La partecipazione finanziaria dei lavoratori con particolare

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La partecipazione finanziaria dei lavoratori con particolare
Veronica Fantini
La partecipazione finanziaria dei lavoratori
con particolare riferimento al settore del
trasporto aereo
L’apertura del capitale azionario ai dipendenti è diventata una
soluzione praticata nel settore del trasporto aereo, in presenza di
situazioni di crisi e in collegamento alla contrattazione collettiva sul
salario. Tra le esperienze maggiori da segnalare quelle delle
compagnie aeree Alitalia, Meridiana, Air France, Iberia e, al di fuori
dell’ambito europeo, quelle delle statunitensi United Airlines, Eastern
Airlines e Southwest Airlines. I casi analizzati nella tesi sono quelli di
Alitalia, Air France e United Airlines .
La causa più probabile dell’incidenza del fenomeno dell’azionariato
dei dipendenti in questo settore viene rintracciata nelle caratteristiche
economiche delle imprese che ne fanno parte: sono imprese ad alta
competitività, con esigenze quindi di controllo sia sui costi che sui
ricavi, e che impiegano una popolazione lavorativa di elevata
professionalità, fortemente rivendicativa e sindacalizzata.
La forte conflittualità tra impresa e sindacato nel settore dei trasporti
è dovuta al fatto che, all’interno di questo ambiente, anche piccoli
gruppi di potere possono determinare, con azioni di lotta, grandi
effetti e disagi su di un servizio in cui la regolarità è una determinante
fondamentale per fissarne il valore di mercato. Nel settore del
trasporto aereo, l’espressione centrality of labour sta ad indicare sia il
fatto che il costo del lavoro, che rappresenta il 25-35% dei costi
operativi, è il solo costo comprimibile dalle imprese, sia che il “fattore
umano” è centrale per il business aziendale, dal momento che al
personale vengono richieste sia elevate competenze tecniche, sia
un’elevata motivazione.
Nel nostro paese permane, a tutt’oggi, una situazione di grande
conflittualità e disagio nelle relazioni industriali del settore, tra le
cause vi è sicuramente l’appartenenza pubblica della compagnia di
bandiera sui rapporti di lavoro, ha avuto ben precise conseguenze.
Nei primi anni ’90 Alitalia si trova in una situazione disastrosa, che
significa deficit di conto economico, crisi di liquidità, l’IRI alle prese
con tangentopoli ed una concorrenza sempre più agguerrita da
fronteggiare: le garanzie occupazionali offerte restano poche e così
al piano di risanamento si accompagnano una crisi ed una paralisi
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del settore che aprono un periodo di contrattazione tra i lavoratori e
l’azienda.
Tra il 1995 e il 1998, l’incessante conflittualità interna tra il personale
dipendente e soprattutto tra i piloti, dovuta sia alle continue rincorse
salariali sia alla competizione tra sigle sindacali oltre che tra
categorie, rende necessario un rinnovamento dello staff di vertice e
la presentazione di un nuovo piano industriale articolato in una fase
di risanamento ed in una fase di sviluppo. Lo strumento per la
realizzazione di entrambe le fasi viene trovato dopo numerosi
contrasti con le rappresentanze sindacali, nella firma di un accordo
che prevede l’ingresso da parte di tutti i lavoratori Alitalia all’interno
del capitale dell’azienda. Gli Accordi del 19 giugno 1996 e del 3
giugno 1998 consentono alla compagnia di risanare la grave
situazione economica e finanziaria con un progetto di azionariato dei
dipendenti attuato tramite il trasferimento di parte del salario differito
in azioni; l’Accordo del ’96 persegue l’apertura del capitale ai
dipendenti e l’istituzione di un modello di relazioni industriali
coinvolgente tutte le categorie del personale: sono previsti la
costituzione di cinque organismi bilaterali, finalizzati ad elaborare
progetti su specifiche materie di valore strategico e destinati a gestire
il futuro Fondo azionario, l’ingresso nel Cda, composto da 17
membri, di tre rappresentanti sindacali e di un soggetto, sempre
legato ai lavoratori, all’interno del collegio dei sindaci. La nomina di
questi membri suscita numerose critiche perché avviene ad opera
dell’IRI e perché precede la distribuzione delle azioni.
Il programma di azionariato viene infatti concretamente definito ed
attuato con l’ “Accordo Quadro sulla partecipazione azionaria” del 3
giugno 1998: i lavoratori sono sollecitati a procedere ad una diretta
sottoscrizione delle azioni loro destinate, di valore nominale
predefinito, entro il 15 giugno 1998 e senza il versamento di alcun
corrispettivo; in caso di mancata sottoscrizione essi perderebbero la
quota di retribuzione che la società versa direttamente in azioni,
contrattata nel 1996.
La distribuzione delle azioni avviene nel seguente modo: ai
dipendenti vengono distribuiti 317 milioni di azioni, pari al 20.5%
delle azioni ordinarie, al valore nominale di mille lire ciascuna per un
onere complessivo di 532 miliardi lordi (317 netti). La proprietà delle
azioni è individuale, con un vincolo temporale alla vendita di tre anni,
a partire dal giugno 2001.
Il numero di azioni varia a seconda dell’ appartenenza al contenitore
professionale, in base ai risparmi previsti dal Piano: il numero di
azioni per dipendente all’interno di ogni contenitore è fisso, uguale
per tutti, indipendentemente dall’ anzianità, livelli di qualifica o
responsabilità.
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Le azioni sottoscritte individualmente vengono inizialmente gestite da
un Patto Parasociale: si tratta di un patto di sindacato, sottoscrivendo
il quale, i dipendenti-azionisti accettano implicitamente la clausola di
trasferimento del diritto di voto; sulla legittimità di tale meccanismo è
però intervenuta la Consob, rilevandone l’evidente contrasto con il
Codice Civile, il cui art. 2372 sulle deleghe di voto vieta che una sola
persona possa rappresentare più di 200 soci, stabilendo inoltre che
la delega va concessa di volta in volta. A seguito di ciò il Patto
Parasociale diventa nel dicembre del ’98 Società Cooperativa
Dipendenti Azionisti Alitalia
S.c.a.r.l. Il “nuovo corso” della
compagnia Alitalia che fa seguito ai due Accordi del ’96 e del ’98,
costituisce un passaggio verso un impianto partecipativo formalizzato
ed articolato che implica cambiamenti di condotta e degli
orientamenti e che coinvolge l’azienda a tutti i livelli; non mancano
tuttavia le opinioni di coloro che, nonostante gli Accordi siano voluti
principalmente da responsabili di Alitalia, sindacati confederali e
piloti, sottolineano come il coinvolgimento resti indiretto, tramite
rappresentanza nel Cda, con grande assunzione di responsabilità da
parte del sindacato.
Elementi comuni alla vicenda di Alitalia sono rintracciabili guardando
ad un altro interessante caso, quello della compagnia aerea francese
Air France, colosso del trasporto aereo europeo: anch’essa è una
compagnia di appartenenza pubblica che si trova a dover affrontare
un periodo di ristrutturazione che precede la privatizzazione.
Gli esercizi dei primi anni ’90 di Air France si chiudono in forte
perdita, il presidente Attali, appoggiato dallo Stato, presenta un piano
di ristrutturazione che mira ad aggiustare i conti con il licenziamento
di almeno 4 mila occupati entro un anno. L’immediata protesta dei
dipendenti e la più completa paralisi dei voli generano forti esternalità
negative per l’economia di tutto il paese. Margini di collaborazione
con i dipendenti scioperanti si intravedono solo nel momento in cui il
nuovo presidente Blanc propone forme di consultazione con i
lavoratori e con le associazioni sindacali, rendendosi disponibile ad
un maggior decentramento decisionale. Il piano Reconstruire Air
France del 1994 prevede un aumento della produttività di circa il 30%
in tre anni di cui l’8% derivante dalla riduzione di cinquemila unità di
personale unicamente per effetto di dimissioni volontarie, il 12% dalla
riorganizzazione del lavoro e il restante 10% dal blocco concordato
dei salari e degli avanzamenti incrementali (solo parziali per il 1995 e
1996) con obbligo di ridiscussione in caso di aumento del tasso di
inflazione oltre talune percentuali prefissate. A fronte di tali iniziative
Air France cede azioni del proprio capitale sociale agli aderenti
all’iniziativa, agevolando uno scambio volontario di salario con azioni
della società; in poche parole il risanamento della compagnia si basa
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sul coinvolgimento nell’operazione di autoriduzione degli stipendi del
maggior numero possibile di dipendenti, cosa che consente sia un
finanziamento importante alla società sia un investimento per tutti i
dipendenti la cui redditività dipende dall’andamento della compagnia
e pertanto dal loro lavoro.
A tutti gli occupati di Air France (unici esclusi coloro che al momento
della sottoscrizione dell’accordo non sono remunerati dalla società
sebbene formalmente lì impiegati) viene offerta la possibilità di
optare liberamente ed individualmente per una riduzione del salario a
modalità e secondo tempi minimi in cambio di azioni societarie: la
retribuzione considerata è l’insieme delle retribuzioni lorde, esclusi
premi e compensi in natura, la riduzione mensile della retribuzione è
di 100 franchi, la riduzione massima (determinata per motivi fiscali) è
di 12600 franchi; la durata dell’operazione va dal gennaio 1995 al
dicembre 1997, l’impegno del lavoratore è vincolante ed irrevocabile
per tutti i tre anni di durata.
Secondo alcune stime all’iniziativa aderisce il 36% dei dipendenti
occupati nella compagnia aerea: l’adesione di più di un dipendente
su tre consente alla compagnia un risparmio di quasi 80 milioni di
franchi all’anno sulle spese retributive ed agli azionisti-dipendenti il
possesso di una quota del 5% del capitale.
Al di fuori dell’ambito europeo, l’esperienza di distribuzione di quote
di capitale ai dipendenti della compagnia United Air Lines, avvenuta
all’inizio degli anni novanta, è ritenuta la più significativa perché: il
buy-out dei dipendenti avviene dopo tre falliti tentativi dei piloti di
realizzare un’operazione simile (si ritiene che la causa di tali
precedenti fallimenti sia stato il mancato coinvolgimento dei
dipendenti), i dipendenti diventano proprietari della maggioranza del
capitale sociale della società con una quota del 55%, l’azionariato dei
dipendenti è introdotto in un piano di riorganizzazione “preventivo”
piuttosto che di ristrutturazione dal momento che la situazione
finanziaria della compagnia non è gravemente compromessa, infine
l’azienda è al 65% sindacalizzata e quindi presenta una struttura
retributiva e dell’organizzazione del lavoro piuttosto restrittive. Anche
in questo caso il problema è un costo del lavoro troppo alto che non
permette la competizione con gli altri vettori a basso costo; il piano di
ristrutturazione del 2 giugno 1994 consente alla società di
risparmiare 5 miliardi di dollari sul costo del lavoro e prevede
l’acquisizione da parte dei dipendenti di circa il 55% delle azioni
ordinarie e dei diritti di voto tramite un ESOP, contro diminuzione dei
salari e delle indennità (in misura diversa a seconda delle categorie
di dipendenti e del salario percepito) per oltre cinque anni, nonché
della modifica di alcune condizioni contrattuali. In aggiunta si
progetta l’avviamento di una forma di corporate governance inedita,
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proprio in ragione dell’entrata dei dipendenti nel capitale della
compagnia: nel Cda, formato da 12 membri, siedono otto
amministratori direttamente controllati dai dipendenti (5 eletti dai
possessori delle azioni e 3 di rappresentanza delle associazioni
sindacali). Viene prevista inoltre l’istituzione di un numero importante
di Comitati con il compito di effettuare un lavoro di ricerca e di studio
delle azioni da intraprendere dei futuri progetti della società.
Senza mutare alcuna variabile operativa, la compagnia ottiene un
miglioramento dei risultati di gestione immediatamente seguenti
l’operazione, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo:
l’aumentato impegno dei dipendenti genera una maggiore efficienza,
esso è ottenuto anche grazie all’abilità del Cda che interviene con
una massiccia campagna pubblicitaria incentrata sulla motivazione
del personale.
Rispetto ai primi anni ottanta, tra le operazioni più recenti di apertura
ai dipendenti del capitale, si possono delineare due tendenze di
base: l’utilizzo dell’azionarato come strumento di riallocazione della
proprietà delle imprese e l’istituzione di collegamenti tra l’azionariato
dei lavoratori e la retribuzione.
La prima tendenza si riferisce, in particolare, alla partecipazione
azionaria dei dipendenti nelle procedure di privatizzazione cioè di
dismissione delle imprese pubbliche, ovvero in situazioni in cui per
mantenere una politica industriale efficiente e competitiva si rende
necessaria la riorganizzazione degli assetti proprietari e la diffusione
del modello della public company. In queste operazioni di
riorganizzazione della proprietà, il ricorso all’azionariato può
aumentare la “formazione di consenso” alla privatizzazione (la fase di
privatizzazione può alimentare preoccupazioni nei dipendenti circa la
salvaguardia della propria occupazione), nonché il coinvolgimento
dei lavoratori rispetto ad un buon andamento della società, oltre che
dare stabilità all’assetto proprietario, creando un certo numero di
stakeholders (portatori di interessi di lungo periodo). Allo scopo di
ottenere simili risultati, esistono i vincoli di incedibilità delle azioni
estesi a periodi di tempo abbastanza lunghi.
La seconda attuale tendenza del fenomeno in questione, e cioè il
collegamento azionariato dei dipendenti-retribuzione, è alla base di
numerose situazioni di crisi di impresa, in cui l’azionariato viene
usato per contenere il costo del lavoro e accrescere l’interesse e la
partecipazione dei lavoratori al risanamento dell’azienda. Guardando
all’esperienza italiana, il caso più noto è proprio quello degli Accordi
Alitalia del 19 Giugno 1996 e del 3 Giugno 1998: all’interno di quel
particolare contesto la partecipazione azionaria ha come scopo, oltre
al risanamento ed alla ricapitalizzazione aziendale, la presenza attiva
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dei rappresentanti sindacali negli organi societari,in modo da
diminuire la conflittualità.
Da alcune indagini empiriche è emerso come il più probabile canale
di diffusione della partecipazione dei dipendenti al capitale
dell’impresa, nonché forse l’aspetto più interessante del dibattito, sia
la prospettiva di un suo collegamento con la retribuzione.
Il rapporto tra la retribuzione dei lavoratori e l’acquisto di
partecipazioni azionarie può esplicitarsi in due modi, schematizzabili
da due tipi di relazioni: una relazione indiretta ed eventuale, che
ricorre quando i lavoratori possono utilizzare la loro retribuzione per
acquistare azioni, ed una relazione invece diretta e sostitutiva che
ricorre ogniqualvolta l’acquisizione di partecipazioni azionarie da
parte dei lavoratori sostituisce la percezione di una parte della
retribuzione, in questo senso il legame salario-azioni ha una funzione
di contenimento del costo del lavoro o si presenta, più in generale
connesso ..alle politiche salariali delle imprese …e alle dinamiche
della contrattazione collettiva sul salario.
Nel primo caso, il lavoratore acquista azioni dell’impresa, a prezzi
fissi, risparmiando dal salario e capitalizzando la somma risparmiata,
fino al momento dell’acquisto; nel secondo caso, invece, una parte
della retribuzione è automaticamente sostituita da azioni: quando si
parla di “retribuzione azionaria” ci si riferisce appunto all’attribuzione
di azioni in sostituzione di quote di retribuzione e viene di solito
introdotta grazie alla contrattazione collettiva.
Legare l’acquisto di partecipazioni azionarie alla retribuzione, se, da
un lato consente una struttura salariale molto più flessibile, dall’altro
fa sì che il lavoratore sia maggiormente esposto al rischio
dell’investimento azionario.
Per compensare i rischi che i lavoratori assumono divenendo
azionisti, ad essi deve essere consentito di partecipare alla gestione
e in particolare essi devono poter essere rappresentati all’interno
degli organi societari, e cioè nel consiglio di amministrazione e nel
collegio sindacale .
Non esistono in Italia, a differenza di altri Paesi, norme di legge che
garantiscano ai lavoratori questa specifica rappresentanza; la
possibilità per i dipendenti di avere concreta rappresentanza
endosocietaria dipende da come vengono applicate ed interpretate le
disposizioni di legge sulla nomina di amministratori e sindaci, in
particolare quelle sull’esercizio dei diritti di voto.
Il legame tra partecipazione e retribuzione viene interpretato come
l’espressione di un rapporto sempre più complesso tra l’impresa e i
suoi dipendenti, rapporto che tende coinvolgere questi ultimi sempre
più negli obiettivi e nelle sorti economiche della prima.
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Alcune ricerche empiriche dimostrano come Alitalia rappresenti uno
dei casi di maggior successo nella gestione di una fase di crisi
aziendale attraverso l’introduzione di un modello partecipativo.
A distanza di tempo è possibile tracciare un bilancio dei risultati
raggiunti da Alitalia: l’accordo sindacale c’è stato ed è stato
fondamentale, manca però la seconda fase, vale a dire la
progettazione partecipativa dell’organizzazione del lavoro, la
distribuzione di azioni ai lavoratori infatti ha implicazioni che si
riflettono “sul luogo di lavoro”. Tutti concordano nel ritenere che
l’accordo è stato permesso da una buona dose di realismo sulle
difficoltà aziendali, da nuovi atteggiamenti reciproci e da una grande
flessibilità da parte dei lavoratori. Tra i risultati più importanti vengono
sottolineati l’abbattimento della conflittualità e l’emergere di un nuovo
concetto di impresa, in cui la relazione di lavoro è anche e soprattutto
partecipazione agli obiettivi.
Quello che preoccupa di più dopo l’accordo è il modello di
rappresentanza degli interessi con il doppio ruolo del sindacato
(rappresentanza e presenza in azienda). Tale sovrapposizione
sarebbe in fase di risoluzione con il conferimento della
rappresentanza specifica attraverso il voto diretto dei dipendenti
azionisti.
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