Editoria condizionata sì, ma da cosa?

Transcript

Editoria condizionata sì, ma da cosa?
164
DALLA LETTERATURA
Editoria condizionata sì, ma da cosa?
Una delle letture più intriganti – e convincenti
– della scorsa stagione è stata il numero del British
Medical Journal il cui dossier era dedicato all’informazione sanitaria disponibile su Internet
(BMJ 324; 9 marzo 2002). Poche storie, sembrava
concludere il settimanale britannico: il giudizio
di qualità su quanto reperibile sul Web resta, in
fondo, al lettore, e poco valgono bollini di qualità
più o meno rigorosi, codici d’autoregolamentazione più o meno disattesi, dichiarazioni
d’intenti più o meno sincere. Dopo un iniziale
disorientamento, in molti abbiamo pensato che,
in fondo, potrebbe davvero essere questo il punto
di vista non soltanto più realistico ma anche più
rispettoso dei diritti di chi cerca informazioni su
Internet, le trova e le utilizza. L’utente tornerà a
percorrere gli stessi sentieri solo se avrà avuto in
precedenza indicazioni affidabili.
In virtù anche di questo precedente, è dunque
con un atteggiamento di curiosità ed attesa che
ho letto il numero del BMJ dedicato ai rapporti
tra industria farmaceutica e produzione ed informazione biomedica. Certamente interessante, a
tratti divertente, alla fine però in certa misura deludente; non ho trovato conferma, infatti, a due
“regole” che ritenevo ormai assodate. La prima codificata dai migliori libri gialli - prevede che il
colpevole si scopra alla fine: in questo caso,
invece, che quasi tutti i problemi siano imputabili all’operato delle industrie farmaceutiche
viene esplicitato sin dall’inizio e quasi tutte le
pagine che seguono gli Editoriali sono finalizzate
a sostenere la tesi di partenza. La seconda
massima disattesa è quella che aveva informato
gli interventi sulle informazioni su Web pubblicati dalla stessa rivista e ai quali mi riferivo in
apertura: il giudizio del lettore è ciò che conta e
vale più di qualsiasi tentativo di regolamentazione, peraltro difficile da mettere in pratica1.
Su un punto non si può che concordare con il
BMJ: anche nel settore medico-scientifico, l’editoria è condizionata. Nell’affermarlo, del resto,
si ha la sensazione di scoprire l’acqua calda2. Cerchiamo piuttosto di capire i motivi di questo condizionamento.
L’editoria è condizionata dall’essere un mestiere povero, a metà tra l’industria e l’artigianato3. Il 40,2% delle case editrici ha tra 2 e 9
addetti4, che lavorano per soddisfare un pubblico
che non cresce di numero: tra il 1997 ed il 2000,
la spesa delle famiglie italiane per acquisto di libri
e di periodici è passata rispettivamente dal 17,6%
al 15,1% e dal 19,6% al 17,8% del totale della
spesa per l’acquisto di prodotti e servizi della comunicazione, laddove quella per la telefonia è
cresciuta dal 45,7% al 49,4%.
L’editoria è un mestiere povero anche perché
lungo il percorso scolastico raramente viene insegnato ad utilizzare con intelligenza libri e riviste.
Desiderando fare riferimento allo specifico caso
della laurea in medicina e chirurgia, in molte
facoltà è sufficiente l’acquisto e lo studio di una
singola, ponderosa opera per sostenere buona parte
degli esami clinici degli ultimi anni di corso,
sebbene la quasi totalità dei trattati di medicina sia
obsoleta già al momento della pubblicazione5.
Senza contare, inoltre, che le modalità dell’educazione continua post-laurea esigono la padronanza di metodologie e di tecniche che molto
spesso il giovane medico ignora.
L’editoria è un mestiere povero perché le biblioteche di pubblica lettura ed universitarie non
acquisiscono libri e periodici in misura sufficiente
per incoraggiare gli sforzi degli editori. Negli Stati
Uniti, le 63 principali biblioteche mediche
spendono ogni anno 9.435.780 dollari per l’acquisto di monografie e 63.096.397 dollari per abbonamenti a periodici6, al punto che per molte
university press nord-americane il mercato delle libraries è una fonte di ricavi sufficiente a giustificare gli investimenti. In Italia, la vendita alle biblioteche rappresenta l’1,7% del mercato librario,
già di per sé abbastanza esiguo.
EDITORI
VULNERABILI
Molti editori specializzati sono in costante sofferenza finanziaria. Il ritorno degli investimenti
quasi mai è a breve termine. Il punto di pareggio
per una rivista medica viene raggiunto non prima
di 5-6 anni dopo il lancio, salvo l’intervento di
sponsorizzazioni da parte di società scientifiche,
di enti o istituzioni7. Allo stesso modo, il break
even point di una monografia non si raggiunge
che dopo aver venduto il 60-70% della prima tiratura. Il processo editoriale nel settore medicoscientifico è di gran lunga più oneroso rispetto a
quello di altre discipline; di conseguenza, l’obiettivo di minimizzare il time to market [la di-
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
165
ANNO X N. 3-4 2003
Viene certamente da domandarsi se la diffusa
abitudine di offrire beni e servizi in dono non
abbia contribuito ad allontanare il medico dalle
librerie. È molto probabile che sia così. Del resto,
esistono riviste e monografie sulle quali la
pressione dell’industria farmaceutica è maggiore
e, molto spesso, si tratta proprio dei prodotti editoriali di più elevata qualità. La ragione è facilmente comprensibile: tanto più un periodico o
un libro è conosciuto ed apprezzato tanto più alto
potrà essere l’impatto di messaggi promozionali
veicolati attraverso quel mezzo. Ma probabilmente non è questo il problema.
stanza tra la formulazione del progetto e la
vendita del prodotto] è ancora più sentito.
L’editoria è un mestiere povero perché la casa
editrice è chiamata non più a competere solo con
le sue dirette concorrenti, ma pure “con altri e
nuovi soggetti imprenditoriali, anche in comparti
considerati fino ad ora molto distanti (se non
estranei) da quelli tradizionali del libro e della
lettura”8. Il mondo editoriale è quindi molto vulnerabile, soprattutto in una fase d’instabilità culturale ed economica come l’attuale. Questo contribuisce a spiegare l’ondata di acquisizioni che,
negli ultimi dieci anni, hanno modificato radicalmente lo scenario editoriale. Grandi gruppi
editoriali come Elsevier, Bertelsman, SwetsBlackwell hanno assunto una posizione di
primaria importanza, innescando processi di concentrazione proprietaria che hanno richiesto in
qualche caso l’intervento delle authorities antitrust. Gli effetti di questi cambiamenti si sono
sentiti anche in Italia.
L’editoria di cultura – di libri e di periodici – è
un settore che solo marginalmente si trova a beneficiare del sostegno statale; basti pensare alle recenti
disposizioni di legge che hanno sensibilmente aumentato i costi di spedizione delle riviste, portando
alla chiusura di numerose testate.
Sono questi – ed altri che non cito per brevità
– i motivi del condizionamento dell’editoria,
anche medico-scientifica. Sostenere invece che
quest’ultima sia condizionata dall’industria farmaceutica è confondere la causa con l’effetto. È
vero, al contrario, che un’editoria di cultura indebolita e costretta a rinunciare ad ogni progettualità a causa di preoccupazioni non soltanto di
ordine finanziario ma dovute anche ad una costante variabilità del quadro normativo, può
trovarsi più facilmente nelle condizioni di non
riuscire a resistere a tentazioni compromettenti,
come quella di “ballare con i porcospini”. Il fatto
è – come abbiamo detto – che quasi sempre i porcospini sono i soli ad essere disponili al ballo e
molto spesso prendono l’iniziativa. Molti editori
scientifici ed editors di riviste biomediche attendono da anni un invito analogo da istituzioni
pubbliche, amministrazioni locali, società scientifiche – escludendo beninteso ciò che prevede
comunque il coinvolgimento più o meno diretto
di sponsor farmaceutici.
L’INDIPENDENZA
IMPOSSIBILE
Come per l’informazione su Internet, la questione non è tanto nell’indipendenza dei contenuti. Del resto, un prodotto editoriale sarà
sempre “dipendente” da qualcosa: dagli orientamenti culturali o politici dell’editore; dalle sue
esigenze economiche contingenti; ovviamente,
dalle opinioni dell’autore; dalla policy dell’istituzione eventualmente patrocinante. È stato fatto
acutamente osservare che l’eventuale conflitto tra
i diversi “interessi in campo” sarà solo più evidente
se riguarderà aspetti economici: “Financial conflicts
have been the focus of much discourse involving
biomedical publication, perhaps because financial
associations and equity are easily defined and
measured when compared with nonfinancial interests”9. Il nodo è piuttosto nella qualità ed un
libro o una rivista potranno essere preferiti o meno
indipendentemente dai finanziamenti di cui avrà
beneficiato la loro produzione. Le librerie scientifiche sono piene di monografie tanto “indipendenti” quanto superflue. Allo stesso modo,
accanto a materiali effimeri e di modestissimo
livello - le borse degli informatori scientifici accolgono spesso libri preziosi – basti pensare al Merck
Manual – e riviste interessanti – Ricerca Roche, Sfera,
Noos, per indicarne solo alcune.
“C’è la tendenza a vedere l’industria farmaceutica come il colpevole ed i medici come le
vittime innocenti, ma è una grossa semplificazione”, ammette lo stesso direttore del BMJ,
Richard Smith 10 . Accettiamo, allora, la complessità del problema, e consideriamo piuttosto
i molti fattori che concorrono a determinare il
quadro di fronte al quale ci troviamo. “For some
segue→
Ministero della Salute
166
DALLA LETTERATURA
reason the pharmaceutical industry is seen as
the devil, while many others in health care are
seen as saintly. This prejudice against the industry is unfair”, scrivono Smith e Silvia Bonaccorso, vice-president di Merck & Co. in una
“Personal view” colpevolmente relegata in
fondo al numero del BMJ11.
Infine, una considerazione sulla vignetta che illustra l’articolo sugli “amanti a disagio” (vedi a pag.
157). Il volto dell’editor del BMJ denuncia sì un
certo imbarazzo (sembra quasi pensare tra sé il fatidico “non lo fo per piacer mio…”) ma – ammettiamolo – è probabile che Richard Smith trascorra
una gradevole serata, considerata la compagnia.
Viste le recenti polemiche che hanno accompagnato la pubblicazione di un compromettente
articolo da parte del BMJ12, chissà che – dopo – non
si accenda anche una sigaretta…
Bibliografia
1. Purcell GP, Wilson P, Delamothe T. The quality of the
information on the Internet. BMJ 2002;324:557-8.
2. “Editoria condizionata” è anche il titolo del libro di J e G
Brémond, pubblicato all’inizio del 2003 anche in edizione italiana dalla casa editrice Sylvestre Bonnard.
3. Mistretta E. L’editoria. Un’industria dell’artigianato.
Bologna: Il Mulino, 2003.
4. Questo dato, come quelli forniti successivamente, sono
tratti da: Associazione Italiana Editori (AIE), Ufficio Studi.
L’editoria libraria in Italia. In: Quaderni di “Libri e riviste
d’Italia”, n. 49, 2002. Istituto Poligrafico e Zecca dello
Stato.
5. Diekelmann NL (ed). Teaching the practitioners of care.
New pedagogies for the health professions. Madison:
The University of Wisconsin Press, 2003.
6. Association of Research Libraries. ARL Academy Health
Sciences Library Statistics 2000-2001. Washington, DC,
2002.
7. Page G, Campbell R, Meadows J. Journal publishing.
Cambridge: Cambridge University Press, 1997.
8. AIE, op. cit.
9. Flanagin A. Conflict of interest. In: Hudson Jones A,
McLellan F (eds). Ethical issues in biomedical publication.
Baltimore: The Johns Hopkins University Press, 2000.
10. Smith R. Medical journals and pharmaceutical companies: uneasy bedfellows. BMJ 2003;326:1202-5.
11. Bonaccorso S, Smith R. In praise of the “devil”. BMJ
2003; 326;1220.
12. Vedi a questo riguardo www.vapensiero.info ai numeri
126, 127 e 131.
Commento a cura di Luca De Fiore,
Il Pensiero Scientifico Editore
Luca De Fiore è direttore generale della casa editrice Il Pensiero Scientifico
Editore, azienda che collabora con enti, istituzioni e industrie farmaceutiche. Essendo azionista della casa editrice, il suo reddito può in parte
dipendere dal risultato economico dell’azienda.
Ministero della Salute