Casistica Cooperazione colposa
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Casistica Cooperazione colposa
279 Caso 1 Due cecchini decidono di sfidarsi in una gara non autorizzata di tiro al bersaglio e tal fine si danno appuntamento in un campo aperto. La competizione ha inizio senza che i contendenti si curino affatto di accertare l’inesistenza di pericoli per la pubblica incolumità. Una contadina, raggiunta da un solo proiettile esploso durante la sfida, decede, sennonché nel processo non si riesce ad individuare con certezza chi sia 1 l’esecutore del colpo letale . Caso 2 Due cacciatori, sparando contestualmente ma ciascuno per suo conto, in palese violazione di elementari regole cautelari di prudenza, feriscono un loro collega. La suprema Corte registra che non è stato accertato a quale fucile appartenevano i pallini che hanno colpito la vittima. Per questa ragione non è configurabile il concorso di cause colpose indipendenti. Gli imputati ‒ conclude il giudice di legittimità ‒ dovranno essere assolti perché la cooperazione non era stata contestata per tempo, mentre l’applicazione “tardiva” dell’art. 113 c.p. avrebbe integrato una violazione dell’art. 521 c.p.p.2. 1 Cass. pen., sez. IV, 27 marzo 1962, in Cass. pen., 1962, p. 627. 2 Cass. pen., sez. IV, 12 novembre 2009, n. 48318, Figli, in www.giuffre.dejure.it (anche in Giust. pen., 2010, II, c. 368; Riv. pen., 2010, p. 1308). 280 CAPITOLO SESTO Caso 3 Due agenti di polizia esplodono altrettante raffiche di mitra all’indirizzo di un’autovettura che ha forzato un posto di blocco. La seconda scarica parte quando l’auto aveva raggiunto una velocità elevata e si era già allontanata di circa 200 m e quindi – osserva la Corte – si trovava ad una distanza tale per cui non doveva sfuggire agli imputati che i colpi diretti verso il mezzo in fuga potevano «raggiungere l’occupante al suo interno per la difficoltà di mirare verso parti neutre». La Corte riforma la sentenza dell’appello, contestando il «vizio logico» consistente nell’avere escluso la cooperazione, senza tenere conto che «dall’azione descritta si evinceva chiaramente il comune intento dei poliziotti ed il loro agire» oltre i limiti della causa di giustificazione. Le condotte degli imputati erano «entrambe dirette a raggiungere lo stesso scopo e con modalità sproporzionate al caso». In relazioni a simili circostanze diventa irrilevante «la identificazione delle singole condotte e la ricerca di chi esplose il colpo mortale»3. Caso 4 Sono tratti a giudizio il direttore di can3 Cass. pen., sez. IV, 7 novembre 2007, n. 5111, in www.giuffre.dejure.it. LE MANIFESTAZIONI DELLA FUNZIONE INCRIMINATRICE 281 tiere della ditta committente e tre operai della ditta sub-appaltatrice che, nella realizzazione della tracce della rete a banda larga, avevano, con i detriti della trivellazione, ostruito la canna di una caldaia a gas determinando l’intossicazione della vittima. Il processo non identifica chi degli imputati avesse eseguito maldestramente quella frazione di lavori, né se uno dei tre fosse del tutto estraneo al fatto. Le difese, pertanto, nel ricorso si dolgono che, in violazione del principio di personalità della responsabilità penale, gli imputati sono stati considerati come un unico soggetto. Dall’istruttoria – motiva la suprema Corte, respingendo il ricorso – «è emerso che i tre imputati avevano consapevolezza dei danni provocati, ciò in ragione delle plurime lesioni, che non potevano passare inosservate; nonché della deposizione di una teste, la quale aveva lamentato che stavano bucando la canna fumaria, ricevendone dagli operai la risposta “stia tranquilla, sappiamo quel che facciamo”. Ciò posto ‒ motiva la sentenza va «ricordato che questa Corte ha statuito che “la cooperazione nel delitto colposo si caratterizza esclusivamente come reciproca consapevolezza da parte dei concorrenti della convergenza delle rispettive condotte verso un identico scopo, senza che, ai fini della sua configurabilità, rilevi l’eventuale incertezza sull’attribuibilità delle singole condotte ai cooperanti”. Infatti il paradigma della cooperazione nel delitto colposo prescinde da un preventivo 282 CAPITOLO SESTO accordo, ma prevede solo la consapevolezza di poter produrre con il proprio comportamento imprudente o negligente un fatto non voluto; pertanto la cooperazione è ravvisabile nella condotta degli attuali imputati ai quali non poteva sfuggire, in ragione dei richiami ricevuti, che con la loro condotta stavano provocando lesioni alle canne fumarie»4. Caso 5 Un blindato, carico di tabacchi lavorati esteri importati clandestinamente, mentre procede di notte e contro-mano lungo una strada tortuosa, si scontra violentemente con un’autovettura della guardia di finanza, causando la morte di due militari. La suprema Corte condanna a titolo di concorso nel reato anche il passeggero considerandolo codeterminatore dell’evento. Passeggero e conducente – motiva – il giudice di legittimità – «hanno voluto quelle modalità di guida, con ruoli diversi e, ciò che rileva in ordine alla cooperazione colposa, ciascuno con la chiara consapevolezza della inosservanza della regola cautelare da parte dell’altro» 5 . 4 Cass. pen., sez. IV, 10 febbraio 2009, n. 20395, in www.giuffre.dejure.it.. Si noti il disinvolto e forse un po’ distratto di due formule diverse, quella della consapevolezza unilaterale e quella della consapevolezza reciproca. 5 Cass. pen., sez. IV, 4 marzo 2009, n. 20406, in www.jusforwin.it. LE MANIFESTAZIONI DELLA FUNZIONE INCRIMINATRICE 283 Caso 6 Alle prime ore del mattino, un ragazzo, in preda a un delirio cocainico saliva sul tetto di un capannone, invocando aiuto perché riteneva di essere minacciato da un inesistente branco di cani. Interviene una prima pattuglia della polizia che, senza successo, tenta di riportare la calma. Il ragazzo viene arrestato solo dopo l’arrivo di un’altra volante con due agenti. Durante il trasferimento, tuttavia, il giovane riesce a sfondare il finestrino dell’autovettura nella quale era ristretto cercando di dileguarsi. Il gruppo di agenti, che nel frattempo aveva raggiunto le sei unità, rincorre il fuggitivo bloccandolo. Mentre viene eseguita questa operazione sopraggiunge un settimo agente che, nonostante fosse libero dal servizio, provvede a dar manforte ai colleghi. Egli concorre ad immobilizzare il giovane mentre altri due colleghi cercano di legargli le gambe con una corda. L’agente sopraggiunto, «in particolare – si legge nella motivazione – accovacciato, bloccò il torace della vittima premendo con le ginocchia sulla schiena, così esercitando una forza incongrua determinata anche dal suo peso di circa 90 chilogrammi. Tali condotte violente sono state ritenute eziologicamente rilevanti in relazione all’evento letale». Secondo la Corte «tutti gli agenti a turno cooperarono» con il collega fuori servizio nel bloccare il ragazzo. «Tale condotta era in sé scriminata dalla causa di giustificazione dell’adempimento del dovere, essendovi necessità di bloccare il giovane ar- 284 CAPITOLO SESTO restato e poi evaso. Tuttavia gli agenti superarono il vincolo di proporzione: non vi era necessità di ridurre il giovane all’assoluta impotenza, di bloccargli il torace e la testa e di adoperare i piedi per tenerlo immobile al suolo. Solo nel corso dell’intervento fu compreso che l’unica cosa da fare era legare le gambe»6. La suprema Corte, avallando pressoché integralmente la decisione dell’Appello, conferma le condanne di sei dei sette agenti intervenuti nell’operazione «essendosi in presenza di cooperazione colposa rilevante ai sensi dell’art. 113 c.p.». Al riguardo, in punto di fatto, rileva che gli uomini delle volanti e il collega fuori servizio «concordemente dettero corso a modalità d’immobilizzazione non necessarie e si servirono di tecniche pericolose per l’incolumità della persona da bloccare. Senza questa decisione, le condotte dei singoli, che materialmente cagionarono le lesioni mortali, non avrebbero potuto compiersi». Dal punto di vista dell’impianto teorico, invece, la sentenza muove dalla premessa che la giurisprudenza di legittimità accoglie, sia pure implicitamente, l’indirizzo che attribuisce funzione incriminatrice alla 6 Cass. pen., sez. IV, 2 dicembre 2008, n. 1786, Tomaccio, in Guida al diritto, 2009, 17, 91 (s.m.) (anche in Riv. pen., 2009, p. 1452; in Dir. pen. proc., 2009, p. 571; in Cass. pen., 2010, p. 2219, con nota di CANTAGALLI C., Il riconoscimento della funzione incriminatrice dell’art. 113 c.p. ed il concetto di “interazione imprudente” quale fondamento e limite della colpa di interazione). LE MANIFESTAZIONI DELLA FUNZIONE INCRIMINATRICE 285 cooperazione colposa. La Corte, tuttavia, non manca di evidenziare che in alcune situazioni il confine tra l’art. 113 e l’art. 41, comma 2, c.p. risulta sfocato. È il caso, per esempio, della vasta area di situazioni «in cui è presente una condotta che, priva di compiutezza, di fisionomia definita nell’ottica della tipicità colposa se isolatamente considerata, si integra con altre dando luogo alla fattispecie causale colposa. Mentre la condotta tipica dà luogo alla violazione della regola cautelare eziologica, quella del partecipe …si connota per essere pericolosa in una guisa ancora indeterminata. A tali condotte viene solitamente attribuita valenza in chiave agevolatrice. …Così definito il contesto, si pone il cruciale problema di individuare il fattore che fa per così dire da collante tra le diverse condotte, delineandone la cooperazione». Per ovviare alle preoccupazioni, che la Corte ritiene fondate, di eccessiva estensione della fattispecie di cooperazione connesse alla mera consapevolezza dell’altrui condotta concorrente, occorre individuare «con rigore, sul piano fenomenico, le condotte che si pongono tra loro in cooperazione. Occorre cioè che il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio, o almeno sia contingenza oggettivamente definita senza incertezze e pienamente condivisa sul piano della consapevolezza. …In tutte tali situazioni ciascun agente dovrà agire tenendo conto del ruolo e della condotta altrui. …Tale pretesa 286 CAPITOLO SESTO d’interazione prudente individua, sembra a questa Corte, il canone per definire il fondamento ed i limiti della colpa di cooperazione. La stessa pretesa giustifica la deviazione rispetto al principio di affidamento e di autoresponsabilità, insita nell’idea di cooperazione colposa»7. 7 «Tale ordine di idee – si legge ancora nella motivazione – si rinviene, ad esempio, in alcune prese di posizioni di questa Corte, che hanno tratteggiato le ragioni che, in nome della cooperazione come modello di doveroso accrescimento dell’efficienza delle cautele, possono giustificare il coinvolgimento anche di soggetti che, nell’ambito di una determinata organizzazione, svolgono un ruolo subalterno e meno qualificato e che, conseguentemente, facilmente svolgono nei fatti un ruolo meno significante. È stata così enunciata, ad esempio, la necessità di un rapporto reciprocamente critico-dialettico tra primario ed assistente ospedaliero, nonostante la posizione subordinata e meno qualificata di quest’ultimo; che ha comunque il dovere di manifestare l’eventuale dissenso rispetto alle scelte terapeutiche».