PARERE MOTIVATO DI DIRITTO CIVILE Traccia (codice PC1
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PARERE MOTIVATO DI DIRITTO CIVILE Traccia (codice PC1
PARERE MOTIVATO DI DIRITTO CIVILE Traccia (codice PC1) -Cognome+codice (es.: TorresiPC1) Tizio, conduttore di un appartamento facente parte del condominio di via delle Rose, sostiene di aver subito un danno per effetto dei rumori prodotti dai frigoriferi installati nel locale sottostante, adibito a macelleria, di proprietà di Sempronio; questi, infatti, superano i normali limiti di tollerabilità stabiliti dal codice civile. A tali rimostranze Sempronio, tramite il suo legale, comunica di non aver intenzione né di cessare la propria attività, né di ridurre le immissioni sonore in quanto contenute nei limiti stabiliti dalla legge 26 ottobre 1995, n. 447, «Legge quadro sull’inquinamento acustico» e dal D.P.C.M. 14 novembre 1997, «Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore». Il candidato – assunte le vesti del legale di Tizio – rediga motivato parere, illustrando gli istituti e le problematiche sottesi alla fattispecie in esame. Rassegna giurisprudenziale Allorché le immissioni lamentate manchino dei requisiti dell'attualità e della materialità, la loro riconduzione alla disciplina contenuta nell'art. 844 c.p.c. si rivela impossibile, risolvendosi le stesse in meri fatti unici ed eccezionali. Cass. civ., sez. VI, 20 febbraio 2014, n. 4093 In tema di immissioni rumorose, non vi sono ostacoli all'applicabilità del criterio comparativo differenziale per determinare la soglia dell'intollerabilità anche nei rapporti tra i privati ed i concessionari della pubblica amministrazione, che comunque sono tenuti ad osservare gli standards ambientali; perciò l'articolo 844 c.c., quale norma che disciplina in generale le immissioni, detta un parametro di riferimento che può essere utilmente applicato analogicamente anche ai rapporti con il concessionario della pubblica amministrazione (fattispecie relativa all'azione di risarcimento dei danni derivanti dall'eccessivo rumore prodotto dal traffico autostradale in assenza di idonea barriera). Cass. civ., sez. III, 25 agosto 2014, n. 18195 In materia di immissioni intollerabili, allorché le stesse originino da un immobile condotto in locazione, la responsabilità ex art. 2043 cod. civ. per i danni da esse derivanti può essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell'immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non già per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi a carico di terzi. Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2015, n. 11125 In tema di locazione immobiliare, le immissioni derivanti da immobili vicini non sono idonee ad integrare vizio della cosa locata, agli effetti dell'art. 1578 cod. civ., in quanto non attengono all'intrinseca struttura della cosa medesima né alla sua interazione con l'ambiente circostante, ma dipendono dal fatto del terzo. Esse, pertanto, configurano molestie di fatto, ai sensi del secondo comma dell'art. 1585 cod. civ., con la conseguenza che, se intollerabili, sono interamente ascrivibili alla condotta del terzo, mentre, se tollerabili, non determinano alcun danno suscettibile di risarcimento. Cass. civ., sez. III, 4 novembre 2014, n. 23447 In caso di accertamento circa il superamento della soglia di normale tollerabilità delle immissioni, si versa in una situazione di illiceità che esclude il ricorso al giudizio di bilanciamento e quindi all'indennizzo, e introduce il diverso tema della inibitoria delle immissioni e dell'eventuale risarcimento del danno. Cass. civ., sez. II, 7 aprile 2014, n. 8094 Nel campo delle immissioni rumorose, rispettare i limiti di legge sul rumore rileva nei rapporti tra privati e PA non nei rapporti tra privati dove l’intollerabilità delle immissioni può essere accertata a prescindere dal rispetto delle norme tecniche. Sussistono due livelli di tutela di fronte all’immissione rumorosa: da una parte il regime amministrativo deputato alla PA, disciplinato dalla legge 447/1995 e dal D.P.C.M. 14 novembre 1997; dall’altra i principi civilistici che regolano i rapporti tra privati ai sensi degli artt. 844 e 2043 c.c.. Quando non ci troviamo nell’ambito della tutela della quiete pubblica (attinente al rapporto tra privati e PA), ma nei rapporti tra soggetti privati, osservare la normativa tecnica sul rumore non è dirimente nell’escludere l’intollerabilità delle immissioni. La soglia codicistica dell’intollerabilità può essere riscontrata anche se sia accertato il rispetto dei limiti di immissione previsti dalla normativa tecnica. Perciò in materia di immissioni, mentre è sempre illecito il superamento dei livelli di accettabilità prescritti dalle leggi e dai regolamenti che fissano nell’interesse della collettività i limiti massimi di tollerabilità delle immissioni, non sempre l’eventuale rispetto degli stessi può far considerare sicuramente lecite le immissioni. Infatti il giudizio sulla loro tollerabilità va effettuato in concreto secondo i principi sanciti dall’art. 844 c.c., in virtù dei quali nei rapporti tra privati tale giudizio è demandato al prudente apprezzamento del giudice, che tiene conto di tutte le peculiarità del caso concreto. E questo anche a fronte dell’introduzione dell’art. 6ter nel D.L. n.208/2008 (ad opera della legge di conversione n. 13/2009) secondo il quale “nell’accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell’art. 844 del codice civile, sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e le priorità di un determinato uso”. Infatti la Corte Costituzionale n.103/2011 ha affermato che da tale norma non può evincersi aprioristicamente una portata derogatoria e limitativa dell’art. 844 senza prima dare della stessa un’interpretazione costituzionalmente orientata che tenga in debito conto, quale criterio guida, della protezione del diritto alla salute; obiettivo, quest’ultimo, che può essere pienamente raggiunto solo tramite l’accertamento in concreto da parte del giudice. Pertanto rimane pacifico e ben saldo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che differenzia quanto ad oggetto, finalità e sfera di applicazione, la disciplina privatistica da quella di diritto pubblico. Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2015, n. 20927 L'azione ex art. 844 cod. civ. e quella di responsabilità aquiliana per la lesione del diritto alla salute sono azioni distinte ma, ciononostante, cumulabili tra loro. L’azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato per conseguire l'eliminazione delle cause di immissioni rientra tra le azioni negatorie, di natura reale a tutela della proprietà. Essa è volta a far accertare in via definitiva l'illegittimità delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare. Nondimeno l'azione inibitoria ex art. 844 cod. civ. può essere esperita dal soggetto leso per conseguire la cessazione delle esalazioni nocive alla salute, salvo il cumulo con l'azione per la responsabilità aquiliana prevista dall'art. 2043 cod. civ., nonché la domanda di risarcimento del danno informa specifica ex art. 2058 cod. civ. Il limite di tollerabilità delle immissioni non ha carattere assoluto ma è relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti; spetta, pertanto, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell'ambito della stessa. Le immissioni conseguenti a violazioni delle norme pubblicistiche determinano un'attività illegittima di fronte alla quale non ha ragion d'essere l'imposizione di un sacrificio, ancorché minimo, all'altrui diritto di proprietà o di godimento, sicché non essendo applicabili i criteri dettati dall'art. 844 cod. civ. viene in considerazione unicamente l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi secondo lo schema dell'azione generale di risarcimento danni di cui all'ari. 2043 cod. civ.; parimenti, il rispetto dei limiti imposti dalle norme pubblicistiche non ha rilievo nei rapporti tra proprietà, avendo invece rilievo solo con riguardo alla sfera pubblicistica. Tali disposizioni, infatti, non escludono l'applicabilità, né dell'art. 844 c.c., né degli altri principi che tutelano la salute nei rapporti interprivati, che richiedono l'accertamento caso per caso della tollerabilità o meno delle immissioni e della loro concreta lesività. Cass. civ., sez. II, 23 maggio 2013, n. 12828 PARERE MOTIVATO DI DIRITTO PENALE Traccia (codice PP1) -Cognome+codice (es.: TorresiPP1) Tizio, internato in esecuzione di misura di sicurezza della casa di lavoro, dopo avere goduto di una licenza di giorni sette, fa spontaneo rientro presso l'istituto di pena ma con ben due giorni di ritardo rispetto alla scadenza del periodo concessogli; denunciato per evasione, si rivolge al proprio legale. Il candidato, assunte le vesti del legale, premessi brevi cenni sul divieto di analogia in malam partem in diritto penale, rediga parere motivato illustrando gli istituti e le problematiche sottese alla fattispecie. Rassegna giurisprudenziale Integra gli estremi del reato di evasione qualsiasi violazione delle prescrizioni relative alla restrizione domiciliare, quando incompatibile di per sé con gli obblighi connessi alla stessa e tale da impedire sia il soddisfacimento delle esigenze cautelare, sia le esigenze relative al controllo dell'agente. Nel caso di autorizzazione a recarsi fuori delle mura domestiche per incombenti specificati e predeterminati, non si ha una sospensione del regime degli arresti domiciliari, piuttosto si sostituisce il luogo di custodia domiciliare con quello di realizzazione delle condotte sottese alla autorizzazione stessa, così che risultano eccentriche rispetto alla autorizzazione tutte quelle condotte che non si risolvono nel compimento dell'atto autorizzato e non siano immediatamente strumentali alla realizzazione dello stesso (confermata, nella specie, la responsabilità dell'imputato che, trovandosi agli arresti domiciliari, autorizzato a recarsi presso una casa di cura per accertamenti sanitari , completati gli stessi, non faceva rientro presso il luogo di detenzione domiciliare ma si recava presso la scuola del figlio, violando il provvedimento del Tribunale di Minorenni che ne limitava le possibilità di incontro con il minore). Cass. pen., sez. VI, 28 gennaio 2015, n. 6693 Il reato di evasione qualsiasi comportamento che produca allontanamento dal luogo ove il provvedimento restrittivo stabilisce che l'interessato debba permanere, in quanto ogni diversa esecuzione della misura è idonea a produrre una frustrazione delle esigenze della misura applicata, che involge anche le conseguenti necessità di sottoposizione a cautela, quale la circoscrizione dell'ambito spaziale di influenza dell'interessato, oltre che delle sue possibilità di entrare in contatto con i terzi, al di fuori da qualsiasi controllo. In tal senso è irrilevante valutare le finalità concrete della condotta realizzata in violazione delle prescrizioni, per inferirne ex post le possibilità di incidere sulle effettive esigenze di cautela (cassata la sentenza che aveva assolto l'imputato allontanatosi per gettare la spazzatura). Cass. pen., sez. VI, 10 giugno 2015, n. 33881 Ai fini della configurabilità del delitto di procurata evasione, è sufficiente che il soggetto in cui favore la condotta venga compiuta sia "legalmente" arrestato in relazione alle circostanze obiettivamente sussistenti al momento dei fatti, anche se poi non venga aperto un procedimento penale con riferimento allo specifico reato per il quale è stata applicata la misura pre-cautelare. (Nella specie, la Corte ha ritenuto correttamente motivata la decisione impugnata che aveva ravvisato il delitto di procurata evasione con riguardo a fatto commesso in favore di persona arrestata dalla polizia giudiziaria, in presenza dei presupposti di legge, per resistenza a pubblico ufficiale, e poi iscritta solo per altre fattispecie nel registro delle notizie di reato). Cass. pen., sez. VI,11 febbraio 2015, n. 16460 In tema di reato di evasione, non può ritenersi sussistente la causa di giustificazione dello stato di necessità invocata dall'imputato, che aveva portato al Pronto Soccorso dell'ospedale la convivente, preda ad un malore, dopo avere chiamato l'ambulanza che tuttavia tardava ad arrivare, allorché sia stato appurato che la situazione di pericolo di un danno grave alla persona era stata provocata dallo stesso imputato, il quale aveva percosso la convivente, e che il pericolo avrebbe potuto essere evitato attendendo per qualche minuto l'arrivo dell'ambulanza. Cass. pen., sez. VI, 21 ottobre 2014, n. 48430 Il delitto di evasione dagli arresti domiciliari ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui il soggetto attivo si allontana dal luogo di esecuzione della misura, con la conseguenza che, per l'eventuale applicabilità di cause di giustificazione, anche putative, deve aversi riguardo alla situazione esistente a tale momento, e non anche a quella relativa al periodo di eventuale protrazione della condotta elusiva della misura cautelare. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato la sentenza d'appello che, ritenendo la condotta illecita come protratta nel tempo, e scindendo la stessa nelle fasi della fuga e della successiva permanenza fuori del domicilio, aveva applicato la scriminante putativa dello stato di necessità solo in relazione alla prima delle due fasi, ma non anche alla seconda). Cass. pen., sez. VI, 30 settembre 2014, n. 14037 Nel reato di evasione dagli arresti domiciliari, il protrarsi della condotta elusiva della situazione di coercizione personale non incide sulla già avvenuta consumazione del reato, determinata dall'autosufficiente iniziale condotta elusiva. Da ciò discende che il reato non può essere atomizzato in momenti separati e distinti: da una parte, quello della fuga, dall'altra, il perdurare dell'allontanamento (nella specie, relativa all'evasione dagli arresti domiciliari di un imputato, il quale a seguito di un ordine del p.m. di accompagnamento in commissariato per essere esaminato come persona informata su fatti di rilievo penale, aveva spintonato un agente allontanandosi dal luogo di detenzione, la Corte ha cassato la decisione dei giudici di appello, i quali avevano ritenuto illegittimo il provvedimento del p.m., giungendo a ritenere coperta da esimente putativa l'immediata fuga del ricorrente. Al contrario, avevano confermato la condanna per l'asserita seconda fase della condotta del ricorrente, che, invece di protrarre l'assenza dopo la fuga, sarebbe dovuto rientrare in casa e ripristinare il corso della misura cautelare in atto). Cass. pen., sez. VI, 30 settembre 2014, n. 14037 L'attenuante prevista dal comma quarto dell'art. 385 c.p. è integrata anche nel caso in cui colui che si è allontanato senza autorizzazione dagli arresti domiciliari si consegni ad autorità che abbia l'obbligo di tradurlo in carcere. (Fattispecie in cui la Corte ha precisato che la condotta di spontanea presentazione alle Forze dell'ordine non può essere valorizzata per la concessione sia delle circostanze attenuanti generiche, sia dell'attenuante prevista dall'art. 385 comma 4 c.p.). Cass. pen., sez. VI, 24 settembre 2014, n. 42751 Il reato di evasione nell'ipotesi di arresti presso il domicilio sussiste in tutti i casi di allontanamento dalla pertinenza esclusiva della persona sottoposta alla misura, ed include nella sua modalità attuativa anche la presenza nei luoghi condominiali. Cass. pen., sez. VI, 11 novembre 2014, n. 49794 Il reato di evasione non è configurabile nella ipotesi di un internato per esecuzione di una misura di sicurezza detentiva, che, dopo aver goduto di una licenza, non abbia fatto rientro nella casa circondariale, non essendo assimilabile la figura dell'internato a quella del condannato. Cass. pen., sez. VI, 5 novembre 2014, n. 48648 In tema di evasione dagli arresti domiciliari, agli effetti dell'art. 385 cod. pen. deve intendersi per abitazione il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell'imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà. (In motivazione, la S.C. ha precisato che il fine primario e sostanziale della misura coercitiva degli arresti domiciliari è quello di impedire i contatti con l'esterno ed il libero movimento della persona, quale mezzo di tutela delle esigenze cautelari, che può essere vanificato anche dal trattenersi negli spazi condominiali comuni). Cass. pen., sez. VI, 21 ottobre 2014, n. 4830 Il reato di evasione non è configurabile nella ipotesi di un internato per esecuzione di una misura di sicurezza e ammesso al regime di semilibertà, il quale non rispetti l'orario di rientro nella casa circondariale, non essendo assimilabile la figura dell'internato a quella del condannato. Cass. pen., sez. VI, 13 marzo 2006, n. 12795 Non integra la circostanza attenuante di cui all'art. 385, comma quarto, cod. pen., il solo fatto che la persona evasa dalla detenzione domiciliare rientri spontaneamente nel luogo di esecuzione della misura da cui si è arbitrariamente allontanata, essendo indispensabile che la stessa si presenti presso un istituto carcerario o si consegni ad un'autorità che abbia l'obbligo di tradurla in carcere. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che aveva escluso l'attenuante con riferimento ad imputato che, sottoposto al regime di detenzione domiciliare ex art. 47-ter ord. pen., dopo la violazione, aveva spontaneamente fatto rientro nella comunità presso la quale aveva l'obbligo di permanenza). Cass. pen., sez. VI, 21 ottobre 2014, n. 4957 MEDICHINICLODIO P.le Clodio 26 ABC – 00195 Roma – tel. 0639741182 fax 0639741182 mail: [email protected] www.medichiniclodio.it