Art. 820 - Libri Professionali

Transcript

Art. 820 - Libri Professionali
393
Art. 820
Titolo I – Dei beni
Sezione III
Dei frutti
820. Frutti naturali e frutti civili. – Sono frutti na-
turali quelli che provengono direttamente dalla cosa,
vi concorra o no l’opera dell’uomo, come i prodotti
agricoli, la legna, i parti degli animali, i prodotti delle
miniere, cave e torbiere.
Finché non avviene la separazione, i frutti formano
parte della cosa (516 c.p.c.). Si può tuttavia disporre di
essi come di cosa mobile futura (771, 1348, 1472; 531
c.p.c.).
Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa
come corrispettivo del godimento che altri ne abbia.
Tali sono gli interessi dei capitali (1224, 1282 ss., 1815),
i canoni enfiteutici (960 ss.), le rendite vitalizie (1861 ss.,
1872) e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni (1571, 1587 n. 2).
u Si veda Cass. I, 24 maggio 2005, n. 10896,
riportata supra, sub art. 192.
821. Acquisto dei frutti. – I frutti naturali apparten-
gono al proprietario della cosa che li produce (1477,
1775), salvo che la loro proprietà sia attribuita ad altri.
In quest’ultimo caso la proprietà si acquista con la separazione.
Chi fa propri i frutti deve, nei limiti del loro valore,
rimborsare colui che abbia fatto spese per la produzione e il raccolto (984, 1149, 2041).
I frutti civili si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto (12633, 15311, 1880).
l Nell’ipotesi di “emptio spei speratae”, a norma dell’art. 1472, secondo comma, c.c., la vendita
è soggetta alla “condicio iuris” della venuta ad esistenza della cosa alienata, la cui mancata realizzazione comporta non già la risoluzione del contratto per inadempimento, bensì la sua nullità per
mancanza dell’oggetto. E poiché, ove si tratti dei
frutti naturali della cosa, il passaggio di proprietà
avviene, a mente dell’art. 821 c.c., con la separazione dei primi dalla seconda, ne consegue che il
rischio del verificarsi di eventi che impediscano la
venuta ad esistenza dei frutti naturali della cosa,
al pari del rischio della mancata venuta ad esistenza di quest’ultima, è a carico del venditore,
giacché grava su di esso, salvo patto contrario,
l’obbligazione di separazione dei frutti dalla cosa
principale che si trovi nel suo dominio e possesso e, dunque, nella sua disponibilità giuridica e
materiale. (Nella specie, la S.C. ha confermato
la sentenza di merito che aveva ritenuto nullo,
per inesistenza dell’oggetto, la compravendita
di frutti pendenti da un agrumeto mai venuti a
maturazione a causa di gelate). * Cass. civ., sez.
II, 30 giugno 2011, n. 14461, Luca c. Apal Az. Produttori Agricoli Lentinesi [RV618411]
l Ai sensi del combinato disposto di cui agli
artt. 821, secondo comma, e 1129 c.c., il diritto alla
restituzione dei frutti nasce limitato dalle spese
sostenute per la relativa produzione, sicché il restituente può dedurle senza necessità di proporre
apposita domanda giudiziale. (Principio dalla S.C.
affermato con riferimento ad un’ipotesi di obbligo
di restituzione, nell’ambito del rendiconto con gli
altri coeredi ex art. 724, secondo comma, c.c., di
frutti civili prodotti da beni assegnati in base a
progetto divisionale esecutivo di comunione ereditaria, successivamente sostituito da un secondo
progetto). * Cass. civ., sez. II, 4 ottobre 2005, n.
19349, Satta c. Sorrenti. [RV584251]
u Si veda anche Cass. I, 24 maggio 2005, n.
10896, riportata supra, sub art. 192.
Capo II
Dei beni
appartenenti allo Stato,
agli enti pubblici
e agli enti ecclesiastici
822. Demanio pubblico. – Appartengono allo Stato
e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la
spiaggia, le rade e i porti (28 ss., 692 ss. c.n.); i fiumi, i
torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle
leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale (879).
Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se
appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le
strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e
infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al
regime proprio del demanio pubblico (942, 945; 247,
248, 863 c.n.).
SOMMARIO:
a) In genere;
b) Lidi, spiagge ed arenili;
c) Corsi d’acqua e bacini lacustri;
d) Strade.
a) In genere.
l In tema di beni pubblici, il connotato della
“demanialità” esprime una duplice appartenenza, alla collettività ed al suo ente esponenziale,
dovendosi intendere la titolarità in senso stretto
come appartenenza di servizio, nel senso che l’ente esponenziale può e deve assicurare il mantenimento delle specifiche rilevanti caratteristiche
del bene e la sua concreta possibilità di fruizione;
ne consegue che la titolarità dei beni demaniali
allo Stato o agli altri enti territoriali non è fine
a sé stessa e non rileva solo sul piano della “proprietà”, ma comporta per l’ente titolare anche la
sussistenza di oneri di “governance” finalizzati a
rendere effettive le varie forme di godimento e di
Art. 822
Libro III – Della proprietà
uso pubblico del bene. (Principio enunciato in
relazione alle c.d. valli da pesca della laguna di
Venezia). * Cass. civ., Sezioni Unite, 14 febbraio
2011, n. 3665, Ama Azd Marina Averto S.r.l. c.
Min. Economia Finanze ed altri [RV615918]
l Dalla applicazione diretta degli artt. 2, 9 e 42
Cost. si ricava il principio della tutela della personalità umana e del suo corretto svolgimento, nell’ambito dello Stato sociale, anche in relazione al
“paesaggio”, con specifico riferimento non solo ai
beni costituenti, per classificazione legislativa-codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della
“proprietà” dello Stato, ma anche riguardo a quei
beni che, indipendentemente da una preventiva
individuazione da parte del legislatore, per loro
intrinseca natura o finalizzazione, risultino, sulla
base di una compiuta interpretazione dell’intero
sistema normativo, funzionali al perseguimento e
al soddisfacimento degli interessi della collettività
e che - per tale loro destinazione alla realizzazione dello Stato sociale - devono ritenersi “comuni”,
prescindendo dal titolo di proprietà, risultando
così recessivo l’aspetto demaniale a fronte di
quello della funzionalità del bene rispetto ad
interessi della collettività. (Principio enunciato a
proposito delle c.d. valli da pesca della laguna di
Venezia). * Cass. civ., Sezioni Unite, 14 febbraio
2011, n. 3665, Ama Azd Marina Averto S.r.l. c.
Min. Economia Finanze ed altri [RV615917]
l  In tema di usucapione, grava sulla P.A.,
convenuta nel relativo giudizio, l’onere di dimostrare la natura demaniale del bene oggetto del
contendere, e di conseguenza la sua inidoneità
ad essere usucapito. A tal fine, è tuttavia insufficiente che la natura demaniale del bene risulti
dall’intavolazione dell’atto col quale la P.A. abbia
acquistato il bene, giacché l’iscrizione tavolare effettuata ai sensi dell’art. 2 del r.d. 28 marzo 1929,
n. 449 ha efficacia costitutiva del diritto, ma non
certificativa della natura o dell’estensione di esso.
* Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 2009, n. 4388, Vascotto ed altro c. Ater Trieste. [RV607113]
l In tema di demanio comunale, al fine di provare la proprietà in capo al comune di un terreno
non è sufficiente una certificazione proveniente
dallo stesso comune. * Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2000, n. 2092, Mattei ed altri c. Possenti ed
altri. [RV534349]
l Quando non si tratta di beni del demanio
necessario, la demanialità non è una qualifica attribuita ad un bene in funzione del titolo di acquisto o della volontà inattuata di una determinata
destinazione demaniale o del modo di atteggiarsi
del potere di disposizione, ma una qualifica che
attiene alla destinazione concreta del bene ed alla
sua caratterizzazione funzionale secondo taluna
delle varie destinazioni ad uso pubblico previste
dalla legge per ciascuna delle categorie dei beni
demaniali. Pertanto, deve escludersi che i beni acquistati dallo Stato in R.D. 7 luglio 1866 n. 3036 ed
alla cosiddetta liquidazione dell’asse ecclesiastico,
394
attuata con legge 15 agosto 1867 n. 3848, siano di
diritto entrati a far parte del demanio pubblico indipendentemente dalla loro concreta destinazione
ad una pubblica funzione non essendo in tal senso
indicative le disposizioni degli artt. 2 del citato
R.D. n. 3848 ed 11 del citato R.D. n. 3036, che, nel
prevedere la devoluzione al «demanio» dello Stato
dei beni dei soppressi enti morali, si sono riferite
al patrimonio dello Stato seguendo il linguaggio
del tempo, in cui il predetto sostantivo indicava il
complesso dei beni appartenenti allo Stato o agli
altri enti pubblici territoriali, nell’ambito del quale
si distingueva il demanio pubblico dal demanio
privato (fiscale o patrimoniale) a seconda della
destinazione del bene e del regime della proprietà
(pubblica o privata) a cui questo veniva concretamente assoggettato. * Cass. civ., sez. II, 20 ottobre
1997, n. 10253, Comune di Catania c. Curia Arcivescovile. [RV509016]
l Al fine di individuazione e delimitazione di
un bene demaniale, i rilievi e le misurazioni scritte che un tecnico della pubblica amministrazione
abbia effettuato al diverso scopo di predisporre
un progetto di lavori riguardanti il bene medesimo, possono fornire meri indizi, quali scritti
provenienti da terzi, ma non assumere l’efficacia
probatoria dell’atto pubblico o della certificazione
amministrativa, difettando il requisito del conferimento all’autore dei suddetti atti di una pubblica funzione di documentazione o certificazione. *
Cass. civ., sez. I, 12 aprile 1984, n. 2352.
l Nella controversia circa il regime reale di un
bene immobile, le risultanze catastali non hanno
valore probatorio decisivo, bensì soltanto valore
indiziario. (Nella specie, la Corte ha confermato
la sentenza del merito, con cui si era ritenuto
che, controvertendosi circa la natura demaniale
di un fondo, le risultante del catasto italiano, da
cui il fondo appariva come non demaniale, non
bastavano a provare la sdemanializzazione, ma
che nemmeno le risultanze del vecchio catasto
pontificio, in cui il fondo appariva come strada
comunale, bastavano a provarne la demanialità).
* Cass. civ., sez. II, 8 settembre 1978, n. 4056.
b) Lidi, spiagge ed arenili.
l Mentre il lido del mare è quella porzione di
riva a contatto diretto con le acque del mare da
cui resta normalmente coperta per le ordinarie
mareggiate, sicché ne riesce impossibile ogni altro uso che non sia quello marittimo, la spiaggia
comprende non solo quei tratti di terra prossimi
al mare, che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie, ma anche l’arenile cioè quel tratto di
terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi
delle acque, restando idoneo ai pubblici usi del
mare, anche se in via soltanto potenziale e non
attuale. Pertanto, perché l’arenile sia compreso
nel demanio marittimo non è sufficiente che sia
derivato dall’abbandono del mare, ma è necessario che non abbia perso l’attitudine potenziale a
395
Titolo I – Dei beni
realizzare i pubblici usi del mare. L’accertamento
di tale circostanza in giudizio deve essere effettuato con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della decisione, mentre i titoli
esibiti dalle parti possono costituire soltanto utili
e concreti elementi di giudizio, liberamente apprezzabili dal giudice. (Nella specie la S.C. ha
confermato la sentenza impugnata che aveva
escluso la natura demaniale di un terreno sulla
scorta della descrizione dei luoghi contenuta in
una consulenza tecnica d’ufficio, avvalorata da un
verbale di delimitazione della zona del demanio
marittimo, pur non approvato dal direttore marittimo, dal quale risultava che detto terreno non
apparteneva al demanio). * Cass. civ., sez. I, 30
luglio 2009, n. 17737, Min. Economia Finanze ed
altro c. Fumagalli. [RV610300]
l Nel demanio marittimo è incluso, oltre il
lido del mare e la spiaggia, anche l’arenile, ovvero
quel tratto di terraferma che risulti relitto dal
naturale ritirarsi delle acque, e la sua natura demaniale - derivante dalla corrispondenza con uno
dei beni normativamente definiti negli artt. 822
c.c. e 28 c.n. - permane anche qualora una parte
di esso sia stata utilizzata per realizzare una strada pubblica, non implicando tale evento la sua
sdemanializzazione, così come la sua attitudine
a realizzare i pubblici usi del mare non può venir
meno per il semplice fatto che un privato abbia
iniziato ad esercitare su di esso un potere di fatto,
realizzandovi abusivamente opere e manufatti. *
Cass. civ., sez. II, 11 maggio 2009, n. 10817, Arturo c. Agenzia Demanio ed altri. [RV608262]
l A differenza di quanto previsto dall’art. 829
c.c. - secondo cui il passaggio di un bene dal demanio pubblico al patrimonio ha natura dichiarativa e può avvenire anche tacitamente - per i beni
appartenenti al demanio marittimo, tra i quali si
include la spiaggia, comprensiva dell’arenile, non
è possibile che la sdemanializzazione si realizzi in
forma tacita, essendo necessaria, ai sensi dell’art.
35 cod. nav., l’adozione di un espresso e formale
provvedimento della competente autorità amministrativa, avente carattere costitutivo. * Cass.
civ., sez. II, 11 maggio 2009, n. 10817, Arturo c.
Agenzia Demanio ed altri. [RV608265]
l Costituiscono lido e spiaggia, e come tali
sono comprese nel demanio marittimo, ai sensi
degli artt. 822 c.c. e 28 cod. nav., la striscia di
terreno immediatamente a contatto con il mare, e
comunque coinvolta dallo spostamento delle sue
acque, tenuto conto anche delle maree, nonché
quell’ulteriore porzione, fra detta striscia e l’entroterra, che venga concretamente interessata
dalle esigenze di pubblico uso del mare. * Cass.
civ., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10304, Mastroianni c. Min. Finanze. [RV573255]
l Per stabilire se un’area rivierasca debba
o meno essere considerata appartenente al demanio marittimo, mentre risulta indifferente la
natura geografica del terreno, sono decisive le
Art. 822
seguenti circostanze: 1) che l’area sia normalmente coperta dalle mareggiate ordinarie; 2) che,
sebbene non sottoposta a mareggiate ordinarie,
sia stata in antico sommersa e tuttora utilizzabile
per uso marittimo; 3) che, comunque, il bene
sia necessariamente adibito ad usi attinenti alla
navigazione (accesso, approdo, tirata in secco di
natanti, operazioni attinenti alla pesca da terra,
operazioni di balneazione) anche solo allo stato
potenziale. * Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2004, n.
10304, Mastroianni c. Min. Finanze. [RV573256]
l Il lido del mare — da intendersi come quella
porzione di riva che è a contatto diretto, nel suo
limite esterno, con le acque del mare e che resta
normalmente coperta dalle ordinarie mareggiate,
sicché ne riesce impossibile ogni altro uso oltre
quello marittimo o pubblico — appartiene allo
Stato e fa parte del demanio pubblico dello Stato
stesso, ai sensi dell’art. 822, primo comma, c.c.:
pertanto, il suo utilizzo non può costituire oggetto di concessione da parte di un ente territoriale
diverso dallo Stato, atteso anche che l’art. 824,
primo comma, del codice medesimo assoggetta
al regime dei beni demaniali, se appartenenti alle
province o ai comuni, soltanto i beni della specie
di quelli indicati dal secondo comma del citato art.
822, tra i quali non è compreso il lido del mare.
* Cass. civ., sez. V, 9 marzo 2004, n. 4769, Min.
Economia e Finanze c. Fappani. [RV570900]
c) Corsi d’acqua e bacini lacustri.
l A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 822
c.c., l’appartenenza dei laghi al demanio pubblico prescinde dalla sussistenza delle condizioni
previste dall’art. 1, primo comma, del R.D. 11
dicembre 1933, n. 1775 essendo sufficiente, per
l’attribuzione della demanialità, l’accertamento
in uno specchio d’acqua dei caratteri idrografici
di un lago e non di uno stagno e non assumendo
rilievo il mancato inserimento nell’elenco delle
acque pubbliche, data la natura dichiarativa del
relativo provvedimento. * Cass. civ., Sezioni Unite, 30 aprile 2008, n. 10876, Pollio ed altro c. Min.
Beni Ambientali Culturali. [RV602985]
l Ai fini dell’individuazione dei terreni ricompresi nel demanio per la loro contiguità a
corsi d’acqua pubblici, opera il principio per cui
l’estensione dell’alveo, suscettibile di detta ricomprensione, deve essere determinata con riferimento alle piene ordinarie, senza tenere conto del
perturbamento determinato da cause eccezionali.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 28 giugno 2005, n.
13834, Min. infrastrutture trasporti ed altro c. Petrucci. [RV582154]
l Nel nostro ordinamento, le acque pubbliche
fanno parte, salva diversa previsione legale, del
demanio necessario (idrico) dello Stato, come
risulta dall’art. 822 c.c. e dal regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 e come è ribadito dal D.P.R.
24 luglio 1977, n. 616; questa regola non trova
eccezione, in favore dei Comuni, nella successiva
Art. 822
Libro III – Della proprietà
normativa sul riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo di cui alla legge 18 maggio
1989, n. 183, giacché l’art. 11 di detta legge, se
affida ai Comuni, unitamente ad altri soggetti, il
compito di partecipare alle funzioni riguardanti il
riassetto delle acque in materia di difesa del suolo,
non attribuisce ad essi la titolarità di alcun diritto
dominicale sulle stesse acque pubbliche, titolarità
che neppure è ricavabile dall’interesse dell’ente
locale alla corretta gestione delle acque sul proprio territorio, a norma dell’art. 4 della legge 5
gennaio 1994, n. 36. * Cass. civ., Sezioni Unite, 5
luglio 2004, n. 12272, Com. Boiano c. Min. Infrastrutture Trasporti ed altro. [RV574122]
l A norma degli artt. 1 T.U. n. 1775 del 1933 e
822 c.c., fanno parte di un corso d’acqua pubblico, e perciò appartengono al demanio idrico, non
solo il letto di magra del fiume, ma anche le zone
che, comprese tra questo e l’argine (naturale ed
artificiale), sono soggette a rimanere sommerse
in caso di piene ordinarie; a tal fine il livello della
piena ordinaria di un corso d’acqua pubblico va
determinato in base alla congiunta valutazione
dell’elemento quantitativo e di quello temporale,
dovendosi considerare come quota raggiunta dalla piena ordinaria il livello massimo attinto dalle
acque in un numero di anni talmente prevalente
rispetto a quelli del residuo periodo (all’uopo
sufficientemente lungo) preso in considerazione,
da rappresentare la norma. * Cass. civ., Sezioni
Unite, 30 giugno 1999, n. 361, Min. Lavori Pubblici c. Cons. Magra. [RV528098]
l Fanno parte del demanio idrico, perché
rientrano nel concetto di alveo, le sponde e le rive
interne dei fiumi, cioè le zone soggette ad essere
sommerse dalle piene ordinarie (mentre le sponde e le rive esterne, che possono essere invase
dalle acque solo in caso di piene straordinarie,
appartengono ai proprietari dei fondi rivieraschi), ed altresì gli immobili che assumono natura
di pertinenza del medesimo demanio per l’opera
dell’uomo, in quanto destinati al servizio del bene
principale per assicurare allo stesso un più alto
grado di protezione. Tale rapporto pertinenziale
e la conseguente demanialità del bene accessorio
permangono fino al momento in cui la pubblica
amministrazione manifesti la sua volontà di sottrarre la pertinenze alla sua funzione, mentre
la sdemanializzazione non può desumersi da
comportamenti omissivi della medesima. (Nella
specie, la P.A. aveva espropriato un’area limitrofa
al Brenta per la ricostruzione dell’alveo del fiume
dopo un’alluvione e l’argine era stato ripristinato
con l’inserimento di una «banca» e di una «sottobanca» di rinforzo, sulla quale ultima successivamente un privato aveva costruito un fabbricato;
la S.C. ha confermato la impugnata sentenza del
Tribunale superiore delle acque pubbliche, con
cui era stata rigettata l’azione del privato di accertamento del suo diritto di proprietà relativamente
all’area su cui insisteva detto edificio, sulla base
396
del rilievo della qualità di pertinenza demaniale
della sottobanca, che, pur non essendo permeata
dalle acque di piena ordinaria, era inseparabile
strutturalmente dall’alveo e poteva assolvere
una funzione protettiva con continuità e non per
esigenze solo momentanee). * Cass. civ., Sezioni
Unite, 18 dicembre 1998, n. 12701, Albertin c. Ministero Finanze. [RV521785]
u Si veda anche, in argomento, sub artt. 942
e 943.
d) Strade.
l L’appartenenza di una strada ad un ente
pubblico territoriale può essere desunta da una
serie di elementi presuntivi aventi i requisiti di
gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 2729 c.c., non potendo reputarsi, a tal fine,
elemento da solo sufficiente l’inclusione o meno
della strada stessa nel relativo elenco, già previsto dall’art. 8 della legge n. 126 del 1958, avente
natura dichiarativa e non costitutiva, ed avendo
carattere relativo la presunzione di demanialità di
cui all’art. 22 della legge n. 2248 del 1865, all. F.
(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza
di merito che aveva riconosciuto ad una strada
natura comunale in forza di plurime circostanze
e, segnatamente, dall’inclusione nelle mappe catastali, dalla classificazione come comunale da parte
del Consiglio dell’ente territoriale, dall’attività di
manutenzione effettuata dall’ente, dall’inclusione
nella toponomastica cittadina con attribuzione di
numerazione civica e, infine, dalla mancanza di
elementi validi a sostegno del contrario assunto
sulla natura privata della strada medesima). *
Cass. civ., sez. II, 9 novembre 2009, n. 23705, Toniolo c. Com. Rovigo. [RV610736]
l In relazione alle strade vicinali, benché
la loro natura di beni privati di interesse pubblico faccia presumere (fino a prova contraria)
l’esistenza sulle medesime di una servitù di uso
pubblico a favore del Comune, ai fini del riconoscimento del diritto di comproprietà a favore dei
proprietari dei fondi latistanti è necessario allegare e provare di aver conferito, in vario modo e
misura, il sedime della strada. * Cass. civ., sez. II,
10 ottobre 2007, n. 21245, De Stefano ed altro c.
Della Croce. [RV599246]
l Affinché un’area privata venga a far parte
del demanio, non è sufficiente che essa sia destinata all’uso pubblico, ma è invece necessario che
sia intervenuto un atto o un fatto che ne abbia trasferito il dominio alla P.A., e che essa sia destinata
all’uso pubblico dalla stessa P.A., a meno che non
possa operare, trattandosi di aree adiacenti a una
strada pubblica, la presunzione di demanialità
stabilita dall’art. 22 della legge n. 2248 del 1865,
all. F — la quale sancisce una presunzione iuris
tantum di proprietà pubblica di quegli spazi adiacenti alle strade comunali che, per l’immediata
accessibilità, appaiono parte integrante (pertinenza) della strada, salvo prova contraria idonea
397
Titolo I – Dei beni
a dimostrare il carattere privato degli stessi spazi.
(Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di
merito che aveva riconosciuto la natura pubblica
di uno slargo adiacente una via comunale, benché
fosse privo di sbocchi di transito e potesse essere
utilizzato dai soli frontisti, oltre a risultare in
parte catastalmente intestato ai suddetti privati).
* Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2007, n. 4975, Ferri c.
Cozzi ed altri. [RV596944]
l La casa cantoniera — in base all’art. 22, secondo comma della legge 20 marzo 1865, n. 2248,
ribadito da ultimo dall’art. 24 del D.L.vo 30 aprile
1992, n. 285 — costituisce pertinenza della strada
e partecipa quindi al suo carattere di demanialità
quando la strada stessa appartiene ad un ente pubblico territoriale. Ne consegue che la perdita del
carattere demaniale della casa cantoniera può essere solo l’effetto della perdita dello stesso carattere della strada (salvo diversa disposizione a norma
dell’art. 818 c.p.c.). * Cass. civ., sez. II, 30 agosto
2004, n. 17387, Prov. Latina c. Spelda. [RV576379]
l La strada interpoderale o vicinale, iscritta
negli elenchi comunali, si presume assoggettata
al pubblico transito, diritto reale dell’ente esponenziale estinguibile soltanto per volontà anche
implicita del medesimo, irrilevante essendo al
riguardo che la via sia chiusa da un lato, senza
sbocco su altra strada. * Cass. civ., sez. III, 22
gennaio 2003, n. 915. [RV560440]
l Affinché un’area privata venga a far parte
del demanio stradale e assuma, quindi, la natura
di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua
concreta, effettiva e attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titulo dell’area
da parte della pubblica amministrazione), né la
mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, né l’intervento di atti
di riconoscimento da parte dell’amministrazione
medesima circa la funzione da essa assolta, ma
è necessario che la strada risulti di proprietà di
un ente pubblico territoriale in base a un atto o
a un fatto (convenzione, espropriazione, usucapione, ecc.) idoneo a trasferire il dominio e che
essa venga destinata, con una manifestazione di
volontà espressa o tacita dell’ente all’uso pubblico
(inequivocabile è in tal senso l’inciso «se appartengono... ai comuni» proprio dell’art. 824, primo
comma, c.c.). * Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2000,
n. 823, Comune di Zenson di Piave c. Fregonese
L. ed altri, in Arch. giur. circ. 2000, 396. Nello stesso senso: Cass. I, 26 agosto 2002, n. 12540; Cass.
II, 7 aprile 2006, n. 8204. [RV533141]
l La presunzione di demanialità stabilita
dall’art. 22 della L. n. 2248 del 1865, all. F — la
quale non si riferisce ad ogni area comunicante
con la strada pubblica, ma solo a quelle aree che,
per l’immediata accessibilità, appaiono integranti
della funzione viaria della rete stradale, in guisa
da costituire pertinenza della strada — ha carattere relativo e, come tale, è destinata a cadere di
Art. 822
fronte all’esistenza di elementi probatori che, secondo il prudente ed incensurabile apprezzamento del giudice di merito, siano idonei a dimostrare
il carattere privato degli spazi medesimi. * Cass.
civ., Sezioni Unite, 17 giugno 1996, n. 5522. Nello
stesso senso, Cass. II, 10 marzo 2006, n. 5262.
l L’iscrizione delle strade negli appositi elenchi
(che richiede l’accertamento dell’uso pubblico e la
sua destinazione alla funzione di collegamento di
parti del territorio comunale), secondo la procedure prevista dalle leggi in materia, ha carattere meramente dichiarativo e non costitutivo, cosicché
l’iscrizione stessa crea una presunzione di appartenenza della strada all’ente cui essa è attribuita,
presunzione che può essere vinta con la prova contraria della sua natura privata e dell’inesistenza di
un diritto di godimento da parte della collettività.
* Cass. civ., sez. II, 17 marzo 1995, n. 3117Idem,
Cass. II, 29 aprile 2003, n. 6657. Nello stesso senso
anche Cass. II, 11 febbraio 2009, n. 3391.
l Al fine di determinare l’appartenenza di
una strada al demanio comunale, costituiscono
indici di riferimento, oltre che l’uso pubblico,
cioè l’uso da parte di un numero indeterminato
di persone (il quale, isolatamente considerato,
potrebbe indicare solo una servitù di passaggio),
la ubicazione della strada all’interno dei luoghi
abitati, l’inclusione nella toponomastica del comune, l’apposizione della numerazione civica, il
comportamento della pubblica amministrazione
nel settore dell’edilizia e dell’urbanistica e l’assoggettamento dei cittadini alla prassi determinata
da tale comportamento (presupponente la natura
pubblica della strada). Per converso, non può ritenersi elemento da solo sufficiente l’inclusione o
rispettivamente la mancata inclusione nell’elenco
delle strade comunali, stante la natura dichiarativa e non costitutiva dell’elenco anzidetto. * Cass.
civ., sez. III, 5 luglio 1994, n. 6337, Comune di
Cirimido c. F.lli Peverelli Snc. Conforme, Cass. II,
7 aprile 2000, n. 4345,
l La circostanza che una strada sia attraversata da una linea ferrata non influisce sulla natura (pubblica o privata) della strada, essendo giuridicamente possibile che una ferrovia intersechi
una strada privata (o sia da questa intersecata)
dando luogo ad una servitù sulla strada o sulla linea ferrata o anche, nel caso di demanialità della
ferrovia, ad un uso speciale di questa, sul punto di
intersezione per effetto di concessione di attraversamento in favore degli utenti della strada. * Cass.
civ., sez. II, 17 marzo 1994, n. 2539.
l Una strada privata diventa pubblica quando
la destinazione pubblica segua o si accompagni
all’acquisto della proprietà del suolo stradale da
parte della pubblica amministrazione, in base
ad un atto o fatto (convenzione, espropriazione,
usucapione) idoneo a trasferirne il dominio, con
la conseguenza che l’atto con il quale il proprietario del fondo, a cui vantaggio sia costituita una
servitù di transito sul fondo altrui, trasferisca
Art. 823
Libro III – Della proprietà
al comune tale diritto di transito, deve ritenersi
inidoneo a consentire al predetto comune l’esercizio di diritti di supremazia pubblica sul fondo
servente. * Cass. civ., sez. II, 20 giugno 1990, n.
6201, Cond. Via Umberto SS c. Comune Sassari.
l L’occupazione di un terreno privato da
parte del comune, integrante un fatto illecito in
difetto di provvedimento autorizzativo, la quale
sia eseguita dalla irreversibile destinazione del
bene nella realizzazione di una strada comunale
ad uso pubblico, comporta, salva restando la responsabilità risarcitoria del comune medesimo
per quell’illecito, l’estinzione del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione del
terreno stesso al demanio dell’ente territoriale, a
titolo originario. * Cass. civ., Sezioni Unite, 21
novembre 1983, n. 6919.
u Si veda anche, in materia di strade, sub artt.
825, 879, 905 par. g).
823. Condizione giuridica del demanio pubblico.
– I beni che fanno parte del demanio pubblico sono
inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a
favore di terzi (1145), se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano (30 ss., 694 ss. c.n.).
Spetta all’autorità amministrativa la tutela dei beni
che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà
sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei
mezzi ordinari a difesa della proprietà (948 ss.) e del
possesso (1168 ss.) regolati dal presente codice.
SOMMARIO:
a) In genere;
b) Mezzi di tutela.
a) In genere.
l I beni demaniali possono formare oggetto
di diritti in favore di terzi soltanto nei modi e nei
limiti stabiliti dalle norme di diritto pubblico, e
non secondo il diritto privato, così che la relativa
utilizzazione da parte della collettività deve essere ricondotta ad un uso generale — se riconosciuto a tutti i cittadini — ovvero speciale, come
nell’ipotesi (quale quella di specie) dei proprietari
frontisti di una pubblica via nelle misura in cui
costoro traggano, da tale uso, particolari utilità
per effetto della relazione di contiguità tra i loro
beni e la strada stessa. Ne consegue che l’eventuale interesse del frontista a continuare l’utilizzo del
bene già demaniale in epoca successiva alla sua
sdemanializzazione può condurre alla costituzione di un diritto di servitù qualora ne ricorrano
tutte le condizioni, ovvero nelle ipotesi di fondo
intercluso, poiché, in tutti gli altri casi, detta sdemanializzazione fa sempre venir meno il diritto
di accesso e di transito da loro esercitato, senza
che l’interesse legittimo di costoro possa trasformarsi in un diritto sulla cosa altrui. * Cass. civ.,
sez. II, 1 luglio 2004, n. 12008, Battisti c. Pacifici.
[RV573967]
398
l La concessione amministrativa su beni
demaniali o su beni indisponibili, al di fuori dei
casi in cui la legge, esplicitamente o attraverso
la specifica regolamentazione adottata, abbia
predeterminato la natura del diritto conferito al
concessionario, non attribuisce necessariamente
a quest’ultimo diritti di consistenza reale, ma può
attribuire anche diritti assimilabili a quelli personali di godimento non esclusi della previsione
dell’art. 823 c.c. e pienamente compatibili con i
poteri d’imperio dell’ente concedente a tutela dell’interesse pubblico. Peraltro, al fine di stabilire
nel singolo caso se a favore del concessionario sia
stato costituito un diritto di natura reale o personale, occorre accertare, con indagine da compiersi dal giudice del merito secondo i normali criteri
di interpretazione dei contratti e degli atti amministrativi, l’effettiva e concreta consistenza di quel
diritto sulla base dell’intero contenuto della convenzione e delle sue clausole, nonchè del provvedimento amministrativo di concessione. * Cass.
civ., sez. III, 24 marzo 2004, n. 5842, Incrementur
Ionica Sas c. Regione Calabria. [RV571466]
l La natura demaniale di un bene non costituisce ostacolo giuridico nè alla costituzione in favore
di privati, mediante concessione, di diritti reali o
personali che abbiano ad oggetto la fruizione del
bene medesimo, nè alla circolazione tra privati di
tali diritti, che si atteggiano, nei rapporti privatistici, come diritti soggettivi perfetti. Ne consegue che,
qualora sia accertato, attraverso la complessiva
interpretazione — riservata al giudice di merito —
del titolo costitutivo (cioè dell’atto di concessione),
che è stato conferito al privato un diritto reale di
godimento su un immobile demaniale, l’atto con
cui quest’ultimo alieni tale diritto è soggetto ad INVIM, ai sensi dell’art. 2, primo comma, del D.P.R.
26 ottobre 1972, n. 643 (nel testo, applicabile ratione temporis sostituito dall’art. 24 del D.L. 2 marzo
1989, n. 69, convertito nella legge 27 aprile 1989, n.
154). * Cass. civ., sez. V, 9 marzo 2004, n. 4769, Min.
Economia e Finanze c. Fappani. [RV570901]
l L’attribuzione a privati dell’utilizzazione di
beni del demanio o del patrimonio indisponibile
dello Stato o dei comuni, quale che sia la terminologia adottata nella convenzione ed ancorché essa
presenti elementi privatistici, è sempre riconducibile, ove non risulti diversamente, alla figura della
concessione-contratto, atteso che il godimento
dei beni pubblici, stante la loro destinazione alla
diretta realizzazione di interessi pubblici, può
essere legittimamente attribuito ad un soggetto
diverso dall’ente titolare del bene — entro certi limiti e per alcune utilità — solo mediante concessione amministrativa. * Cass. civ., Sezioni Unite,
26 giugno 2003, n. 10157. [RV564581]
l I beni che fanno parte del demanio pubblico
non possono formare oggetto di diritti a favore
dei terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle
leggi che li riguardano. I negozi relativi all’utilizzazione di detti beni non possono, quindi, dar
399
Titolo I – Dei beni
luogo se non ad atti di concessione in godimento
temporaneo, come tali per loro natura revocabili
e perciò incompatibili con la disciplina propria
delle locazioni degli immobili urbani. * Cass. civ.,
sez. III, 23 dicembre 1998, n. 12831, Boccherini c.
Amm. Finanze Stato. [RV521910]
l I beni che fanno parte del demanio pubblico
non possono formare oggetto di diritti a favore di
terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. L’attribuzione al privato di un
diritto di godimento su beni demaniali si realizza
attraverso provvedimenti unilaterali di concessione e non mediante l’impiego di contratti di diritto
comune. Il godimento da parte di privati, di beni
appartenenti al demanio dello Stato, non può avvenire gratuitamente se non nei casi preveduti dalla
legge (nel caso di specie la S.C. ha ritenuto che la
circostanza che l’amministrazione avesse consentito ad un privato di immettersi nel godimento di
un bene demaniale senza fissare fin dall’inizio il canone dovuto da un lato non consentiva di ritenere
sussistente tra le parti un contratto di comodato,
ma una concessione in uso, dall’altro obbligava il
privato a pagare per tale uso un corrispettivo). *
Cass. civ., sez. III, 17 marzo 1998, n. 2844, Icomos
Italiana c. Min. Finanze. [RV513708]
u Si veda per il resto sub art. 822.
b) Mezzi di tutela.
l La persistente utilizzazione di un bene
demaniale da parte del concessionario dopo la
scadenza della concessione, legittima la P.A. ad
avvalersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà — senza ricorrere ai poteri autoritativi di
tutela di cui pure è titolare — con conseguente
devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione ordinaria. (Fattispecie relativa a rapporto concessorio di fondo rustico, scaduto nel quale
l’ente proprietario aveva chiesto l’accertamento
negativo di un titolo che giustificasse la conservazione da parte del privato della detenzione del
fondo stesso). * Cass. civ., Sezioni Unite, 5 marzo
2008, n. 5912, Peppi c. Ente Foreste Sardegna.
[RV601953]
l Appartiene alla giurisdizione del giudice
ordinario la cognizione della controversia con la
quale la P.A., agendo in sede possessoria come consentitole dall’art. 823, comma secondo, c.c., abbia
chiesto l’immediata reintegrazione nell’asserito
possesso di una servitù di passaggio il cui esercizio
le sia stato inibito da parte di un privato. * Cass.
civ., Sezioni Unite, 24 agosto 2007, n. 17954, Giavitto ed altro c. Com. Faedis. [RV598264]
l L’autotutela della P.A. è espressione della sua
supremazia, e conseguentemente può essere esercitata solo nei confronti di soggetti privati, non
anche nei confronti di soggetti che fanno parte anch’essi della P.A., e che, in quanto tali, sono nella
medesima condizione giuridica. Pertanto, un Comune non può esercitare i propri poteri di autotutela a difesa della proprietà demaniale, secondo la
Art. 824
previsione dell’art. 823, secondo comma, c.c., nei
confronti di una Regione. (Principio espresso in
controversia possessoria promossa dalla Regione
nei confronti di un Comune; enunciando il principio di cui in massima, le S.U. hanno dichiarato la
giurisdizione del giudice ordinario). * Cass. civ.,
Sezioni Unite, 1 febbraio 2005, n. 1864, Com.
vico equense c. Regione Campania. [RV579028]
l La facoltà della pubblica amministrazione,
in alternativa all’esercizio dei propri poteri di autotutela, di agire davanti al giudice ordinario a difesa
della proprietà demaniale o patrimoniale, secondo
la previsione dell’art. 823 c.c., deve ritenersi comprensiva della possibilità di proporre domanda
di accertamento della natura ed appartenenza ad
essa di un determinato bene. * Cass. civ., Sezioni
Unite, 6 maggio 2003, n. 6852. [RV562663]
l Spetta al giudice ordinario la giurisdizione
sulla domanda di accertamento dei confini tra terreno privato e demanio proposta dal privato nei
confronti della P.A., avendo detta domanda per
oggetto l’accertamento dell’esistenza e dell’estensione del diritto soggettivo di proprietà privata
rispetto alla proprietà demaniale. * Cass. civ., Sezioni Unite, 18 aprile 2003, n. 6347. [RV562355]
l Per il combinato disposto dagli artt. 823 c.c.,
il quale riserva alla pubblica amministrazione la
tutela dei beni demaniali, e 81 c.p.c., che limita
i casi di sostituzione processuale a quelli espressamente previsti dalla legge, nel caso di rivendica
di immobile fra privati, l’eccezione di demanialità
è improponibile da parte del convenuto, trattandosi di exceptio de iure tertii. * Cass. civ., sez. II, 16
luglio 1991, n. 7892, Loi c. Contini.
l L’art. 823 secondo comma c.c., sul carattere
alternativo dell’autotutela amministrativa rispetto ai mezzi ordinari a difesa della proprietà o del
possesso, ancorché dettato per i beni demaniali,
configura espressione di un principio generale,
valido per ogni situazione giuridica in cui siano
esperibili rimedi giurisdizionali. Pertanto, pure
con riguardo a bene non demaniale, deve riconoscersi ad un comune la facoltà di agire davanti al
giudice ordinario con azione di rilascio, a tutela
del proprio diritto dominicale, indipendentemente dall’eventuale possibilità del comune medesimo di conseguire analogo risultato con l’esercizio
di poteri autoritativi. * Cass. civ., Sezioni Unite,
18 ottobre 1986, n. 6129.
824. Beni delle province e dei comuni soggetti al
regime dei beni demaniali. – I beni della specie di
quelli indicati dal secondo comma dell’art. 822, se appartengono alle province o ai comuni, sono soggetti al
regime del demanio pubblico.
Allo stesso regime sono soggetti i cimiteri e i mercati comunali.
l Nel nostro ordinamento, il diritto sul sepolcro già costruito nasce da una concessione da parte
Art. 825
Libro III – Della proprietà
dell’autorità amministrativa di un’area di terreno
(o di una porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.) e tale
concessione, di natura traslativa, crea, a sua volta,
nel privato concessionario, un diritto soggettivo
perfetto di natura reale, e perciò, opponibile, iure
privatorum, agli altri privati, assimilabile al diritto
di superficie, che si affievolisce, degradando ad
interesse legittimo, nei confronti della P.A. nei
casi in cui esigenze di pubblico interesse per la
tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero,
impongono o consigliano alla P.A. di esercitare il
potere di revoca della concessione. * Cass. civ.,
Sezioni Unite, 7 ottobre 1994, n. 8197, Fania c.
Fania. Nello stesso senso: Cass. II, 18 febbraio
1977 n. 727; Cass. II, 30 maggio 2003, n. 8804.
l Rispetto alle piazze, agli spazi ed ai vicoli i
quali, nell’interno delle città e dei villaggi, siano
adiacenti alle strade comunali o aperti su suolo
pubblico, l’art. 22, comma terzo, della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F), stabilisce una presunzione iuris tantum di demanialità, che ammette la
prova contraria, la quale, tuttavia, è circoscritta
testualmente all’esistenza di consuetudini che
escludano la demanialità per il tipo di aree di cui
faccia parte quella considerata, o di convenzioni
che attribuiscano la proprietà a soggetto diverso
dal comune, ovvero alla natura privata della proprietà dell’area stessa. La presunzione di demanialità delle aree suddette, con il conseguente
assoggettamento al regime dei beni demaniali,
impedisce che esse possano ritenersi acquisite in
proprietà per usucapione, se non sia stata preliminarmente dimostrata, in uno dei modi indicati,
la natura privata delle stesse. * Cass. civ., sez. I, 13
giugno 1983, n. 4051.
u Si veda, per il resto, supra, sub artt. 822,
823.
825. Diritti demaniali su beni altrui. – Sono pari-
menti soggetti al regime del demanio pubblico (823)
i diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai
comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando
i diritti stessi sono costituiti per l’utilità di alcuno dei
beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti
a quelli a cui servono i beni medesimi.
l La “dicatio ad patriam”, quale modo di
costituzione di una servitù, postula un comportamento ad uso pubblico, del proprietario che,
seppur non intenzionalmente diretto a dar vita
al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità, un proprio bene
a disposizione della collettività, assoggettandolo
al relativo uso. (Nella specie, la S.C. ha escluso
che tale comportamento potesse essere ravvisato
nel fatto che il proprietario, pur consentendo il
passaggio pubblico su una strada privata di accesso ad alcuni edifici e di collegamento tra due
400
strade pubbliche, aveva tuttavia contestato l’abusiva ingerenza del Comune che l’aveva asfaltata e
denominata). * Cass. civ., sez. I, 16 marzo 2012,
n. 4207, Comune di Reggio Calabria c. Scordino.
[RV621717]
l Le servitù di uso pubblico possono essere acquistate mediante il possesso protrattosi per il tempo necessario all’usucapione anche se manchino
opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, essendo il requisito dell’apparenza prescritto
dall’art. 1061 c.c. soltanto per le servitù prediali. *
Cass. civ., Sezioni Unite, 3 ottobre 2011, n. 20138,
Ciullo c. Alto Calore Servizi s.p.a. [RV618740]
l Un’area privata può ritenersi assoggettata
a servitù pubblica di passaggio, allorché sussista
non solo l’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui,
considerati “uti cives” in quanto portatori di un
interesse generale, e la sussistenza di un titolo
valido a sostenere l’affermazione di un diritto di
uso pubblico, ma anche l’ulteriore requisito dell’oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di
pubblico interesse perseguito tramite l’esercizio
della servitù. (Nella specie, la S.C. ha confermato
la sentenza di merito la quale aveva escluso il
requisito dell’oggettiva idoneità a soddisfare un
fine di pubblico interesse con riferimento ad una
mulattiera di montagna di ridottissime dimensioni ed assai scoscesa, su cui non era consentito un
transito generalizzato di mezzi agricoli). * Cass.
civ., sez. II, 10 gennaio 2011, n. 354, Terroni ed
altro c. Garnero [RV616131]
l Ai fini dell’assoggettamento per usucapione
di un’area privata ad una servitù di uso pubblico, è necessario che l’uso risponda alla necessità
ed utilità di un insieme di persone, agenti come
componenti della collettività, e che sia esercitato
continuativamente per oltre un ventennio con
l’intenzione di agire uti cives e disconoscendo
il diritto del proprietario. * Cass. civ., sez. II, 17
giugno 2004, n. 11346, Hotel Kolfuschgerhof c.
Alfreider. [RV573688]
l La dicatio ad patriam quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico consiste nel
comportamento del proprietario che, pur se non
intenzionalmente diretto alla produzione dell’effetto di dar vita al diritto di uso pubblico, metta
volontariamente con carattere di continuità e non
di mera precarietà e tolleranza, un proprio bene
a disposizione della collettività assoggettandolo
al correlativo uso che ne perfeziona l’esistenza
senza che occorra un congruo periodo di tempo
o un atto negoziale ovvero ablatorio al fine di
soddisfare un’esigenza comune dei membri della
collettività uti cives indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto,
dalla sua spontaneità o meno e dallo spirito che
l’anima. La volontarietà del comportamento è
ravvisabile anche quando il privato proprietario
con il non far cessare l’uso pubblico iniziato in
conseguenza di una sua attività diversamente fi-
401
Titolo I – Dei beni
nalizzata, manifesti chiaramente per facta concludentia l’intenzione di voler mantenere la sua cosa
a disposizione della collettività così da rendere
legittimo l’uso pubblico della medesima. * Cass.
civ., sez. II, 22 novembre 2000, n. 15111. Nello
stesso senso, fra le altre: Cass. I, 7 maggio 1993, n.
5262; Cass. II, 10 dicembre 1994, n. 10574; Cass.
II, 17 marzo 1995, n. 3117; Cass. II, 22 gennaio
2001, n. 875; Cass. II, 4 giugno 2001, n. 7481;
Cass. II, 12 agosto 2002, n. 12167; Cass. II, 19 febbraio 2007, n. 3742.
l La cosiddetta dicatio ad patriam ha, come
suo indefettibile presupposto, l’asservimento del
bene all’uso pubblico nello stato in cui il bene
stesso si trovi, e non in quello realizzabile a seguito di manipolazioni quali quelle conseguenti alle
irreversibili trasformazioni che caratterizzano il
(diverso) istituto dell’accensione invertita. * Cass.
civ., sez. I, 1° dicembre 1998, n. 12181.
l Perché un’area privata possa ritenersi assoggettata a uso pubblico di passaggio è necessario che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti
cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse
di carattere generale e non uti singuli, ossia quali
soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene che si pretende gravato. Deve,
pertanto, escludersi l’uso pubblico del passaggio
quando questo venga esercitato soltanto dai proprietari di determinati immobili in dipendenza
della particolare ubicazione degli stessi o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per
esigenze connesse alla loro privata utilizzazione.
* Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1998, n. 5312. Nello
stesso senso, fra le altre: Cass. II, 23 maggio 1995,
n. 5037; Cass. II, 20 giugno 1995, n. 6952; Cass. II,
21 maggio 2001, n. 6924.
l Le servitù di uso pubblico possono costituirsi
anche mediante dicatio ad patriam a favore di una
comunità indeterminata di soggetti considerati uti
cives, su beni di proprietà privata per fini di pubblico interesse, corrispondenti a quelli cui servono
i beni demaniali e pertanto postulano che il bene
privato abbia caratteristiche intrinseche identiche
a quelle di un bene demaniale, giacché altrimenti
non sarebbe idoneo a fornire le medesime utilità.
* Cass. civ., 19 settembre 1995, n. 9903. Nello stesso senso, con riguardo alla prima parte della massima, Cass. II, 21 maggio 2001, n. 6924.
l L’assoggetamento di un’area ad una servitù
di uso pubblico per effetto del possesso, richiede:
a) la generalità di uso da parte di una collettività
indeterminata di individui, considerati uti cives,
ossia quali titolari di un interesse generale; b) l’oggettiva idoneità del bene che si pretende gravato
all’attuazione di un fine di pubblico interesse, che
può consistere anche nella mera comodità; c) il
protrarsi del possesso per il tempo previsto dalla
legge per l’ususcapione. * Cass. civ., sez. II, 29
aprile 1995, n. 4755. Conforme, Cass. II, 9 luglio
2003, n. 10772,
Art. 826
l Per la costituzione di una servitù di pubblico
passaggio su un fondo privato — il cui accertamento è compito esclusivo del giudice di merito
— è necessaria la prova specifica di un effettivo e
pacifico uso della strada da parte della generalità
dei cittadini, con l’acquiescenza del proprietario,
non essendo sufficiente, per ritenere la sussistenza
di un uso generale così ampio di un bene privato,
che le singole utilizzazioni dedotte a prova dell’esistenza della servitù si risolvano in sporadici episodi
svoltisi in maniera discontinua e per tolleranza dei
legittimi proprietari. * Cass. civ., sez. II, 9 dicembre
1989, n. 5452, Annunziata c. Catorpano.
826. Patrimonio dello Stato, delle province e dei
comuni. – I beni appartenenti allo Stato, alle province
e ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti (829), costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle province
e dei comuni (828).
Fanno parte del patrimonio indisponibile dello
Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le
cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al
proprietario del fondo (840), le cose d’interesse storico,
archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico,
da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo (839, 840, 932), i beni costituenti la dotazione della
Presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti,
gli aeromobili militari (745 c.n.) e le navi da guerra.
Fanno parte del patrimonio indisponibile dello
Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni,
secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a
sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni
destinati a un pubblico servizio.
l L’appartenenza di un bene al patrimonio
indisponibile di un ente territoriale discende non
solo dalla esistenza di un atto amministrativo che
lo destini ad uso pubblico, ma anche dalla concreta utilizzazione dello stesso a tale fine, la cui
mancanza deve essere desunta dalla decorrenza,
rispetto all’adozione dell’atto amministrativo, di
un periodo di tempo tale da non essere compatibile con l’utilizzazione in concreto del bene a fini
di pubblica utilità. (Nella specie, la S.C. ha cassato, con rinvio, la sentenza di merito che aveva
respinto la domanda di usucapione di un fondo,
proposta nei confronti di un Comune, per non
aver gli attori dato prova del momento del passaggio del bene dal patrimonio indisponibile a
quello disponibile dell’ente, tralasciando però di
considerare che al momento dell’inizio del possesso utile all’usucapione erano trascorsi più di dieci
anni da quello in cui, tramite il piano regolatore
generale, il fondo stesso era stato destinato ad uso
pubblico senza che di esso vi fosse stata alcuna
concreta utilizzazione). * Cass. civ., sez. II, 16
dicembre 2009, n. 26402, Grosso ed altro c. Com.
Art. 826
Libro III – Della proprietà
Torino. Conforme, sulla prima parte della massima, Cass. Sez. Un., 3 dicembre 2010, n. 24563,
per la quale, inoltre, “... l’atto e la destinazione in
questione non discendono automaticamente dalla
inclusione del bene nell’area di un parco regionale
istituito con normativa (nella specie, con legge reg.
Sicilia 6 maggio 1981, n. 98 istitutiva del Parco
delle Madonie) che viene anzi sovente a configurare un complesso quadro di precetti conservativi
dell’ambiente limitativi dei diritti di utilizzazione
privata e non necessariamente fondanti un uso
pubblico, per la presenza di divieti edificatori, di
coltivazione e persino di accesso indiscriminato ai
cittadini e di percorribilità viaria”. [RV610544]
l L’art. 826, terzo comma c.c. richiede, ai
fini della appartenenza di un bene al patrimonio
indisponibile della pubblica amministrazione la
concreta ed effettiva destinazione dello stesso ad
un pubblico servizio. Tuttavia, nella ipotesi in cui
non sia la pubblica amministrazione a destinare
un immobile ad un pubblico servizio, ma sia il
legislatore, che ne decide la costruzione — come
avvenuto con il D.L.C.P.S. 10 aprile 1947, n. 261
per le assegnazioni di alloggi ai senza tetto per
cause di guerra — il bene rientra senz’altro nella
categoria dei beni indisponibili non appena tale
costruzione sia realizzata, non essendo necessario che la sua destinazione ad un pubblico
servizio, già affermata dalla legge, abbia concreta
ed effettiva attuazione attraverso un successivo
provvedimento amministrativo. * Cass. civ., sez.
II, 12 maggio 2003, n. 7269. [RV562929]
l Affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico
proprio dei beni patrimoniali indisponibili perché
«destinati ad un pubblico servizio» ai sensi dell’art.
826, terzo comma c.c. deve sussistere un doppio
requisito: la manifestazione di volontà dell’ente
titolare del diritto reale pubblico e perciò un atto
amministrativo da cui risulti la specifica volontà
dell’ente di destinare quel determinato bene ad un
pubblico servizio e l’effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio (conseguentemente, nella specie, il fatto che il terreno sia stato
acquistato dal Comune di Roma nel 1884 per realizzare una «passeggiata pubblica» o parco e che
sia stato iscritto nell’inventario dei beni demaniali
comunali, in difetto della concreta ed attuale destinazione al pubblico servizio, non è sufficiente
per riconoscere al bene il carattere della indisponibilità). * Cass. civ., Sezioni Unite, 15 luglio 1999,
n. 391 Conformi, sulla prima parte della massima:
Cass. III, 22 giugno 2004, n. 11608; Cass. Sezioni Unite, 28 giugno 2006, n. 14865 e Cass. II, 13
marzo 2007, n. 5867, la prima delle quali aggiunge
che: «Pertanto non osta all’inquadramento nel patrimonio indisponibile l’appartenenza del bene a
un ente pubblico economico, poiché sull’elemento
soggettivo prevale quello oggettivo della destinazione concreta del bene al pubblico servizio. (Nella
specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito
402
che, nel negare la natura locativa del contratto per
la gestione del bar-ristorante ubicato presso i locali
dell’Ente Fiere di Verona aveva ritenuto che il servizio fosse funzionalmente collegato alle finalità
istituzionali dell’ente, individuate nell’organizzazione di manifestazioni fieristiche)».
l L’appartenenza di un bene al patrimonio
indisponibile dello Stato, dei Comuni e delle Province, a meno che non si tratti di beni riservati,
per loro natura, a tale patrimonio, dipende soprattutto dalle caratteristiche oggettive e funzionali
del bene e presuppone, quindi, oltre che l’acquisto
in proprietà del bene da parte dell’ente pubblico
(cosiddetto requisito soggettivo), una concreta
destinazione dello stesso ad un pubblico servizio
(cosiddetto, requisito oggettivo) che, proprio per
l’esigenza di un reale legame con le oggettive caratteristiche, del bene, non può dipendere da un
mero progetto di utilizzazione della P.A. o da una
risoluzione che, ancorché espressa in un atto amministrativo, non incide, di per sé, sulle oggettive
caratteristiche funzionali del bene. Pertanto, nei
casi in cui il bene sia privo di caratteri strutturali
necessari per il servizio, occorre almeno che il
provvedimento di destinazione sia seguito dalle
opere di trasformazione che in qualche modo possano stabilire un reale collegamento di fatto, e non
meramente intenzionale, del bene alla funzione
pubblica, con la conseguenza che i terreni destinati a verde pubblico dal piano regolatore acquistano la condizione di beni del patrimonio indisponibile dell’ente pubblico solo dal momento in
cui, essendo stati acquistati da questo in proprietà,
sono trasformati ed in concreto utilizzati secondo
la propria destinazione, non essendo all’uopo sufficiente né il piano regolatore generale, che ha solo
funzione programmatoria e l’effetto di attribuire
alla zona, o anche ai terreni in esso eventualmente
indicati, una vocazione da realizzare attraverso gli
strumenti urbanistici di secondo livello o ad essi
equiparati, e la successiva attività di esecuzione di
questi strumenti, né il provvedimento di approvazione del piano di lottizzazione, che individua solo
il terreno specificamente interessato dal progetto
di destinazione pubblica, né la convenzione di
lottizzazione, che si inserisce nella fase organizzativa del processo di realizzazione del programma
urbanistico e non nella fase della sua materiale
esecuzione. * Cass. civ., sez. II, 9 settembre 1997, n.
8743, Foianesi c. Comune di Firenze. [RV507700]
l Un bene, in tanto può considerarsi appartenente al patrimonio indisponibile per essere
destinato a pubblici servizi a norma del terzo
comma dell’art. 826 c.c., in quanto abbia una effettiva destinazione a quel servizio, non essendo
sufficiente la determinazione dell’ente pubblico di
imprimere al bene il carattere di patrimonio indisponibile. * Cass. civ., Sezioni Unite, 23 giugno
1993, n. 6950, Tomaino c. Comune di Genova.
Conforme, Cass., Sezioni Unite, 2 dicembre 1996,
n. 10733.
403
Titolo I – Dei beni
827. Beni immobili vacanti. – I beni immobili che
non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio
dello Stato (923; 119 Cost.).
l L’art. 827 c.c., nello stabilire che gli immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al
patrimonio dello Stato, non pone una presunzione di appartenenza allo Stato di tutti gli immobili
di cui non si provi l’appartenenza ad altri, ma si limita a prevedere un effetto giuridico conseguente
ad una determinata situazione di fatto (vacanza
del bene) la quale deve essere, perciò, dimostrata
dal soggetto che la invochi a fondamento del suo
diritto. (In una fattispecie relativa alla proprietà
di uno slargo adiacente alla via pubblica, la S.C.
ha cassato la sentenza di merito che ne aveva riconosciuto la natura pubblica, benché risultasse
in parte catastalmente intestato ai privati frontisti
e non potesse operare la presunzione di cui all’art.
22 legge n. 2248 del 1865). * Cass. civ., sez. II, 2
marzo 2007, n. 4975, Ferri c. Cozzi ed altri. Conforme, sulla prima parte della massima, Cass. II,
27 gennaio 1976, n. 256. [RV596945]
828. Condizione
giuridica dei beni patrimoniali. – I beni che costituiscono il patrimonio dello Stato,
delle province e dei comuni sono soggetti alle regole
particolari che li concernono e, in quanto non è diversamente disposto, alle regole del presente codice.
I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile
non possono essere sottratti alla loro destinazione,
se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano
(830).
829. Passaggio di beni dal demanio al patrimo-
nio. – Il passaggio dei beni dal demanio pubblico (822)
al patrimonio dello Stato (826) dev’essere dichiarato
dall’autorità amministrativa. Dell’atto deve essere dato
annunzio nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
Per quanto riguarda i beni delle province e dei
comuni, il provvedimento che dichiara il passaggio al
patrimonio dev’essere pubblicato nei modi stabiliti per
i regolamenti comunali e provinciali.
l La sdemanializzazione d’una strada può anche verificarsi senza l’adempimento delle formalità previste dalla legge in materia, ma occorre che
essa risulti da atti univoci, concludenti e positivi
della pubblica amministrazione, incompatibili
con la volontà di conservare la destinazione del
bene all’uso pubblico. Né il disuso da tempo immemorabile o l’inerzia dell’ente proprietario possono essere invocati come elementi indiziari dell’intenzione di far cessare la destinazione, anche
potenziale, del bene demaniale all’uso pubblico,
poiché a dare di ciò la prova è pur sempre necessario che tali elementi indiziari siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze così si-
Art. 827
gnificative da rendere impossibile formulare altra
ipotesi se non quella che la pubblica amministrazione abbia definitivamente rinunziato al ripristino della pubblica funzione del bene medesimo.
* Cass. civ., sez. II, 30 agosto 2004, n. 17387, Prov.
Latina c. Spelda. Nello stesso senso, Cass. II, 19
febbraio 2007, n. 3742, nonchè, sulla prima parte
della massima, Cass. civ., sez. III, 3 giugno 2008,
n. 14666, la quale, in applicazione del principio
(come si legge nella stessa massima ufficiale) «ha
ritenuto cessata tacitamente la demanialità di un
vincolo in parte locato ed in parte venduto a terzi
prima della formale delibera di sdemanializzazione». [RV576380]
l La sdemanializzazione tacita non può desumersi dalla sola circostanza che un bene non
sia più adibito anche da lungo tempo ad uso pubblico, ma è ravvisabile solo in presenza di atti e
fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la
volontà della P.A. di sottrarre il bene medesimo a
detta destinazione e di rinunciare definitivamente
al suo ripristino. (Sulla base del principio di cui
in massima, le S.U. hanno escluso l’esistenza di
simili atti e fatti in una fattispecie nella quale le
opere antropiche — consistenti nella costruzione
di un collettore fognario e nella realizzazione di
una strada —, determinanti la trasformazione per
innalzamento dell’altezza di quota di un terreno
costituente l’alveo naturale di un lago, erano avvenute senza il consenso, espresso o tacito, delle
Amministrazioni interessate). * Cass. civ., Sezioni Unite, 26 luglio 2002, n. 11101. Nello stesso
senso, con riguardo alla prima parte della massima, oltre alle massime seguenti, anche: Cass. I,
20 aprile 1985, n. 2610; Cass. II, 26 febbraio 1996,
n. 1480; Cass. II, 3 maggio 1996, n. 4089.
l La sdemanializzazione di un bene, con la
conseguenziale configurabilità di un possesso da
parte del privato ad usucapionem, può verificarsi
tacitamente, in carenza di un formale atto di declassificazione, solo in presenza di comportamenti positivi della pubblica amministrazione, inequivocabilmente rivolti alla dismissione del bene stesso alla
sfera del demanio ed al suo passaggio al patrimonio
disponibile. A tal fine la «omissione di contestazioni» da parte della pubblica amministrazione non
può ritenersi, di per sé, atto univoco e concludente,
incompatibile con la volontà di conservare la destinazione del bene dell’uso pubblico, risolvendosi
in semplice inerzia degli organi competenti. * Cass.
civ., sez. II, 12 aprile 1996, n. 3451.
l La sdemanializzazione di un bene può essere anche tacita, indipendentemente da un
formale atto di sclassificazione, purché risulti
da atti univoci e concludenti, incompatibili con
la volontà dell’amministrazione di conservarne
la destinazione all’uso pubblico, e da circostanze
tali da rendere non configurabile un’ipotesi diversa dalla definitiva rinuncia al ripristino della
funzione pubblica del bene; la relativa indagine è
rimessa al giudice del merito, il cui accertamento
Art. 830
è incensurabile in sede di legittimità, se immune
da vizi logici e giuridici. (Nella specie, la S.C. ha
annullato la decisione di merito, che, affermando
che la prospettata sdemanializzazione tacita di
una linea ferroviaria non poteva derivare dalla
semplice inutilizzazione della strada ferrata, non
aveva adeguatamente tenuto conto del dato significativo risultante dal provvedimento di definitiva
soppressione e di smantellamento della linea medesima). * Cass. civ., sez. I, 4 marzo 1993, n. 2635,
Regione Friuli-Venezia Giulia c. Ministero delle
Finanze. Nello stesso senso, Cass. II, 5 agosto 1977,
n. 3556, la quale, in applicazione dei medesimi
principi, ha affermato che: «Conseguentemente,
l’esistenza, da epoca remota, su un via pubblica,
di un ballatoio in muratura, quale accesso ad una
abitazione privata, può lasciare ragionevolmente
presumere che il bene demaniale sia, per quella
parte occupata, stabilmente e permanentemente
destinato all’uso esclusivo del privato e, perciò.
sia stato tacitamente sdemanializzato». Sempre
in applicazione dei medesimi principi, Cass. II,
2 ottobre 1975, n. 3925, ha affermato che: «deve
considerarsi sdemanializzata un’area comunale
già adibita a piazza e poi occupata da un privato
con gli attrezzi di un cantiere edile senza opposizione né dei cittadini né del comune, il quale
venda poi l’area allo stesso privato, concedendogli
altresì la licenza edilizia».
830. Beni degli enti pubblici non territoriali. – I
beni appartenenti agli enti pubblici non territoriali sono soggetti alle regole del presente codice, salve le disposizioni delle leggi speciali.
Ai beni di tali enti che sono destinati a un pubblico
servizio si applica la disposizione del secondo comma
dell’art. 828.
l I
404
Libro III – Della proprietà
terreni acquistati dagli enti di riforma
fondiaria, essendo destinati all’attuazione della
funzione istituzionale dei medesimi, ossia quella
della redistribuzione della proprietà terriera ai
contadini, come stabilito dall’art. 1 della legge n.
230 del 1950 - non possono, in quanto destinati a
un pubblico servizio, essere sottratti a tale finalità
se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano, ai sensi degli artt. 830, secondo comma, cod.
civ. e 828, secondo comma, cod. civ.; ne consegue
l’impossibilità giuridica di una loro acquisizione
da parte di terzi per usucapione, ancorché sia
venuto a scadenza il termine ordinatorio previsto
dall’art. 20 della medesima legge n. 230 del 1950
per l’assegnazione delle terre acquisite. * Cass.
civ., sez. II, 24 febbraio 2009, n. 4430, Coccia ed
altro c. Regione Puglia. Conforme, Cass. I, 9 giugno 1987, n. 5024. [RV607041]
l Nell’ipotesi in cui la ASL abbia affidato ad un
privato la gestione del servizio di bar all’interno di
un ospedale pubblico, il rapporto tra la pubblica
amministrazione ed il privato, avendo ad oggetto
un’attività da svolgersi all’interno di locali facenti
parte della struttura immobiliare ospedaliera —
come tale destinata a pubblico servizio e perciò
rientrante tra i beni patrimoniali indisponibili ai
sensi dell’art. 830 c.p.c., — può trovare titolo solo
in un atto concessorio, potendo tali beni essere trasferiti nella disponibilità di privati, per usi determinati, solo mediante concessioni amministrative,
con la conseguenza che le relative controversie
sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 5 della legge 6
dicembre 1971, n. 1034. * Cass. civ., Sezioni Unite,
14 novembre 2003, n. 17295. [RV568195]
l In materia di beni immobili, ai sensi del
combinato disposto di cui agli artt. 830 e 828, secondo comma, c.c.,i beni del patrimonio indisponibile di un ente pubblico non territoriale possono
essere sottratti alla pubblica destinazione soltanto
nei modi stabiliti dalla legge, e quindi certamente
non per effetto di usucapione da parte di terzi,
non essendo usucapibili diritti reali incompatibili
con la destinazione del bene dell’ente al soddisfacimento del bisogno primario di una casa di
abitazione per cittadini non abbienti. * Cass. civ.,
sez. II, 28 agosto 2002, n. 12608. [RV557167]
831. Beni degli enti ecclesiastici ed edifici di cul-
to. – I beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle
norme del presente codice, in quanto non è diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano.
Gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto
cattolico, anche se appartengono a privati, non possono
essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non
sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano.
u Si veda Cass. II, 31 gennaio 2006, n. 2166,
riportata infra, sub art. 844, par. a).
Titolo II
Della proprietà
Capo I
Disposizioni generali
832. Contenuto del diritto. – Il proprietario ha dirit-
to di godere (959) e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli
obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico (833, 838,
869; 42 ss. Cost.).
833. Atti d’emulazione. – Il
proprietario non può
fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di
nuocere o recare molestia ad altri (844).
l Non costituisce atto emulativo, vietato ai
sensi dell’art. 833 c.c., la sostituzione di una siepe
con un muro in cemento, volto a precludere ai
vicini l’”inspectio” nel proprio fondo, in quanto,
405
Titolo II – Della proprietà
rimanendo la funzione del manufatto identica a
quella della siepe, tale sostituzione non può dirsi
manifestamente priva di utilità. Invero, ponendosi
il carattere emulativo come limite esterno al diritto di proprietà esercitabile dal confinante, lo stesso deve essere valutato in termini restrittivi, con
la conseguenza che, se pure la nuova opera possa
non rispondere completamente a quei requisiti
funzionali che ne avevano giustificato la creazione,
tuttavia l’obiettiva idoneità a soddisfarli in gran
parte consente di escludere la ravvisabilità dell’atto emulativo. * Cass. civ., sez. II, 7 marzo 2012, n.
3598, Mazzola c. Borgognone. [RV621425]
l Poiché per configurarsi l’atto emulativo
previsto dall’art. 833 c.c. è necessario che l’atto di
esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo
compie ed abbia lo scopo di nuocere o recare molestia ad altri, non è riconducibile a tale categoria
la delibera del condominio che, nel disporre il
ripristino della recinzione della terrazza a livello
attraverso l’installazione di una rete divisoria fra
la parte di proprietà esclusiva del condomino e
quella di proprietà comune, abbia la finalità di
impedirne l’usucapione e di delimitare il confine,
garantendo a tutti i condomini l’accesso alla parte
comune. * Cass. civ., sez. II, 27 giugno 2005, n.
13732, Marcello c. Cond. Corso Porta Vittoria 32
Milano. [RV581660]
l Per aversi atto emulativo vietato ai sensi
dell’art. 833 c.c. è necessario che l’atto di esercizio
del diritto sia privo di utilità per chi lo compie
e sia posto in essere al solo scopo di nuocere o
di recare molestia ad altri, sicché è riconducibile
a tale categoria di atti l’azione del proprietario
che installi sul muro di recinzione del fabbricato
comune un contenitore avente aspetto di telecamera nascosta fra il fogliame degli alberi posto in
direzione del balcone del vicino. * Cass. civ., sez.
II, 11 aprile 2001, n. 5421.
l Per aversi atto emulativo vietato dall’art. 833
c.c. occorre il concorso di due elementi: a) che
l’atto di esercizio del diritto non arrechi utilità al
proprietario; b) che tale atto abbia il solo scopo di
nuocere o arrecare molestia ad altri. * Cass. civ.,
sez. II, 9 ottobre 1998, n. 9998.
l Non costituisce atto emulativo l’azione
dell’amministratore di un condominio per la cessazione dell’abuso di un bene comune da parte
di un condomino che, servendosene a vantaggio
della sua proprietà esclusiva, lo sottrae alla possibile utilizzazione comune, anche se non ancora
attuale. (Nella specie escavazione per ampliare i
locali sotterranei del sottosuolo, destinato anche
al passaggio di tubi e canali). * Cass. civ., sez. II,
30 dicembre 1997, n. 13102, Costa c. Cond. via C.
Cabella 6/6 Genova. [RV511254]
l Per aversi atto emulativo vietato dall’art. 833
c.c. è necessario che l’atto di esercizio del diritto
sia privo di utilità per chi lo compie e che sia stato
posto in essere con il solo scopo di nuocere o di
recare molestia ad altri, onde non è riconducibile
Art. 833
a tale categoria di atti l’azione del proprietario
che chieda la riduzione della costruzione realizzata dal vicino in violazione delle distanze legali.
* Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 1997, n. 12258,
Aquilini c. Durante. Nello stesso senso: Cass. II,
3 aprile 1999, n. 3275 (relativa all’eliminazione di
una veduta); Cass. II, 26 novembre 1997, n. 11852;
Cass. II, 16 gennaio 1996, n. 301; Cass. II, 19 febbraio 1996, n. 1267, la quale, ultima, aggiunge che
resta irrilevante il fatto che dalla violazione della
distanza pattiziamente stabilita non sia derivato
alcun danno concreto ed effettivo. [RV510671]
l Ritenere che l’atto emulativo possa consistere anche in una condotta omissiva, costituisce
violazione dell’art. 833 c.c. sia perché la norma,
letteralmente, vieta al proprietario il compimento
di «atti»; sia perché non è configurabile un atto
emulativo se manca qualsiasi vantaggio per il suo
autore, ed invece, il non fare, determina sempre
un vantaggio in termini di risparmio di spesa
e/o di energia psico-fisica. * Cass. civ., sez. II, 20
ottobre 1997, n. 10250, Faggiani c. Fioravanti ed
altri. [RV509012]
l Per aversi atto emulativo vietato dalla legge
(art. 833 c.c.) non è sufficiente che il comportamento del soggetto attivo arrechi nocumento o
molestia ad altri, occorrendo altresì che il fatto
sia posto in essere per tale esclusiva finalità senza
essere sorretto da alcuna giustificazione di natura utilitaristica dal punto di vista economico e
sociale, con la conseguenza che l’atto emulativo
non è configurabile qualora il proprietario ponga
in essere degli atti che, pur essendo contrari all’ordinamento e comportanti molestia e nocumento
ad altri, siano soggettivamente intesi a procurargli
un vantaggio. * Cass. civ., sez. II, 5 marzo 1984, n.
1515. Nello stesso senso: Cass. II,, 25 marzo 1995
n. 3558; Cass. II, 6 febbraio 1982; Cass. II, 7 marzo
1986, n. 1509, la quale ultima, in applicazione del
principio, ha affermato che «non costituisce atto
emulativo l’installazione, da parte del proprietario
di un fondo, di un cancello all’ingresso dello stesso
per impedire l’entrata di persone estranee».
l Poiché gli atti emulativi, vietati dall’art. 833
c.c., sono caratterizzati, oltre che dall’elemento
oggettivo del danno e della molestia altrui, anche
dall’animus nocendi, consistente nell’esclusivo
scopo di nuocere o molestare i terzi senza proprio
reale vantaggio, non è riconducibile nella previsione della citata disposizione né l’attività edificatoria posta in essere dal proprietario in violazione
delle norme pubblicistiche disciplinanti lo ius aedificandi, in quanto comunque preordinata al conseguimento di un diretto concreto vantaggio, né il
mantenimento dell’opera iniziata e non ultimata
perché in contrasto con dette norme, il quale (salva
l’ipotesi dell’inosservanza delle distanze legali e di
un provvedimento amministrativo di riduzione in
pristino) rientra sempre nel legittimo esercizio dei
poteri del proprietario, sia in relazione a possibili
diverse utilizzazioni del manufatto incompiuto,
Art. 834
406
Libro III – Della proprietà
sia con riferimento ad una eventuale abrogazione
delle norme limitative, sia con riguardo agli oneri
cui l’interessato dovrebbe altrimenti soggiacere
per ridurre in pristino lo stato dei luoghi. * Cass.
civ., sez. II, 8 maggio 1981, n. 3010.
834. Espropriazione
per pubblico interesse. –
Nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni
di sua proprietà, se non per causa di pubblico interesse,
legalmente dichiarata, e contro il pagamento di giusta
indennità (836, 838, 851, 865; 423, 43 Cost.).
Le norme relative all’espropriazione per causa di
pubblico interesse sono determinate da leggi speciali.
835. Requisizioni. – Quando
ricorrono gravi e urgenti necessità pubbliche, militari o civili, può essere
disposta la requisizione dei beni mobili o immobili (812
ss.). Al proprietario è dovuta una giusta indennità.
Le norme relative alle requisizioni sono determinate da leggi speciali.
u Si veda, per quanto valga, Cass. civ., sez. I,
11 giugno 1998, n. 5823, riportata supra, sub art.
818, par. a).
836. Vincoli e obblighi temporanei. – Per le cause
indicate dall’articolo precedente l’autorità amministrativa, nei limiti e con le forme stabiliti da leggi speciali,
può sottoporre a particolari vincoli od obblighi di carattere temporaneo le aziende commerciali (2195) e
agricole (9635, 2135; 44 Cost.).
837. Ammassi. – Allo scopo di regolare la distribuzio-
ne di determinati prodotti agricoli o industriali nell’interesse della produzione nazionale sono costituiti gli
ammassi (2617).
Le norme per il conferimento dei prodotti negli
ammassi sono contenute in leggi speciali.
838. Espropriazione
di beni che interessano la
produzione nazionale o di prevalente interesse
pubblico. – Salve le disposizioni delle leggi penali (499
ss. c.p.) e di polizia, nonché le norme dell’ordinamento
corporativo (1) e le disposizioni particolari concernenti
beni determinati, quando il proprietario abbandona la
conservazione, la coltivazione o l’esercizio di beni che
interessano la produzione nazionale, in modo da nuocere gravemente alle esigenze della produzione stessa (811), può farsi luogo all’espropriazione dei beni da
parte dell’autorità amministrativa, premesso il pagamento di una giusta indennità (56 att.).
La stessa disposizione si applica se il deperimento
dei beni ha per effetto di nuocere gravemente al decoro delle città o alle ragioni dell’arte, della storia o della
sanità pubblica.
(1) L’espressione «nonché le norme dell’ordinamento corporativo» è da ritenere abrogata dal R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721.
839. Beni d’interesse storico e artistico. – Le cose
di proprietà privata, immobili o mobili, che presentano
interesse artistico, storico, archeologico o etnografico,
sono sottoposte alle disposizioni delle leggi speciali
(8262, 8791).
Capo II
Della proprietà fondiaria
Sezione I
Disposizioni generali
840. Sottosuolo e spazio sovrastante al suolo. –
La proprietà del suolo si estende al sottosuolo (955,
959), con tutto ciò che vi si contiene, e il proprietario
può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi
danno al vicino. Questa disposizione non si applica a
quanto forma oggetto delle leggi sulle miniere, cave
e torbiere. Sono del pari salve le limitazioni derivanti
dalle leggi sulle antichità e belle arti (826), sulle acque,
sulle opere idrauliche e da altre leggi speciali.
Il proprietario del suolo non può opporsi ad attività
di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o
tale altezza nello spazio sovrastante (934), che egli non
abbia interesse ad escluderle (826, 833, 1174; 823 c.n.).
l L’imposizione di un vincolo di uso pubblico
sulle strade vicinali permette alla collettività di
esercitarvi il diritto di servitù di passaggio con le
modalità consentite dalla conformazione della
strada, ma non altera il diritto di proprietà della
medesima, che rimane privata; pertanto, l’esistenza
di tale servitù non consente anche l’utilizzo del sottosuolo di quella strada al fine di collocare tubature, poiché tale attività comporta l’insorgenza di una
nuova servitù sul bene privato, diversa da quella di
passaggio. * Cass. civ., sez. VI, 19 maggio 2011, n.
11028, Vattuone c. Anzaldi ed altro [RV617813]
l Atteso che già sotto il vigore del codice civile
del 1865 era da ritenersi legittimo il frazionamento della proprietà del suolo rispetto a quella
relativa al sottosuolo (e al sovrasuolo) e premesso
che, secondo il codice vigente, il proprietario del
suolo non può opporsi ad attività che si svolgano
a profondità tale che egli non abbia interesse ad
escludere, deve ritenersi ammissibile l’acquisto
a titolo originario, per effetto del possesso utile
all’usucapione, della proprietà di una grotta — costituente entità autonoma sotto il profilo materiale
e funzionale — disgiunta dalla proprietà del suolo
sovrastante. * Cass. civ., sez. II, 15 novembre 2006,
n. 24302, Porfidia c. Squeglia ed altri. [RV593136]
l A mente dell’art. 840, primo comma, c.c., il
proprietario di un fondo risponde autonomamente e direttamente, in via generale ai sensi dell’art.
2043 c.c. e, nel caso di rovina di edificio o di altra
costruzione, ai sensi dell’art. 2053 c.c., dei danni
arrecati a terzi a seguito di opere o di escavazioni
nel proprio fondo, indipendentemente dalla re-
407
Titolo II – Della proprietà
sponsabilità dell’appaltatore che abbia eseguito tali
lavori. * Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2006, n. 22226,
Berardini ed altro c. Gatta. Nello stesso senso, Cass.
III, 28 febbraio 2008, n. 5273. [RV592967]
l In tema di proprietà immobiliare, nel caso
di terreno nel cui sottosuolo insista una proprietà
separata (nella specie ampie grotte risultanti da
antichissime cave di tufo), con antistante piazzale,
acquistata con atto di compravendita dal proprietario del sovrastante terreno, e separata da questo
da una parete (costone roccioso), ai fini della estensione e delimitazione dei relativi diritti, in mancanza di precisazione del titolo, poiché il piano di
calpestio della seconda proprietà si trova alla quota del piazzale, sottostante il terreno del venditore,
ed il suo ingresso si apre nella parete rocciosa, con
accesso dal piazzale, la predetta parete, secondo
la norma dell’articolo 840, secondo comma, c.c.,
è funzionale alla proprietà sottostante ed alla sua
destinazione, piuttosto che al terreno sovrastante,
e come tale va considerata in proprietà all’acquirente. * Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17091,
Bros Aloschi Srl ed altro c. Vento. [RV592710]
l Il diritto di proprietà può esser frazionato
in senso orizzontale e quindi la proprietà del sottosuolo può appartenere ad un soggetto diverso
dal proprietario del suolo e del fabbricato su esso
insistente. In tal caso il rapporto tra i rispettivi
proprietari non è di comunione perchè il fondo
sottostante deve sopportare il peso dell’edificio sovrastante e quindi il rapporto tra le due proprietà
è di servitù (servitus oneris ferendi). Pertanto, da
un lato il proprietario del sottosuolo non deve, se
sono necessarie opere di manutenzione o consolidamento per consentire l’esercizio di detta servitù,
sopportarne le spese, in applicazione dell’art. 1030
c.c., a meno che la legge o il titolo dispongano
diversamente; dall’altro egli non può diminuire o
rendere più incomoda la servitù, in applicazione
dell’art. 1067 c.c. (principio affermato in fattispecie
in cui il giudice di merito, per le opere di manutenzione e consolidamento della volta di una grotta su
cui sovrastavano degli edifici, aveva posto a carico
del proprietario di questa le relative spese, a norma
dell’art. 1125 c.c., ritenuta inapplicabile dalla Corte
cass.). * Cass. civ., sez. II, 21 aprile 2004, n. 7655,
Falcone c. Romano Angelo ed altro. [RV572231]
l La colonna d’aria, configurandosi come proiezione, verso l’alto, dell’area sottostante, appartiene al proprietario di questa, con la conseguenza
che lo spazio aereo, che sovrasta una determinata
costruzione, deve ritenersi comune se l’area sottostante è comune: in tal caso, ciascun proprietario
può utilizzarlo secondo i principi della comunione. (Nella specie dalla C.S. è stata confermata la
sentenza di merito che in applicazione del riferito
principio ha ritenuto illegittimamente eretta una
sopraelevazione gravante su una scala comune,
pur se il sottoscala risultava dal titolo appartenere
esclusivamente al condomino, che l’aveva effettuata). * Cass. civ., sez. II, 1° marzo 1994, n. 2027.
Art. 841
l A norma dell’art. 840 c.c., la proprietà del sottosuolo spetta al proprietario del suolo, salvo che in
senso contrario disponga lo stesso titolo di acquisto
di quest’ultimo oppure che detta proprietà risulti
spettare ad altri in base ad un titolo opponibile del
proprietario del suolo, ossia per un negozio antecedentemente trascritto o per un fatto di acquisto
originario. Tale fatto non può consistere nella mera
situazione dei luoghi, come la esclusiva possibilità
di accesso al sottosuolo (nella specie una grotta)
dal fondo altrui. * Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1987, n.
3318. Idem, Cass. II, 20 marzo 2001, n. 3989.
l Il possesso di un immobile si estende, di norma, allo spazio aereo compreso nella proiezione
ideale, in altezza, dell’immobile stesso, fin dove,
però, tale spazio non presenti una soluzione di
continuità per la frapposizione di altro immobile,
soggetto ad altrui possesso; oltre tali limiti, infatti,
non è normalmente concepibile l’esplicazione, effettiva o virtuale, di una signoria di fatto del possessore dell’immobile posto a livello inferiore. (Nella
specie, in base al riferito principio, si è ritenuto che
il possesso di un cortile non si estendeva allo spazio
aereo sovrastante alcune scale ed un pianerottolo,
da altri posseduti, aggettanti sul cortile medesimo).
* Cass. civ., sez. II, 20 aprile 1976, n. 1379.
841. Chiusura del fondo. – Il proprietario può chiudere in qualunque tempo il fondo (842, 843, 1054, 1064).
l Il condomino che abbia acquistato in proprietà esclusiva lo spazio destinato al parcheggio
di un autoveicolo, ancorché sito nel locale adibito
ad autorimessa comune del condominio, ha facoltà a norma dell’art. 841 c.c. di recintarlo anche
con la struttura di un cosiddetto «box», sempre
che non gliene facciano divieto l’atto di acquisto o
il regolamento condominiale avente efficacia contrattuale e non derivi un danno alle parti comuni
dell’edificio ovvero una limitazione al godimento
delle parti comuni dell’autorimessa. * Cass. civ.,
25 maggio 1991, n. 5933.
u Si veda, anche, con riguardo alla recinzione
di fondi gravati da servitù, sub art. 1064, secondo
comma.
842. Caccia e pesca. – Il proprietario di un fondo non
può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a
meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge
sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno.
Egli può sempre opporsi a chi non è munito della
licenza rilasciata dall’autorità.
Per l’esercizio della pesca occorre il consenso del
proprietario del fondo.
l La questione di legittimità costituzionale dell’art. 842 c.c., in quanto consenta l’esercizio della
caccia nei fondi appartenenti a privati proprietari
(salvo che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti
Art. 843
Libro III – Della proprietà
dalla legge sulla caccia), e dell’art. 15 della L. n.
157/1992 con riferimento all’art. 25 L. reg. Toscana
n. 3 del 1994, in quanto non permetta di tutelare
il proprio fondo mediante l’apposizione di cartelli
di divieto di esercizio della caccia, sollevata in
relazione all’art. 42 Cost. e all’art. 1 del Protocollo
addizionale della Convenzione Europea dei diritti
dell’Uomo, è manifestamente inammissibile, per
difetto di rilevanza, in un giudizio avente ad oggetto l’opposizione ad un’ordinanza ingiunzione
riguardante l’abusiva installazione di cartelli di
divieto di caccia sul proprio terreno in difetto di
autorizzazione amministrativa, attesa la natura
meramente conoscitiva della predetta autorizzazione prevista dalla normativa regionale con riferimento alla istituzione di fondi chiusi all’attività
venatoria a fini di protezione della fauna selvatica
omeoterma. * Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 2007, n.
20979, Attorre c. Prov. Grosseto. [RV599881]
843. Accesso al fondo. – Il proprietario deve permet-
tere l’accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che
ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire
o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune.
Se l’accesso cagiona danno, è dovuta una adeguata indennità (924, 925, 1038, 1053).
Il proprietario deve parimenti permettere l’accesso
a chi vuole riprendere la cosa sua che vi si trovi accidentalmente o l’animale che vi si sia riparato sfuggendo alla
custodia (1053). Il proprietario può impedire l’accesso
consegnando la cosa o l’animale (896, 924, 925).
l A norma dell’art. 843 c.c., il proprietario
deve permettere l’accesso e il passaggio nel suo
fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare il muro o altra
opera propria del vicino o comune; ove, però, nel
relativo giudizio insorgano contestazioni, il giudice è tenuto a verificare l’esistenza dei presupposti che legittimano il vicino ad esercitare tale
potere di accesso ovvero la liceità dell’opera. *
Cass. civ., sez. II, 5 aprile 2011, n. 7768, Bisceglia
ed altro c. Benetello [RV617472]
l  In materia di rapporti di vicinato, la previsione dell’art. 843 cod. civ. - secondo cui il proprietario è tenuto a permettere l’accesso o il passaggio
nel suo fondo al fine di consentire al vicino lo svolgimento di opere necessarie alla manutenzione del
muro dell’immobile di sua proprietà - configura
un’obbligazione “propter rem”, cui corrisponde
l’obbligo per il vicino di versare un’adeguata indennità, da liquidare in via equitativa ed anche in assenza di prova del danno, fermo restando l’obbligo
per il medesimo di ripristinare lo stato dei luoghi
ad opera finita. * Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2009,
n. 1908, Braga ed altro c. Belli. [RV606543]
l In tema di accesso al fondo altrui per l’esecuzione di interventi edilizi (nella specie realizza-
408
zione di una canna fumaria), ai fini della verifica
delle condizioni di cui all’art. 843 c.c., la valutazione comparativa dei contrapposti interessi delle
parti deve essere compiuta con riferimento alla
necessità non della costruzione o manutenzione,
ma dell’ingresso e del transito, nel senso che l’utilizzazione del fondo del vicino non è consentita
ove sia comunque possibile eseguire i lavori sul
fondo stesso di chi intende intraprenderli, oppure
su quello di un terzo, con minore suo sacrificio.
* Cass. civ., sez. II, 26 novembre 2008, n. 28234,
Fossi c. De Virgiliis. Nello stesso senso, Cass. II,
27 febbraio 1995, n. 2274. [RV605536]
l In tema di limitazioni legali della proprietà,
gli accessi e il passaggio che, ai sensi dell’art. 843
c.c., il proprietario deve consentire al vicino per
l’esecuzione delle opere necessarie alla riparazione
o manutenzione della cosa propria, dando luogo a
un’obbligazione propter rem non possono determinare la costituzione di una servitù. (Nella specie, la
Corte ha escluso il possesso della servitù di passaggio invocata dai ricorrenti che avevano utilizzato il
fondo del vicino collocandovi una scala attraverso
cui raggiungevano — in mancanza di altri accessi
— il lastrico solare dell’immobile di loro proprietà
per eseguire i lavori di manutenzione o riparazione). * Cass. civ., sez. II, 30 agosto 2004, n. 17383,
Galeazzi ed altro c. Consigliere. [RV576375]
l L’art. 843 c.c. che fa obbligo al proprietario
di consentire l’accesso ed il passaggio nel suo
fondo, sempreché ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o
altra opera propria del vicino oppure comune,
costituisce norma di stretta interpretazione (art.
14 preleggi) e, pertanto, non comprende la possibilità di effettuare scavi nel fondo stesso nonché
opere concernenti la parte del muro che è al di
sotto del piano di campagna. * Cass. civ., sez. II,
28 agosto 1998, n. 8544.
l L’obbligo del proprietario di permettere,
ai sensi dell’art. 843 c.c., l’accesso ed il passaggio nel suo fondo quando questi siano necessari
per la costruzione o riparazione di un muro od
altra opera propria del vicino o comune non si
ricollega ad una servitù a carico della proprietà
esclusiva ma ha i caratteri di un’obbligazione
propter rem che si risolve in una limitazione legale del diritto del titolare del fondo per una utilità
occasionale e transuente del vicino e che ha per
contenuto la prestazione del consenso all’accesso
ed al passaggio, che il soggetto obbligato è tenuto
ad adempiere indipendentemente dall’accertamento del giudice, la cui eventuale pronuncia,
non trattandosi della costituzione di un diritto
in re aliena, è meramente dichiarativa e non costitutiva. (Nella specie, si trattava dell’accesso al
tetto condominiale attraverso una mansarda del
proprietario dell’ultimo piano per la manutenzione dell’antenna televisiva centralizzata e del vaso
di espansione dell’impianto termico comune). *
Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 1995, n. 2274. Nello
409
Titolo II – Della proprietà
stesso senso, sui principi di cui alla prima parte
della massima: Cass. II, 22 ottobre 1998, n. 10474;
Cass. II, 19 agosto 1997, n. 7694, la quale ultima
esclude, conseguentemente, l’esperibilità della
tutela possessoria a fronte dell’indebito rifiuto di
consentire l’accesso al fondo.
l La necessità, di cui all’art. 843 c.c. subordina il diritto del vicino di accedere nel fondo altrui
per costruire o riparare un muro od altra opera
propria o comune, non deve essere riferita all’opera da compiere ma all’accesso ed al passaggio. *
Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 1995, n. 2274.
l L’obbligo imposto dall’art. 843 c.c. al proprietario di consentire al vicino l’accesso al suo fondo,
al fine di eseguire la costruzione e la riparazione di
un muro e di altra opera, e la corrispondente facoltà riconosciuta al vicino medesimo di accedere
al fondo per eseguire dette attività, hanno natura
di limitazioni legali della proprietà e possono essere disciplinate, in base al principio della libera
autonomia contrattuale, da apposite convenzioni concluse tra i proprietari interessati, sia per
quanto attiene alle modalità di svolgimento e alla
durata del passaggio, e all’eventuale occupazione
del fondo, sia per quanto riguarda il pagamento di
un’indennità, intesa come preventiva liquidazione
del danno che potrebbe derivare al proprietario del
fondo dal passaggio e dal protrarsi dell’occupazione. * Cass. civ., sez. II, 27 maggio 1982, n. 3222.
l L’accesso al fondo del vicino — consentito
dall’art. 843 c.c. qualora sia necessario per la costruzione di un’opera — permette implicitamente
che l’accesso sia accompagnato dal deposito di
cose, necessariamente strumentale alla costruzione, con la conseguenza che, a necessità terminata,
deve essere eliminata, a cura e spese del depositante — cui, sin dall’inizio, fa carico l’obbligo del
ripristino — ogni conseguenza implicante una perdurante diminuzione del diritto del proprietario
del fondo vicino che, invece, deve riprendere la sua
originaria ampiezza (salva l’indennità nel caso di
danni). * Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1982, n. 774.
844. Immissioni. – Il proprietario di un fondo non
può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni
derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità (659 c.p.), avuto anche riguardo alla
condizione dei luoghi (833; 674 c.p.).
Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria
deve contemperare le esigenze della produzione con
le ragioni della proprietà (912). Può tener conto della
priorità di un determinato uso (890).
SOMMARIO:
a) Ambito e criteri di applicazione della norma;
b) «Normale tollerabilità» e contemperamento
degli interessi;
c) Priorità di uso.
Art. 844
a) Ambito e criteri di applicazione della norma.
l Il decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri in data 1° marzo 1991, il quale, nel determinare le modalità di rilevamento dei rumori
ed i limiti di tollerabilità in materia di immissioni
rumorose, al pari dei regolamenti comunali limitativi dell’attività rumorosa, fissa, quale misura
da non superare per le zone non industriali, una
differenza rispetto al rumore ambientale pari
a 3 db in periodo notturno e in 5 db in periodo
diurno, persegue finalità di carattere pubblico ed
opera nei rapporti tra i privati e la P.A.. Le disposizioni in esso contenute, perciò, non escludono
l’applicabilità dell’art. 844 c.c. nei rapporti tra i
privati proprietari di fondi vicini. * Cass. civ., sez.
VI, 1 febbraio 2011, n. 2319, Negri c. Boschian ed
altri [RV616609]
l Qualora sia in discussione la legittimità da
parte della Chiesa e degli enti ecclesiastici dell’uso iure privatorum di beni soggetti, ex art. 831
c.c.. alle norme del codice civile — in quanto non
diversamente disposto dalle leggi speciali che li
riguardano — la Chiesa e le sue istituzioni sono
tenute all’osservanza, al pari degli altri soggetti
giuridici, delle norme di relazione e quindi alle
limitazioni del diritto di proprietà, fra le quali
rientrano quelle previste dall’art. 844 c.c. essendo
esse inidonee a dare luogo a quelle compressioni
della libertà religiosa e delle connesse alte finalità
che la norma concordataria di cui all’art. 2 delle
legge n. 121 del 1985, in ottemperanza al dettato
costituzionale, ha inteso tutelare, non avendo lo
Stato rinunciato alla tutela di beni giuridici primari garantiti dalla Costituzione (artt. 42 e 32),
quali il dirito di proprietà e quello alla salute.
(Nella specie, è stata ritenuta applicabile la disciplina dettata dall’art. 844 c.c. alle immissioni
sonore provocate dalle attività sportive praticate
nel «campo giochi» di una parrocchia). * Cass.
civ., sez. II, 31 gennaio 2006, n. 2166, Gazzetti c.
Gazza. [RV587168]
l Tenuto conto che sono legittime le restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva
contenute nel regolamento di condominio di
natura contrattuale, purché formulate in modo
espresso o comunque non equivoco — sì da non
lasciare alcun margine d’incertezza sul contenuto
e la portata delle relative disposizioni — le norme
regolamentari possono imporre limitazioni al
godimento degli immobili di proprietà esclusiva
secondo criteri anche più rigorosi di quelli stabiliti, in tema di immissioni lecite, dall’art. 844 c.c.
Ne consegue che in tal caso la liceità o meno dell’immissione deve essere determinata non sulla
base della norma civilistica generale ma alla stregua del criterio di valutazione fissato dal regolamento. (Nella specie la Corte ha ritenuto corretta
la decisione dei giudici di appello, secondo cui la
destinazione di un appartamento a studio medico
dentistico non violava la norma del regolamento
Art. 844
Libro III – Della proprietà
condominiale di natura contrattuale che vietava
l’esercizio negli immobili di proprietà esclusiva di
attività rumorose maleodoranti ed antiigieniche,
atteso che l’attività espletata non presentava in
concreto tali caratteri). * Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 2004, n. 23. [RV569238]
l Quando l’attività posta in essere da uno dei
condomini di un edificio, direttamente o tramite
detentore qualificato, è idonea a determinare il
turbamento del bene della tranquillità degli altri
partecipi, tutelato espressamente da disposizioni
contrattuali del regolamento condominiale, non
occorre accertare al fine di ritenere l’attività stessa illegittima, se questa costituisca o meno immissione vietata ex art. 844 c.c., in quanto le norme
regolamentari di natura contrattuale possono
imporre limitazioni al godimento della proprietà
esclusiva anche maggiori di quelle stabilite dall’indicata norma generale sulla proprietà fondiaria. Né, peraltro, in detta materia è applicabile la
legge 26 ottobre 1995, n. 477, sull’inquinamento
acustico, perché detta normativa attiene a rapporti di natura pubblicistica tra la P.A., preposta alla
tutela dell’interesse collettivo della salvaguardia
della salute in generale, ed i privati esercenti le
attività contemplate, prescindendo da qualunque
collegamento con la proprietà fondiaria. * Cass.
civ., sez. II, 4 aprile 2001, n. 4963.
l L’art. 844 c.c. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento
delle esigenze della produzione con le ragioni
della proprietà, l’obbligo di sopportazione delle
propagazioni inevitabili determinate dall’uso
delle proprietà attuato nel contesto delle norme
generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio.
Al di fuori di tali limiti, si è in presenza di un’attività illegittima, di fronte alla quale non ha ragion
d’essere l’imposizione di un sacrificio all’altrui diritto di proprietà o di godimento e non sono quindi applicabili i criteri dettati dall’art. 844 c.c. ma,
venendo in considerazione, in tali ipotesi, unicamente l’illecità, del fatto generatore del danno
arrecato a terzi, si rientra nello schema generale
dell’azione di risarcimento dei danni ex art. 2043
c.c. che può essere proposta anche cumulativamente con l’azione ex art. 844 c.c. * Cass. civ., sez.
II, 6 dicembre 2000, n. 15509. Conformi: Cass. I, 1
febbraio 1995, n. 1156; Cass. II, 25 agosto 2005, n.
17281; Cass. II, 10 maggio 2006, n. 10715. Nello
stesso senso, anche: Cass. III, 7 agosto 2002, n.
11915 e Cass, 13 marzo 2007, n. 5844.
l In tema di immissioni, l’accertamento delle
cause che determinano immissioni moleste nel
fondo altrui non influisce sul giudizio di tollerabilità delle stesse, da effettuarsi, secondo i criteri
all’uopo indicati dall’art. 844 c.c., cui è estraneo il
criterio della colpa. Pertanto, una volta accertata
l’esistenza della propagazione molesta e stabilito,
secondo i criteri dettati dall’art. 844 c.c., il suo
grado di tollerabilità, l’individuazione delle cause
può servire soltanto per stabilire le eventuali mi-
410
sure da adottare per la sua eliminazione. * Cass.
civ., sez. II, 3 novembre 2000, n. 14353.
l La disposizione dell’art. 844 c.c., è applicabile anche negli edifici in condomino nell’ipotesi
in cui un condomino nel godimento della propria
unità immobiliare o delle parti comuni dia luogo
ad immissioni moleste o dannose nella proprietà
di altri condomini. Nell’applicazione della norma
deve aversi riguardo, peraltro, per desumerne il
criterio di valutazione della normale tollerabilità
delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti condominiali e alla destinazione assegnata all’edificio
dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza,
dai proprietari. In particolare, nel caso in cui il
fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unità immobiliari siano soggette a destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione
ed ad esercizio commerciale, il criterio dell’utilità
sociale, cui è informato l’art. 844 citato, impone
di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di
natura personale ed economica dei condomini,
privilegiando, alla luce dei principi costituzionali
(cfr. Cost., artt. 14, 31 e 47) le esigenze personali
di vita connesse all’abitazione, rispetto alle utilità
meramente economiche inerenti all’esercizio di
attività commerciali. * Cass. civ., sez. II, 15 marzo
1993, n. 3090, Cannata c. Pizzo. Conforme, sulla
prima parte, Cass. II, 23 gennaio 1982, n. 448.
l L’utilizzazione di un fondo per il decollo e
l’atterraggio di elicotteri, in relazione ad esigenze
individuali del proprietario (comodità e rapidità
di spostamenti), integra attività privatistica, ancorché soggetta ad autorizzazione amministrativa. Pertanto, nel rapporto di vicinato, i rumori
e le altre immissioni provocate da detta utilizzazione non si sottraggono alle disposizioni di cui
all’art. 844 primo comma c.c., di modo che possono essere impedite dal proprietario del fondo
limitrofo, ove superino la normale tollerabilità,
anche con riguardo alla condizione dei luoghi
(nella specie, amena zona collinare, con caratteri
residenziali di elevata qualità). * Cass. civ., sez. II,
14 agosto 1990, n. 8271, Soc. Imm. Edy c. Soc.
Imm. Revigli.
l La disciplina dell’art. 844 c.c. è applicabile
unicamente alle immissioni indirette, e cioè alle
immissioni prodotte dalla propagazione o dalla
ripercussione di un fatto posto in essere nel fondo
del vicino, ma non alle immissioni dirette, causate immediatamente nel fondo altrui, né alle altre
attività illecite compiute da terzi esclusivamente
in quest’ultimo. Conseguentemente non può essere imposta al convenuto la chiusura del fondo
destinato ad osteria per evitare i danni derivanti
dallo sconfinamento di avventori del fondo vicino, poiché tale fatto non può configurarsi come la
propagazione in alienum di un’attività svolta nel
fondo, ma è un illecito autonomo, contro il quale
non è data altra protezione se non quella offerta
dall’art. 2043 c.c. * Cass. civ., sez. II, 18 marzo
1978, n. 1364.
411
Titolo II – Della proprietà
b) «Normale tollerabilità» e contemperamento
degli interessi.
l Il limite di tollerabilità delle immissioni
rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità
di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla
quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati
come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo), sicché la valutazione ex art. 844 c.c., diretta
a stabilire se i rumori restino compresi o meno
nei limiti della norma, deve essere riferita, da un
lato, alla sensibilità dell’uomo medio e, dall’altro,
alla situazione locale. Spetta al giudice del merito
accertare in concreto gli accorgimenti idonei a ricondurre tali immissioni nell’ambito della normale
tollerabilità. * Cass. civ., sez. II, 5 agosto 2011, n.
17051, Simonetti ed altro c. Del Genio ed altro. Nello stesso senso: Cass. II, 19 maggio 1976, n. 1796;
Cass. II, 27 luglio 1983, n. 5157. [RV618746]
l In tema di immissioni, l’art. 844, secondo
comma, c.c., nella parte in cui prevede la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento
delle esigenze della produzione con le ragioni della
proprietà, considerando eventualmente la priorità
di un determinato uso, deve essere letto, tenendo
conto che il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell’attività di produzione
oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una
interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze
della produzione il soddisfacimento ad una normale qualità della vita. Ne consegue che le immissioni
acustiche determinate da un’attività produttiva
che superino i normali limiti di tollerabilità fissati,
nel pubblico interesse, da leggi o regolamenti, e da
verificarsi in riferimento alle condizioni del fondo
che le subisce, sono da reputarsi illecite, sicché il
giudice, dovendo riconoscerle come tali, può addivenire ad un contemperamento delle esigenze della
produzione soltanto al fine di adottare quei rimedi
tecnici che consentano l’esercizio della attività
produttiva nel rispetto del diritto dei vicini a non
subire immissioni superiori alla normale tollerabilità. (Fattispecie relativa ad immissioni rumorose
al di sopra della normale tollerabilità determinate
da attività di ristorazione, caratterizzata principalmente dallo svolgimento di banchetti nuziali, con
notevole afflusso di persone). * Cass. civ., sez. II, 8
marzo 2010, n. 5564, Villa Canton Srl ed altro c.
Spini ed altri. [RV611786]
l Il limite di tollerabilità delle immissioni non
ha carattere assoluto ma é relativo alla situazione
ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo
le caratteristiche della zona e le abitudini degli
abitanti; spetta, pertanto, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale
tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei
a ricondurre le immissioni nell’ambito della stessa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la senten-
Art. 844
za della Corte di merito che aveva ritenuto non
tollerabili le immissioni acustiche prodotte dal
funzionamento di un’autoclave e di un bruciatore,
tenuto conto degli elevati livelli dei valori sonori,
accertati strumentalmente, della situazione dei
luoghi, trattandosi di edificio ubicato in comune
montano, del funzionamento dei detti impianti
per molti mesi dell’anno ed anche in ore notturne,
della collocazione degli stessi in un locale a stretto
contatto con la camera da letto degli attori e della
necessità di questi, data la loro avanzata età, di
godere di tranquillità e riposo ed aveva, altresì, disposto l’adozione degli accorgimenti suggeriti dal
c.t.u.). * Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 2010, n. 3438,
Pisegna C. c. Pisegna O. ed altri. [RV611513]
l La norma sulla disciplina delle immissioni
di cui all’art. 844 c.c., nel prevedere la valutazione,
da parte del giudice, del contemperamento delle
esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, tenendo eventualmente conto della priorità
di un determinato uso, deve essere interpretata,
tenendo conto che il limite della tutela della salute
è da considerarsi ormai intrinseco nell’attività di
produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla
luce di una interpretazione costituzionalmente
orientata, sicché è legittima la statuizione del
giudice di merito preclusiva del prolungamento di
un’attività sostanzialmente nociva alla salute dei
vicini del fondo, da considerarsi valore prevalente,
in funzione del soddisfacimento del diritto ad una
normale qualità della vita, rispetto alle esigenze
dell’attività commerciale esercitata nel fondo confinante, nel quale la produzione, ancorché iniziata
anteriormente all’edificazione dell’immobile limitrofo, si sia svolta e, poi, protratta senza la predisposizione di apposite misure di cautela idonee
ad evitare o limitare l’inquinamento atmosferico.
(Nella specie, la S.C., sulla scorta di questo principio, ha confermato l’impugnata sentenza, con la
quale il giudice di appello, in parziale riforma della
sentenza di primo grado, aveva, interpretando nei
suddetti termini l’art. 844 c.c., ordinato l’immediata cessazione di un allevamento di galline, oltre
a riconoscere il correlato risarcimento del danno,
in quanto detta attività commerciale, ancorché
preventivamente iniziata, era proseguita senza
che venisse approntato alcun idoneo accorgimento tale da impedire la propagazione di persistenti
esalazioni maleodoranti nel fondo limitrofo). *
Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8420, Valori c.
Zeppilli ed altro. [RV588859]
l In tema di immissioni (nella specie rumori
provocati da attività sportive praticate all’aperto),
il contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle ricreative e sportive, che ai sensi
dell’art. 844 c.c. deve essere compiuto anche tenendo conto della condizione dei luoghi, postula
la concreta valutazione di ormai diffusi abitudini
di vita e comportamenti sociali, nell’ambito dei
quali lo svolgimento delle suddette attività, prevalentemente praticate all’aria, è notoriamente
Art. 844
Libro III – Della proprietà
più intenso durante le stagioni caratterizzate da
un maggior numero di ore di luce e dal clima più
favorevole; pertanto, il limite di normale tollerabilità delle immissioni non può essere dal giudice
determinato in termini assolutamente avulsi dalla
considerazione delle suesposte componenti, trattandosi di elementi intrinsecamente connotanti la
liceità delle forme di godimento della proprietà,
da valutarsi sullo sfondo del particolare contesto
ambientale e sociale nel quale le opposte esigenze
assumono rilievo. * Cass. civ., sez. II, 31 gennaio
2006, n. 2166, Gazzetti c. Gazza. [RV587170]
l Per stabilire se le immissioni — nella specie
rumori, fumo ed esalazioni provenienti da un opificio di panificazione — che si propagano dall’immobile del vicino su quello altrui superano la normale
tollerabilità occorre avere riguardo alla destinazione della zona ove sono situati gli immobili, perché
se è prevalentemente abitativa, il contemperamento delle ragioni della proprietà con quelle della produzione deve essere effettuato dando prevalenza
alle esigenze personali di vita del proprietario dell’immobile adibito ad abitazione rispetto alle utilità
economiche derivanti dall’esercizio di attività produttive o commerciali nell’immobile del vicino. *
Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2001, n. 5697.
l In tema di immissioni in alienum, il criterio
del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, posto dall’art.
844, secondo comma, c.c., non implica che nelle
zone a prevalente vocazione industriale debbano
necessariamente considerarsi lecite e tollerabili,
per il solo fatto della destinazione urbanistica
data dalla competente pubblica amministrazione
all’area interessata dal fenomeno, le immissioni di
qualsiasi natura ed entità determinate dall’attività
produttiva, ma implica solo che, nella riconosciuta preminenza dell’interesse collettivo, in termini
di prodotto e di occupazione, alla prosecuzione
dell’attività immissiva, possa essere effettuata una
valutazione comparativa degli interessi dedotti in
giudizio ai fini della determinazione del contenuto
della sanzione da applicare, ciò che si realizza con
l’attribuire al giudice, una volta che abbia riconosciuto l’esigenza del mantenimento dell’attività
produttiva, il potere di astenersi dall’adozione di
misure inibitorie, e di far luogo, invece, a statuizioni che, pur con il sacrificio della piena tutela
della proprietà individuale, consentano la prosecuzione dell’attività immissiva dietro pagamento
di un congruo indennizzo, sempre che detta attività rimanga nei limiti della normale tollerabilità,
configurandosi come dannosa, ma lecita. Ove,
invece, tali limiti siano superati, si è in presenza di
un’attività illegittima, traducentesi in fatti illeciti
generatori di danno risarcibile ex art. 2043 c.c. *
Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1999, n. 13334. Nello stesso senso, Cass. II, 1 febbraio 1993, n. 1226.
l Ai fini dell’art. 844 c.c. l’intollerabilità delle
immissioni (nella specie esalazioni provenienti
dalla evaporazione di idrocarburi adoperati per il
412
lavaggio di pezzi meccanici), da valutarsi tenuto
conto del contemperamento delle esigenze della
produzione con le ragioni della proprietà, sussiste
anche quando esse, pur non essendo di eccessiva
entità, risultino nocive, a causa della loro costanza ed ineliminabilità che le rende insopportabili,
al bene primario della salute. * Cass. civ., sez. II, 9
agosto 1989, n. 3675, Ferulli c. Gargiulo.
l Ai fini della valutazione della liceità delle immissioni, l’art. 844 c.c. enuncia tre diversi criteri, di
cui due obbligatori ed uno facoltativo e sussidiario:
i criteri obbligatori sono quelli della normale tollerabilità e del contemperamento delle ragioni della
proprietà con le esigenze della produzione, mentre
il criterio facoltativo è quello della priorità del’uso.
* Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 1985, n. 6534.
l In tema di immissioni (nella specie di rumori), le disposizioni dell’art. 844 c.c. trovano applicazione avendo riguardo alla situazione del fondo
che le riceve, con la conseguenza che se questo è
sito in zona residenziale, la normale tollerabilità
deve essere valutata in base ai criteri vigenti in tale
zona, in cui le immissioni stesse si propagano, a
nulla rilevando la loro normalità riferita al luogo
di provenienza (nella specie, zona industriale). *
Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1984, n. 4523.
l L’art. 844, secondo comma, c.c., che in materia di immissioni, prevede il contemperamento
delle esigenze della produzione con le ragioni
della proprietà, si applica in ogni caso in cui vi sia
conflitto fra la tutela del diritto di proprietà e le
esigenze della produzione, quale che sia il campo
in cui questa si esplichi, industriale, agricolo o di
altra natura, ed anche se essa concerna, invece di
beni, servizi (nella specie: servizio della conservazione di prodotti ortofrutticoli, ai fini della vendita
al dettaglio, realizzato da impianti refrigeratori).
* Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1982, n. 1115.
c) Priorità di uso.
l In materia di immissioni dannose (nella
specie di natura olfattiva) il criterio del preuso cui
fa riferimento l’art. 844, comma 2, c.c. ha carattere sussidiario e facoltativo, sicché il giudice del
merito nella valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, non è tenuto a farvi ricorso
quando, in base agli opportuni accertamenti di
fatto, e secondo il suo apprezzamento, incensurabile se adeguatamente motivato, ritenga superata
la soglia di tollerabilità. * Cass. civ., sez. II, 10
gennaio 1996, n. 161, Locatelli c. Battaglia. Idem,
Cass. II, 11 maggio 2005, n. 9865.
l Ai fini della valutazione della liceità o meno
delle immissioni, il criterio della priorità dell’uso
ha natura secondaria e facoltativa, dovendo il
limite della tollerabilità accertarsi tenendo conto,
anzitutto, della situazione dei luoghi e della necessità di contemperamento delle esigenze della
proprietà con quelle della produzione. (Nella
specie, il giudice del merito aveva ritenuto che, in
una zona residenziale ma con prevalenti interessi
413
Titolo II – Della proprietà
industriali, il limite di tollerabilità dei rumori prodotti da uno stabilimento è, indipendentemente
dalla data della sua installazione, inevitabilmente
più elevato che in una zona soltanto residenziale.
La Corte Suprema ha confermato tale decisione
enunciando l’anzidetto principio). * Cass. civ.,
sez. II, 23 maggio 1981, n. 3401 Conformi: Cass.
II, 2 settembre 1974, n. 2406.
l La priorità dell’uso in tema di immissioni ha
carattere oggettivo, in quanto l’uso o la destinazione
considerati in rapporto con la loro priorità riguardano i fondi e la produzione industriale nei loro reciproci rapporti, e non i proprietari e gli imprenditori
tra i quali sia sorta la controversia; essa non è pertanto identificabile con quella esistente al momento
dell’acquisto della proprietà o della titolarità d’impresa da parte dei soggetti litiganti. (Nella specie,
la C.S. ha ritenuto irrilevante, al fine di valutare la
liceità delle immissioni di un impianto cementizio
e determinare l’indennità dovuta in ragione delle
immissioni dannose a carico di un terreno vicino,
l’anteriorità dell’esercizio industriale rispetto alla
data di acquisto del terreno stesso da parte dell’attore). * Cass. civ., 13 gennaio 1975, n. 111.
845. Regole particolari per scopi di pubblico in-
teresse. – La proprietà fondiaria è soggetta a regole
particolari per il conseguimento di scopi di pubblico
interesse nei casi previsti dalle leggi speciali e dalle disposizioni contenute nelle sezioni seguenti.
Sezione II
Del riordinamento
della proprietà rurale
846. (1) [Minima unità colturale. – Nei trasferimenti
di proprietà, nelle divisioni e nelle assegnazioni a qualunque titolo, aventi per oggetto terreni destinati a coltura o suscettibili di coltura, e nella costituzione o nei
trasferimenti di diritti reali sui terreni stessi non deve
farsi luogo a frazionamenti che non rispettino la minima unità colturale.
S’intende per minima unità colturale l’estensione di
terreno necessaria e sufficiente per il lavoro di una famiglia agricola e, se non si tratta di terreno appoderato,
per esercitare una conveniente coltivazione secondo le
regole della buona tecnica agraria].
(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 5 bis, comma 10,
del D.L.vo 18 maggio 2001, n. 228, così come inserito dall’art. 7 del
D.L.vo 29 marzo 2004, n. 99.
847. (1) [Determinazione della minima unità colturale. – L’estensione della minima unità colturale sarà
determinata distintamente per zone, avuto riguardo all’ordinamento produttivo e alla situazione demografica
locale, con provvedimento dell’autorità amministrativa,
da adottarsi sentite le associazioni professionali].
(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 5 bis, comma 10,
del D.L.vo 18 maggio 2001, n. 228, così come inserito dall’art. 7 del
D.L.vo 29 marzo 2004, n. 99.
Art. 845
848. (1) [Sanzione dell’inosservanza. – Gli atti com-
piuti contro il divieto dell’art. 846 possono essere annullati dall’autorità giudiziaria, su istanza del pubblico
ministero. L’azione si prescrive in tre anni dalla data della trascrizione dell’atto].
(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 5 bis, comma 10,
del D.L.vo 18 maggio 2001, n. 228, così come inserito dall’art. 7 del
D.L.vo 29 marzo 2004, n. 99.
849. Fondi
compresi entro maggiori unità fondiarie. – Indipendentemente dalla formazione del
consorzio previsto dall’articolo seguente, il proprietario di terreni entro i quali sono compresi appezzamenti
appartenenti ad altri, di estensione inferiore alla minima unità colturale (846), può domandare che gli sia trasferita la proprietà di questi ultimi (2932), pagandone il
prezzo, allo scopo di attuare una migliore sistemazione
delle unità fondiarie. In caso di contrasto decide l’autorità giudiziaria, sentite le associazioni professionali
circa la sussistenza delle condizioni che giustificano la
richiesta di trasferimento (57 att.) (1).
(1) Le parole a partire da «sentite» fino alla fine dell’articolo
sono da considerarsi inefficaci in forza della soppressione dell’ordinamento corporativo fascista disposta dall’art. 1 del D.L.vo Lgt.
23 novembre 1944, n. 369.
850. Consorzi a scopo di ricomposizione fondia-
ria. – Quando più terreni contigui e inferiori alla minima unità colturale (846) appartengono a diversi proprietari, può, su istanza di alcuno degli interessati o per
iniziativa dell’autorità amministrativa, essere costituito un consorzio tra gli stessi proprietari, allo scopo di
provvedere a una ricomposizione fondiaria idonea alla
migliore utilizzazione dei terreni stessi (851 ss.).
Per la costituzione del consorzio si applicano le
norme stabilite per i consorzi di bonifica (851, 862 ss.).
851. Trasferimenti coattivi. – Il consorzio indicato
dall’articolo precedente può predisporre il piano di
riordinamento.
Per la migliore sistemazione delle unità fondiarie
può procedersi a espropriazioni e a trasferimenti coattivi (852, 853); può anche procedersi a rettificazioni di
confini e ad arrotondamento di fondi (856).
852. Terreni esclusi dai trasferimenti. – Dai trasferimenti coattivi previsti dall’articolo precedente sono
esclusi:
1) gli appezzamenti forniti di casa di abitazione
civile o colonica;
2) i terreni adiacenti ai fabbricati e costituenti dipendenze dei medesimi;
3) le aree fabbricabili;
4) gli orti, i giardini, i parchi;
5) i terreni necessari per piazzali o luoghi di deposito di stabilimenti industriali o commerciali;
6) i terreni soggetti a inondazioni, a scoscendimenti o ad altri gravi rischi;