi e a pesarmi
tutti i momenti, e a festeggiare ogni centimetro e ogni etto in più.
Da parte mia ce l'ho messa tutta per non deludere le aspettative della
famiglia e, con l'aiuto delle vitamine e la mia buona volontà, sono
arrivato pressappoco come
mi descrivo in questo tema.
''La mia statura è quasi normale e non sono molto robusto, ma il
nonno dice che è meglio essere intelligenti piuttosto che stupidi e
forti. Ho gli occhi celesti e divento spesso rosso, specialmente
quando mi arrabbio. In bocca ho ancora tutti i denti da latte e la
mamma me li controlla tutte le volte che telefona alla sua amica
Giusi, che ha una figlia grassa e sdentata che si chiama Luisella''
Questa Luisella mi era antipaticissima, non tanto per via del grasso,
ma per quella brutta finestra che aveva in bocca e che la faceva
sputare sempre quando parlava. Io avevo una paura terribile,
perdendo i denti, di assomigliare a lei, ma nello stesso tempo non
riuscivo più ad accettarli da quando la mamma mi aveva fatto capire
che non vedeva l'ora che se ne andassero.
- Finalmente è caduto! Ma che cosa ci trovano di bello i grandi in una bocca sdentata?
Comunque il primo dente è finito in una scatola con l'ovatta e l'hanno
mostrato a tutti come se fosse un miracolo. Io controllavo tutti i giorni
il mio buco vuoto e pensavo con orrore a Luisella, quando rideva e
sputava.
Ora, al posto dei miei due ex denti, piccoli e proporzionati, mi ritrovo
degli incisivi che mi fanno sembrare un castoro!
E la mamma, con quell'antipatica di Giusi, a dirle quanto sono
cresciuti bene!
Mi consolo pensando che Luisella ha dovuto mettere un apparecchio
che sembra una museruola a rovescio.
Così la smetteranno di fare quei dannati confronti!
“Le memorie di Adalberto”, Angela Nanetti
Einaudi ragazzi, Trieste, 1995
La misura giusta del “coso”
Da due giorni non sto con Gigi: mi faccio accompagnare a scuola e
riprendere dalla mamma e cerco di arrivare sempre un po’ in ritardo,
così mi siedo nel primo banco che è sempre vuoto perché nessuno ci
vuole stare.
Ma mi sento un verme e mi vergogno tanto.
Ho pensato anche di fare finta di essere ammalato e starmene a
casa, ma ho paura che la mamma mi faccia un interrogatorio di terzo
grado.
A parte la figura con quella stupida dottoressa, da quando ho visto il
“coso” di Gigi sono molto preoccupato: il mio mi sembra troppo
piccolo. Il guaio è che non ne avevo mai visti degli altri dal vero; sì,
quelli delle statue nei musei, quello di papà qualche volta, ma della
mia età i primi li ho visti alla visita medica.
Oggi ho cercato sul libro di educazione sessuale se c’erano le misure
giuste. Macchè! Ti fanno vedere i fiori, il gallo e la gallina, e poi dei
disegni di maschi e femmine, dentro e fuori, ma nemmeno una
fotografia di un ragazzo della mia età.
Potrei chiederlo alla mamma… ma accidenti, come faccio?
Quando uno crede di non avere più speranze e tutto si risolve
sembra una magia.
E’ successo a me ieri. Gigi è venuto a casa mia nel pomeriggio e ha
fischiato davanti al cancello fino a quando non sono sceso.
L’ho fatto entrare e siamo saliti in camera, per tenerci lontano da
orecchie pericolose.
Lui è entrato subito in argomento:
- Che cosa’hai da due giorni? E’ per la faccenda delle mutande?
Accidenti com’è in gamba! Però potrebbe essere anche più gentile, io
non gli avrei mai detto una cosa così in faccia.
Sono diventato subito balbuziente:
- Ma no, figurati… per una visita medica…
- Dì la verità, che non te le eri mai tolte prima davanti a una
donna…
Questa volta mi sono proprio arrabbiato.
- E perché tu? Ti ho visto, sai, che hai smesso di ridere.
- Ma va, sai quanti giornaletti sporchi ho visto io?
- Cosa c’entrano i giornaletti; voglio sapere se le mutande te le
eri mai tolte davanti a una ragazza.
- A mia madre.
Adesso scoppio a ridere io.
- Ma la madre non è una “ragazza”. Anche mia madre qualche
volta mi vede nudo.
- Non me le ero mai tolte, ma non ho fatto una scena come te.
- Sei uno stupido, vattene!
Per poco non mi viene da piangere ancora.
- E dai, non te la prendere! Anch’io avevo vergogna a mostrare il
mio “coso”…
Abbiamo finito per mostrarceli a vicenda e abbiamo concluso che i
nostri “cosi” sono proporzionati alla statura e al peso e che vanno
bene come sono.