Casistica Cooperazione colposa

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Casistica Cooperazione colposa
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Caso 1
Due cecchini decidono di sfidarsi in una gara non autorizzata di tiro al bersaglio e
tal fine si danno appuntamento in un campo
aperto. La competizione ha inizio senza che
i contendenti si curino affatto di accertare
l’inesistenza di pericoli per la pubblica
incolumità. Una contadina, raggiunta da un
solo proiettile esploso durante la sfida,
decede, sennonché nel processo non si riesce
ad
individuare
con
certezza
chi
sia
1
l’esecutore del colpo letale .
Caso 2
Due cacciatori, sparando contestualmente ma
ciascuno per suo conto, in palese violazione
di elementari regole cautelari di prudenza,
feriscono un loro collega. La suprema Corte
registra che non è stato accertato a quale
fucile appartenevano i pallini che hanno
colpito la vittima. Per questa ragione non è
configurabile il concorso di cause colpose
indipendenti. Gli imputati ‒ conclude il
giudice di legittimità ‒ dovranno essere assolti perché la cooperazione non era stata
contestata per tempo, mentre l’applicazione
“tardiva” dell’art. 113 c.p. avrebbe integrato una violazione dell’art. 521 c.p.p.2.
1
Cass. pen., sez. IV, 27 marzo 1962, in Cass. pen.,
1962, p. 627.
2
Cass. pen., sez. IV, 12 novembre 2009, n. 48318, Figli, in www.giuffre.dejure.it (anche in Giust. pen., 2010,
II, c. 368; Riv. pen., 2010, p. 1308).
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CAPITOLO SESTO
Caso 3
Due agenti di polizia esplodono altrettante
raffiche
di
mitra
all’indirizzo
di
un’autovettura che ha forzato un posto di
blocco. La seconda scarica parte quando
l’auto aveva raggiunto una velocità elevata
e si era già allontanata di circa 200 m e
quindi – osserva la Corte – si trovava ad
una distanza tale per cui non doveva sfuggire agli imputati che i colpi diretti verso
il mezzo in fuga potevano «raggiungere
l’occupante al suo interno per la difficoltà
di mirare verso parti neutre».
La Corte riforma la sentenza dell’appello,
contestando il «vizio logico» consistente
nell’avere escluso la cooperazione, senza
tenere conto che «dall’azione descritta si
evinceva chiaramente il comune intento dei
poliziotti ed il loro agire» oltre i limiti
della causa di giustificazione. Le condotte
degli imputati erano «entrambe dirette a
raggiungere lo stesso scopo e con modalità
sproporzionate al caso». In relazioni a simili circostanze diventa irrilevante «la identificazione delle singole condotte e la
ricerca di chi esplose il colpo mortale»3.
Caso 4
Sono tratti a giudizio il direttore di can3
Cass. pen., sez. IV, 7 novembre 2007, n. 5111, in
www.giuffre.dejure.it.
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tiere della ditta committente e tre operai
della ditta sub-appaltatrice che, nella realizzazione della tracce della rete a banda
larga, avevano, con i detriti della trivellazione, ostruito la canna di una caldaia a
gas determinando l’intossicazione della vittima. Il processo non identifica chi degli
imputati
avesse
eseguito
maldestramente
quella frazione di lavori, né se uno dei tre
fosse del tutto estraneo al fatto. Le difese, pertanto, nel ricorso si dolgono che, in
violazione del principio di personalità della responsabilità penale, gli imputati sono
stati considerati come un unico soggetto.
Dall’istruttoria – motiva la suprema Corte,
respingendo il ricorso – «è emerso che i tre
imputati avevano consapevolezza dei danni
provocati, ciò in ragione delle plurime lesioni, che non potevano passare inosservate;
nonché della deposizione di una teste, la
quale aveva lamentato che stavano bucando la
canna fumaria, ricevendone dagli operai la
risposta “stia tranquilla, sappiamo quel che
facciamo”. Ciò posto ‒ motiva la sentenza va
«ricordato che questa Corte ha statuito che
“la cooperazione nel delitto colposo si caratterizza
esclusivamente
come
reciproca
consapevolezza da parte dei concorrenti della convergenza delle rispettive condotte
verso un identico scopo, senza che, ai fini
della
sua
configurabilità,
rilevi
l’eventuale incertezza sull’attribuibilità
delle singole condotte ai cooperanti”. Infatti il paradigma della cooperazione nel
delitto colposo prescinde da un preventivo
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CAPITOLO SESTO
accordo, ma prevede solo la consapevolezza
di poter produrre con il proprio comportamento imprudente o negligente un fatto non
voluto; pertanto la cooperazione è ravvisabile nella condotta degli attuali imputati
ai quali non poteva sfuggire, in ragione dei
richiami ricevuti, che con la loro condotta
stavano provocando lesioni alle canne fumarie»4.
Caso 5
Un blindato, carico di tabacchi lavorati esteri
importati
clandestinamente,
mentre
procede di notte e contro-mano lungo una
strada tortuosa, si scontra violentemente
con un’autovettura della guardia di finanza,
causando la morte di due militari. La suprema Corte condanna a titolo di concorso nel
reato anche il passeggero considerandolo codeterminatore dell’evento. Passeggero e conducente – motiva – il giudice di legittimità
– «hanno voluto quelle modalità di guida,
con ruoli diversi e, ciò che rileva in ordine alla cooperazione colposa, ciascuno con
la chiara consapevolezza della inosservanza
della regola cautelare da parte dell’altro»
5
.
4
Cass. pen., sez. IV, 10 febbraio 2009, n. 20395, in
www.giuffre.dejure.it.. Si noti il disinvolto e forse un
po’ distratto di due formule diverse, quella della consapevolezza unilaterale e quella della consapevolezza reciproca.
5
Cass. pen., sez. IV, 4 marzo 2009, n. 20406, in
www.jusforwin.it.
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Caso 6
Alle prime ore del mattino, un ragazzo, in
preda a un delirio cocainico saliva sul tetto di un capannone, invocando aiuto perché
riteneva di essere minacciato da un inesistente branco di cani. Interviene una prima
pattuglia della polizia che, senza successo,
tenta di riportare la calma. Il ragazzo viene arrestato solo dopo l’arrivo di un’altra
volante con due agenti. Durante il trasferimento, tuttavia, il giovane riesce a sfondare il finestrino dell’autovettura nella quale era ristretto cercando di dileguarsi. Il
gruppo di agenti, che nel frattempo aveva
raggiunto le sei unità, rincorre il fuggitivo bloccandolo. Mentre viene eseguita questa
operazione sopraggiunge un settimo agente
che, nonostante fosse libero dal servizio,
provvede a dar manforte ai colleghi. Egli
concorre ad immobilizzare il giovane mentre
altri due colleghi cercano di legargli le gambe con una corda. L’agente sopraggiunto, «in
particolare – si legge nella motivazione – accovacciato, bloccò il torace della vittima
premendo con le ginocchia sulla schiena, così
esercitando una forza incongrua determinata
anche dal suo peso di circa 90 chilogrammi.
Tali condotte violente sono state ritenute eziologicamente
rilevanti
in
relazione
all’evento letale». Secondo la Corte «tutti
gli agenti a turno cooperarono» con il collega
fuori servizio nel bloccare il ragazzo. «Tale
condotta era in sé scriminata dalla causa di
giustificazione dell’adempimento del dovere,
essendovi necessità di bloccare il giovane ar-
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CAPITOLO SESTO
restato e poi evaso. Tuttavia gli agenti superarono il vincolo di proporzione: non vi era
necessità di ridurre il giovane all’assoluta
impotenza, di bloccargli il torace e la testa e di adoperare i piedi per tenerlo immobile
al
suolo.
Solo
nel
corso
dell’intervento fu compreso che l’unica cosa
da fare era legare le gambe»6.
La suprema Corte, avallando pressoché integralmente la decisione dell’Appello, conferma le condanne di sei dei sette agenti intervenuti nell’operazione «essendosi in presenza di cooperazione colposa rilevante ai
sensi dell’art. 113 c.p.». Al riguardo, in
punto di fatto, rileva che gli uomini delle
volanti e il collega fuori servizio «concordemente
dettero
corso
a
modalità
d’immobilizzazione non necessarie e si servirono
di
tecniche
pericolose
per
l’incolumità della persona da bloccare. Senza questa decisione, le condotte dei singoli, che materialmente cagionarono le lesioni
mortali, non avrebbero potuto compiersi».
Dal punto di vista dell’impianto teorico, invece, la sentenza muove dalla premessa
che la giurisprudenza di legittimità accoglie, sia pure implicitamente, l’indirizzo
che attribuisce funzione incriminatrice alla
6
Cass. pen., sez. IV, 2 dicembre 2008, n. 1786, Tomaccio, in Guida al diritto, 2009, 17, 91 (s.m.) (anche in
Riv. pen., 2009, p. 1452; in Dir. pen. proc., 2009, p. 571;
in Cass. pen., 2010, p. 2219, con nota di CANTAGALLI C., Il
riconoscimento della funzione incriminatrice dell’art. 113
c.p. ed il concetto di “interazione imprudente” quale fondamento e limite della colpa di interazione).
LE MANIFESTAZIONI DELLA FUNZIONE INCRIMINATRICE
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cooperazione colposa. La Corte, tuttavia,
non manca di evidenziare che in alcune situazioni il confine tra l’art. 113 e l’art.
41, comma 2, c.p. risulta sfocato. È il caso, per esempio, della vasta area di situazioni «in cui è presente una condotta che,
priva di compiutezza, di fisionomia definita
nell’ottica della tipicità colposa se isolatamente considerata, si integra con altre
dando luogo alla fattispecie causale colposa. Mentre la condotta tipica dà luogo alla
violazione della regola cautelare eziologica, quella del partecipe …si connota per essere pericolosa in una guisa ancora indeterminata. A tali condotte viene solitamente
attribuita valenza in chiave agevolatrice.
…Così definito il contesto, si pone il cruciale problema di individuare il fattore che
fa per così dire da collante tra le diverse
condotte, delineandone la cooperazione».
Per ovviare alle preoccupazioni, che la
Corte ritiene fondate, di eccessiva estensione della fattispecie di cooperazione connesse alla mera consapevolezza dell’altrui
condotta concorrente, occorre individuare
«con rigore, sul piano fenomenico, le condotte che si pongono tra loro in cooperazione. Occorre cioè che il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla
gestione del rischio, o almeno sia contingenza oggettivamente definita senza incertezze e pienamente condivisa sul piano della
consapevolezza. …In tutte tali situazioni
ciascun agente dovrà agire tenendo conto del
ruolo e della condotta altrui. …Tale pretesa
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CAPITOLO SESTO
d’interazione prudente individua, sembra a
questa Corte, il canone per definire il fondamento ed i limiti della colpa di cooperazione. La stessa pretesa giustifica la deviazione rispetto al principio di affidamento e di autoresponsabilità, insita nell’idea
di cooperazione colposa»7.
7
«Tale ordine di idee – si legge ancora nella motivazione – si rinviene, ad esempio, in alcune prese di posizioni di questa Corte, che hanno tratteggiato le ragioni
che, in nome della cooperazione come modello di doveroso
accrescimento dell’efficienza delle cautele, possono giustificare
il
coinvolgimento
anche
di
soggetti
che,
nell’ambito di una determinata organizzazione, svolgono un
ruolo subalterno e meno qualificato e che, conseguentemente, facilmente svolgono nei fatti un ruolo meno significante. È stata così enunciata, ad esempio, la necessità di un
rapporto reciprocamente critico-dialettico tra primario ed
assistente ospedaliero, nonostante la posizione subordinata
e meno qualificata di quest’ultimo; che ha comunque il dovere di manifestare l’eventuale dissenso rispetto alle
scelte terapeutiche».