022. Mio zio Benito Nella ricca gamma dei parenti che la mia
Transcript
022. Mio zio Benito Nella ricca gamma dei parenti che la mia
022. Mio zio Benito Nella ricca gamma dei parenti che la mia famiglia si vanta di ospitare a bottega, e tutto il mondo è cortese per quanto si tratti solo di principi, appena dietro le ortensie mammole, appena sopra gli zerbini panici, lo zio Benito è sempre stato fra i più simpatici in assoluto, nonché uno dei miei favoriti. Per sopire sul nascere gli ovvi malintesi che già sento pullulare in testa, ornamento dal filo a pettine una testa sempre in ginocchio, l’evaporazione che già sento vorticare in certe pastasciutte dal sottopiatto al burro, dal soffritto gramo… ma non sarà mica uno di quelli là questo qua? …intendo precisare fin da ora che lo zio Benito pervenuto al pubblico tripudio, a seguito d’una maratona manomessa poco oltre il fiume Aniene… e respiro, sia un impostore varato dal tempo e non abbia niente da ridire con l’altro, quello da considerarsi il solo vero. 1 L’autentico mio zio Benito è colui il quale voleva fare grande Brazzaga o consumarsi di nostalgia 1 I puristi del tempo sincronico obietteranno che maratona e marcia sono due passatempi dalla sottoveste differente, e che necessitano ciascuna d’una sella decisamente ubiqua, dalle scarpette chiodate nel baule alla pezzatura della bistecca. Ma noi dilettanti ci accontentiamo della genericità, è il nostro sedile meno impegnativo. Per cui si faccia molta attenzione a non decantare troppo le qualità istrioniche di certi avventurieri occasionalmente stagionati in botti di ciliegio, e si concedano i propri favori unicamente ai condottieri più affidabili di spirito, a quanti garantiscono come minimo un ventennio di successi fastosi tra le ciliege, la Coppa dei Campioni affettata sottobraccio, ma soprattutto un pensionamento al riparo dalle corde tese del ring. Che due volte su tre portano solo grappoli di pugni alzati. Anche se poi non l’hanno mica fatto apposta i coppieri, con tutto il rispetto per l’umanità della briscola, credevano fosse Napoleone a cavallo. Se va bene invece alle corde ci mettono i salami buoni e potrebbe anche valerne il rischio, tenendo comunque in conto che per farsi un buon salame con la muffa bianca ci vuole anche un certo tempo, il suo. Aggiunta del C.d.T. che stavolta non l’ha chiesto. A me questo discorso sa di rogito botulino. Dai… uno zio che si chiama Benito non ce l’ha mai avuto nessuno. Mi ricorda la storia delle pampogne sotto i banconi del bar... Cfr. accidente n. 011. Il Nullo. E poi soprattutto perché ho studiato in anagrafe… Allora… Benito come Benito Juàrez, rivoluzionario e presidente del Messico… Amilcare come Amilcare Cipriani, socialista patriota… e Andrea come Andrea Costa, leader del Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna. Quando si dice il destino nel nome. Non sa un po’ di balera tutto questo? Di salsicce con i ciccioli? Siamo brazzaghesi, noi, mica americani alle Hawaii con il cotechino sfoderato di nutria. 226 canaglia. E a motivo della vanagloria così sciaguratamente fatta propria, è stato incarcerato in un buco svizzero fino alla fine della nostra guerra santa, assieme ai suoi lunghi baffi neri del tutto rasati all’occorrenza, a una grattugia per copertoni reggiani, a due ronchine nelle mutande… sempre per copertoni reggiani, e al suo contegno di uomo in ogni caso felice. Perché lui di guerre ne ha attraversate addirittura due, con lo stesso Philips infilato nel bagaglio a mano. «E la terza?» si chiedeva con insistenza. Suo padre gli aveva insegnato che non c’è due senza tre, per cui la terza sarebbe di certo capitata di corsa. Bisognava solo avere la pazienza sufficiente per vederla giungere al galoppo… molta pazienza sufficiente per vederla giungere al galoppo… e il tempo avrebbe risolto ogni disguido tecnico come pare sappia fare solo lui. La cavalleria avrebbe ripreso il bel colore sotto le stelle pizzicagnole, le sue targhe rotanti, e avrebbe rifatto il furore che si merita. Altroché Panzer-Division… quelli vanno bene soltanto per benedire i campi. 2 2 N.d.C. Parlando col maestro l’altro giorno salta fuori che questo suo autentico zio Benito da piccolo era anche una testa calda, uno che frequenta il collegio salesiano di Faenza nel 1892, ma siccome è rissoso come un istrice e si porta una bella ronchina nelle mutande, ne viene espulso già dal 1894. Iscritto poi dalla madre alla Regia Scuola Magistrale maschile G. Carducci di Forlimpopoli come solo lei pare sapesse fare, consegue il diploma di maestro elementare nel 1901, malgrado i frequenti sgritch a Ginevra per contemplare il big bang da vicino e la ovvia condanna per renitenza alla leva (fu poi amnistiato dal sindaco per festeggiare un rarissimo parto gemellare di vitelli albini). Su in Svizzera impara la mossa dell’Arturo, mani rivoluzionarie sui fianchi, petto in fuori, mento in alto, ed inizia a familiarizzare col concetto di sindacalismo alla jolie rouge. Come… non vuoi fare il milite ignudo ma il militante con l’alzabandiera sì? Fatto sta che poi i baffi se li sputtana tutti nel X reggimento Bersaglieri di Verona. Giornalista, vero eretico, homme qui cherche, romanziere e agitatore anarchico, garzone di bottega e operaio alla ferrovia, ancora non ha capito bene cosa fare della vita. Per arrivarci inizia ad occuparsi di questioni sociali, come fanno un po’ tutti a questo mondo. Idee chiare sul colonialismo innanzitutto, un «atto di brigantaggio internazionale», ma in colonia lui non c’era mai stato. Si iscrive al Coniglio Pastorale e ne diviene in breve l’elemento di spicco, ne dirige le operazioni di propaganda cartacea, i santini, i segnaposti, tira fuori qualche idea niente male sui reggiani protomassoni o scroto-coglioni fa lo stesso, ma è un convinto non-interventista quando si inizia a parlare nei circoli di dichiarare guerra a Reggio Emilia. Emblematico è l’editoriale del Foglio Brazzaghese del 26 luglio 1914 dal titolo Abbasso la guerra, dove tutti quanti conoscendolo leggemmo tra le righe, viva la... Salvo poi cambiare idea, che uno ha tutto il diritto di ripensarci, introducendo il chiaroscuro michelangiolesco di «neutralità attiva ed operante», ovvero si fa finta di essere eunuchi da palazzo, si carpisce la fiducia delle cuciniere… e via di saponetta! Così si rovescia il sistema delle sottane borghesi, diceva. Si arruola infatti volontario nella Seconda Guerra di Brazzaga (1915-1919) e zampogna da eroe a destra e a manca, rifiutandosi persino di piegarsi all’Alka-Seltzer dopo un ferimento da frittura, a motivo del quale venne congedato. Nel frattempo lo cacciano fuori dal Coniglio Pastorale, e il 23 marzo 1919 in Piazza San Sepolcro decide allora di fondarsi un suo bel circolo dall’alto predellino, con l’appoggio del quadrumvirato di Antonio Similari, 227 «In alto i cuori!» era il suo motto. Qualunque disgrazia potesse succedergli, lui non s’affliggeva mai. «In alto i cuori e pe-da-la-re! …che la salita poi ridiscende.» Anche il Pordoi, parrebbe, ad arrivarci ancora umani. Aveva perso la seconda moglie in un pagliaio e sebbene non disperasse di trovarne presto una terza in cambio, era comunque rimasto segnato dall’alcool. C’era il tre per due all’Esselunga di Lodi ed avevamo fatto il pieno all’auto. Perché no? ci dicevamo nei soliti circoli, cosa vuoi che sia una cassa di buon ginepro in una giungla d’asfalto, e partimmo. Per questo motivo si mise a diffidare parecchio delle ciliegine messe sotto spirito da noi giovani battipanni, amanti ed armati. Ma se le mangiò proprio tutte, anche quelle spedite in pacchi anonimi dai vicini rovesci, forse per rinnovargli quel po’ di coraggio in dispensa, cosa non si fa per un vicino, o per farlo uscire del tutto di testa e poi rubargli il parcheggio all’ombra. Cosa non si fa per un parcheggio all’ombra. Del resto i tigli sono alti… a milioni di milioni… «In alto i cuori! …e per fortuna che ci sono i figli ve-lo-ci-pe-di! …assi di bastioni della vecchiaia gaglioffa… fanti di coppe dolci col manipolo d’appoggio, venturi guastatori di residenze tem-po-ra-ne-e per veterani sgaribaldati dalla briscola… e… come si dice in barche svizzere timonate da Dio, integerrimi compagni di vi-ra-te!» I suoi numerosi figli lo adoravano appunto come il padre che mai avevano visto per casa. Erano in sette i marmocchi e s’erano fatti tutti onesti lavoratori della domenica. Chi al mattino… il prete… a sua volta seguace di F.T. Marinetti con la mania dei Marvel: i Paschi di Combattimento. «Noi siamo, soprattutto, dei libertari cioè della gente che ama la libertà per tutti, anche per gli avversari. Faremo il possibile per impedire la censura e preservare la libertà di pensiero e di parola, la quale costituisce una delle più alte conquiste ed espressioni della civiltà umana». Si presenta alle elezioni con un programmino niente male, chiede il suffragio universale (più sottane al seggio), la riforma elettorale in senso proporzionale (più sottane al seggio), il voto dalla tenera età di 18 anni (più sottane giovani al seggio), la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore, i salari minimi garantiti, cooperative di lavoratori per gestire i servizi pubblici, la progressività della tassazione… Similari tuttavia si rivela presto troppo irruente per la sua causa, ama gli assalti frontali, le imprese eclatanti, i voli pindarici su Vienna senza il profilattico, imprese impossibili sul fiume Po, e anche un po’ la poesia. Lo zio pur biasimandolo, recluta un esercito di prodi arditi e raccoglie un sacco di materiale bellico e pop-corn di varia natura per prevenire un possibile contrattacco comunardo, o da rivendere alla pesca dell’Adelina, era da decidersi. «Patti chiari e amicizia lunga!» era lo slogan. Poi «Chi vola vale, chi non vola c’è il badile.» …o anche «La conserva sa di tappo, dai su fatti anche tu cosacco!» Gli aderenti ai Paschi indossano camicie amaranto per districarsi i coglioni e prendono a girare in squadre composte da undici camerati più riserva che definiscono, a seconda di dove guardano, l’«avanguardia» o la «retroguardia». Ma la violenza è davvero troppa, entrate a gamba tesa, sgambetti di soppiatto, transumanza di maiali per dispetto e tanta, tanta cerbottana. Tant’è che il fenomeno venne definito dalla solita concorrenza, a turno, «atti di squadrismo», «campionato» o anche «vacàdi». 228 che non ci sono solo i ladri e le puttane la domenica al lavoro… chi invece la notte inoltrata, i ladri, le puttane e anche il prete… che non ci sono solo profittatori la domenica al lavoro. Ciò nondimeno allo zio rimase sempre un discreto rammarico passatista per non essersi dimostrato all’altezza di concepire il terzo figlio, dato che era giusto passato dal secondo al quarto senza ottenere medaglia. Per tanto che si adoperasse in ogni modo al fine di renderne la vita agevole, anzi per dargli una vita qualunque, un sellino al vento, il sedizioso terzista non ne voleva proprio sapere di far capolino dal marsupio di mamma. Rimase lì fin oltre i quarant’anni antropici, quando una folata di vento se li portò via entrambi salterellando, e scaricandoli poi ai Caraibi là in fondo l’uno, dai Carabinieri a cavallo l’altra. «In alto i cuori! …basta modificare la numerazione ordinale e il quarto di-ven-te-rà terzo! …il quinto ad-di-rit-tu-ra quarto! …e così via fino all’ultima goccia del mio sangue patereccio. Prodigi cicatrizzabili ago e filo, piantagioni di vita cesarea. E-si-va… ch’è una battigia.» Noi naturalmente eravamo consapevoli che ciò non sarebbe stato sufficiente a riempire quel vuoto che percepiva intorno. E forse anche lui lo sospettava un poco, nonostante si sforzasse di mostrare in pubblico quanta buona impressione gli destasse il proprio vigore ottimistico tra le ciliege, dal mattino alla sera dopo la pastiglia. Il raccolto di lupini del Duemilauno andò tutto perduto a causa d’una stagione aridissima, comparabile solo a quante si ricordavano appartenere per definizione ai tempi dell’oscurantismo a termometro, veneziano e non solo quello. 3 Per la verità l’estate del Duemilatre fu 3 N.d.C. ‘Sti cazzo di lupini… cfr. G. Verga, I Malavoglia, Treves, Milano 1881. Perché a uno gli girano le particelle a leggere certe cose. Il maestro viene lì e mi fa… «armando…» quando io invece facevo il proletario a Lugano, l’agitatore di piazza… «entro sera mi leggi il tomo che fa cultura più della passera trasandata, e a me, sai, piace tanto avercela intorno.» Ambiguo come soggetto femminino, pensai, che può arrivare ad offendere la sacralità del silenzio. «E mi reciti anche il riassunto come il Vangelo la domenica, le tabelline per le scale.» Io tentenno, non sprizzo enfasi, salgo e scendo gli androni come un Carabiniere a due teste. Mi dispero, vado a nascondermi in cantina, piango sul latte versato... Addirittura leggo il testo. Poi mi invento una storia dove a un pescatore che ha la sua bella famiglia santa, la sua bella casa santa, e vive secondo i dettami di un’etica condivisa e raccomandata alla Provvidenza santa, succede che ad un certo punto arrivano gli americani e gli prendono anche il criceto, maledetti voi e il vostro capitone. C’è anche uno zio Crocifisso nella mia storia che s’attira disgrazie come in croce e le riveste d’una bella camicia rosso Marlboro. Culattone. Il maestro ascoltò, sorrise e mi disse… «armando… il destino è ineluttabile, ma la sfiga si lascia dilazionare. Un po’ per pagina, o fai tu, ma sappi che ad un certo punto l’aridità si slimona. Come le femmine. E non ce ne frega niente se i lupini vanno al mare, tanto fanno schifo in partenza.» Parole sante. Solo che intanto io cosa mangio? Resta solo la cultura della passera trasandata, cosa non si fa per un po’ di figa all’ombra… sfamerà come quella americana? Lo zio Benito pensò bene di farci una rivoluzione, e tra il 27 e il 31 229 ancora più arida, ma lo zio Benito sostenne a lungo, ricorrendo alla formidabile elettricità che sapeva infonderci nelle sue vibranti postille a schiena dritta, petto in fuori, braccia sui fianchi, che il Duemilauno è l’unico anno ancora compatibile con un’odissea nello spazio di buona fat-tu-ra… cioè vi-si-va-men-te affine alla qualità fo-to-gra-fi-ca dello sbarco sulla Luna! Che Duemilatre non s’intona af-fat-to alla metrica fattucchiera della perifrasi in questione, e lo capirebbe anche un tacchino da primi di luglio. E se è stato così per ven-t’an-ni non c’è motivo di strangolarne i re-qui-si-ti a-cus-ti-ci proprio adesso che fa sera sugli altari! Tanto più da parte di dilettanti in ambito ci-ne-ma-togra-fi-co che farebbero meglio a mettersi la cuffia dell’Anicagis. È solo questione di talento e verità. E di verità ce ne sta sempre una sola in testa. Anche di cuffie. 4 ottobre 1922 organizzò una marcia dal numero compreso fra i trentamila e i trecentomila iscritti, a seconda del lato da cui li si contava, insieme ai già noti quadrumviri Bertazzoni, Morselli, Sganzerla e Similari. Lui però in treno… Diomede in Alfetta, Morselli in bici, Floruro con l’Ape, Similari in triplano… insomma una maratona adulterina. Il sindaco fu costretto a cedergli le sue assistenti di poltrona e lo zio fu dunque Presidente del Consorzio dal 31 ottobre 1922 al 25 luglio 1943. Nel gennaio del 1925 decise di farsi un impero e occupò le piazze di Bondeno e Palidano, e il 6 maggio 1936 ne proclamò infine la nascita. Da allora ogni documento ufficiale verrà vergato con tre date in calce, quella dell’Indovino Gregorio, la numerazione progressiva a partire dal 28 ottobre 1922, giorno della marcia cauda, e la numerazione progressiva dalla fondazione dell’impero. Poi non ci vengano a dire che la matematica non serve mai a nulla. Con noi non attacca. 4 N.d.C. Per completezza si riporta di seguito il discorso d’insediamento al Consorzio dell’autentico suo zio Benito: «Signori, quello che io compio oggi in questa aula è un atto di formale deferenza verso di voi e per il quale non vi chiedo nessun attestato di speciale riconoscenza. Da molti, anzi, da troppi anni, le crisi di governo erano poste e risolte dalla Camera attraverso più o meno tortuose manovre ed agguati, tanto che una crisi veniva regolarmente qualificata come un assalto ed il Ministero rappresentato da una traballante diligenza postale. Ora è accaduto per la seconda volta, nel breve volgere di un decennio, che il popolo italiano - nella sua parte migliore - ha scavalcato un Ministero e si è dato un governo al di fuori, al di sopra e contro ogni designazione del Parlamento. Il decennio di cui vi parlo sta fra il maggio del 1915 e l'ottobre del 1922. Lascio ai melanconici zelatori del supercostituzionalismo, il compito di dissertare più o meno lamentosamente su ciò. Io affermo che la rivoluzione ha i suoi diritti. Aggiungo, perché ognuno lo sappia, che io sono qui per difendere e potenziare al massimo grado la rivoluzione delle camicie nere (voleva dire amaranto), inserendola intimamente come forza di sviluppo, di progresso e di equilibrio nella storia della nazione (applausi). Mi sono rifiutato di stravincere, e potevo stravincere. Mi sono imposto dei limiti. Mi sono detto che la migliore saggezza è quella che non vi abbandona dopo la vittoria. Con trecentomila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il Fascismo (voleva dire il Paschismo). Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli... (applausi) …potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti (voleva dire di paschisti). Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto. … Prima di giungere a questo posto da ogni parte ci chiedevano un programma. … Non tratterò tutti gli argomenti, perché 230 È anche vero però che l’abitudine alla marea a lungo andare può farsi regola, su e giù, alta o bassa non cambia la vita di nessuno. Ma questa regola, pratica o scomoda in alcuni casi di scorbuto, di malaria endemica o addirittura di psicosi del grillo-talpa, noiosa per alcuni capretti con i pizzi che s’incastrano, ma indispensabile per quanti si portano il piede di porco in tasca, la ronchina nella stiva e anche in questo campo, preferisco l'azione alle parole. Gli orientamenti fondamentali della nostra politica estera sono i seguenti: i trattati di pace buoni o cattivi che siano, una volta che sono stati firmati e ratificati, vanno eseguiti. … I trattati non sono eterni, non sono irreparabili: sono capitoli della storia, non epilogo della storia. Eseguirli significa provarli. Se attraverso la esecuzione si appalesa il loro assurdo, ciò può costituire il fatto nuovo che apre la possibilità di un ulteriore esame delle rispettive posizioni. … Stabilito che, quando siano perfetti, cioè ratificati, i trattati debbono essere lealmente eseguiti… noi intendiamo di seguire una politica di dignità e di utilità nazionale (applausi). Non possiamo permetterci il lusso di una politica di altruismo insensato o di dedizione completa ai disegni altrui. Do ut des (applausi). … Non abbiamo il cattivo gusto di esagerare la nostra potenza, ma non vogliamo nemmeno per eccessiva ed inutile modestia diminuirla. … Ma perché ciò sia, è necessario uscire una buona volta dal terreno delle frasi convenzionali: è tempo insomma di uscire dal semplice terreno dello spediente diplomatico che si rinnova e si ripete ad ogni conferenza, per entrare in quello dei fatti storici... Una politica estera come la nostra, una politica di utilità nazionale, una politica di rispetto ai trattati, una politica di equa chiarificazione… non può essere gabellata come una politica avventurosa o imperialista nel senso volgare della parola. Noi vogliamo seguire una politica di pace: non però una politica di suicidio. A confondere i pessimisti, i quali attendevano risultati catastrofici dall'avvento del Fascismo (voleva dire Paschismo) al potere, basterà ricordare che i nostri rapporti sono assolutamente amichevoli con la Svizzera ed un trattato di commercio che sta in cantiere, gioverà quando sarà ultimato a fortificarli… (agita sul banco un quartino di groviera). Le direttive di politica interna si riassumono in queste parole: economie, lavoro disciplina... Regime della lesina: utilizzazione intelligente delle spese, aiuto a tutte le forze produttive della nazione, fine di tutte le residuali bardature di guerra. … Non intendo cullarmi nei facili ottimismi. Non amo Pangloss. … Le grandi città… sono tranquille: gli episodi di violenza sono sporadici e periferici, ma dovranno finire. I cittadini, a qualunque partito siano iscritti, potranno circolare: tutte le fedi religiose saranno rispettate, con particolare riguardo a quella dominante che è il cattolicesimo, le libertà statutarie non saranno vulnerate, la legge sarà fatta rispettare a qualunque costo. … Chiediamo i pieni poteri perché vogliamo assumere le piene responsabilità. Senza i pieni poteri voi sapete benissimo che non si farebbe una lira - dico una lira - di economia. Con ciò non intendiamo escludere la possibilità di volenterose collaborazioni che accetteremo cordialmente, partano esse da deputati, da senatori o da singoli cittadini competenti. Abbiamo ognuno di noi il senso religioso del nostro difficile compito. Il paese ci conforta, ed attende. Non gli daremo ulteriori parole, ma fatti. Prendiamo impegno formale e solenne di risanare il bilancio e lo risaneremo. Vogliamo fare una politica estera di pace ma nel contempo di dignità e di fermezza e la faremo. Ci siamo proposti di dare una disciplina alla nazione e la daremo. Nessuno degli avversari di ieri, di oggi, di domani si illuda sulla brevità del nostro passaggio al potere (applausi). … Non v'è dubbio che in questi ultimi giorni un passo gigantesco verso la unificazione degli spiriti è stato compiuto. … Lavoriamo piuttosto con cuore puro e con mente alacre per assicurare la prosperità e la grandezza della patria. Così Iddio mi assista nel condurre a termine vittorioso la mia ardua fatica (applausi).» 231 sanno prenderla su tutta in una volta, può essere elevata a decreto del pasteggio divino, a legge fisica latte e biscotti, con il suo tacco del quindici da intingere seppia e piselli. Una metafisica già abbronzata e distesa sul lettino del posto che canta…. E dimmi trentatré, tesoro… Come una balena tedesca che gioca a biglie con il custode filippino, una governante inca dalle basette di lana. E se le mucche ne hanno quattro… chissà il Padreterno… Come particelle in gita premio a Ginevra che se non stai attento s’infilano pallini usati fino al traforo del Gran Sasso. Una nuova abitudine inoltre potrebbe addirittura creare una regola del tutto diversa da tenere in tasca, che adesso non vale nemmeno più la questione degli accenti sul sé, dei nodi messi al fazzoletto. Come una piscina coi trampoli che si spostano sempre e solo al momento buono. Li guardi e stanno fermi. Bordi di vasche troppo inedite per il nostro aggressivo regime alimentare, o graditi soltanto agli occhi strabuzzati di chi regge l’osservatorio astronomico dalla torretta. L’Archilice in carica per noi di Brazzaga. Ma non è proprio il caso ora di tornare a cercare l’ago in quel pagliaio che ha fatto appena la nostra di solitudini, ma che non ha nemmeno saputo restituire un corpo d’oltre quarantacinque chili ben distribuiti, tette piccole, fianchi moderatamente larghi e un marsupio rigonfio di quarant’anni a sbuffo, malgrado l’intercessione fosse stata richiesta agli esperti abilitati, sant’Antonio e san Giuseppe. 5 5 I due consulenti di solito agiscono separati e in ambiti caratteristici. Ma quando si cerca qualcosa andata persa, non c’è niente di meglio del lavoro in equipe, Sant’Antòni San Giusèff, fèmm catàr kóll’c’ò pèrs, e qui a Brazzaga non siamo certo sprovveduti. Molti di noi infatti conoscono il francese fin dall’oratorio, chercons la famme, e conoscevano in profondità la stessa madame al momento dispersa. Tornava da una gita a cavallo nei boschi, una gita tra i baschi… Pertanto mettetevi il cuore in pace, non c’è santo che tenga: la suddetta signora resta tutta dov’è e così pure le escrescenze ossee dello zio. Quantunque si sostenga con forza che queste ultime si mostrino maggiormente affini ai capelli di ciascuno di noi esemplari maschi, di quanto al contrario non lo siano rispetto al corpo cosparso dei Carabinieri. Per questo chi ce li ha va spesso dalla parrucchiera. A scanso degli ennesimi equivoci, garantisco direttamente io che l’aggettivo «osseo» può essere utilizzato con profitto anche per indicare un materiale corruttibile, se non proprio di puro osso equino, quantomeno qualificato da una durezza in qualche modo compatibile. Aggiunta del C.d.T. Ad augurarsi troppi santi per volta si corre spesso il rischio di fare la fine di Pinocchio… come lo zio Benito che approfitta dei disordini seguiti al delitto Galeotti per controllare tutto il business, e promulga una serie di misure dette «pasciutissime». L’11 giugno 1925 dà inizio alla battaglia nel grano in vista dell’autosufficienza agricola del territorio di Brazzaga; tra il 1928 e il 1932 bonifica i territori paludosi di golena debellando tra l’altro malaria, pellagra, fisarmoniche zingare e scabbia; avvia la costituzionalizzazione degli usi e costumi mafiosi attraverso prefetti di ferro dai metodi decisi, come tortura, ricatto, minacce, estorsioni, cattura di ostaggi; il 4 febbraio 1926 scioglie il Coniglio Pastorale e quello Comunale, Consorzio per tutti; il 3 aprile 1926 abolisce il diritto della pausa caffè, scioperati! Organizza i ragazzi tra gli 8 e i 18 in tornei di calciobalilla, inibendo tutte le 232 Lo zio Benito perse il primo braccio durante un forte temporale estivo, tra lampi e tuoni. Aveva cercato di trattenere la Visa di Pinotti investita da una feroce ondata di piena, ma non c’era riuscito. Così si era rifugiato in chiesa a riposare un attimo, mentre un tronco di tiglio inalberatosi d’improvviso s’abbatteva sul campanile schivo. Infine il fiume era rientrato negli argini come se niente fosse, e lui era tornato a casa a dormire. Il mattino seguente non si trovava più il braccio. «In alto i cuori! Se le braccia in dotazione al soggetto sono in nu-me-ro-di-du-e! …perché sono sicuro che sono due, senza dubbio ne arriverà un terzo prescritto. L’esercito offre in ogni tempo la massima cura ai propri polloni frut-ta-ti! …biondina, mora o caffèlatte che sia. Per cui non disperate se ho perso il primo! Ben presto mi vedrete come sempre salutare a due mani capaci! Diritto lif-ta-to… e rovescio vin-cen-te!» 6 L’unico terzo che arrivò spedito, un Jimmi Connors dei bracci, niente da dire sui tempi morti ma poca polenta da funghi, riguardava invece l’ammontare complessivo della sua attesa pensione d’invalidità. Ma neppure questo lo mise di cattivo umore. Lo zio sorrideva in ogni occasione, senz’altro riconoscente ad iniziative giovanili, tranne la confessione del sabato pomeriggio e la masturbazione per aver qualcosa da confessare; l’8 ottobre 1926 instaura il corsivo aggiunto del cavalier Calciolari e il confino a Bondanello; il pascio è dichiarato nuovo simbolo del Comune; nel 1927 introduce la tassa dello scapolo, premi agli sposi in gettoni d’oro, medaglie di natalità (barbe da babbo Natale con l’elastico giallo); presenta alle elezioni del 24 marzo 1929 un listone con luminarie natalizie. Ma qualcosa di buono l’ha pure fatto, si sente spesso dire dello zio: nel 1933 crea associazioni pensionistiche, casse infortuni, le corporazioni, vari premi culturali tra cui la coppa del nonno (poi Leone d’oro) che dal 1934 fu acquistato dalla Nestlè. Poi la legge 22 marzo 1934 n. 654 a tutela della maternità delle lavoratrici, la legge 26 aprile 1934, n. 653 a tutela del lavoro della donna e del fanciullo, che stabiliscono il diritto alla conservazione del posto di lavoro per le signorine incinte, una licenza premio prima e dopo il parto gemellare di vitelli albini, permessi obbligatori per l’allattamento, e per le aziende con più di 50 capi l’obbligo di predisporre adeguate sale mungitura. Nel 1935 istituisce il sabato paschista, e fu proprio allora che nacque la disco-music. Grazie. 6 N.d.C. Il 28 ottobre 1922 lo zio rischia seriamente la vita a Milano, dove un calciatore infervorato inciampa e lascia partire inavvertitamente un calcio di punizione che gli sfiora l’orecchio; il 4 novembre 1925 il sig. T. Zaniboni si apposta alla finestra di un albergo ma arriva la Polizia, meno male che non erano i Carabinieri; il 7 aprile 1926 la sig.ra V. Gibson gli spara un colpo a bruciapelo, ma ustiona solo quelli del naso; l’11 settembre 1926 il giovane marmista anarchico, sig. G. Lucetti, lancia una bomba a mano sulla cappotta della sua auto, ma rimbalza; il 31 ottobre 1926 partecipando ad un corteo con auto scoperta lo zio viene ferito da un proiettile. Veramente gli si lacera la sciarpa dell’Ordine Mauriziano, ma il presunto colpevole, il sig. A. Zamboni di ben quindici anni, venne linciato sul posto e non seppe più dire se aveva mirato anche lui ai peli del naso o proprio alla sciarpa. Peccato. Da quel giorno tutti gli Zamberletti, Zanichelli, Zampaglioni e Similari, emigrarono in val Dimarca per prevenire vendette. C’è del marcio in val Dimarca… ripeteva lo zio ad ogni riunione condominiale. C’è del marcio in val Dimarca… ripeteva ogni volta che saltava fuori la storia del duomo di marzapane. Cfr. accidente n. 007. Un paese di maniaci. 233 una sorta di paralisi ai muscoli facciali sopraggiunta durante la mescita della sorella. Ed essendo proprio quella la natura specifica che riteneva essergli stata concessa in opera dal destino, ovvero il risultato d’una sua scelta ardimentosa in quanto supereroe col pigiama, la volontà d’un fato parrucchiere, se vogliamo, ma il suo, non intendeva certo sottrarsi al mandato. Come il Joker di Barman, raccontava ai nipoti un po’ spaventati dal suo ghigno, come il culo di Tarzan. «Che i cuori restino sempre il più in alto pos-si-bi-le! …a dispetto di tutto il male dell’universo! …e via di cac-cia-tor-pe-di-niere-ag-giun-to! …con le sue grosse palle incastrate in quintane di cristallo che prima o poi... E pallini o-vun-que! …come le tabelline.» Il caro zio era poi un accanito tifoso dell’Internazionale, molto pio sull’argomento deputato, e si portava sempre in tasca un numero sacrilego di caramelle al miele, al latte, al solo scopo di convertire al sistema euclideo noi poveri bambini sperduti in geometrie ellissoidali, ancora così influenzabili dal nemico rabarbaro in perenne agguato, ancora facile preda delle variabili al mentolo, i buchi neri dall’insidia orzaiola. Generazioni intere di fanciulli brazzaghesi avrebbero potuto compiacersi per gl’innumerevoli successi juventini, per il salumificio del Milan, per le saltuarie imprese della teoria evolutiva ai danni del più becero creazionismo di matrice maniacale, e su e giù per quelle rette ortogonalizzabili in superfici piane ripiegate a manetta… per il Verona di Bagnoli, la Sampdoria di Boskov... E così infatti avvenne. Solo io ascoltai lo zio, anche perché era mio zio e di nessun altro, e quindi dava le caramelle per cantare l’Internazionale soltanto a me. 7 Vorrei tuttavia soltanto magnificare le qualità spirituali d’un 7 Ma non si dica che fosse un intollerante, il caro zio. Disprezzava piuttosto la politica razzista dei suoi colleghi di merende. A lui piacevano invece tutte, le figlie dei marocchini, quelle dei pakistani, dei cinesi… tutte. In verità gli stavano bene tutti i popoli tranne i reggiani coi loro erbazzoni, quindi dal 1938 inizia ad introdurre «spedienti» segregazionisti che tutti i critici incautamente scambiarono per spiedini razziali. Ma sono reggiani… cazzo! Aggiunta stomacata del C.d.T., l’erbazzone sa di tappo. È stata piuttosto solo l’antifona della sua caduta di stile. Da lì a poco, il 10 giugno 1940, dichiara infatti guerra a Reggio Emilia, iniziando la già nota terza guerra di Brazzaga (cfr. accidente n. 018. La 3ª guerra, o le vacche di Brazzaga hanno le gambe lunghe.) come segue: «Combattenti di terra, di mare e dell'aria. Camicie nere (voleva dire amaranto) della rivoluzione e delle legioni. Uomini e donne d'Italia (voleva dire di Brazzaga), dell'impero e del regno d'Albania (c’era pieno d’albigesi). Ascoltate! Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. (voleva dire di Reggio Emilia e di Parma) … La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. … Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l'eternità; bastava non iniziare la stolta politica delle garanzie, che si è palesata soprattutto micidiale per coloro che le hanno accettate. … Ormai tutto ciò appartiene al passato. … Noi 234 uomo che ha saputo elevarsi ben al di sopra degli ormai noti limiti ormonali convenzionati, ben al di là degli avanti o popolo, e giungere a sfiorare la perfezione del martirio con assoluta indifferenza di tiro, in alto o più a sinistra, se sbagli la porta è comunque fuori, chiedendo d’essere arrostito da entrambi i lati della nota predella… Per chi suonerebbe altrimenti la campana il bidello? O sgranocchiato con gusto anche sull’altra guancia, dipendeva sempre dal santo che gli si portava in spalla. O anche dall’etichetta sulla bottiglia, perché più probabilmente si trattava d’una sculacciata parecchio originale. Ma impugnammo le armi per risolvere, dopo il problema risolto delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime; noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero l'accesso all'oceano. Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione. È la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l'oro della terra. È la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto. … Italiani! … L'Italia (voleva dire Brazzaghesi! … la Brazzaga), proletaria e fascista (voleva dire paschista), è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all'Oceano Indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all'Italia (intendeva a Brazzaga), all'Europa, al mondo. Popolo italiano! (voleva dire brazzaghese) Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!» Le vicende della terza guerra sono già state narrate dal maestro nell’accidente n. 018. Quello che rimane da aggiungere è che lo zio resse con fierezza il suo proposito sino al luglio del 1943 quando sbarcarono i MacDonald’s in paese, allorché voci dissidenti interne al Consorzio si alzarono per farlo dimettere (ordine del giorno Grandi del 24 luglio). Ne seguì il rocambolesco arresto e la carcerazione punitiva a Caprera prima, a S. Elena poi, e infine sul Gran Sasso in vela via Ginevra. Misteri della fisica quantizzata. Nel frattempo il nuovo sindaco firmava l’armistizio con Reggio Emilia, malgrado le voci di potentissime armi segrete in mano ai nostri alleati di Biella… certi siluri nel Po… evento divulgato l’8 settembre 1943. Il 12 settembre poi Antonio Similari, in compagnia del capitano Otto Skorzeny e di un manipolo di Fallschirmjäger-Lehrbataillon, si paracaduta a Campo Imperatore come per caso, giusto per invitare lo zio in villeggiatura. Col cazzo che ci vengo al lago! Rispose lo zio. Lì c’era pieno di skilift e lui non aveva mai amato il pesce gatto. E qui finiscono le somiglianze dionisiache con l’altro zio Benito. In verità poi anche l’autentico suo zio Benito si recò in visita a Milano il giorno che presero Napoleone. Ma una volta arrivato al semaforo di Porta Venezia da piazza Cinque Giornate, invece di svoltare a destra verso piazzale Loreto scelse la sinistra, varcando così la barriera della zona morta. Ed è il solo motivo per cui siamo ancora qui a parlarne con affetto. Concilia? «La libertà senza ordine e disciplina significa dissoluzione e catastrofe.» «Mi hanno rinfacciato la forma tirannica di disciplina che imponevo agli italiani (voleva dire ai brazzaghesi). Come la rimpiangeranno! E dovrà tornare se gli italiani (voleva dire i brazzaghesi) vorranno essere ancora un popolo e non un agglomerato di schiavi.» La sua caduta e il timore di una nuova scalata obbligatoria del Pordoi per contratto sociale, spinse il Comune di Brazzaga ad istituire il reato di apologia del Paschismo. Mai più toscani nelle mutande! 235 non voglio soffermarmi nemmeno sui gusti intimi degli anziani che è giusto restino tali. Comunque i fatti abbiano avuto corso, e sono sicuro d’aver visto i lenoni accucciarsi mansueti al suo fianco, Napoleone a cavallo e lo stesso fuoco del rogito farsi da parte, e sebbene tutti fossimo inoltre certi da quell’istante che Lucifero lo reputava suo terzogenito al sacco, si iniziò a rispettarlo per quanto egli realmente valeva. Uno spiritato caduto in disgrazia come la pentola a pressione quando la meccanica di Newton si prese la scabbia. Proprio lui intendo, lo zio Benito quello autentico. Cominciammo a chiedergli soffiate sicure sull’oroscopo, a portargli bastoni d’incenso e botole di mirra come alla Pizia di Venezia, la madonna che saluta dal balcone. Soprattutto omaggi in materie prime fumabili o in oro fuso che faceva curriculum senza lasciare tracce. Come pure un numero imprecisato di strutture biologiche al carbonio di tipologia femminina, sacrificabili sulla paglia per la buona riuscita del raccolto. Tanto ce n’erano a barconi. Attorno al suo casolare di campagna crebbe una selva dalla piantagione oscura, poco praticata dai quarantenni in odor d’ascesi nautica, ma assai più frequentata da noi fanciulli ancora imberbi di base missilistica, senza troppa malizia nemmeno sotto le ascelle, eppure affascinati dal grugno benevolmente isterico dello zio e dalle sue caramelle celestiali, ora finalmente alla portata di tutti. Sempre meno al miele e al latte, se vogliamo proprio trovargli un difetto, e sempre più somiglianti alle mele di Campo Imperatore, alle giuggiole turchine del Getsemani, a certi tramonti di Sant’Elena con le gondole parcheggiate in doppia fila… gli skilift arditi… le mille e una notte di Mompracem… le caprette a Caprera... che mica solo Heidi può fare la furbetta. Un gusto delizioso qualora assaporato in un frutto maturo dalla pelle croccante, o in una torta della nonna. Ma ributtante se rinvenuto a tradimento in una caramella salvata dall’Alkermes degli anni Ottanta e travestita da Giulietta. Specialmente se la confezione era quella appiccicaticcia di de Bergerac, e la rossa adulterata non indossava nemmeno i coprisedili. E non oso nemmeno pensare se il costume sui carburatori fosse stato invece da Zorro… figuriamoci il Padreterno… Purtroppo l’Internazionale mi era entrata nel sangue e il fattaccio non incise per nulla sulla continuità storica della mia fede sportiva. Il buon cameriere può servire spaghetti con le vongole al cliente, ma non inventarsi i coperti. Il povero diavolo invece si deve sorbire tramonti con le gondole da Oriente ad Occidente, senza mai dimenticarsi i deserti. E con la manna che tira… 236 «Ciaaaaaaaaaao! … Cosaffai qua? …la spèsa anche tuuuuu? è… Cristo, saranno un quarant’anni… Tuttobbèèèèèèèèèèèène? …» Fa niènte… come dico per casi del genere… sarà per un’altra volta. Lo zio Benito infatti un giorno morì per la Svizzera, come pare capiti a tutti gli sprovveduti in alabarda calati a questo mondo di madri, o agli esseri pienamente soddisfatti dei crepacci gonfiati nella propria vita a pasta molle, quasi fosse un liceo di badanti, un bisulàn cun al büs. E se ne andò altrove. «E cosa volete che sia?» prese a dire lui sbarazzino. «Io-me-ne-fre-go!» In alto i cuori! …e si tira di-ritto… Qualunque cosa ciò significhi.» 8 8 N.d.C. Lo zio Benito, l’autentico mio zio Benito del maestro, che va ribadito, questo qua non è mica uno di quelli là, fu un uomo in grado di generare sentimenti di forte entusiasmo e un diffuso consenso popolare, e fu oggetto di grande ammirazione se non proprio di culto. C’è da dire che fu aiutato dal controllo che aveva saputo guadagnarsi sulla stampa locale, le emittenti radio, il passaparola dalla parrucchiera, dai potenti mezzi messi a disposizione dalla parrocchia di don Curato Brioni, il ciclostile e la predica. Fu comunque una persona carismatica dalla notevole abilità oratoria, in grado di coinvolgere le grandi masse dei brazzaghesi stesi a stagionare nei bar, dicendosi ora figlio del popolo, e avanti il popolo, ora presidente scioperaio, ora mescitore basista, e cavalcando i successi sportivi delle Alabarde del cavalier Calciolari, del quale adottò inoltre il corsivo aggiunto al posto d’una censura reazionaria che non sarebbe piaciuta a nessuno. Poi i primati aeronautici conquistati da Similari col Fokker, da Diomede in Alfetta, gli scatti sulla fascia di Floriano Sganzerla, il tirannosauro Rex sulle figurine del Famila… Fu considerato «il salvatore della pace»… Il sig. Gandhi disse che era uno «…statista di prim’ordine, completamente disinteressato, un superuomo (intendeva che lo zio aveva letto Nietzsche o tanti fumetti dei supereroi Marvel).» Il sig. Pio XI gli conferì l’Ordine dello Speron d’Oro nel 1932, mentre il sig. Pio XII lo definì «…il più grande uomo da me conosciuto e tra i più profondamente buoni.» Non ne hanno più deposti di così Pii. Il sig. E. Pound lo celebrò in un libro e l’hanno per questo salassato anche sull’altra guancia. Il sig. E. Biagi un giorno mi disse dall’alto del suo soprabito beige… «armando…» mentre io passeggiavo dietro una birra rossa «…è stato un gigante. Considero la sua carriera politica un capolavoro.» In fondo lui voleva solo giocare ai soldatini romani, proprio come Napoleone. «La guerra è positiva… imprime un sigillo di nobiltà al popolo che l’affronta.» Voleva fare un brazzaghese nuovo, eroico, un superuomo (aveva letto Nietzsche o tanti, tanti fumetti dei supereroi Marvel). Il suo pensiero fu sentito da tutti come rivoluzionario e trasgressivo, «me ne frego» diceva a chi gli ricordava che tanto va la gatta al lardo… «Tanto io sto in montagna…» Quindi volendo a questo punto abbozzare un’analisi equa di tutta questa vicenda intricata dalla strana natura euclidea, che c’è voluto il Wikipedia per districarsi copiaincolla, come due rette sfinite che si specchiano chiedendosi quale delle due sia la più dritta, finché non arriva un bell’Alfa Romeo dal principio azzurro gusto puffo, che non ricorda a tutt’e due… «signorine… tanto va la gatta al largo… senza il salvagente…» E viene da chiedersi… perché tutto questo? E la sorpresa è grande quando considerata ogni possibile ambizione che può sfiorare la mente infervorata d’un giovane galantuomo, sviscerato ogni possibile motore immobile, causa prima, divinità dal colbacco sfoderato di nutria, i motivi ultimi che ne guidano l’agire, a cosa si riduce in fondo un uomo? Si capisce, dai... «…armando…» quando io stavo su dalla Sganzerla, «…è solo una questione di passera trasandata. Tira di più un velo da suora che una mandria di cavallone.» Cfr. C. Zavattini Diu, la prova inconfutabile. «E il segreto… sta nella basetta.» 237