Alitalia - Air France

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Alitalia - Air France
ALITALIA - AIR FRANCE – KLM
In tempi di manovre finanziarie da 16 miliardi di euro è paradossale che il Governo dimentichi
completamente il tema delle privatizzazioni, perdendo anche un’occasione storica: quella di
liberarsi dell’ALITALIA. Apportare l’azienda in una complicata alleanza a tre invece di venderla al
miglior offrente è un errore storico: vediamo perché.
Le compagnie di bandiera sono un retaggio del passato e un pozzo senza fondo di perdite, passate e
future; anche quelle poche che apparentemente generano profitti, come Air France o Lufthansa, non
danno rendimenti sui capitali investiti adeguati ai rischi del settore. Si tratta di operatori con un alto
livello di costi legati ad un concetto superato di servizio aereo incentrato su grandi aeroporti (huband-spoke). Oggi il modello vincente nei mercati liberalizzati è quello di operatori low-cost che
offrono servizi point-to point, ed è praticamente impossibile, per ragioni sindacali, riconvertire una
compagnia di bandiera in un operatore low cost: da qui il tentativo di “fuga in avanti” verso le
aggregazioni sopranazionali alla ricerca di qualche sinergia che compensi la mancanza di
competitività.
Mantenere in mani pubbliche la proprietà dell’Alitalia, magari condividendola con un altro paese
“statalista” quale è la Francia, non è un onore, ma una fonte di ulteriori problemi futuri: le alleanze
sopranazionali con struttura di potere condivisa funzionano solamente nel campo degli armamenti,
anche perché nessuno stato ce la farebbe da solo a sostenere un’industria della quale è il cliente
fondamentale. Nei settori industriali, le joint ventures tendono a sfasciarsi nel tempo perché
inevitabilmente che gli interessi dei partners evolvono in modo differente. Nel campo aereo, già si
continua a litigare in Italia sulle priorità da assegnare agli scali di Fiumicino e Malpensa,
figuriamoci quando bisognerà mediare anche con Roissy e Amsterdam, in una partnership nella
quale il peso specifico degli italiani sarà meno di un quarto.
Alitalia è oggi un’azienda quotata, con lo stato in posizione di azionista dominante, che ha sempre
perso e che ha un futuro inevitabilmente perdente data la situazione competitiva (concorrenza dei
vari Rayanair, Sterling ecc.) e le prospettive di liberalizzazione che porteranno i concorrenti agili e
low cost anche sulle rotte protette quali la Milano Roma, unica fonte di cash flow della compagnia
di bandiera. Quando le continue perdite consumeranno la provvista di cassa ottenuta con le recenti
ricapitalizzazioni se ne dovrà riproporre un’altra, ovviamente con lo stato italiano in prima fila, a
meno che Bruxelles non intervenga per evitare un ulteriore aiuto di stato.
Che le ricapitalizzazioni delle compagnie di bandiera siano aiuti di stato non c’è dubbio. Nessun
imprenditore industriale o finanziario si fa mai avanti per comprare tali aziende, non solo perché
hanno un modello di business superato, ma anche perché non c’è modo di guadagnare; in periodi di
espansione e di ciclo economico positivo scattano le rivendicazioni salariali dei piloti e degli
assistenti di volo che sono in grado, se non soddisfatti, di bloccare l’operatività, e nei periodi di crisi
ovviamente si perde: quindi si perde sempre. Per mascherare l’aiuto di stato si fa partecipare la
borsa alla ricapitalizzazione e qualche investitore lo si trova sempre, ma con un’ottica speculativa
perché l’operazione è fatta a prezzi scontati per invogliare la sottoscrizione: i piccoli investitori
partecipano perché pensano di rivendere le azioni prima che sia troppo tardi, ma non si trova mai un
investitore serio che sia disposto a tenere un bel blocco di azioni per lungo tempo, come dovrebbe
fare un azionista di riferimento privato. Questo meccanismo gattopardesco ha permesso alla UE di
consentire le ricapitalizzazioni dichiarando che non erano aiuti di stato: a posteriori si vede
facilmente che la Commissione Europea si era sbagliata ed è probabile che non farà più tale errore
in futuro.
Nel caso dell’Alitalia, dal 1997 al 2002 sono stati fatti aumenti di capitale per quasi 1.5 miliardi di
euro; l’azienda oggi ha una capitalizzazione di 1 miliardo. E’ fuorviante dire che tale distruzione di
valore è dipesa dalla crisi del trasporto aereo, perché oggi gli operatori low cost hanno dimostrato di
saper crescere e valere molto; dipende invece dal fatto che ALITALIA, come qualunque altra
compagnia di bandiera e nonostante un management qualificato, è strutturalmente incapace di
adeguarsi ai cambiamenti necessari per competere guadagnando.
Ci sarebbe una soluzione razionale: vendere l’ALITALIA ad un’altra compagnia di bandiera. Così
come British Airways ha inglobato Swiss, è molto probabile che anche Lufthansa ed Air France non
baderebbero a spese per assicurarsi un mercato importante come quello italiano; per contro, la
fusione di ALITALIA in Air France non permetterebbe allo stato italiano di monetizzare subito, o
anche in futuro, il proprio investimento e di disinteressarsi dei probabili problemi della società.
L’asta dell’ETI ha dimostrato che lo stato può liberarsi di un problema facendo anche un ottimo
affare, e la vendita dell’azienda potrebbe rappresentare un affare, una volta tanto, anche per i piccoli
azionisti.
Non si comprende quindi perché lo Stato italiano voglia rimanere attaccato, anche indirettamente, al
controllo dell’ALITALIA. Non c’è un problema occupazionale rilevante, anche in caso di
fallimento dell’azienda, in quanto piloti e stewart italiani volerebbero su altre compagnie,
ovviamente con stipendi decurtati e con orari di lavoro più intensi. Non c’è un problema di difesa di
un’industria italiana, in quanto i servizi di terra devono comunque esser fatti qui. Non c’è un
problema di servizi ai cittadini, perché ormai anche le tratte assistite, come quelle per la Sardegna,
vengono ormai assegnate in asta a chi offre il minor costo del servizio. Non c’è un problema di
sovvenzionare il costo del servizio, perché gli altri operatori possono praticare ai consumatori
italiani tariffe migliori. L’unica ragione può essere l’inveterata abitudine di membri del governo e
strutture ministeriali a voler gestire direttamente qualche pezzo dell’economia; quando però si fanno
manovre da 16 miliardi di euro, qualche sacrificio dovrebbero farlo anche loro.
Alitalia Air France 24 09 03