Art. 820 - Libri Professionali
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393 Art. 820 Titolo I – Dei beni Sezione III Dei frutti 820. Frutti naturali e frutti civili. – Sono frutti na- turali quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l’opera dell’uomo, come i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali, i prodotti delle miniere, cave e torbiere. Finché non avviene la separazione, i frutti formano parte della cosa (516 c.p.c.). Si può tuttavia disporre di essi come di cosa mobile futura (771, 1348, 1472; 531 c.p.c.). Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali (1224, 1282 ss., 1815), i canoni enfiteutici (960 ss.), le rendite vitalizie (1861 ss., 1872) e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni (1571, 1587 n. 2). u Si veda Cass. I, 24 maggio 2005, n. 10896, riportata supra, sub art. 192. 821. Acquisto dei frutti. – I frutti naturali apparten- gono al proprietario della cosa che li produce (1477, 1775), salvo che la loro proprietà sia attribuita ad altri. In quest’ultimo caso la proprietà si acquista con la separazione. Chi fa propri i frutti deve, nei limiti del loro valore, rimborsare colui che abbia fatto spese per la produzione e il raccolto (984, 1149, 2041). I frutti civili si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto (12633, 15311, 1880). l Nell’ipotesi di “emptio spei speratae”, a norma dell’art. 1472, secondo comma, c.c., la vendita è soggetta alla “condicio iuris” della venuta ad esistenza della cosa alienata, la cui mancata realizzazione comporta non già la risoluzione del contratto per inadempimento, bensì la sua nullità per mancanza dell’oggetto. E poiché, ove si tratti dei frutti naturali della cosa, il passaggio di proprietà avviene, a mente dell’art. 821 c.c., con la separazione dei primi dalla seconda, ne consegue che il rischio del verificarsi di eventi che impediscano la venuta ad esistenza dei frutti naturali della cosa, al pari del rischio della mancata venuta ad esistenza di quest’ultima, è a carico del venditore, giacché grava su di esso, salvo patto contrario, l’obbligazione di separazione dei frutti dalla cosa principale che si trovi nel suo dominio e possesso e, dunque, nella sua disponibilità giuridica e materiale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto nullo, per inesistenza dell’oggetto, la compravendita di frutti pendenti da un agrumeto mai venuti a maturazione a causa di gelate). * Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2011, n. 14461, Luca c. Apal Az. Produttori Agricoli Lentinesi [RV618411] l Ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 821, secondo comma, e 1129 c.c., il diritto alla restituzione dei frutti nasce limitato dalle spese sostenute per la relativa produzione, sicché il restituente può dedurle senza necessità di proporre apposita domanda giudiziale. (Principio dalla S.C. affermato con riferimento ad un’ipotesi di obbligo di restituzione, nell’ambito del rendiconto con gli altri coeredi ex art. 724, secondo comma, c.c., di frutti civili prodotti da beni assegnati in base a progetto divisionale esecutivo di comunione ereditaria, successivamente sostituito da un secondo progetto). * Cass. civ., sez. II, 4 ottobre 2005, n. 19349, Satta c. Sorrenti. [RV584251] u Si veda anche Cass. I, 24 maggio 2005, n. 10896, riportata supra, sub art. 192. Capo II Dei beni appartenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici 822. Demanio pubblico. – Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti (28 ss., 692 ss. c.n.); i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale (879). Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico (942, 945; 247, 248, 863 c.n.). SOMMARIO: a) In genere; b) Lidi, spiagge ed arenili; c) Corsi d’acqua e bacini lacustri; d) Strade. a) In genere. l In tema di beni pubblici, il connotato della “demanialità” esprime una duplice appartenenza, alla collettività ed al suo ente esponenziale, dovendosi intendere la titolarità in senso stretto come appartenenza di servizio, nel senso che l’ente esponenziale può e deve assicurare il mantenimento delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la sua concreta possibilità di fruizione; ne consegue che la titolarità dei beni demaniali allo Stato o agli altri enti territoriali non è fine a sé stessa e non rileva solo sul piano della “proprietà”, ma comporta per l’ente titolare anche la sussistenza di oneri di “governance” finalizzati a rendere effettive le varie forme di godimento e di Art. 822 Libro III – Della proprietà uso pubblico del bene. (Principio enunciato in relazione alle c.d. valli da pesca della laguna di Venezia). * Cass. civ., Sezioni Unite, 14 febbraio 2011, n. 3665, Ama Azd Marina Averto S.r.l. c. Min. Economia Finanze ed altri [RV615918] l Dalla applicazione diretta degli artt. 2, 9 e 42 Cost. si ricava il principio della tutela della personalità umana e del suo corretto svolgimento, nell’ambito dello Stato sociale, anche in relazione al “paesaggio”, con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativa-codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della “proprietà” dello Stato, ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione, risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività e che - per tale loro destinazione alla realizzazione dello Stato sociale - devono ritenersi “comuni”, prescindendo dal titolo di proprietà, risultando così recessivo l’aspetto demaniale a fronte di quello della funzionalità del bene rispetto ad interessi della collettività. (Principio enunciato a proposito delle c.d. valli da pesca della laguna di Venezia). * Cass. civ., Sezioni Unite, 14 febbraio 2011, n. 3665, Ama Azd Marina Averto S.r.l. c. Min. Economia Finanze ed altri [RV615917] l In tema di usucapione, grava sulla P.A., convenuta nel relativo giudizio, l’onere di dimostrare la natura demaniale del bene oggetto del contendere, e di conseguenza la sua inidoneità ad essere usucapito. A tal fine, è tuttavia insufficiente che la natura demaniale del bene risulti dall’intavolazione dell’atto col quale la P.A. abbia acquistato il bene, giacché l’iscrizione tavolare effettuata ai sensi dell’art. 2 del r.d. 28 marzo 1929, n. 449 ha efficacia costitutiva del diritto, ma non certificativa della natura o dell’estensione di esso. * Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 2009, n. 4388, Vascotto ed altro c. Ater Trieste. [RV607113] l In tema di demanio comunale, al fine di provare la proprietà in capo al comune di un terreno non è sufficiente una certificazione proveniente dallo stesso comune. * Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2000, n. 2092, Mattei ed altri c. Possenti ed altri. [RV534349] l Quando non si tratta di beni del demanio necessario, la demanialità non è una qualifica attribuita ad un bene in funzione del titolo di acquisto o della volontà inattuata di una determinata destinazione demaniale o del modo di atteggiarsi del potere di disposizione, ma una qualifica che attiene alla destinazione concreta del bene ed alla sua caratterizzazione funzionale secondo taluna delle varie destinazioni ad uso pubblico previste dalla legge per ciascuna delle categorie dei beni demaniali. Pertanto, deve escludersi che i beni acquistati dallo Stato in R.D. 7 luglio 1866 n. 3036 ed alla cosiddetta liquidazione dell’asse ecclesiastico, 394 attuata con legge 15 agosto 1867 n. 3848, siano di diritto entrati a far parte del demanio pubblico indipendentemente dalla loro concreta destinazione ad una pubblica funzione non essendo in tal senso indicative le disposizioni degli artt. 2 del citato R.D. n. 3848 ed 11 del citato R.D. n. 3036, che, nel prevedere la devoluzione al «demanio» dello Stato dei beni dei soppressi enti morali, si sono riferite al patrimonio dello Stato seguendo il linguaggio del tempo, in cui il predetto sostantivo indicava il complesso dei beni appartenenti allo Stato o agli altri enti pubblici territoriali, nell’ambito del quale si distingueva il demanio pubblico dal demanio privato (fiscale o patrimoniale) a seconda della destinazione del bene e del regime della proprietà (pubblica o privata) a cui questo veniva concretamente assoggettato. * Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 1997, n. 10253, Comune di Catania c. Curia Arcivescovile. [RV509016] l Al fine di individuazione e delimitazione di un bene demaniale, i rilievi e le misurazioni scritte che un tecnico della pubblica amministrazione abbia effettuato al diverso scopo di predisporre un progetto di lavori riguardanti il bene medesimo, possono fornire meri indizi, quali scritti provenienti da terzi, ma non assumere l’efficacia probatoria dell’atto pubblico o della certificazione amministrativa, difettando il requisito del conferimento all’autore dei suddetti atti di una pubblica funzione di documentazione o certificazione. * Cass. civ., sez. I, 12 aprile 1984, n. 2352. l Nella controversia circa il regime reale di un bene immobile, le risultanze catastali non hanno valore probatorio decisivo, bensì soltanto valore indiziario. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza del merito, con cui si era ritenuto che, controvertendosi circa la natura demaniale di un fondo, le risultante del catasto italiano, da cui il fondo appariva come non demaniale, non bastavano a provare la sdemanializzazione, ma che nemmeno le risultanze del vecchio catasto pontificio, in cui il fondo appariva come strada comunale, bastavano a provarne la demanialità). * Cass. civ., sez. II, 8 settembre 1978, n. 4056. b) Lidi, spiagge ed arenili. l Mentre il lido del mare è quella porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, sicché ne riesce impossibile ogni altro uso che non sia quello marittimo, la spiaggia comprende non solo quei tratti di terra prossimi al mare, che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie, ma anche l’arenile cioè quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi delle acque, restando idoneo ai pubblici usi del mare, anche se in via soltanto potenziale e non attuale. Pertanto, perché l’arenile sia compreso nel demanio marittimo non è sufficiente che sia derivato dall’abbandono del mare, ma è necessario che non abbia perso l’attitudine potenziale a 395 Titolo I – Dei beni realizzare i pubblici usi del mare. L’accertamento di tale circostanza in giudizio deve essere effettuato con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della decisione, mentre i titoli esibiti dalle parti possono costituire soltanto utili e concreti elementi di giudizio, liberamente apprezzabili dal giudice. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la natura demaniale di un terreno sulla scorta della descrizione dei luoghi contenuta in una consulenza tecnica d’ufficio, avvalorata da un verbale di delimitazione della zona del demanio marittimo, pur non approvato dal direttore marittimo, dal quale risultava che detto terreno non apparteneva al demanio). * Cass. civ., sez. I, 30 luglio 2009, n. 17737, Min. Economia Finanze ed altro c. Fumagalli. [RV610300] l Nel demanio marittimo è incluso, oltre il lido del mare e la spiaggia, anche l’arenile, ovvero quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi delle acque, e la sua natura demaniale - derivante dalla corrispondenza con uno dei beni normativamente definiti negli artt. 822 c.c. e 28 c.n. - permane anche qualora una parte di esso sia stata utilizzata per realizzare una strada pubblica, non implicando tale evento la sua sdemanializzazione, così come la sua attitudine a realizzare i pubblici usi del mare non può venir meno per il semplice fatto che un privato abbia iniziato ad esercitare su di esso un potere di fatto, realizzandovi abusivamente opere e manufatti. * Cass. civ., sez. II, 11 maggio 2009, n. 10817, Arturo c. Agenzia Demanio ed altri. [RV608262] l A differenza di quanto previsto dall’art. 829 c.c. - secondo cui il passaggio di un bene dal demanio pubblico al patrimonio ha natura dichiarativa e può avvenire anche tacitamente - per i beni appartenenti al demanio marittimo, tra i quali si include la spiaggia, comprensiva dell’arenile, non è possibile che la sdemanializzazione si realizzi in forma tacita, essendo necessaria, ai sensi dell’art. 35 cod. nav., l’adozione di un espresso e formale provvedimento della competente autorità amministrativa, avente carattere costitutivo. * Cass. civ., sez. II, 11 maggio 2009, n. 10817, Arturo c. Agenzia Demanio ed altri. [RV608265] l Costituiscono lido e spiaggia, e come tali sono comprese nel demanio marittimo, ai sensi degli artt. 822 c.c. e 28 cod. nav., la striscia di terreno immediatamente a contatto con il mare, e comunque coinvolta dallo spostamento delle sue acque, tenuto conto anche delle maree, nonché quell’ulteriore porzione, fra detta striscia e l’entroterra, che venga concretamente interessata dalle esigenze di pubblico uso del mare. * Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10304, Mastroianni c. Min. Finanze. [RV573255] l Per stabilire se un’area rivierasca debba o meno essere considerata appartenente al demanio marittimo, mentre risulta indifferente la natura geografica del terreno, sono decisive le Art. 822 seguenti circostanze: 1) che l’area sia normalmente coperta dalle mareggiate ordinarie; 2) che, sebbene non sottoposta a mareggiate ordinarie, sia stata in antico sommersa e tuttora utilizzabile per uso marittimo; 3) che, comunque, il bene sia necessariamente adibito ad usi attinenti alla navigazione (accesso, approdo, tirata in secco di natanti, operazioni attinenti alla pesca da terra, operazioni di balneazione) anche solo allo stato potenziale. * Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10304, Mastroianni c. Min. Finanze. [RV573256] l Il lido del mare — da intendersi come quella porzione di riva che è a contatto diretto, nel suo limite esterno, con le acque del mare e che resta normalmente coperta dalle ordinarie mareggiate, sicché ne riesce impossibile ogni altro uso oltre quello marittimo o pubblico — appartiene allo Stato e fa parte del demanio pubblico dello Stato stesso, ai sensi dell’art. 822, primo comma, c.c.: pertanto, il suo utilizzo non può costituire oggetto di concessione da parte di un ente territoriale diverso dallo Stato, atteso anche che l’art. 824, primo comma, del codice medesimo assoggetta al regime dei beni demaniali, se appartenenti alle province o ai comuni, soltanto i beni della specie di quelli indicati dal secondo comma del citato art. 822, tra i quali non è compreso il lido del mare. * Cass. civ., sez. V, 9 marzo 2004, n. 4769, Min. Economia e Finanze c. Fappani. [RV570900] c) Corsi d’acqua e bacini lacustri. l A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 822 c.c., l’appartenenza dei laghi al demanio pubblico prescinde dalla sussistenza delle condizioni previste dall’art. 1, primo comma, del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775 essendo sufficiente, per l’attribuzione della demanialità, l’accertamento in uno specchio d’acqua dei caratteri idrografici di un lago e non di uno stagno e non assumendo rilievo il mancato inserimento nell’elenco delle acque pubbliche, data la natura dichiarativa del relativo provvedimento. * Cass. civ., Sezioni Unite, 30 aprile 2008, n. 10876, Pollio ed altro c. Min. Beni Ambientali Culturali. [RV602985] l Ai fini dell’individuazione dei terreni ricompresi nel demanio per la loro contiguità a corsi d’acqua pubblici, opera il principio per cui l’estensione dell’alveo, suscettibile di detta ricomprensione, deve essere determinata con riferimento alle piene ordinarie, senza tenere conto del perturbamento determinato da cause eccezionali. * Cass. civ., Sezioni Unite, 28 giugno 2005, n. 13834, Min. infrastrutture trasporti ed altro c. Petrucci. [RV582154] l Nel nostro ordinamento, le acque pubbliche fanno parte, salva diversa previsione legale, del demanio necessario (idrico) dello Stato, come risulta dall’art. 822 c.c. e dal regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 e come è ribadito dal D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616; questa regola non trova eccezione, in favore dei Comuni, nella successiva Art. 822 Libro III – Della proprietà normativa sul riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183, giacché l’art. 11 di detta legge, se affida ai Comuni, unitamente ad altri soggetti, il compito di partecipare alle funzioni riguardanti il riassetto delle acque in materia di difesa del suolo, non attribuisce ad essi la titolarità di alcun diritto dominicale sulle stesse acque pubbliche, titolarità che neppure è ricavabile dall’interesse dell’ente locale alla corretta gestione delle acque sul proprio territorio, a norma dell’art. 4 della legge 5 gennaio 1994, n. 36. * Cass. civ., Sezioni Unite, 5 luglio 2004, n. 12272, Com. Boiano c. Min. Infrastrutture Trasporti ed altro. [RV574122] l A norma degli artt. 1 T.U. n. 1775 del 1933 e 822 c.c., fanno parte di un corso d’acqua pubblico, e perciò appartengono al demanio idrico, non solo il letto di magra del fiume, ma anche le zone che, comprese tra questo e l’argine (naturale ed artificiale), sono soggette a rimanere sommerse in caso di piene ordinarie; a tal fine il livello della piena ordinaria di un corso d’acqua pubblico va determinato in base alla congiunta valutazione dell’elemento quantitativo e di quello temporale, dovendosi considerare come quota raggiunta dalla piena ordinaria il livello massimo attinto dalle acque in un numero di anni talmente prevalente rispetto a quelli del residuo periodo (all’uopo sufficientemente lungo) preso in considerazione, da rappresentare la norma. * Cass. civ., Sezioni Unite, 30 giugno 1999, n. 361, Min. Lavori Pubblici c. Cons. Magra. [RV528098] l Fanno parte del demanio idrico, perché rientrano nel concetto di alveo, le sponde e le rive interne dei fiumi, cioè le zone soggette ad essere sommerse dalle piene ordinarie (mentre le sponde e le rive esterne, che possono essere invase dalle acque solo in caso di piene straordinarie, appartengono ai proprietari dei fondi rivieraschi), ed altresì gli immobili che assumono natura di pertinenza del medesimo demanio per l’opera dell’uomo, in quanto destinati al servizio del bene principale per assicurare allo stesso un più alto grado di protezione. Tale rapporto pertinenziale e la conseguente demanialità del bene accessorio permangono fino al momento in cui la pubblica amministrazione manifesti la sua volontà di sottrarre la pertinenze alla sua funzione, mentre la sdemanializzazione non può desumersi da comportamenti omissivi della medesima. (Nella specie, la P.A. aveva espropriato un’area limitrofa al Brenta per la ricostruzione dell’alveo del fiume dopo un’alluvione e l’argine era stato ripristinato con l’inserimento di una «banca» e di una «sottobanca» di rinforzo, sulla quale ultima successivamente un privato aveva costruito un fabbricato; la S.C. ha confermato la impugnata sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche, con cui era stata rigettata l’azione del privato di accertamento del suo diritto di proprietà relativamente all’area su cui insisteva detto edificio, sulla base 396 del rilievo della qualità di pertinenza demaniale della sottobanca, che, pur non essendo permeata dalle acque di piena ordinaria, era inseparabile strutturalmente dall’alveo e poteva assolvere una funzione protettiva con continuità e non per esigenze solo momentanee). * Cass. civ., Sezioni Unite, 18 dicembre 1998, n. 12701, Albertin c. Ministero Finanze. [RV521785] u Si veda anche, in argomento, sub artt. 942 e 943. d) Strade. l L’appartenenza di una strada ad un ente pubblico territoriale può essere desunta da una serie di elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 2729 c.c., non potendo reputarsi, a tal fine, elemento da solo sufficiente l’inclusione o meno della strada stessa nel relativo elenco, già previsto dall’art. 8 della legge n. 126 del 1958, avente natura dichiarativa e non costitutiva, ed avendo carattere relativo la presunzione di demanialità di cui all’art. 22 della legge n. 2248 del 1865, all. F. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto ad una strada natura comunale in forza di plurime circostanze e, segnatamente, dall’inclusione nelle mappe catastali, dalla classificazione come comunale da parte del Consiglio dell’ente territoriale, dall’attività di manutenzione effettuata dall’ente, dall’inclusione nella toponomastica cittadina con attribuzione di numerazione civica e, infine, dalla mancanza di elementi validi a sostegno del contrario assunto sulla natura privata della strada medesima). * Cass. civ., sez. II, 9 novembre 2009, n. 23705, Toniolo c. Com. Rovigo. [RV610736] l In relazione alle strade vicinali, benché la loro natura di beni privati di interesse pubblico faccia presumere (fino a prova contraria) l’esistenza sulle medesime di una servitù di uso pubblico a favore del Comune, ai fini del riconoscimento del diritto di comproprietà a favore dei proprietari dei fondi latistanti è necessario allegare e provare di aver conferito, in vario modo e misura, il sedime della strada. * Cass. civ., sez. II, 10 ottobre 2007, n. 21245, De Stefano ed altro c. Della Croce. [RV599246] l Affinché un’area privata venga a far parte del demanio, non è sufficiente che essa sia destinata all’uso pubblico, ma è invece necessario che sia intervenuto un atto o un fatto che ne abbia trasferito il dominio alla P.A., e che essa sia destinata all’uso pubblico dalla stessa P.A., a meno che non possa operare, trattandosi di aree adiacenti a una strada pubblica, la presunzione di demanialità stabilita dall’art. 22 della legge n. 2248 del 1865, all. F — la quale sancisce una presunzione iuris tantum di proprietà pubblica di quegli spazi adiacenti alle strade comunali che, per l’immediata accessibilità, appaiono parte integrante (pertinenza) della strada, salvo prova contraria idonea 397 Titolo I – Dei beni a dimostrare il carattere privato degli stessi spazi. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva riconosciuto la natura pubblica di uno slargo adiacente una via comunale, benché fosse privo di sbocchi di transito e potesse essere utilizzato dai soli frontisti, oltre a risultare in parte catastalmente intestato ai suddetti privati). * Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2007, n. 4975, Ferri c. Cozzi ed altri. [RV596944] l La casa cantoniera — in base all’art. 22, secondo comma della legge 20 marzo 1865, n. 2248, ribadito da ultimo dall’art. 24 del D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285 — costituisce pertinenza della strada e partecipa quindi al suo carattere di demanialità quando la strada stessa appartiene ad un ente pubblico territoriale. Ne consegue che la perdita del carattere demaniale della casa cantoniera può essere solo l’effetto della perdita dello stesso carattere della strada (salvo diversa disposizione a norma dell’art. 818 c.p.c.). * Cass. civ., sez. II, 30 agosto 2004, n. 17387, Prov. Latina c. Spelda. [RV576379] l La strada interpoderale o vicinale, iscritta negli elenchi comunali, si presume assoggettata al pubblico transito, diritto reale dell’ente esponenziale estinguibile soltanto per volontà anche implicita del medesimo, irrilevante essendo al riguardo che la via sia chiusa da un lato, senza sbocco su altra strada. * Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 2003, n. 915. [RV560440] l Affinché un’area privata venga a far parte del demanio stradale e assuma, quindi, la natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva e attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titulo dell’area da parte della pubblica amministrazione), né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, né l’intervento di atti di riconoscimento da parte dell’amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta, ma è necessario che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base a un atto o a un fatto (convenzione, espropriazione, usucapione, ecc.) idoneo a trasferire il dominio e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell’ente all’uso pubblico (inequivocabile è in tal senso l’inciso «se appartengono... ai comuni» proprio dell’art. 824, primo comma, c.c.). * Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2000, n. 823, Comune di Zenson di Piave c. Fregonese L. ed altri, in Arch. giur. circ. 2000, 396. Nello stesso senso: Cass. I, 26 agosto 2002, n. 12540; Cass. II, 7 aprile 2006, n. 8204. [RV533141] l La presunzione di demanialità stabilita dall’art. 22 della L. n. 2248 del 1865, all. F — la quale non si riferisce ad ogni area comunicante con la strada pubblica, ma solo a quelle aree che, per l’immediata accessibilità, appaiono integranti della funzione viaria della rete stradale, in guisa da costituire pertinenza della strada — ha carattere relativo e, come tale, è destinata a cadere di Art. 822 fronte all’esistenza di elementi probatori che, secondo il prudente ed incensurabile apprezzamento del giudice di merito, siano idonei a dimostrare il carattere privato degli spazi medesimi. * Cass. civ., Sezioni Unite, 17 giugno 1996, n. 5522. Nello stesso senso, Cass. II, 10 marzo 2006, n. 5262. l L’iscrizione delle strade negli appositi elenchi (che richiede l’accertamento dell’uso pubblico e la sua destinazione alla funzione di collegamento di parti del territorio comunale), secondo la procedure prevista dalle leggi in materia, ha carattere meramente dichiarativo e non costitutivo, cosicché l’iscrizione stessa crea una presunzione di appartenenza della strada all’ente cui essa è attribuita, presunzione che può essere vinta con la prova contraria della sua natura privata e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività. * Cass. civ., sez. II, 17 marzo 1995, n. 3117Idem, Cass. II, 29 aprile 2003, n. 6657. Nello stesso senso anche Cass. II, 11 febbraio 2009, n. 3391. l Al fine di determinare l’appartenenza di una strada al demanio comunale, costituiscono indici di riferimento, oltre che l’uso pubblico, cioè l’uso da parte di un numero indeterminato di persone (il quale, isolatamente considerato, potrebbe indicare solo una servitù di passaggio), la ubicazione della strada all’interno dei luoghi abitati, l’inclusione nella toponomastica del comune, l’apposizione della numerazione civica, il comportamento della pubblica amministrazione nel settore dell’edilizia e dell’urbanistica e l’assoggettamento dei cittadini alla prassi determinata da tale comportamento (presupponente la natura pubblica della strada). Per converso, non può ritenersi elemento da solo sufficiente l’inclusione o rispettivamente la mancata inclusione nell’elenco delle strade comunali, stante la natura dichiarativa e non costitutiva dell’elenco anzidetto. * Cass. civ., sez. III, 5 luglio 1994, n. 6337, Comune di Cirimido c. F.lli Peverelli Snc. Conforme, Cass. II, 7 aprile 2000, n. 4345, l La circostanza che una strada sia attraversata da una linea ferrata non influisce sulla natura (pubblica o privata) della strada, essendo giuridicamente possibile che una ferrovia intersechi una strada privata (o sia da questa intersecata) dando luogo ad una servitù sulla strada o sulla linea ferrata o anche, nel caso di demanialità della ferrovia, ad un uso speciale di questa, sul punto di intersezione per effetto di concessione di attraversamento in favore degli utenti della strada. * Cass. civ., sez. II, 17 marzo 1994, n. 2539. l Una strada privata diventa pubblica quando la destinazione pubblica segua o si accompagni all’acquisto della proprietà del suolo stradale da parte della pubblica amministrazione, in base ad un atto o fatto (convenzione, espropriazione, usucapione) idoneo a trasferirne il dominio, con la conseguenza che l’atto con il quale il proprietario del fondo, a cui vantaggio sia costituita una servitù di transito sul fondo altrui, trasferisca Art. 823 Libro III – Della proprietà al comune tale diritto di transito, deve ritenersi inidoneo a consentire al predetto comune l’esercizio di diritti di supremazia pubblica sul fondo servente. * Cass. civ., sez. II, 20 giugno 1990, n. 6201, Cond. Via Umberto SS c. Comune Sassari. l L’occupazione di un terreno privato da parte del comune, integrante un fatto illecito in difetto di provvedimento autorizzativo, la quale sia eseguita dalla irreversibile destinazione del bene nella realizzazione di una strada comunale ad uso pubblico, comporta, salva restando la responsabilità risarcitoria del comune medesimo per quell’illecito, l’estinzione del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione del terreno stesso al demanio dell’ente territoriale, a titolo originario. * Cass. civ., Sezioni Unite, 21 novembre 1983, n. 6919. u Si veda anche, in materia di strade, sub artt. 825, 879, 905 par. g). 823. Condizione giuridica del demanio pubblico. – I beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi (1145), se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano (30 ss., 694 ss. c.n.). Spetta all’autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà (948 ss.) e del possesso (1168 ss.) regolati dal presente codice. SOMMARIO: a) In genere; b) Mezzi di tutela. a) In genere. l I beni demaniali possono formare oggetto di diritti in favore di terzi soltanto nei modi e nei limiti stabiliti dalle norme di diritto pubblico, e non secondo il diritto privato, così che la relativa utilizzazione da parte della collettività deve essere ricondotta ad un uso generale — se riconosciuto a tutti i cittadini — ovvero speciale, come nell’ipotesi (quale quella di specie) dei proprietari frontisti di una pubblica via nelle misura in cui costoro traggano, da tale uso, particolari utilità per effetto della relazione di contiguità tra i loro beni e la strada stessa. Ne consegue che l’eventuale interesse del frontista a continuare l’utilizzo del bene già demaniale in epoca successiva alla sua sdemanializzazione può condurre alla costituzione di un diritto di servitù qualora ne ricorrano tutte le condizioni, ovvero nelle ipotesi di fondo intercluso, poiché, in tutti gli altri casi, detta sdemanializzazione fa sempre venir meno il diritto di accesso e di transito da loro esercitato, senza che l’interesse legittimo di costoro possa trasformarsi in un diritto sulla cosa altrui. * Cass. civ., sez. II, 1 luglio 2004, n. 12008, Battisti c. Pacifici. [RV573967] 398 l La concessione amministrativa su beni demaniali o su beni indisponibili, al di fuori dei casi in cui la legge, esplicitamente o attraverso la specifica regolamentazione adottata, abbia predeterminato la natura del diritto conferito al concessionario, non attribuisce necessariamente a quest’ultimo diritti di consistenza reale, ma può attribuire anche diritti assimilabili a quelli personali di godimento non esclusi della previsione dell’art. 823 c.c. e pienamente compatibili con i poteri d’imperio dell’ente concedente a tutela dell’interesse pubblico. Peraltro, al fine di stabilire nel singolo caso se a favore del concessionario sia stato costituito un diritto di natura reale o personale, occorre accertare, con indagine da compiersi dal giudice del merito secondo i normali criteri di interpretazione dei contratti e degli atti amministrativi, l’effettiva e concreta consistenza di quel diritto sulla base dell’intero contenuto della convenzione e delle sue clausole, nonchè del provvedimento amministrativo di concessione. * Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2004, n. 5842, Incrementur Ionica Sas c. Regione Calabria. [RV571466] l La natura demaniale di un bene non costituisce ostacolo giuridico nè alla costituzione in favore di privati, mediante concessione, di diritti reali o personali che abbiano ad oggetto la fruizione del bene medesimo, nè alla circolazione tra privati di tali diritti, che si atteggiano, nei rapporti privatistici, come diritti soggettivi perfetti. Ne consegue che, qualora sia accertato, attraverso la complessiva interpretazione — riservata al giudice di merito — del titolo costitutivo (cioè dell’atto di concessione), che è stato conferito al privato un diritto reale di godimento su un immobile demaniale, l’atto con cui quest’ultimo alieni tale diritto è soggetto ad INVIM, ai sensi dell’art. 2, primo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (nel testo, applicabile ratione temporis sostituito dall’art. 24 del D.L. 2 marzo 1989, n. 69, convertito nella legge 27 aprile 1989, n. 154). * Cass. civ., sez. V, 9 marzo 2004, n. 4769, Min. Economia e Finanze c. Fappani. [RV570901] l L’attribuzione a privati dell’utilizzazione di beni del demanio o del patrimonio indisponibile dello Stato o dei comuni, quale che sia la terminologia adottata nella convenzione ed ancorché essa presenti elementi privatistici, è sempre riconducibile, ove non risulti diversamente, alla figura della concessione-contratto, atteso che il godimento dei beni pubblici, stante la loro destinazione alla diretta realizzazione di interessi pubblici, può essere legittimamente attribuito ad un soggetto diverso dall’ente titolare del bene — entro certi limiti e per alcune utilità — solo mediante concessione amministrativa. * Cass. civ., Sezioni Unite, 26 giugno 2003, n. 10157. [RV564581] l I beni che fanno parte del demanio pubblico non possono formare oggetto di diritti a favore dei terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. I negozi relativi all’utilizzazione di detti beni non possono, quindi, dar 399 Titolo I – Dei beni luogo se non ad atti di concessione in godimento temporaneo, come tali per loro natura revocabili e perciò incompatibili con la disciplina propria delle locazioni degli immobili urbani. * Cass. civ., sez. III, 23 dicembre 1998, n. 12831, Boccherini c. Amm. Finanze Stato. [RV521910] l I beni che fanno parte del demanio pubblico non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. L’attribuzione al privato di un diritto di godimento su beni demaniali si realizza attraverso provvedimenti unilaterali di concessione e non mediante l’impiego di contratti di diritto comune. Il godimento da parte di privati, di beni appartenenti al demanio dello Stato, non può avvenire gratuitamente se non nei casi preveduti dalla legge (nel caso di specie la S.C. ha ritenuto che la circostanza che l’amministrazione avesse consentito ad un privato di immettersi nel godimento di un bene demaniale senza fissare fin dall’inizio il canone dovuto da un lato non consentiva di ritenere sussistente tra le parti un contratto di comodato, ma una concessione in uso, dall’altro obbligava il privato a pagare per tale uso un corrispettivo). * Cass. civ., sez. III, 17 marzo 1998, n. 2844, Icomos Italiana c. Min. Finanze. [RV513708] u Si veda per il resto sub art. 822. b) Mezzi di tutela. l La persistente utilizzazione di un bene demaniale da parte del concessionario dopo la scadenza della concessione, legittima la P.A. ad avvalersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà — senza ricorrere ai poteri autoritativi di tutela di cui pure è titolare — con conseguente devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione ordinaria. (Fattispecie relativa a rapporto concessorio di fondo rustico, scaduto nel quale l’ente proprietario aveva chiesto l’accertamento negativo di un titolo che giustificasse la conservazione da parte del privato della detenzione del fondo stesso). * Cass. civ., Sezioni Unite, 5 marzo 2008, n. 5912, Peppi c. Ente Foreste Sardegna. [RV601953] l Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia con la quale la P.A., agendo in sede possessoria come consentitole dall’art. 823, comma secondo, c.c., abbia chiesto l’immediata reintegrazione nell’asserito possesso di una servitù di passaggio il cui esercizio le sia stato inibito da parte di un privato. * Cass. civ., Sezioni Unite, 24 agosto 2007, n. 17954, Giavitto ed altro c. Com. Faedis. [RV598264] l L’autotutela della P.A. è espressione della sua supremazia, e conseguentemente può essere esercitata solo nei confronti di soggetti privati, non anche nei confronti di soggetti che fanno parte anch’essi della P.A., e che, in quanto tali, sono nella medesima condizione giuridica. Pertanto, un Comune non può esercitare i propri poteri di autotutela a difesa della proprietà demaniale, secondo la Art. 824 previsione dell’art. 823, secondo comma, c.c., nei confronti di una Regione. (Principio espresso in controversia possessoria promossa dalla Regione nei confronti di un Comune; enunciando il principio di cui in massima, le S.U. hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario). * Cass. civ., Sezioni Unite, 1 febbraio 2005, n. 1864, Com. vico equense c. Regione Campania. [RV579028] l La facoltà della pubblica amministrazione, in alternativa all’esercizio dei propri poteri di autotutela, di agire davanti al giudice ordinario a difesa della proprietà demaniale o patrimoniale, secondo la previsione dell’art. 823 c.c., deve ritenersi comprensiva della possibilità di proporre domanda di accertamento della natura ed appartenenza ad essa di un determinato bene. * Cass. civ., Sezioni Unite, 6 maggio 2003, n. 6852. [RV562663] l Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla domanda di accertamento dei confini tra terreno privato e demanio proposta dal privato nei confronti della P.A., avendo detta domanda per oggetto l’accertamento dell’esistenza e dell’estensione del diritto soggettivo di proprietà privata rispetto alla proprietà demaniale. * Cass. civ., Sezioni Unite, 18 aprile 2003, n. 6347. [RV562355] l Per il combinato disposto dagli artt. 823 c.c., il quale riserva alla pubblica amministrazione la tutela dei beni demaniali, e 81 c.p.c., che limita i casi di sostituzione processuale a quelli espressamente previsti dalla legge, nel caso di rivendica di immobile fra privati, l’eccezione di demanialità è improponibile da parte del convenuto, trattandosi di exceptio de iure tertii. * Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1991, n. 7892, Loi c. Contini. l L’art. 823 secondo comma c.c., sul carattere alternativo dell’autotutela amministrativa rispetto ai mezzi ordinari a difesa della proprietà o del possesso, ancorché dettato per i beni demaniali, configura espressione di un principio generale, valido per ogni situazione giuridica in cui siano esperibili rimedi giurisdizionali. Pertanto, pure con riguardo a bene non demaniale, deve riconoscersi ad un comune la facoltà di agire davanti al giudice ordinario con azione di rilascio, a tutela del proprio diritto dominicale, indipendentemente dall’eventuale possibilità del comune medesimo di conseguire analogo risultato con l’esercizio di poteri autoritativi. * Cass. civ., Sezioni Unite, 18 ottobre 1986, n. 6129. 824. Beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali. – I beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell’art. 822, se appartengono alle province o ai comuni, sono soggetti al regime del demanio pubblico. Allo stesso regime sono soggetti i cimiteri e i mercati comunali. l Nel nostro ordinamento, il diritto sul sepolcro già costruito nasce da una concessione da parte Art. 825 Libro III – Della proprietà dell’autorità amministrativa di un’area di terreno (o di una porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.) e tale concessione, di natura traslativa, crea, a sua volta, nel privato concessionario, un diritto soggettivo perfetto di natura reale, e perciò, opponibile, iure privatorum, agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei confronti della P.A. nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, impongono o consigliano alla P.A. di esercitare il potere di revoca della concessione. * Cass. civ., Sezioni Unite, 7 ottobre 1994, n. 8197, Fania c. Fania. Nello stesso senso: Cass. II, 18 febbraio 1977 n. 727; Cass. II, 30 maggio 2003, n. 8804. l Rispetto alle piazze, agli spazi ed ai vicoli i quali, nell’interno delle città e dei villaggi, siano adiacenti alle strade comunali o aperti su suolo pubblico, l’art. 22, comma terzo, della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F), stabilisce una presunzione iuris tantum di demanialità, che ammette la prova contraria, la quale, tuttavia, è circoscritta testualmente all’esistenza di consuetudini che escludano la demanialità per il tipo di aree di cui faccia parte quella considerata, o di convenzioni che attribuiscano la proprietà a soggetto diverso dal comune, ovvero alla natura privata della proprietà dell’area stessa. La presunzione di demanialità delle aree suddette, con il conseguente assoggettamento al regime dei beni demaniali, impedisce che esse possano ritenersi acquisite in proprietà per usucapione, se non sia stata preliminarmente dimostrata, in uno dei modi indicati, la natura privata delle stesse. * Cass. civ., sez. I, 13 giugno 1983, n. 4051. u Si veda, per il resto, supra, sub artt. 822, 823. 825. Diritti demaniali su beni altrui. – Sono pari- menti soggetti al regime del demanio pubblico (823) i diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi. l La “dicatio ad patriam”, quale modo di costituzione di una servitù, postula un comportamento ad uso pubblico, del proprietario che, seppur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al relativo uso. (Nella specie, la S.C. ha escluso che tale comportamento potesse essere ravvisato nel fatto che il proprietario, pur consentendo il passaggio pubblico su una strada privata di accesso ad alcuni edifici e di collegamento tra due 400 strade pubbliche, aveva tuttavia contestato l’abusiva ingerenza del Comune che l’aveva asfaltata e denominata). * Cass. civ., sez. I, 16 marzo 2012, n. 4207, Comune di Reggio Calabria c. Scordino. [RV621717] l Le servitù di uso pubblico possono essere acquistate mediante il possesso protrattosi per il tempo necessario all’usucapione anche se manchino opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, essendo il requisito dell’apparenza prescritto dall’art. 1061 c.c. soltanto per le servitù prediali. * Cass. civ., Sezioni Unite, 3 ottobre 2011, n. 20138, Ciullo c. Alto Calore Servizi s.p.a. [RV618740] l Un’area privata può ritenersi assoggettata a servitù pubblica di passaggio, allorché sussista non solo l’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati “uti cives” in quanto portatori di un interesse generale, e la sussistenza di un titolo valido a sostenere l’affermazione di un diritto di uso pubblico, ma anche l’ulteriore requisito dell’oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l’esercizio della servitù. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale aveva escluso il requisito dell’oggettiva idoneità a soddisfare un fine di pubblico interesse con riferimento ad una mulattiera di montagna di ridottissime dimensioni ed assai scoscesa, su cui non era consentito un transito generalizzato di mezzi agricoli). * Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 2011, n. 354, Terroni ed altro c. Garnero [RV616131] l Ai fini dell’assoggettamento per usucapione di un’area privata ad una servitù di uso pubblico, è necessario che l’uso risponda alla necessità ed utilità di un insieme di persone, agenti come componenti della collettività, e che sia esercitato continuativamente per oltre un ventennio con l’intenzione di agire uti cives e disconoscendo il diritto del proprietario. * Cass. civ., sez. II, 17 giugno 2004, n. 11346, Hotel Kolfuschgerhof c. Alfreider. [RV573688] l La dicatio ad patriam quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico consiste nel comportamento del proprietario che, pur se non intenzionalmente diretto alla produzione dell’effetto di dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente con carattere di continuità e non di mera precarietà e tolleranza, un proprio bene a disposizione della collettività assoggettandolo al correlativo uso che ne perfeziona l’esistenza senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale ovvero ablatorio al fine di soddisfare un’esigenza comune dei membri della collettività uti cives indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità o meno e dallo spirito che l’anima. La volontarietà del comportamento è ravvisabile anche quando il privato proprietario con il non far cessare l’uso pubblico iniziato in conseguenza di una sua attività diversamente fi- 401 Titolo I – Dei beni nalizzata, manifesti chiaramente per facta concludentia l’intenzione di voler mantenere la sua cosa a disposizione della collettività così da rendere legittimo l’uso pubblico della medesima. * Cass. civ., sez. II, 22 novembre 2000, n. 15111. Nello stesso senso, fra le altre: Cass. I, 7 maggio 1993, n. 5262; Cass. II, 10 dicembre 1994, n. 10574; Cass. II, 17 marzo 1995, n. 3117; Cass. II, 22 gennaio 2001, n. 875; Cass. II, 4 giugno 2001, n. 7481; Cass. II, 12 agosto 2002, n. 12167; Cass. II, 19 febbraio 2007, n. 3742. l La cosiddetta dicatio ad patriam ha, come suo indefettibile presupposto, l’asservimento del bene all’uso pubblico nello stato in cui il bene stesso si trovi, e non in quello realizzabile a seguito di manipolazioni quali quelle conseguenti alle irreversibili trasformazioni che caratterizzano il (diverso) istituto dell’accensione invertita. * Cass. civ., sez. I, 1° dicembre 1998, n. 12181. l Perché un’area privata possa ritenersi assoggettata a uso pubblico di passaggio è necessario che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene che si pretende gravato. Deve, pertanto, escludersi l’uso pubblico del passaggio quando questo venga esercitato soltanto dai proprietari di determinati immobili in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione. * Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1998, n. 5312. Nello stesso senso, fra le altre: Cass. II, 23 maggio 1995, n. 5037; Cass. II, 20 giugno 1995, n. 6952; Cass. II, 21 maggio 2001, n. 6924. l Le servitù di uso pubblico possono costituirsi anche mediante dicatio ad patriam a favore di una comunità indeterminata di soggetti considerati uti cives, su beni di proprietà privata per fini di pubblico interesse, corrispondenti a quelli cui servono i beni demaniali e pertanto postulano che il bene privato abbia caratteristiche intrinseche identiche a quelle di un bene demaniale, giacché altrimenti non sarebbe idoneo a fornire le medesime utilità. * Cass. civ., 19 settembre 1995, n. 9903. Nello stesso senso, con riguardo alla prima parte della massima, Cass. II, 21 maggio 2001, n. 6924. l L’assoggetamento di un’area ad una servitù di uso pubblico per effetto del possesso, richiede: a) la generalità di uso da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati uti cives, ossia quali titolari di un interesse generale; b) l’oggettiva idoneità del bene che si pretende gravato all’attuazione di un fine di pubblico interesse, che può consistere anche nella mera comodità; c) il protrarsi del possesso per il tempo previsto dalla legge per l’ususcapione. * Cass. civ., sez. II, 29 aprile 1995, n. 4755. Conforme, Cass. II, 9 luglio 2003, n. 10772, Art. 826 l Per la costituzione di una servitù di pubblico passaggio su un fondo privato — il cui accertamento è compito esclusivo del giudice di merito — è necessaria la prova specifica di un effettivo e pacifico uso della strada da parte della generalità dei cittadini, con l’acquiescenza del proprietario, non essendo sufficiente, per ritenere la sussistenza di un uso generale così ampio di un bene privato, che le singole utilizzazioni dedotte a prova dell’esistenza della servitù si risolvano in sporadici episodi svoltisi in maniera discontinua e per tolleranza dei legittimi proprietari. * Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1989, n. 5452, Annunziata c. Catorpano. 826. Patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni. – I beni appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti (829), costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni (828). Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo (840), le cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo (839, 840, 932), i beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari (745 c.n.) e le navi da guerra. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio. l L’appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile di un ente territoriale discende non solo dalla esistenza di un atto amministrativo che lo destini ad uso pubblico, ma anche dalla concreta utilizzazione dello stesso a tale fine, la cui mancanza deve essere desunta dalla decorrenza, rispetto all’adozione dell’atto amministrativo, di un periodo di tempo tale da non essere compatibile con l’utilizzazione in concreto del bene a fini di pubblica utilità. (Nella specie, la S.C. ha cassato, con rinvio, la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di usucapione di un fondo, proposta nei confronti di un Comune, per non aver gli attori dato prova del momento del passaggio del bene dal patrimonio indisponibile a quello disponibile dell’ente, tralasciando però di considerare che al momento dell’inizio del possesso utile all’usucapione erano trascorsi più di dieci anni da quello in cui, tramite il piano regolatore generale, il fondo stesso era stato destinato ad uso pubblico senza che di esso vi fosse stata alcuna concreta utilizzazione). * Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 2009, n. 26402, Grosso ed altro c. Com. Art. 826 Libro III – Della proprietà Torino. Conforme, sulla prima parte della massima, Cass. Sez. Un., 3 dicembre 2010, n. 24563, per la quale, inoltre, “... l’atto e la destinazione in questione non discendono automaticamente dalla inclusione del bene nell’area di un parco regionale istituito con normativa (nella specie, con legge reg. Sicilia 6 maggio 1981, n. 98 istitutiva del Parco delle Madonie) che viene anzi sovente a configurare un complesso quadro di precetti conservativi dell’ambiente limitativi dei diritti di utilizzazione privata e non necessariamente fondanti un uso pubblico, per la presenza di divieti edificatori, di coltivazione e persino di accesso indiscriminato ai cittadini e di percorribilità viaria”. [RV610544] l L’art. 826, terzo comma c.c. richiede, ai fini della appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile della pubblica amministrazione la concreta ed effettiva destinazione dello stesso ad un pubblico servizio. Tuttavia, nella ipotesi in cui non sia la pubblica amministrazione a destinare un immobile ad un pubblico servizio, ma sia il legislatore, che ne decide la costruzione — come avvenuto con il D.L.C.P.S. 10 aprile 1947, n. 261 per le assegnazioni di alloggi ai senza tetto per cause di guerra — il bene rientra senz’altro nella categoria dei beni indisponibili non appena tale costruzione sia realizzata, non essendo necessario che la sua destinazione ad un pubblico servizio, già affermata dalla legge, abbia concreta ed effettiva attuazione attraverso un successivo provvedimento amministrativo. * Cass. civ., sez. II, 12 maggio 2003, n. 7269. [RV562929] l Affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili perché «destinati ad un pubblico servizio» ai sensi dell’art. 826, terzo comma c.c. deve sussistere un doppio requisito: la manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico e perciò un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio e l’effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio (conseguentemente, nella specie, il fatto che il terreno sia stato acquistato dal Comune di Roma nel 1884 per realizzare una «passeggiata pubblica» o parco e che sia stato iscritto nell’inventario dei beni demaniali comunali, in difetto della concreta ed attuale destinazione al pubblico servizio, non è sufficiente per riconoscere al bene il carattere della indisponibilità). * Cass. civ., Sezioni Unite, 15 luglio 1999, n. 391 Conformi, sulla prima parte della massima: Cass. III, 22 giugno 2004, n. 11608; Cass. Sezioni Unite, 28 giugno 2006, n. 14865 e Cass. II, 13 marzo 2007, n. 5867, la prima delle quali aggiunge che: «Pertanto non osta all’inquadramento nel patrimonio indisponibile l’appartenenza del bene a un ente pubblico economico, poiché sull’elemento soggettivo prevale quello oggettivo della destinazione concreta del bene al pubblico servizio. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito 402 che, nel negare la natura locativa del contratto per la gestione del bar-ristorante ubicato presso i locali dell’Ente Fiere di Verona aveva ritenuto che il servizio fosse funzionalmente collegato alle finalità istituzionali dell’ente, individuate nell’organizzazione di manifestazioni fieristiche)». l L’appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile dello Stato, dei Comuni e delle Province, a meno che non si tratti di beni riservati, per loro natura, a tale patrimonio, dipende soprattutto dalle caratteristiche oggettive e funzionali del bene e presuppone, quindi, oltre che l’acquisto in proprietà del bene da parte dell’ente pubblico (cosiddetto requisito soggettivo), una concreta destinazione dello stesso ad un pubblico servizio (cosiddetto, requisito oggettivo) che, proprio per l’esigenza di un reale legame con le oggettive caratteristiche, del bene, non può dipendere da un mero progetto di utilizzazione della P.A. o da una risoluzione che, ancorché espressa in un atto amministrativo, non incide, di per sé, sulle oggettive caratteristiche funzionali del bene. Pertanto, nei casi in cui il bene sia privo di caratteri strutturali necessari per il servizio, occorre almeno che il provvedimento di destinazione sia seguito dalle opere di trasformazione che in qualche modo possano stabilire un reale collegamento di fatto, e non meramente intenzionale, del bene alla funzione pubblica, con la conseguenza che i terreni destinati a verde pubblico dal piano regolatore acquistano la condizione di beni del patrimonio indisponibile dell’ente pubblico solo dal momento in cui, essendo stati acquistati da questo in proprietà, sono trasformati ed in concreto utilizzati secondo la propria destinazione, non essendo all’uopo sufficiente né il piano regolatore generale, che ha solo funzione programmatoria e l’effetto di attribuire alla zona, o anche ai terreni in esso eventualmente indicati, una vocazione da realizzare attraverso gli strumenti urbanistici di secondo livello o ad essi equiparati, e la successiva attività di esecuzione di questi strumenti, né il provvedimento di approvazione del piano di lottizzazione, che individua solo il terreno specificamente interessato dal progetto di destinazione pubblica, né la convenzione di lottizzazione, che si inserisce nella fase organizzativa del processo di realizzazione del programma urbanistico e non nella fase della sua materiale esecuzione. * Cass. civ., sez. II, 9 settembre 1997, n. 8743, Foianesi c. Comune di Firenze. [RV507700] l Un bene, in tanto può considerarsi appartenente al patrimonio indisponibile per essere destinato a pubblici servizi a norma del terzo comma dell’art. 826 c.c., in quanto abbia una effettiva destinazione a quel servizio, non essendo sufficiente la determinazione dell’ente pubblico di imprimere al bene il carattere di patrimonio indisponibile. * Cass. civ., Sezioni Unite, 23 giugno 1993, n. 6950, Tomaino c. Comune di Genova. Conforme, Cass., Sezioni Unite, 2 dicembre 1996, n. 10733. 403 Titolo I – Dei beni 827. Beni immobili vacanti. – I beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato (923; 119 Cost.). l L’art. 827 c.c., nello stabilire che gli immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato, non pone una presunzione di appartenenza allo Stato di tutti gli immobili di cui non si provi l’appartenenza ad altri, ma si limita a prevedere un effetto giuridico conseguente ad una determinata situazione di fatto (vacanza del bene) la quale deve essere, perciò, dimostrata dal soggetto che la invochi a fondamento del suo diritto. (In una fattispecie relativa alla proprietà di uno slargo adiacente alla via pubblica, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che ne aveva riconosciuto la natura pubblica, benché risultasse in parte catastalmente intestato ai privati frontisti e non potesse operare la presunzione di cui all’art. 22 legge n. 2248 del 1865). * Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2007, n. 4975, Ferri c. Cozzi ed altri. Conforme, sulla prima parte della massima, Cass. II, 27 gennaio 1976, n. 256. [RV596945] 828. Condizione giuridica dei beni patrimoniali. – I beni che costituiscono il patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni sono soggetti alle regole particolari che li concernono e, in quanto non è diversamente disposto, alle regole del presente codice. I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano (830). 829. Passaggio di beni dal demanio al patrimo- nio. – Il passaggio dei beni dal demanio pubblico (822) al patrimonio dello Stato (826) dev’essere dichiarato dall’autorità amministrativa. Dell’atto deve essere dato annunzio nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Per quanto riguarda i beni delle province e dei comuni, il provvedimento che dichiara il passaggio al patrimonio dev’essere pubblicato nei modi stabiliti per i regolamenti comunali e provinciali. l La sdemanializzazione d’una strada può anche verificarsi senza l’adempimento delle formalità previste dalla legge in materia, ma occorre che essa risulti da atti univoci, concludenti e positivi della pubblica amministrazione, incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all’uso pubblico. Né il disuso da tempo immemorabile o l’inerzia dell’ente proprietario possono essere invocati come elementi indiziari dell’intenzione di far cessare la destinazione, anche potenziale, del bene demaniale all’uso pubblico, poiché a dare di ciò la prova è pur sempre necessario che tali elementi indiziari siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze così si- Art. 827 gnificative da rendere impossibile formulare altra ipotesi se non quella che la pubblica amministrazione abbia definitivamente rinunziato al ripristino della pubblica funzione del bene medesimo. * Cass. civ., sez. II, 30 agosto 2004, n. 17387, Prov. Latina c. Spelda. Nello stesso senso, Cass. II, 19 febbraio 2007, n. 3742, nonchè, sulla prima parte della massima, Cass. civ., sez. III, 3 giugno 2008, n. 14666, la quale, in applicazione del principio (come si legge nella stessa massima ufficiale) «ha ritenuto cessata tacitamente la demanialità di un vincolo in parte locato ed in parte venduto a terzi prima della formale delibera di sdemanializzazione». [RV576380] l La sdemanializzazione tacita non può desumersi dalla sola circostanza che un bene non sia più adibito anche da lungo tempo ad uso pubblico, ma è ravvisabile solo in presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della P.A. di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino. (Sulla base del principio di cui in massima, le S.U. hanno escluso l’esistenza di simili atti e fatti in una fattispecie nella quale le opere antropiche — consistenti nella costruzione di un collettore fognario e nella realizzazione di una strada —, determinanti la trasformazione per innalzamento dell’altezza di quota di un terreno costituente l’alveo naturale di un lago, erano avvenute senza il consenso, espresso o tacito, delle Amministrazioni interessate). * Cass. civ., Sezioni Unite, 26 luglio 2002, n. 11101. Nello stesso senso, con riguardo alla prima parte della massima, oltre alle massime seguenti, anche: Cass. I, 20 aprile 1985, n. 2610; Cass. II, 26 febbraio 1996, n. 1480; Cass. II, 3 maggio 1996, n. 4089. l La sdemanializzazione di un bene, con la conseguenziale configurabilità di un possesso da parte del privato ad usucapionem, può verificarsi tacitamente, in carenza di un formale atto di declassificazione, solo in presenza di comportamenti positivi della pubblica amministrazione, inequivocabilmente rivolti alla dismissione del bene stesso alla sfera del demanio ed al suo passaggio al patrimonio disponibile. A tal fine la «omissione di contestazioni» da parte della pubblica amministrazione non può ritenersi, di per sé, atto univoco e concludente, incompatibile con la volontà di conservare la destinazione del bene dell’uso pubblico, risolvendosi in semplice inerzia degli organi competenti. * Cass. civ., sez. II, 12 aprile 1996, n. 3451. l La sdemanializzazione di un bene può essere anche tacita, indipendentemente da un formale atto di sclassificazione, purché risulti da atti univoci e concludenti, incompatibili con la volontà dell’amministrazione di conservarne la destinazione all’uso pubblico, e da circostanze tali da rendere non configurabile un’ipotesi diversa dalla definitiva rinuncia al ripristino della funzione pubblica del bene; la relativa indagine è rimessa al giudice del merito, il cui accertamento Art. 830 è incensurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici e giuridici. (Nella specie, la S.C. ha annullato la decisione di merito, che, affermando che la prospettata sdemanializzazione tacita di una linea ferroviaria non poteva derivare dalla semplice inutilizzazione della strada ferrata, non aveva adeguatamente tenuto conto del dato significativo risultante dal provvedimento di definitiva soppressione e di smantellamento della linea medesima). * Cass. civ., sez. I, 4 marzo 1993, n. 2635, Regione Friuli-Venezia Giulia c. Ministero delle Finanze. Nello stesso senso, Cass. II, 5 agosto 1977, n. 3556, la quale, in applicazione dei medesimi principi, ha affermato che: «Conseguentemente, l’esistenza, da epoca remota, su un via pubblica, di un ballatoio in muratura, quale accesso ad una abitazione privata, può lasciare ragionevolmente presumere che il bene demaniale sia, per quella parte occupata, stabilmente e permanentemente destinato all’uso esclusivo del privato e, perciò. sia stato tacitamente sdemanializzato». Sempre in applicazione dei medesimi principi, Cass. II, 2 ottobre 1975, n. 3925, ha affermato che: «deve considerarsi sdemanializzata un’area comunale già adibita a piazza e poi occupata da un privato con gli attrezzi di un cantiere edile senza opposizione né dei cittadini né del comune, il quale venda poi l’area allo stesso privato, concedendogli altresì la licenza edilizia». 830. Beni degli enti pubblici non territoriali. – I beni appartenenti agli enti pubblici non territoriali sono soggetti alle regole del presente codice, salve le disposizioni delle leggi speciali. Ai beni di tali enti che sono destinati a un pubblico servizio si applica la disposizione del secondo comma dell’art. 828. l I 404 Libro III – Della proprietà terreni acquistati dagli enti di riforma fondiaria, essendo destinati all’attuazione della funzione istituzionale dei medesimi, ossia quella della redistribuzione della proprietà terriera ai contadini, come stabilito dall’art. 1 della legge n. 230 del 1950 - non possono, in quanto destinati a un pubblico servizio, essere sottratti a tale finalità se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano, ai sensi degli artt. 830, secondo comma, cod. civ. e 828, secondo comma, cod. civ.; ne consegue l’impossibilità giuridica di una loro acquisizione da parte di terzi per usucapione, ancorché sia venuto a scadenza il termine ordinatorio previsto dall’art. 20 della medesima legge n. 230 del 1950 per l’assegnazione delle terre acquisite. * Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 2009, n. 4430, Coccia ed altro c. Regione Puglia. Conforme, Cass. I, 9 giugno 1987, n. 5024. [RV607041] l Nell’ipotesi in cui la ASL abbia affidato ad un privato la gestione del servizio di bar all’interno di un ospedale pubblico, il rapporto tra la pubblica amministrazione ed il privato, avendo ad oggetto un’attività da svolgersi all’interno di locali facenti parte della struttura immobiliare ospedaliera — come tale destinata a pubblico servizio e perciò rientrante tra i beni patrimoniali indisponibili ai sensi dell’art. 830 c.p.c., — può trovare titolo solo in un atto concessorio, potendo tali beni essere trasferiti nella disponibilità di privati, per usi determinati, solo mediante concessioni amministrative, con la conseguenza che le relative controversie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 5 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. * Cass. civ., Sezioni Unite, 14 novembre 2003, n. 17295. [RV568195] l In materia di beni immobili, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 830 e 828, secondo comma, c.c.,i beni del patrimonio indisponibile di un ente pubblico non territoriale possono essere sottratti alla pubblica destinazione soltanto nei modi stabiliti dalla legge, e quindi certamente non per effetto di usucapione da parte di terzi, non essendo usucapibili diritti reali incompatibili con la destinazione del bene dell’ente al soddisfacimento del bisogno primario di una casa di abitazione per cittadini non abbienti. * Cass. civ., sez. II, 28 agosto 2002, n. 12608. [RV557167] 831. Beni degli enti ecclesiastici ed edifici di cul- to. – I beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle norme del presente codice, in quanto non è diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano. Gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano. u Si veda Cass. II, 31 gennaio 2006, n. 2166, riportata infra, sub art. 844, par. a). Titolo II Della proprietà Capo I Disposizioni generali 832. Contenuto del diritto. – Il proprietario ha dirit- to di godere (959) e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico (833, 838, 869; 42 ss. Cost.). 833. Atti d’emulazione. – Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri (844). l Non costituisce atto emulativo, vietato ai sensi dell’art. 833 c.c., la sostituzione di una siepe con un muro in cemento, volto a precludere ai vicini l’”inspectio” nel proprio fondo, in quanto, 405 Titolo II – Della proprietà rimanendo la funzione del manufatto identica a quella della siepe, tale sostituzione non può dirsi manifestamente priva di utilità. Invero, ponendosi il carattere emulativo come limite esterno al diritto di proprietà esercitabile dal confinante, lo stesso deve essere valutato in termini restrittivi, con la conseguenza che, se pure la nuova opera possa non rispondere completamente a quei requisiti funzionali che ne avevano giustificato la creazione, tuttavia l’obiettiva idoneità a soddisfarli in gran parte consente di escludere la ravvisabilità dell’atto emulativo. * Cass. civ., sez. II, 7 marzo 2012, n. 3598, Mazzola c. Borgognone. [RV621425] l Poiché per configurarsi l’atto emulativo previsto dall’art. 833 c.c. è necessario che l’atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie ed abbia lo scopo di nuocere o recare molestia ad altri, non è riconducibile a tale categoria la delibera del condominio che, nel disporre il ripristino della recinzione della terrazza a livello attraverso l’installazione di una rete divisoria fra la parte di proprietà esclusiva del condomino e quella di proprietà comune, abbia la finalità di impedirne l’usucapione e di delimitare il confine, garantendo a tutti i condomini l’accesso alla parte comune. * Cass. civ., sez. II, 27 giugno 2005, n. 13732, Marcello c. Cond. Corso Porta Vittoria 32 Milano. [RV581660] l Per aversi atto emulativo vietato ai sensi dell’art. 833 c.c. è necessario che l’atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e sia posto in essere al solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri, sicché è riconducibile a tale categoria di atti l’azione del proprietario che installi sul muro di recinzione del fabbricato comune un contenitore avente aspetto di telecamera nascosta fra il fogliame degli alberi posto in direzione del balcone del vicino. * Cass. civ., sez. II, 11 aprile 2001, n. 5421. l Per aversi atto emulativo vietato dall’art. 833 c.c. occorre il concorso di due elementi: a) che l’atto di esercizio del diritto non arrechi utilità al proprietario; b) che tale atto abbia il solo scopo di nuocere o arrecare molestia ad altri. * Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1998, n. 9998. l Non costituisce atto emulativo l’azione dell’amministratore di un condominio per la cessazione dell’abuso di un bene comune da parte di un condomino che, servendosene a vantaggio della sua proprietà esclusiva, lo sottrae alla possibile utilizzazione comune, anche se non ancora attuale. (Nella specie escavazione per ampliare i locali sotterranei del sottosuolo, destinato anche al passaggio di tubi e canali). * Cass. civ., sez. II, 30 dicembre 1997, n. 13102, Costa c. Cond. via C. Cabella 6/6 Genova. [RV511254] l Per aversi atto emulativo vietato dall’art. 833 c.c. è necessario che l’atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e che sia stato posto in essere con il solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri, onde non è riconducibile Art. 833 a tale categoria di atti l’azione del proprietario che chieda la riduzione della costruzione realizzata dal vicino in violazione delle distanze legali. * Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 1997, n. 12258, Aquilini c. Durante. Nello stesso senso: Cass. II, 3 aprile 1999, n. 3275 (relativa all’eliminazione di una veduta); Cass. II, 26 novembre 1997, n. 11852; Cass. II, 16 gennaio 1996, n. 301; Cass. II, 19 febbraio 1996, n. 1267, la quale, ultima, aggiunge che resta irrilevante il fatto che dalla violazione della distanza pattiziamente stabilita non sia derivato alcun danno concreto ed effettivo. [RV510671] l Ritenere che l’atto emulativo possa consistere anche in una condotta omissiva, costituisce violazione dell’art. 833 c.c. sia perché la norma, letteralmente, vieta al proprietario il compimento di «atti»; sia perché non è configurabile un atto emulativo se manca qualsiasi vantaggio per il suo autore, ed invece, il non fare, determina sempre un vantaggio in termini di risparmio di spesa e/o di energia psico-fisica. * Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 1997, n. 10250, Faggiani c. Fioravanti ed altri. [RV509012] l Per aversi atto emulativo vietato dalla legge (art. 833 c.c.) non è sufficiente che il comportamento del soggetto attivo arrechi nocumento o molestia ad altri, occorrendo altresì che il fatto sia posto in essere per tale esclusiva finalità senza essere sorretto da alcuna giustificazione di natura utilitaristica dal punto di vista economico e sociale, con la conseguenza che l’atto emulativo non è configurabile qualora il proprietario ponga in essere degli atti che, pur essendo contrari all’ordinamento e comportanti molestia e nocumento ad altri, siano soggettivamente intesi a procurargli un vantaggio. * Cass. civ., sez. II, 5 marzo 1984, n. 1515. Nello stesso senso: Cass. II,, 25 marzo 1995 n. 3558; Cass. II, 6 febbraio 1982; Cass. II, 7 marzo 1986, n. 1509, la quale ultima, in applicazione del principio, ha affermato che «non costituisce atto emulativo l’installazione, da parte del proprietario di un fondo, di un cancello all’ingresso dello stesso per impedire l’entrata di persone estranee». l Poiché gli atti emulativi, vietati dall’art. 833 c.c., sono caratterizzati, oltre che dall’elemento oggettivo del danno e della molestia altrui, anche dall’animus nocendi, consistente nell’esclusivo scopo di nuocere o molestare i terzi senza proprio reale vantaggio, non è riconducibile nella previsione della citata disposizione né l’attività edificatoria posta in essere dal proprietario in violazione delle norme pubblicistiche disciplinanti lo ius aedificandi, in quanto comunque preordinata al conseguimento di un diretto concreto vantaggio, né il mantenimento dell’opera iniziata e non ultimata perché in contrasto con dette norme, il quale (salva l’ipotesi dell’inosservanza delle distanze legali e di un provvedimento amministrativo di riduzione in pristino) rientra sempre nel legittimo esercizio dei poteri del proprietario, sia in relazione a possibili diverse utilizzazioni del manufatto incompiuto, Art. 834 406 Libro III – Della proprietà sia con riferimento ad una eventuale abrogazione delle norme limitative, sia con riguardo agli oneri cui l’interessato dovrebbe altrimenti soggiacere per ridurre in pristino lo stato dei luoghi. * Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1981, n. 3010. 834. Espropriazione per pubblico interesse. – Nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprietà, se non per causa di pubblico interesse, legalmente dichiarata, e contro il pagamento di giusta indennità (836, 838, 851, 865; 423, 43 Cost.). Le norme relative all’espropriazione per causa di pubblico interesse sono determinate da leggi speciali. 835. Requisizioni. – Quando ricorrono gravi e urgenti necessità pubbliche, militari o civili, può essere disposta la requisizione dei beni mobili o immobili (812 ss.). Al proprietario è dovuta una giusta indennità. Le norme relative alle requisizioni sono determinate da leggi speciali. u Si veda, per quanto valga, Cass. civ., sez. I, 11 giugno 1998, n. 5823, riportata supra, sub art. 818, par. a). 836. Vincoli e obblighi temporanei. – Per le cause indicate dall’articolo precedente l’autorità amministrativa, nei limiti e con le forme stabiliti da leggi speciali, può sottoporre a particolari vincoli od obblighi di carattere temporaneo le aziende commerciali (2195) e agricole (9635, 2135; 44 Cost.). 837. Ammassi. – Allo scopo di regolare la distribuzio- ne di determinati prodotti agricoli o industriali nell’interesse della produzione nazionale sono costituiti gli ammassi (2617). Le norme per il conferimento dei prodotti negli ammassi sono contenute in leggi speciali. 838. Espropriazione di beni che interessano la produzione nazionale o di prevalente interesse pubblico. – Salve le disposizioni delle leggi penali (499 ss. c.p.) e di polizia, nonché le norme dell’ordinamento corporativo (1) e le disposizioni particolari concernenti beni determinati, quando il proprietario abbandona la conservazione, la coltivazione o l’esercizio di beni che interessano la produzione nazionale, in modo da nuocere gravemente alle esigenze della produzione stessa (811), può farsi luogo all’espropriazione dei beni da parte dell’autorità amministrativa, premesso il pagamento di una giusta indennità (56 att.). La stessa disposizione si applica se il deperimento dei beni ha per effetto di nuocere gravemente al decoro delle città o alle ragioni dell’arte, della storia o della sanità pubblica. (1) L’espressione «nonché le norme dell’ordinamento corporativo» è da ritenere abrogata dal R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721. 839. Beni d’interesse storico e artistico. – Le cose di proprietà privata, immobili o mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, sono sottoposte alle disposizioni delle leggi speciali (8262, 8791). Capo II Della proprietà fondiaria Sezione I Disposizioni generali 840. Sottosuolo e spazio sovrastante al suolo. – La proprietà del suolo si estende al sottosuolo (955, 959), con tutto ciò che vi si contiene, e il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino. Questa disposizione non si applica a quanto forma oggetto delle leggi sulle miniere, cave e torbiere. Sono del pari salve le limitazioni derivanti dalle leggi sulle antichità e belle arti (826), sulle acque, sulle opere idrauliche e da altre leggi speciali. Il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o tale altezza nello spazio sovrastante (934), che egli non abbia interesse ad escluderle (826, 833, 1174; 823 c.n.). l L’imposizione di un vincolo di uso pubblico sulle strade vicinali permette alla collettività di esercitarvi il diritto di servitù di passaggio con le modalità consentite dalla conformazione della strada, ma non altera il diritto di proprietà della medesima, che rimane privata; pertanto, l’esistenza di tale servitù non consente anche l’utilizzo del sottosuolo di quella strada al fine di collocare tubature, poiché tale attività comporta l’insorgenza di una nuova servitù sul bene privato, diversa da quella di passaggio. * Cass. civ., sez. VI, 19 maggio 2011, n. 11028, Vattuone c. Anzaldi ed altro [RV617813] l Atteso che già sotto il vigore del codice civile del 1865 era da ritenersi legittimo il frazionamento della proprietà del suolo rispetto a quella relativa al sottosuolo (e al sovrasuolo) e premesso che, secondo il codice vigente, il proprietario del suolo non può opporsi ad attività che si svolgano a profondità tale che egli non abbia interesse ad escludere, deve ritenersi ammissibile l’acquisto a titolo originario, per effetto del possesso utile all’usucapione, della proprietà di una grotta — costituente entità autonoma sotto il profilo materiale e funzionale — disgiunta dalla proprietà del suolo sovrastante. * Cass. civ., sez. II, 15 novembre 2006, n. 24302, Porfidia c. Squeglia ed altri. [RV593136] l A mente dell’art. 840, primo comma, c.c., il proprietario di un fondo risponde autonomamente e direttamente, in via generale ai sensi dell’art. 2043 c.c. e, nel caso di rovina di edificio o di altra costruzione, ai sensi dell’art. 2053 c.c., dei danni arrecati a terzi a seguito di opere o di escavazioni nel proprio fondo, indipendentemente dalla re- 407 Titolo II – Della proprietà sponsabilità dell’appaltatore che abbia eseguito tali lavori. * Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2006, n. 22226, Berardini ed altro c. Gatta. Nello stesso senso, Cass. III, 28 febbraio 2008, n. 5273. [RV592967] l In tema di proprietà immobiliare, nel caso di terreno nel cui sottosuolo insista una proprietà separata (nella specie ampie grotte risultanti da antichissime cave di tufo), con antistante piazzale, acquistata con atto di compravendita dal proprietario del sovrastante terreno, e separata da questo da una parete (costone roccioso), ai fini della estensione e delimitazione dei relativi diritti, in mancanza di precisazione del titolo, poiché il piano di calpestio della seconda proprietà si trova alla quota del piazzale, sottostante il terreno del venditore, ed il suo ingresso si apre nella parete rocciosa, con accesso dal piazzale, la predetta parete, secondo la norma dell’articolo 840, secondo comma, c.c., è funzionale alla proprietà sottostante ed alla sua destinazione, piuttosto che al terreno sovrastante, e come tale va considerata in proprietà all’acquirente. * Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17091, Bros Aloschi Srl ed altro c. Vento. [RV592710] l Il diritto di proprietà può esser frazionato in senso orizzontale e quindi la proprietà del sottosuolo può appartenere ad un soggetto diverso dal proprietario del suolo e del fabbricato su esso insistente. In tal caso il rapporto tra i rispettivi proprietari non è di comunione perchè il fondo sottostante deve sopportare il peso dell’edificio sovrastante e quindi il rapporto tra le due proprietà è di servitù (servitus oneris ferendi). Pertanto, da un lato il proprietario del sottosuolo non deve, se sono necessarie opere di manutenzione o consolidamento per consentire l’esercizio di detta servitù, sopportarne le spese, in applicazione dell’art. 1030 c.c., a meno che la legge o il titolo dispongano diversamente; dall’altro egli non può diminuire o rendere più incomoda la servitù, in applicazione dell’art. 1067 c.c. (principio affermato in fattispecie in cui il giudice di merito, per le opere di manutenzione e consolidamento della volta di una grotta su cui sovrastavano degli edifici, aveva posto a carico del proprietario di questa le relative spese, a norma dell’art. 1125 c.c., ritenuta inapplicabile dalla Corte cass.). * Cass. civ., sez. II, 21 aprile 2004, n. 7655, Falcone c. Romano Angelo ed altro. [RV572231] l La colonna d’aria, configurandosi come proiezione, verso l’alto, dell’area sottostante, appartiene al proprietario di questa, con la conseguenza che lo spazio aereo, che sovrasta una determinata costruzione, deve ritenersi comune se l’area sottostante è comune: in tal caso, ciascun proprietario può utilizzarlo secondo i principi della comunione. (Nella specie dalla C.S. è stata confermata la sentenza di merito che in applicazione del riferito principio ha ritenuto illegittimamente eretta una sopraelevazione gravante su una scala comune, pur se il sottoscala risultava dal titolo appartenere esclusivamente al condomino, che l’aveva effettuata). * Cass. civ., sez. II, 1° marzo 1994, n. 2027. Art. 841 l A norma dell’art. 840 c.c., la proprietà del sottosuolo spetta al proprietario del suolo, salvo che in senso contrario disponga lo stesso titolo di acquisto di quest’ultimo oppure che detta proprietà risulti spettare ad altri in base ad un titolo opponibile del proprietario del suolo, ossia per un negozio antecedentemente trascritto o per un fatto di acquisto originario. Tale fatto non può consistere nella mera situazione dei luoghi, come la esclusiva possibilità di accesso al sottosuolo (nella specie una grotta) dal fondo altrui. * Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1987, n. 3318. Idem, Cass. II, 20 marzo 2001, n. 3989. l Il possesso di un immobile si estende, di norma, allo spazio aereo compreso nella proiezione ideale, in altezza, dell’immobile stesso, fin dove, però, tale spazio non presenti una soluzione di continuità per la frapposizione di altro immobile, soggetto ad altrui possesso; oltre tali limiti, infatti, non è normalmente concepibile l’esplicazione, effettiva o virtuale, di una signoria di fatto del possessore dell’immobile posto a livello inferiore. (Nella specie, in base al riferito principio, si è ritenuto che il possesso di un cortile non si estendeva allo spazio aereo sovrastante alcune scale ed un pianerottolo, da altri posseduti, aggettanti sul cortile medesimo). * Cass. civ., sez. II, 20 aprile 1976, n. 1379. 841. Chiusura del fondo. – Il proprietario può chiudere in qualunque tempo il fondo (842, 843, 1054, 1064). l Il condomino che abbia acquistato in proprietà esclusiva lo spazio destinato al parcheggio di un autoveicolo, ancorché sito nel locale adibito ad autorimessa comune del condominio, ha facoltà a norma dell’art. 841 c.c. di recintarlo anche con la struttura di un cosiddetto «box», sempre che non gliene facciano divieto l’atto di acquisto o il regolamento condominiale avente efficacia contrattuale e non derivi un danno alle parti comuni dell’edificio ovvero una limitazione al godimento delle parti comuni dell’autorimessa. * Cass. civ., 25 maggio 1991, n. 5933. u Si veda, anche, con riguardo alla recinzione di fondi gravati da servitù, sub art. 1064, secondo comma. 842. Caccia e pesca. – Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno. Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall’autorità. Per l’esercizio della pesca occorre il consenso del proprietario del fondo. l La questione di legittimità costituzionale dell’art. 842 c.c., in quanto consenta l’esercizio della caccia nei fondi appartenenti a privati proprietari (salvo che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti Art. 843 Libro III – Della proprietà dalla legge sulla caccia), e dell’art. 15 della L. n. 157/1992 con riferimento all’art. 25 L. reg. Toscana n. 3 del 1994, in quanto non permetta di tutelare il proprio fondo mediante l’apposizione di cartelli di divieto di esercizio della caccia, sollevata in relazione all’art. 42 Cost. e all’art. 1 del Protocollo addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, è manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, in un giudizio avente ad oggetto l’opposizione ad un’ordinanza ingiunzione riguardante l’abusiva installazione di cartelli di divieto di caccia sul proprio terreno in difetto di autorizzazione amministrativa, attesa la natura meramente conoscitiva della predetta autorizzazione prevista dalla normativa regionale con riferimento alla istituzione di fondi chiusi all’attività venatoria a fini di protezione della fauna selvatica omeoterma. * Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 2007, n. 20979, Attorre c. Prov. Grosseto. [RV599881] 843. Accesso al fondo. – Il proprietario deve permet- tere l’accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune. Se l’accesso cagiona danno, è dovuta una adeguata indennità (924, 925, 1038, 1053). Il proprietario deve parimenti permettere l’accesso a chi vuole riprendere la cosa sua che vi si trovi accidentalmente o l’animale che vi si sia riparato sfuggendo alla custodia (1053). Il proprietario può impedire l’accesso consegnando la cosa o l’animale (896, 924, 925). l A norma dell’art. 843 c.c., il proprietario deve permettere l’accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare il muro o altra opera propria del vicino o comune; ove, però, nel relativo giudizio insorgano contestazioni, il giudice è tenuto a verificare l’esistenza dei presupposti che legittimano il vicino ad esercitare tale potere di accesso ovvero la liceità dell’opera. * Cass. civ., sez. II, 5 aprile 2011, n. 7768, Bisceglia ed altro c. Benetello [RV617472] l In materia di rapporti di vicinato, la previsione dell’art. 843 cod. civ. - secondo cui il proprietario è tenuto a permettere l’accesso o il passaggio nel suo fondo al fine di consentire al vicino lo svolgimento di opere necessarie alla manutenzione del muro dell’immobile di sua proprietà - configura un’obbligazione “propter rem”, cui corrisponde l’obbligo per il vicino di versare un’adeguata indennità, da liquidare in via equitativa ed anche in assenza di prova del danno, fermo restando l’obbligo per il medesimo di ripristinare lo stato dei luoghi ad opera finita. * Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2009, n. 1908, Braga ed altro c. Belli. [RV606543] l In tema di accesso al fondo altrui per l’esecuzione di interventi edilizi (nella specie realizza- 408 zione di una canna fumaria), ai fini della verifica delle condizioni di cui all’art. 843 c.c., la valutazione comparativa dei contrapposti interessi delle parti deve essere compiuta con riferimento alla necessità non della costruzione o manutenzione, ma dell’ingresso e del transito, nel senso che l’utilizzazione del fondo del vicino non è consentita ove sia comunque possibile eseguire i lavori sul fondo stesso di chi intende intraprenderli, oppure su quello di un terzo, con minore suo sacrificio. * Cass. civ., sez. II, 26 novembre 2008, n. 28234, Fossi c. De Virgiliis. Nello stesso senso, Cass. II, 27 febbraio 1995, n. 2274. [RV605536] l In tema di limitazioni legali della proprietà, gli accessi e il passaggio che, ai sensi dell’art. 843 c.c., il proprietario deve consentire al vicino per l’esecuzione delle opere necessarie alla riparazione o manutenzione della cosa propria, dando luogo a un’obbligazione propter rem non possono determinare la costituzione di una servitù. (Nella specie, la Corte ha escluso il possesso della servitù di passaggio invocata dai ricorrenti che avevano utilizzato il fondo del vicino collocandovi una scala attraverso cui raggiungevano — in mancanza di altri accessi — il lastrico solare dell’immobile di loro proprietà per eseguire i lavori di manutenzione o riparazione). * Cass. civ., sez. II, 30 agosto 2004, n. 17383, Galeazzi ed altro c. Consigliere. [RV576375] l L’art. 843 c.c. che fa obbligo al proprietario di consentire l’accesso ed il passaggio nel suo fondo, sempreché ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune, costituisce norma di stretta interpretazione (art. 14 preleggi) e, pertanto, non comprende la possibilità di effettuare scavi nel fondo stesso nonché opere concernenti la parte del muro che è al di sotto del piano di campagna. * Cass. civ., sez. II, 28 agosto 1998, n. 8544. l L’obbligo del proprietario di permettere, ai sensi dell’art. 843 c.c., l’accesso ed il passaggio nel suo fondo quando questi siano necessari per la costruzione o riparazione di un muro od altra opera propria del vicino o comune non si ricollega ad una servitù a carico della proprietà esclusiva ma ha i caratteri di un’obbligazione propter rem che si risolve in una limitazione legale del diritto del titolare del fondo per una utilità occasionale e transuente del vicino e che ha per contenuto la prestazione del consenso all’accesso ed al passaggio, che il soggetto obbligato è tenuto ad adempiere indipendentemente dall’accertamento del giudice, la cui eventuale pronuncia, non trattandosi della costituzione di un diritto in re aliena, è meramente dichiarativa e non costitutiva. (Nella specie, si trattava dell’accesso al tetto condominiale attraverso una mansarda del proprietario dell’ultimo piano per la manutenzione dell’antenna televisiva centralizzata e del vaso di espansione dell’impianto termico comune). * Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 1995, n. 2274. Nello 409 Titolo II – Della proprietà stesso senso, sui principi di cui alla prima parte della massima: Cass. II, 22 ottobre 1998, n. 10474; Cass. II, 19 agosto 1997, n. 7694, la quale ultima esclude, conseguentemente, l’esperibilità della tutela possessoria a fronte dell’indebito rifiuto di consentire l’accesso al fondo. l La necessità, di cui all’art. 843 c.c. subordina il diritto del vicino di accedere nel fondo altrui per costruire o riparare un muro od altra opera propria o comune, non deve essere riferita all’opera da compiere ma all’accesso ed al passaggio. * Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 1995, n. 2274. l L’obbligo imposto dall’art. 843 c.c. al proprietario di consentire al vicino l’accesso al suo fondo, al fine di eseguire la costruzione e la riparazione di un muro e di altra opera, e la corrispondente facoltà riconosciuta al vicino medesimo di accedere al fondo per eseguire dette attività, hanno natura di limitazioni legali della proprietà e possono essere disciplinate, in base al principio della libera autonomia contrattuale, da apposite convenzioni concluse tra i proprietari interessati, sia per quanto attiene alle modalità di svolgimento e alla durata del passaggio, e all’eventuale occupazione del fondo, sia per quanto riguarda il pagamento di un’indennità, intesa come preventiva liquidazione del danno che potrebbe derivare al proprietario del fondo dal passaggio e dal protrarsi dell’occupazione. * Cass. civ., sez. II, 27 maggio 1982, n. 3222. l L’accesso al fondo del vicino — consentito dall’art. 843 c.c. qualora sia necessario per la costruzione di un’opera — permette implicitamente che l’accesso sia accompagnato dal deposito di cose, necessariamente strumentale alla costruzione, con la conseguenza che, a necessità terminata, deve essere eliminata, a cura e spese del depositante — cui, sin dall’inizio, fa carico l’obbligo del ripristino — ogni conseguenza implicante una perdurante diminuzione del diritto del proprietario del fondo vicino che, invece, deve riprendere la sua originaria ampiezza (salva l’indennità nel caso di danni). * Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1982, n. 774. 844. Immissioni. – Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità (659 c.p.), avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi (833; 674 c.p.). Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà (912). Può tener conto della priorità di un determinato uso (890). SOMMARIO: a) Ambito e criteri di applicazione della norma; b) «Normale tollerabilità» e contemperamento degli interessi; c) Priorità di uso. Art. 844 a) Ambito e criteri di applicazione della norma. l Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 1° marzo 1991, il quale, nel determinare le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti di tollerabilità in materia di immissioni rumorose, al pari dei regolamenti comunali limitativi dell’attività rumorosa, fissa, quale misura da non superare per le zone non industriali, una differenza rispetto al rumore ambientale pari a 3 db in periodo notturno e in 5 db in periodo diurno, persegue finalità di carattere pubblico ed opera nei rapporti tra i privati e la P.A.. Le disposizioni in esso contenute, perciò, non escludono l’applicabilità dell’art. 844 c.c. nei rapporti tra i privati proprietari di fondi vicini. * Cass. civ., sez. VI, 1 febbraio 2011, n. 2319, Negri c. Boschian ed altri [RV616609] l Qualora sia in discussione la legittimità da parte della Chiesa e degli enti ecclesiastici dell’uso iure privatorum di beni soggetti, ex art. 831 c.c.. alle norme del codice civile — in quanto non diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano — la Chiesa e le sue istituzioni sono tenute all’osservanza, al pari degli altri soggetti giuridici, delle norme di relazione e quindi alle limitazioni del diritto di proprietà, fra le quali rientrano quelle previste dall’art. 844 c.c. essendo esse inidonee a dare luogo a quelle compressioni della libertà religiosa e delle connesse alte finalità che la norma concordataria di cui all’art. 2 delle legge n. 121 del 1985, in ottemperanza al dettato costituzionale, ha inteso tutelare, non avendo lo Stato rinunciato alla tutela di beni giuridici primari garantiti dalla Costituzione (artt. 42 e 32), quali il dirito di proprietà e quello alla salute. (Nella specie, è stata ritenuta applicabile la disciplina dettata dall’art. 844 c.c. alle immissioni sonore provocate dalle attività sportive praticate nel «campo giochi» di una parrocchia). * Cass. civ., sez. II, 31 gennaio 2006, n. 2166, Gazzetti c. Gazza. [RV587168] l Tenuto conto che sono legittime le restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio di natura contrattuale, purché formulate in modo espresso o comunque non equivoco — sì da non lasciare alcun margine d’incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni — le norme regolamentari possono imporre limitazioni al godimento degli immobili di proprietà esclusiva secondo criteri anche più rigorosi di quelli stabiliti, in tema di immissioni lecite, dall’art. 844 c.c. Ne consegue che in tal caso la liceità o meno dell’immissione deve essere determinata non sulla base della norma civilistica generale ma alla stregua del criterio di valutazione fissato dal regolamento. (Nella specie la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di appello, secondo cui la destinazione di un appartamento a studio medico dentistico non violava la norma del regolamento Art. 844 Libro III – Della proprietà condominiale di natura contrattuale che vietava l’esercizio negli immobili di proprietà esclusiva di attività rumorose maleodoranti ed antiigieniche, atteso che l’attività espletata non presentava in concreto tali caratteri). * Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 2004, n. 23. [RV569238] l Quando l’attività posta in essere da uno dei condomini di un edificio, direttamente o tramite detentore qualificato, è idonea a determinare il turbamento del bene della tranquillità degli altri partecipi, tutelato espressamente da disposizioni contrattuali del regolamento condominiale, non occorre accertare al fine di ritenere l’attività stessa illegittima, se questa costituisca o meno immissione vietata ex art. 844 c.c., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale possono imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche maggiori di quelle stabilite dall’indicata norma generale sulla proprietà fondiaria. Né, peraltro, in detta materia è applicabile la legge 26 ottobre 1995, n. 477, sull’inquinamento acustico, perché detta normativa attiene a rapporti di natura pubblicistica tra la P.A., preposta alla tutela dell’interesse collettivo della salvaguardia della salute in generale, ed i privati esercenti le attività contemplate, prescindendo da qualunque collegamento con la proprietà fondiaria. * Cass. civ., sez. II, 4 aprile 2001, n. 4963. l L’art. 844 c.c. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, l’obbligo di sopportazione delle propagazioni inevitabili determinate dall’uso delle proprietà attuato nel contesto delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Al di fuori di tali limiti, si è in presenza di un’attività illegittima, di fronte alla quale non ha ragion d’essere l’imposizione di un sacrificio all’altrui diritto di proprietà o di godimento e non sono quindi applicabili i criteri dettati dall’art. 844 c.c. ma, venendo in considerazione, in tali ipotesi, unicamente l’illecità, del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema generale dell’azione di risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c. che può essere proposta anche cumulativamente con l’azione ex art. 844 c.c. * Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 2000, n. 15509. Conformi: Cass. I, 1 febbraio 1995, n. 1156; Cass. II, 25 agosto 2005, n. 17281; Cass. II, 10 maggio 2006, n. 10715. Nello stesso senso, anche: Cass. III, 7 agosto 2002, n. 11915 e Cass, 13 marzo 2007, n. 5844. l In tema di immissioni, l’accertamento delle cause che determinano immissioni moleste nel fondo altrui non influisce sul giudizio di tollerabilità delle stesse, da effettuarsi, secondo i criteri all’uopo indicati dall’art. 844 c.c., cui è estraneo il criterio della colpa. Pertanto, una volta accertata l’esistenza della propagazione molesta e stabilito, secondo i criteri dettati dall’art. 844 c.c., il suo grado di tollerabilità, l’individuazione delle cause può servire soltanto per stabilire le eventuali mi- 410 sure da adottare per la sua eliminazione. * Cass. civ., sez. II, 3 novembre 2000, n. 14353. l La disposizione dell’art. 844 c.c., è applicabile anche negli edifici in condomino nell’ipotesi in cui un condomino nel godimento della propria unità immobiliare o delle parti comuni dia luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condomini. Nell’applicazione della norma deve aversi riguardo, peraltro, per desumerne il criterio di valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti condominiali e alla destinazione assegnata all’edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. In particolare, nel caso in cui il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unità immobiliari siano soggette a destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione ed ad esercizio commerciale, il criterio dell’utilità sociale, cui è informato l’art. 844 citato, impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali (cfr. Cost., artt. 14, 31 e 47) le esigenze personali di vita connesse all’abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all’esercizio di attività commerciali. * Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1993, n. 3090, Cannata c. Pizzo. Conforme, sulla prima parte, Cass. II, 23 gennaio 1982, n. 448. l L’utilizzazione di un fondo per il decollo e l’atterraggio di elicotteri, in relazione ad esigenze individuali del proprietario (comodità e rapidità di spostamenti), integra attività privatistica, ancorché soggetta ad autorizzazione amministrativa. Pertanto, nel rapporto di vicinato, i rumori e le altre immissioni provocate da detta utilizzazione non si sottraggono alle disposizioni di cui all’art. 844 primo comma c.c., di modo che possono essere impedite dal proprietario del fondo limitrofo, ove superino la normale tollerabilità, anche con riguardo alla condizione dei luoghi (nella specie, amena zona collinare, con caratteri residenziali di elevata qualità). * Cass. civ., sez. II, 14 agosto 1990, n. 8271, Soc. Imm. Edy c. Soc. Imm. Revigli. l La disciplina dell’art. 844 c.c. è applicabile unicamente alle immissioni indirette, e cioè alle immissioni prodotte dalla propagazione o dalla ripercussione di un fatto posto in essere nel fondo del vicino, ma non alle immissioni dirette, causate immediatamente nel fondo altrui, né alle altre attività illecite compiute da terzi esclusivamente in quest’ultimo. Conseguentemente non può essere imposta al convenuto la chiusura del fondo destinato ad osteria per evitare i danni derivanti dallo sconfinamento di avventori del fondo vicino, poiché tale fatto non può configurarsi come la propagazione in alienum di un’attività svolta nel fondo, ma è un illecito autonomo, contro il quale non è data altra protezione se non quella offerta dall’art. 2043 c.c. * Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1978, n. 1364. 411 Titolo II – Della proprietà b) «Normale tollerabilità» e contemperamento degli interessi. l Il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo), sicché la valutazione ex art. 844 c.c., diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell’uomo medio e, dall’altro, alla situazione locale. Spetta al giudice del merito accertare in concreto gli accorgimenti idonei a ricondurre tali immissioni nell’ambito della normale tollerabilità. * Cass. civ., sez. II, 5 agosto 2011, n. 17051, Simonetti ed altro c. Del Genio ed altro. Nello stesso senso: Cass. II, 19 maggio 1976, n. 1796; Cass. II, 27 luglio 1983, n. 5157. [RV618746] l In tema di immissioni, l’art. 844, secondo comma, c.c., nella parte in cui prevede la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, considerando eventualmente la priorità di un determinato uso, deve essere letto, tenendo conto che il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento ad una normale qualità della vita. Ne consegue che le immissioni acustiche determinate da un’attività produttiva che superino i normali limiti di tollerabilità fissati, nel pubblico interesse, da leggi o regolamenti, e da verificarsi in riferimento alle condizioni del fondo che le subisce, sono da reputarsi illecite, sicché il giudice, dovendo riconoscerle come tali, può addivenire ad un contemperamento delle esigenze della produzione soltanto al fine di adottare quei rimedi tecnici che consentano l’esercizio della attività produttiva nel rispetto del diritto dei vicini a non subire immissioni superiori alla normale tollerabilità. (Fattispecie relativa ad immissioni rumorose al di sopra della normale tollerabilità determinate da attività di ristorazione, caratterizzata principalmente dallo svolgimento di banchetti nuziali, con notevole afflusso di persone). * Cass. civ., sez. II, 8 marzo 2010, n. 5564, Villa Canton Srl ed altro c. Spini ed altri. [RV611786] l Il limite di tollerabilità delle immissioni non ha carattere assoluto ma é relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti; spetta, pertanto, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell’ambito della stessa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la senten- Art. 844 za della Corte di merito che aveva ritenuto non tollerabili le immissioni acustiche prodotte dal funzionamento di un’autoclave e di un bruciatore, tenuto conto degli elevati livelli dei valori sonori, accertati strumentalmente, della situazione dei luoghi, trattandosi di edificio ubicato in comune montano, del funzionamento dei detti impianti per molti mesi dell’anno ed anche in ore notturne, della collocazione degli stessi in un locale a stretto contatto con la camera da letto degli attori e della necessità di questi, data la loro avanzata età, di godere di tranquillità e riposo ed aveva, altresì, disposto l’adozione degli accorgimenti suggeriti dal c.t.u.). * Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 2010, n. 3438, Pisegna C. c. Pisegna O. ed altri. [RV611513] l La norma sulla disciplina delle immissioni di cui all’art. 844 c.c., nel prevedere la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, tenendo eventualmente conto della priorità di un determinato uso, deve essere interpretata, tenendo conto che il limite della tutela della salute è da considerarsi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, sicché è legittima la statuizione del giudice di merito preclusiva del prolungamento di un’attività sostanzialmente nociva alla salute dei vicini del fondo, da considerarsi valore prevalente, in funzione del soddisfacimento del diritto ad una normale qualità della vita, rispetto alle esigenze dell’attività commerciale esercitata nel fondo confinante, nel quale la produzione, ancorché iniziata anteriormente all’edificazione dell’immobile limitrofo, si sia svolta e, poi, protratta senza la predisposizione di apposite misure di cautela idonee ad evitare o limitare l’inquinamento atmosferico. (Nella specie, la S.C., sulla scorta di questo principio, ha confermato l’impugnata sentenza, con la quale il giudice di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva, interpretando nei suddetti termini l’art. 844 c.c., ordinato l’immediata cessazione di un allevamento di galline, oltre a riconoscere il correlato risarcimento del danno, in quanto detta attività commerciale, ancorché preventivamente iniziata, era proseguita senza che venisse approntato alcun idoneo accorgimento tale da impedire la propagazione di persistenti esalazioni maleodoranti nel fondo limitrofo). * Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8420, Valori c. Zeppilli ed altro. [RV588859] l In tema di immissioni (nella specie rumori provocati da attività sportive praticate all’aperto), il contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle ricreative e sportive, che ai sensi dell’art. 844 c.c. deve essere compiuto anche tenendo conto della condizione dei luoghi, postula la concreta valutazione di ormai diffusi abitudini di vita e comportamenti sociali, nell’ambito dei quali lo svolgimento delle suddette attività, prevalentemente praticate all’aria, è notoriamente Art. 844 Libro III – Della proprietà più intenso durante le stagioni caratterizzate da un maggior numero di ore di luce e dal clima più favorevole; pertanto, il limite di normale tollerabilità delle immissioni non può essere dal giudice determinato in termini assolutamente avulsi dalla considerazione delle suesposte componenti, trattandosi di elementi intrinsecamente connotanti la liceità delle forme di godimento della proprietà, da valutarsi sullo sfondo del particolare contesto ambientale e sociale nel quale le opposte esigenze assumono rilievo. * Cass. civ., sez. II, 31 gennaio 2006, n. 2166, Gazzetti c. Gazza. [RV587170] l Per stabilire se le immissioni — nella specie rumori, fumo ed esalazioni provenienti da un opificio di panificazione — che si propagano dall’immobile del vicino su quello altrui superano la normale tollerabilità occorre avere riguardo alla destinazione della zona ove sono situati gli immobili, perché se è prevalentemente abitativa, il contemperamento delle ragioni della proprietà con quelle della produzione deve essere effettuato dando prevalenza alle esigenze personali di vita del proprietario dell’immobile adibito ad abitazione rispetto alle utilità economiche derivanti dall’esercizio di attività produttive o commerciali nell’immobile del vicino. * Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2001, n. 5697. l In tema di immissioni in alienum, il criterio del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, posto dall’art. 844, secondo comma, c.c., non implica che nelle zone a prevalente vocazione industriale debbano necessariamente considerarsi lecite e tollerabili, per il solo fatto della destinazione urbanistica data dalla competente pubblica amministrazione all’area interessata dal fenomeno, le immissioni di qualsiasi natura ed entità determinate dall’attività produttiva, ma implica solo che, nella riconosciuta preminenza dell’interesse collettivo, in termini di prodotto e di occupazione, alla prosecuzione dell’attività immissiva, possa essere effettuata una valutazione comparativa degli interessi dedotti in giudizio ai fini della determinazione del contenuto della sanzione da applicare, ciò che si realizza con l’attribuire al giudice, una volta che abbia riconosciuto l’esigenza del mantenimento dell’attività produttiva, il potere di astenersi dall’adozione di misure inibitorie, e di far luogo, invece, a statuizioni che, pur con il sacrificio della piena tutela della proprietà individuale, consentano la prosecuzione dell’attività immissiva dietro pagamento di un congruo indennizzo, sempre che detta attività rimanga nei limiti della normale tollerabilità, configurandosi come dannosa, ma lecita. Ove, invece, tali limiti siano superati, si è in presenza di un’attività illegittima, traducentesi in fatti illeciti generatori di danno risarcibile ex art. 2043 c.c. * Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1999, n. 13334. Nello stesso senso, Cass. II, 1 febbraio 1993, n. 1226. l Ai fini dell’art. 844 c.c. l’intollerabilità delle immissioni (nella specie esalazioni provenienti dalla evaporazione di idrocarburi adoperati per il 412 lavaggio di pezzi meccanici), da valutarsi tenuto conto del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, sussiste anche quando esse, pur non essendo di eccessiva entità, risultino nocive, a causa della loro costanza ed ineliminabilità che le rende insopportabili, al bene primario della salute. * Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1989, n. 3675, Ferulli c. Gargiulo. l Ai fini della valutazione della liceità delle immissioni, l’art. 844 c.c. enuncia tre diversi criteri, di cui due obbligatori ed uno facoltativo e sussidiario: i criteri obbligatori sono quelli della normale tollerabilità e del contemperamento delle ragioni della proprietà con le esigenze della produzione, mentre il criterio facoltativo è quello della priorità del’uso. * Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 1985, n. 6534. l In tema di immissioni (nella specie di rumori), le disposizioni dell’art. 844 c.c. trovano applicazione avendo riguardo alla situazione del fondo che le riceve, con la conseguenza che se questo è sito in zona residenziale, la normale tollerabilità deve essere valutata in base ai criteri vigenti in tale zona, in cui le immissioni stesse si propagano, a nulla rilevando la loro normalità riferita al luogo di provenienza (nella specie, zona industriale). * Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1984, n. 4523. l L’art. 844, secondo comma, c.c., che in materia di immissioni, prevede il contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, si applica in ogni caso in cui vi sia conflitto fra la tutela del diritto di proprietà e le esigenze della produzione, quale che sia il campo in cui questa si esplichi, industriale, agricolo o di altra natura, ed anche se essa concerna, invece di beni, servizi (nella specie: servizio della conservazione di prodotti ortofrutticoli, ai fini della vendita al dettaglio, realizzato da impianti refrigeratori). * Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1982, n. 1115. c) Priorità di uso. l In materia di immissioni dannose (nella specie di natura olfattiva) il criterio del preuso cui fa riferimento l’art. 844, comma 2, c.c. ha carattere sussidiario e facoltativo, sicché il giudice del merito nella valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, non è tenuto a farvi ricorso quando, in base agli opportuni accertamenti di fatto, e secondo il suo apprezzamento, incensurabile se adeguatamente motivato, ritenga superata la soglia di tollerabilità. * Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1996, n. 161, Locatelli c. Battaglia. Idem, Cass. II, 11 maggio 2005, n. 9865. l Ai fini della valutazione della liceità o meno delle immissioni, il criterio della priorità dell’uso ha natura secondaria e facoltativa, dovendo il limite della tollerabilità accertarsi tenendo conto, anzitutto, della situazione dei luoghi e della necessità di contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione. (Nella specie, il giudice del merito aveva ritenuto che, in una zona residenziale ma con prevalenti interessi 413 Titolo II – Della proprietà industriali, il limite di tollerabilità dei rumori prodotti da uno stabilimento è, indipendentemente dalla data della sua installazione, inevitabilmente più elevato che in una zona soltanto residenziale. La Corte Suprema ha confermato tale decisione enunciando l’anzidetto principio). * Cass. civ., sez. II, 23 maggio 1981, n. 3401 Conformi: Cass. II, 2 settembre 1974, n. 2406. l La priorità dell’uso in tema di immissioni ha carattere oggettivo, in quanto l’uso o la destinazione considerati in rapporto con la loro priorità riguardano i fondi e la produzione industriale nei loro reciproci rapporti, e non i proprietari e gli imprenditori tra i quali sia sorta la controversia; essa non è pertanto identificabile con quella esistente al momento dell’acquisto della proprietà o della titolarità d’impresa da parte dei soggetti litiganti. (Nella specie, la C.S. ha ritenuto irrilevante, al fine di valutare la liceità delle immissioni di un impianto cementizio e determinare l’indennità dovuta in ragione delle immissioni dannose a carico di un terreno vicino, l’anteriorità dell’esercizio industriale rispetto alla data di acquisto del terreno stesso da parte dell’attore). * Cass. civ., 13 gennaio 1975, n. 111. 845. Regole particolari per scopi di pubblico in- teresse. – La proprietà fondiaria è soggetta a regole particolari per il conseguimento di scopi di pubblico interesse nei casi previsti dalle leggi speciali e dalle disposizioni contenute nelle sezioni seguenti. Sezione II Del riordinamento della proprietà rurale 846. (1) [Minima unità colturale. – Nei trasferimenti di proprietà, nelle divisioni e nelle assegnazioni a qualunque titolo, aventi per oggetto terreni destinati a coltura o suscettibili di coltura, e nella costituzione o nei trasferimenti di diritti reali sui terreni stessi non deve farsi luogo a frazionamenti che non rispettino la minima unità colturale. S’intende per minima unità colturale l’estensione di terreno necessaria e sufficiente per il lavoro di una famiglia agricola e, se non si tratta di terreno appoderato, per esercitare una conveniente coltivazione secondo le regole della buona tecnica agraria]. (1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 5 bis, comma 10, del D.L.vo 18 maggio 2001, n. 228, così come inserito dall’art. 7 del D.L.vo 29 marzo 2004, n. 99. 847. (1) [Determinazione della minima unità colturale. – L’estensione della minima unità colturale sarà determinata distintamente per zone, avuto riguardo all’ordinamento produttivo e alla situazione demografica locale, con provvedimento dell’autorità amministrativa, da adottarsi sentite le associazioni professionali]. (1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 5 bis, comma 10, del D.L.vo 18 maggio 2001, n. 228, così come inserito dall’art. 7 del D.L.vo 29 marzo 2004, n. 99. Art. 845 848. (1) [Sanzione dell’inosservanza. – Gli atti com- piuti contro il divieto dell’art. 846 possono essere annullati dall’autorità giudiziaria, su istanza del pubblico ministero. L’azione si prescrive in tre anni dalla data della trascrizione dell’atto]. (1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 5 bis, comma 10, del D.L.vo 18 maggio 2001, n. 228, così come inserito dall’art. 7 del D.L.vo 29 marzo 2004, n. 99. 849. Fondi compresi entro maggiori unità fondiarie. – Indipendentemente dalla formazione del consorzio previsto dall’articolo seguente, il proprietario di terreni entro i quali sono compresi appezzamenti appartenenti ad altri, di estensione inferiore alla minima unità colturale (846), può domandare che gli sia trasferita la proprietà di questi ultimi (2932), pagandone il prezzo, allo scopo di attuare una migliore sistemazione delle unità fondiarie. In caso di contrasto decide l’autorità giudiziaria, sentite le associazioni professionali circa la sussistenza delle condizioni che giustificano la richiesta di trasferimento (57 att.) (1). (1) Le parole a partire da «sentite» fino alla fine dell’articolo sono da considerarsi inefficaci in forza della soppressione dell’ordinamento corporativo fascista disposta dall’art. 1 del D.L.vo Lgt. 23 novembre 1944, n. 369. 850. Consorzi a scopo di ricomposizione fondia- ria. – Quando più terreni contigui e inferiori alla minima unità colturale (846) appartengono a diversi proprietari, può, su istanza di alcuno degli interessati o per iniziativa dell’autorità amministrativa, essere costituito un consorzio tra gli stessi proprietari, allo scopo di provvedere a una ricomposizione fondiaria idonea alla migliore utilizzazione dei terreni stessi (851 ss.). Per la costituzione del consorzio si applicano le norme stabilite per i consorzi di bonifica (851, 862 ss.). 851. Trasferimenti coattivi. – Il consorzio indicato dall’articolo precedente può predisporre il piano di riordinamento. Per la migliore sistemazione delle unità fondiarie può procedersi a espropriazioni e a trasferimenti coattivi (852, 853); può anche procedersi a rettificazioni di confini e ad arrotondamento di fondi (856). 852. Terreni esclusi dai trasferimenti. – Dai trasferimenti coattivi previsti dall’articolo precedente sono esclusi: 1) gli appezzamenti forniti di casa di abitazione civile o colonica; 2) i terreni adiacenti ai fabbricati e costituenti dipendenze dei medesimi; 3) le aree fabbricabili; 4) gli orti, i giardini, i parchi; 5) i terreni necessari per piazzali o luoghi di deposito di stabilimenti industriali o commerciali; 6) i terreni soggetti a inondazioni, a scoscendimenti o ad altri gravi rischi;