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Dipartimento Nazionale Trasporto Aereo
ALITALIA: QUALE PIANO INDUSTRIALE?
A due anni dall’ultima crisi di Alitalia e dall’ingresso nel capitale al 49% di Ethiad possiamo
compiere una prima analisi e tracciare un primo risultato. Questo anche per capire, a fronte dei
ripetuti annunci e interviste che nei mesi scorsi si sono susseguite, quali sono le condizioni attuali e
le possibili decisioni e prospettive.
Come noto la Filt non sottoscrisse l’accordo nel 2014 che determinava oltre 2000 esuberi ma
ritenne fondamentale l’ingresso di un partner industriale portatore, non solo di risorse finanziarie
destinate a nuovi investimenti, ma un diverso ruolo di Alitalia nel mercato aereo penalizzata da una
alleanza con Air France e klm, a cui si era di fatto consegnato tutto il mercato intercontinentale.
A due anni possiamo rilevare che il mercato di Alitalia nel breve e medio raggio ( domestico e
internazionale) viene sistematicamente eroso sia per l’azione dei vettori low cost e low fare (
RyanAir e Easy Jet anzitutto) che dall’alta velocità sul territorio nazionale. Una tendenza in atto da
molti anni e che ragionevolmente non si arresterà sia per le strategie di queste compagnie sia per
una rete ferroviaria sempre più estesa e veloce.
Il mercato di lungo raggio, stretto ancora dai vincoli esistenti con Air France e Klm in particolare
sul nord america, di fatto è rimasto in termini di tratte analogo al precedente.
La dimostrazione è data dallo schema sintetico della flotta nel 2014 e quella del 2016.
2014 142 a/m di cui 22 di lungo raggio
2016 124 di cui 24 di lungo raggio.
Di fatto Alitalia resta una compagnia di piccole dimensioni con un mercato nel corto raggio sempre
più ridotto e quello nel lungo raggio sostanzialmente analogo alla vecchia Alitalia.
Questo significa che nonostante tutti sappiano che la compagnia non si può reggere sul corto
raggio, l’elemento di assoluta continuità industriale è quello che prevale tra prima di Ethiad e
dopo.
Una flotta più piccola ( per la messa a terra nel 2014 di una parte di flotta di medio raggio) e senza
aver di fatto determinato una inversione industriale.
A meno che si potesse pensare che in un mercato, quale quello nazionale ed europeo così
aggressivo e competitivo, bastasse licenziare parte del personale, cambiare la livrea degli aerei e le
divise o vendersi come “ compagnia sexy”.
Alitalia resta un piccolo vettore, con i vincoli delle vecchie alleanze, con un risicato network
intercontinentale, e l’hub del partner collocato ad Abu Dhabi. Aggiungendo poi che il mercato
business e più redditivo del nord Italia, continua a scegliere gli hub europei per i voli
intercontinentali.
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Se quindi l’auspicata svolta industriale non vi è stata ed Ethiad ha agito in realtà in continuità,
non possiamo stupirci se i dati di bilancio e l’andamento dell’impresa risultano distanti dalle
previsioni e che nemmeno alcune operazioni finanziarie di entrate straordinarie sono riuscite a
celare.
E’ utile precisare che la Filt da almeno 18 mesi richiede e rivendica un confronto proprio
sull’andamento economico ed industriale. Fatto mai avvenuto sino ad oggi, salvo preannunciare
piani industriali sempre imminenti. Proprio perché le imprese non vivono e danno stabilità anche
al lavoro in assenza di un reale equilibrio economico.
A maggior precisazione non appartiene a questa organizzazione una valutazione superficiale della
situazione aziendale attuale.
Alitalia nel 2014 ha superato una crisi che era azionaria, finanziaria e industriale. Solo che se è
stata risolta quella azionaria e temporaneamente quella finanziaria, la disponibilità di nuovo
capitale e investimenti rischiano di essere o esauriti o insufficienti per il prossimo futuro.
Alitalia quindi non è mai uscita dalla sua crisi industriale e anche l’arrivo di Ethiad,ad oggi, non è
bastato.
E una somma di operazioni di “ efficientamento” non inciderebbero da sole sulle ragioni strutturali
oggi negative.
Un bilancio, leggendo i report sulla stampa, che presenta un disavanzo maggiore del patrimonio, ci
preoccupa molto e siamo convinti che Alitalia se lasciata per inerzia in questa condizione è
destinata a ripercorrere esiti che nessuno vorrebbe rivivere. I lavoratori per primi.
Molti sono i vincoli di cui tenere conto e molti sono i limiti entro cui ogni decisione può essere
presa.
Ethiad non può superare il 49%, pena la perdita dei diritti di traffico dati alle compagnie europee, e
quindi un eventuale aumento di capitale deve essere sottoscritto anche dagli altri azionisti. O da
nuovi. Se le perdite però nel 2016 fossero ancora elevate diverrebbe quasi obbligatoria una azione
sullo stesso capitale sociale perché il patrimonio sarebbe quasi azzerato.
Inoltre gli azionisti italiani più significativi sono le due banche Intesa san Paolo e Unicredit, autori
è bene ricordarlo del piano Fenice nel 2008, che fu la filosofia che portò al default del 2014. Banche
che hanno il duplice ruolo di azionisti e creditori. Fatto che avviene spesso nelle società sottoposte
ad azioni di risanamento ma che certamente risulta innaturale nel lungo periodo.
Nella recente intervista al Vice Presidente Hogan, cui diamo molto credito al contrario delle
innumerevoli fonti più o meno interessate a sostenere una tesi o drammatizzare una situazione già
molto critica, anziché presentare un quadro realistico sia finanziario che industriale, ha cercato di
scaricare in parte sul governo in parte sul sindacato le responsabilità di Alitalia alla fine di questo
biennio.
Vengono indicate come prova delle ragioni del disimpegno del governo la mancata promozione
turistica per un valore di 20 mln di euro e la non apertura di Linate a rotte extraeuropee La prima
ci sembra davvero inconsistente, mentre la seconda si basa su un presupposto sbagliato. Come noto
gli aeroporti di Milano, dal lontano 1996 con progressivi decreti, sono sottoporti ad una
regolamentazione del traffico tra Linate e Malpensa, che è condivisa dalla stessa Unione Europea.
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Ipotizzare soluzioni che sarebbero immediatamente sottoposte a sanzioni e revoche non ha
oggettivamente senso.
Così come accusare il sindacato che avrebbe agito per ragioni che “valgono un caffè” significa due
cose.
Se davvero valeva un caffè il primo errore lo ha fatto proprio Alitalia agendo in via unilaterale e
sommando una serie di errori e alzando il livello di tensione fino a subire il giudizio avverso della
magistratura.
Il secondo, più importante, è la presunzione che una impresa che avrebbe bisogno di un clima
aziendale positivo, possa affrontare i veri problemi in un clima di scontro non solo sindacale, ma
verso e direttamente contro i suoi dipendenti.
Sperando che non siano ragioni tanto risibili da avere l’unico senso di precostituire alibi per ben
altre decisioni.
Aggiungiamo inoltre l’epilogo della crisi di Air Berlin. La essenziale lettura che si può ricavare dalla
stampa ci consegna una scommessa nata per fare concorrenza a Lufthansa in Germania, chiudersi
con la consegna di 40 aeromobili proprio a Lufthansa. Il resto della flotta destinata a spazi di
mercato non ostative per Lufthansa. Possiamo definirla una resa onorevole.
Questo esito, anche a fronte di molte ipotesi nei mesi scorsi di fusione con Alitalia, consegna la
scommessa Ethiad in Europa di fatto concentrata in Italia.
Ricordando che le altre compagnie europee hanno alleanze sostanzialmente intraeuropee e che
delle altre due compagnie del golfo, Emirates ha scelto di agire con collegamenti sempre più
frequenti verso il suo Hub mentre Qatar, salvo l’ingresso in Meridiana ancora in progress, è entrata
nel capitale sociale di Iag che controlla sia British Airways che Iberia.
In questo quadro il timore di un piano industriale ha poco senso.
Senza un piano industriale per inerzia Alitalia può solo cumulare alle perdite del 2015 quelle del
2016.
Quindi noi crediamo che un piano sia necessario ed anzi indispensabile. Ad oggi, lo abbiamo già
smentito, non esiste alcuna trattativa e non esiste alcun passaggio di informazioni riservate.
Se, anche solo parzialmente, il contesto in cui Alitalia agisce è quello descritto, si conferma che il
problema strutturale non risiede nel costo del personale, ma nei ricavi, fattore determinato in gran
parte dal proprio posizionamento di mercato.
Immaginare, come fatto per anni, di giocare la partita sul medio raggio ha un esito già prevedibile.
Fuori dal mercato di lungo raggio nessuna compagnia di medie dimensioni ( salvo quelle low cost)
ha un futuro. Ma una flotta di 24 aeromobili non permette alcuna presenza significativa in un
mercato, oltretutto in continua evoluzione.
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Il passaggio quindi atteso sarebbe quello di aprire una fase non di risanamento ma
di investimento in flotta, network, qualità.
Siamo alla vigilia di un passaggio molto delicato. Quelli precedenti, 2008 e 2014, hanno scaricato
sul lavoro con oltre 12.000 esuberi complessivi e continui tagli al costo del lavoro, la soluzione
delle due crisi, insieme all’ingresso di nuovi azionisti investitori. Senza però modificare la
prospettiva e la collocazione di Alitalia nel mercato.
Oggi senza investimento sul futuro non vi può essere risanamento vero.
Per questa ragione chi pensa a ipotesi già percorse non va solo contro i lavoratori o il sindacato, ma
va contro le esperienze già vissute.
Per questa ragione scegliamo di non inseguire le troppe voci che danno per già tutto per deciso.
Proprio perché non abbiamo mai sottovalutato o banalizzato né il contesto in cui agisce Alitalia né
la sua condizione industriale ed economica, daremo un giudizio solo dopo che il piano sarà
formalmente presentato.
Valuteremo se vi è un piano che investa sul lungo raggio, quanto, come e quando, come le attività a
terra ed in volo debbano riorganizzarsi, come le attività di manutenzione sono coinvolte.
Una prospettiva di sviluppo e investimento sarebbe poco credibile se avvenisse insieme a tagli
occupazionali o altre soluzioni analoghe.
Sarà davanti ad un piano formale e solo a quel momento indispensabile una modalità di confronto
e trattativa diversa da quella vissuta in questi mesi.
Sapendo inoltre che il piano attiene ad una impresa privata, ma sapendo che Alitalia resta un punto
centrale degli interessi del paese nel trasporto aereo, fattore che certamente coinvolgerà anche il
governo per ogni ricaduta e conseguenza.
Roma, 27 ottobre 2016
Dipartimento Nazionale Trasporto Aereo
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