Quando fui adulto, mio nonno mi portò, finalmente, nella sua cantina

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Quando fui adulto, mio nonno mi portò, finalmente, nella sua cantina
Quando fui adulto, mio nonno mi portò, finalmente, nella sua cantina. Avevo
già partecipato alla pigiatura dell’uva, ma non m’ero mai chiesto dove finisse
il vino prodotto, poi, il tempo delle mele, la moda e la naturale voglia di
libertà adolescenziale mi aveva allontanato da quelle campagne di cui ora,
appena, riconoscevo il profumo. Lavoravo duramente nella città vicina e le
mie fatiche erano ben premiate: avevo un auto veloce, un appartamento
sempre ben ordinato e l’ultimo modello del telefonino più bello mai creato.
Dall’alto della mia laurea in legge avevo messa la testa sulle spalle e ora
gongolavo tra feste, ufficio, viaggi esotici e aperitivi.
Ero immerso nei pensieri mentre lo seguivo dentro un antro buio e carico di
ragnatele così fitte che si sarebbe potuto cucirle insieme. Camminava lento
nonno di quella calma che solo i vecchi riescono a non rendere estenuante e
quella pacatezza dei movimenti conferiva a ogni suo gesto un non so ché di
sacro.
Nel buio intravidi bottiglie di ogni anno, alcune autoprodotte, altre acquistate
in luoghi lontani, durante i tanti viaggi. Ordinate, composte, che pensai
avrebbe trovata subito quella che cercava. Ma lui, passando oltre quei reperti
polverosi, trasse di tasca una minuscola chiave e aprì una porticina quasi
invisibile in fondo alla sala. Mi fece entrare.
Gli occhi si abituarono alla nuova, maggiore, oscurità e davanti a me si
presentarono decine di scaffali con bottiglie di ogni forma, azzurre, rosse,
verdi e colori che non pensavo potessero esistere, etichette scritte a mano e
colorate. I tappi, delicatamente lavorati erano tutti diversi, nessuna di quelle
bottiglie aveva un suo doppio.
Affascinato da quella meraviglia mi avvicinai a mio nonno che s’era seduto in
un tavolino sopra il quale aveva accesa una candela sbilenca. Mi fece sedere a
mia volta e mi offrì salsiccia e pane casereccio. Assaporai piano, il grasso che
si scioglieva in bocca, i denti che affondavano nel pane, sentivo ogni
sensazione come amplificata.
Poi, finalmente, lui aprì una bottiglia. Credo color bronzo cangiante. Ne uscì
fuori un fumo denso, ben strano per un vino, che pure, versato nel bicchiere,
venne giù limpido e color rubino. Non facendomi frenare da quello strano
fenomeno che continuava a danzare nell’aria non tolsi l’attenzione dal pane
salato e continuai a mangiare.
“Alla salute” e tracannai un sorso. Allora avvenne la magia: Il fumo che
continuava a uscire dalla bottiglia iniziò a prendere una forma strana e la
figura umana che si accennava, ben presto, prese le fattezze della mia nonna
scomparsa molti anni prima, ma non era come la ricordavo, era giovane e
aveva la gonna tirata su fin’oltre le ginocchia annodata grossolanamente, le
mani sui fianchi e con un sorriso d’avorio affondava le gambe ancora forti
nell’uva. Schiacciava e cantava creando una danza antica. Dal tino veniva
fuori l’aroma del mosto, il succo d’uva schizzava le gambe e i vestiti
macchiando di viola ogni oggetto chiaro. Il liquido stillava ancora torbido
attraverso la reticella che faceva da filtro e la nonna, con altre donne,
chiacchierava e sorrideva. Volgeva al nonno uno sguardo carico d’amore e
intesa e continuava a ridere, a pestare e cantare e ancora a ridere. Il suo gilet
nero sembrava l’unica parte pulita, mentre la camicia e la sottogonna ormai
grondavano rosso e gocce che luccicavano alla luce correvano sulle gambe
bianche di Luna. Fu solo al terzo sorso, completamente immerso nella visione,
che intravidi la carrozzina sul fondo e sentii la sua voce: “Ci pensi Franzì? Ci
pensi a quando Simone berrà questo vino? Ah, sarà bellissimo!”
Mi riconobbi nel passeggino, piccolo, avvolto nelle copertine di lana leggera
filate a mano. Le lacrime uscirono da sole, sentii ogni profumo, il vento della
campagna ancora calda di Settembre; udii i canti dalle vigne vicine e piansi,
di felicità, di fiducia, di amore e con gl’occhi lucidi guardai mio nonno che,
riempendo di nuovo il bicchiere, continuò a raccontare la Nostra Storia.