Avevo un aspetto fantastico, un aspetto da punk

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Avevo un aspetto fantastico, un aspetto da punk
© Mondadori Education
Mary Hooper
Avevo un aspetto fantastico, un aspetto da punk
Quando io e la mamma entrammo in salotto, zia Nancy sussultò e zio Jack emise uno
smorzato – Diamine! – seguito da un – Dev’essere la figlia di Dracula!
Ignorandoli, attraversai con passo pesante il tappeto fantasia e mi accasciai sul
bracciolo del divano. Il mio abbigliamento era decisamente troppo attillato per
potermi sedere.
Mi vidi nello specchio del salotto.
Avevo un aspetto fantastico.
Avevo un aspetto da punk.
Punk da brivido. Indossavo un corpetto di raso nero, allacciato molto stretto, e sopra
un vestito lungo di velluto nero, aperto fino alla vita. Sotto il vestito indossavo una
pesante calza a rete nera, e un paio di stivali massicci; e sopra tutto il resto portavo un
mantello nero.
Cadde il silenzio mentre mi facevano accomodare, poi la mamma disse piano: – È
l’età, sapete. Tredici. Noi siamo convinti che la cosa migliore sia ignorare questa
fase.
– Hai ragione, probabilmente – disse zia Nancy, scuotendo la testa con fare triste,
rivolta verso di me. – Speriamo solo che ne esca il più in fretta possibile.
– Parla? – chiese zio Jack.
– Non sono sorda, sapete – dissi io, guardando torva tutti i presenti, che stavano
discutendo di me come se fossi stata un mobile con i tarli. – Ci sento e parlo.
– Meglio così – disse zio Jack con un sorrisetto – perché con tutta quella roba nera
attorno agli occhi non credo che tu riesca a vedere qualcosa.
Si guardò attorno in cerca di approvazione per la spiritosaggine, e mamma e zia
Nancy ridacchiarono.
– Ma sotto sotto è ancora la nostra piccola Felicity – disse mamma.
– Per favore!
– O Flicka, come le piace essere chiamata ora – aggiunse la mamma, veloce. – E di
sicuro il giorno del matrimonio non avrà lo stesso aspetto di oggi. Statene certi.
– Be’, non credo che a lei farà molto piacere mettersi ciò che Joy vorrebbe che
indossasse – disse mia zia, preoccupata.
– A lei non farà piacere? – dissi io. Mi hanno sempre insegnato che “lei” è la madre
del gatto, qualunque cosa questo significhi. Credo che voglia dire che chiamare
qualcuno “lei” in sua presenza sia segno di maleducazione; e in quel caso la zia
Nancy era stata molto maleducata.
Mi guardò attentamente. – Quel rossetto è nero, no? – disse piano.
– E che cos’è quella cosa sul collo? – aggiunse zio Jack.
– Un tatuaggio – risposi. – Una ragnatela tatuata.
– Non è uno di quelli veri! – aggiunse la mamma, veloce. – Non le lascerei rovinare
la sua vita in quel modo. È un tatuaggio lavabile.
– Lavabile, eh? – disse mio zio. – Scommetto che quel coso non vede molto sapone.
Feci finta di non sentire, perché ero già imbarazzata da morire per il fatto di avere un
tatuaggio lavabile. Era come avere i capelli biondi, o dei ragni di plastica nella
stanza. Che io avevo, a dire il vero – i ragni, non i capelli biondi – perché quelli veri
sarebbero stati molto più spettrali e rivoltanti, ma io dei ragni avevo paura.
– Non avrà quella... quella cosa sul collo il giorno del matrimonio, vero?
– Ovviamente no – disse la mamma.
– Grazie al cielo – aggiunse mia zia, fingendo di farsi aria, con sollievo. La guardai di
nuovo in cagnesco1. Non è che lei avesse un gusto squisito o roba del genere; per
esempio, vogliamo parlare del disgustoso tappeto con le spirali arancioni del suo
salotto, o delle foto appese al muro di cavalli che corrono tra le onde, o delle sedie
marroni e pelose? Roba da brividi, sul serio.
Mary Hooper, in AA.VV., Tredici, Fabbri
1. in cagnesco: in modo ostile.