Intervento rifugiato - Emilia
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Intervento rifugiato - Emilia
Testimonianza di un rifugiato M. G. Buongiorno a tutti. Sono M.G. vengo dalla Guinea Conakry e ho 19 anni. Sono qua perchè sono dovuto scappare da casa mia. Un giorno un mio amico è venuto da me per chiedermi di essere il rappresentante dei giovani del quartiere, ho risposto: “Sono il più giovane. Non posso essere il vostro rappresentante”, ma mi ha risposto dicendomi che ero il più conosciuto fra i giovani e che grazie a me avrebbero potuto coinvolgere un maggior numero di persone. Così, dopo alcuni tentennamenti, per far piacere a tanti amici, ho accettato. Il 25 novembre 2005 abbiamo fatto una manifestazione di quartiere nel corso della quale abbiamo incrociato un corteo del Partito di Unità e Progresso (PUP), il partito che governa la Guinea col presidente Lansana Contè. Io ho subito invitato i miei amici a non toccare nessuno, a non cedere alle provocazioni e a continuare con la nostra manifestazione...ma una persona dall'altro corteo è venuto verso di noi e mi ha dato un colpo con la mano. Sono caduto a terra, un mio amico è venuto verso di me e anche a lui hanno fatto la stessa cosa. Così è iniziato il combattimento. Ci sono stati 5 morti. Sono scappato a casa per raccontare a mio zio (che era l'unico parente che mi rimaneva dato che i miei genitori sono morti quando avevo 11anni) quanto era accaduto. Gli ho detto: “Zio, devo uscire dal quartiere per andare in un altro posto”. Lui mi ha portato nella sua seconda casa affinché mi nascondessi lì fino alla mattina, ma la polizia mi ha trovato e mi ha portato in prigione. Mi hanno arrestato e ho lasciato lo zio. Avevo 18 anni. Mi hanno portato in prigione e lì ho trascorso tre mesi e 20 giorni. Eravamo in tre dentro la cella e dentro facevamo tutto: dormivamo, mangiavamo e facevamo i bisogni; potevamo uscire solo una volta alla settimana, il giovedì pomeriggio, per un'ora e mezza, durante la quale pulivamo i vestiti dei soldati e quando avevamo finito dovevamo tornare ancora dentro. Mangiavamo una volta al giorno, al pomeriggio, ci davano riso con sale. Dove dormivamo era pieno di insetti che pungevano, non si poteva dormire bene. È stato così per tre mesi e 20 giorni. Non ho visto lo zio e non l'ho mai sentito. Poi lo zio è riuscito ad incontrare il responsabile della prigione e a convincerlo a prendere dei soldi per farmi uscire. Il responsabile ha detto che quando fossi uscito dalla prigione sarei dovuto immediatamente scappare dal Paese perchè se mi avessero preso di nuovo avrei passato l'intera vita in carcere. Lo zio ha accettato tutto. Ha pagato i soldi e sono uscito il 15 marzo. Mi ha portato ancora nella seconda casa per 5 giorni nell'attesa che i documenti per uscire dal paese fossero pronti. Io ero preoccupato, gli ho detto: “non posso andare via. Non conosco nessuno. Sono giovane, sono uno studente e non voglio lasciare la scuola per andare via così, per fare la mia vita, sono troppo giovane”. Lo zio mi ha risposto: “Se vuoi restare in vita questa è l'unica scelta che hai. Non puoi restare in Africa, non c’è democrazia ed è troppo pericoloso”. Il 21 di quel mese, di notte, sono andato in aeroporto e mi hanno messo su un aereo diretto a Varsavia, in Polonia. A Varsavia sono rimasto più di due mesi, finchè non ho incontrato gli skinhead...mi hanno picchiato, avevo un occhio completamente gonfio, ho perso tutti i miei documenti. Dopo due giorni sono entrato in un bar per prendere un caffè. Ho visto un ragazzo che mi stava guardando in maniera strana. Ho pensato: “anche quello è uno skinhead”. Ho avuto paura e sono andato via. Il secondo giorno sono tornato e ho visto sempre quel ragazzo. In francese gli ho detto: “Perché mi guardi così?”, anche lui parlava un po' francese e mi ha risposto “Sono italiano. Mi chiamo Paolo. Perché sei qua?” In principio avevo paura a spiegare il mio problema perché lo zio mi aveva detto: “Quando vai a Varsavia non devi chiamare casa per un mese. Dopo un mese chiamami e vediamo cosa dobbiamo fare”. Quindi all'inizio ho detto una bugia per non far sapere che ero lì perché avevo un problema a casa, dopo ho visto che erano brave persone e ho spiegato loro i miei problemi. A quel punto il ragazzo mi ha detto che conosceva una persona che lavorava in aeroporto e mi ha chiesto se volevo andare in Italia dove non c'erano razzismo e discriminazione. Avevo solo questa possibilità, questa scelta. Pensavo: “Ho perso la mia vita” non potevo restare così. Avevo solo mille dollari e li ho usati tutti per pagare il suo amico per poter prendere l'aereo senza documenti, così sono arrivato all'aeroporto di Malpensa. Appena sono arrivato ho visto che chiedevano il passaporto e che c'erano tanti poliziotti. Avevo paura ad andare verso di loro. Sono restato fermo lì, piangevo e mi sono fatto la pipì nei pantaloni. Un poliziotto mi ha visto, mi ha guardato ed è venuto verso di me. “Dov’è il tuo documento?”, mi ha chiesto, “non ce l'ho”. Mi ha preso lo zaino e mi ha portato dentro una stanza senza chiedermi nulla. Mi hanno lasciato lì. Dopo 15 minuti due poliziotti sono venuti a trovarmi e mi hanno chiesto perchè ero in Italia. Avevo paura, pensavo che se avessi spiegato il mio problema, mi avrebbero fatto ritornare a casa e così non ho detto nulla, anche perché parlavano solo italiano che io ancora non comprendevo. E' quindi arrivato un ispettore che parlava francese, a lui ho spiegato tutto, allora tutti mi hanno capito e mi hanno detto: “Se è così la tua storia, allora devi chiedere asilo politico”. “Cosa vuol dire asilo politico? Io non conosco asilo politico”. Mi hanno spiegato bene e mi hanno dato una carta da firmare. Dopo mi hanno portato in una piccola città vicino a Milano, Varese. Sono restato lì per tre settimane fino a quando mi hanno trovato un posto a Ferrara. Lì ho fatto tutta la procedura ed oggi ho l’asilo politico. Forse l’anno prossimo andrò all’università. Nel frattempo avevo saputo che mio zio era stato incarcerato e nessuno riusciva più ad avere contatti con lui. Abbiamo provato a contattare la Croce Rossa Internazionale, ma i tempi erano troppo lunghi, finché ad ottobre un amico di mio zio mi ha mandato una mail che conteneva la scannerizzazione di un documento del giudice guineano che certificava la morte di mio zio. L'hanno messo in prigione, l’hanno torturato e l'hanno ucciso. È morto in prigione e la sua famiglia, sua moglie e sua figlia, sono scappate dal paese, sono andate in Senegal perché avevano paura di restare. Il governo si è preso la mia casa, la casa dello zio e tutta la mia eredità, hanno bloccato il suo conto, i suoi soldi. Tutto. Hanno venduto la mia casa. Non posso tornare più nel mio paese. È vero che mi manca tanto il mio paese, è difficile restare qua senza poter tornare e senza poter ritrovare i miei amici, senza rivedere la famiglia. Ma nonostante tutto oggi posso ringraziare Dio perché sto iniziando un’altra vita. Mi trovo abbastanza bene in Italia. Il nostro paese, la Guinea, è abbastanza piccolo, ha 10 milioni di abitanti ma è molto ricco in quanto a risorse minerali. Il nostro presidente, Lasanà Contè è un dittatore che ha fatto un colpo di stato per essere presidente nel 1984 quando è morto il primo presidente, Seku Tourè. È un militare, un generale. La prima elezione c'è stata nel 1994, leader del più importante partito di opposizione era Alfa Condè, del R.P.G. (Rassemblement du Peuple de Guinée). La sua azione e le sue idee sono state contrastate in tutti i modi: Contè ha corrotto le persone vicine ad Alfa Condè affinché mentissero contro di lui e lo inducessero alla fuga. Il leader dell'opposizione, col volto coperto da un foulard come un giovane mussulmano, ha tentato di scappare in Costa d'Avorio ma è stato arrestato prima che varcasse il confine. E' stato in carcere due anni, con la falsa accusa di avere importato armi, e solo l'intervento dell'Unione Europea ha fatto sì che venissero rispettati i diritti umani e fosse liberato. Ma anche adesso la situazione non è migliorata, su youtube si possono facilmente trovare le immagini di come è stata repressa nel sangue una manifestazione di scioperanti nel gennaio 2007. Mi trovo bene qua ma mi manca tanto la mia famiglia, soprattutto lo zio perché io sono qua e non ho più famiglia. La mia famiglia siete voi italiani. Mia sorella, mio padre, tutti. Prima, quando sono venuto qua, pensavo sempre a morire. Adesso non sto così. Mi hanno aiutato ed ora sto un po' meglio. È stata così la mia storia. Grazie.