giurisprudenza delitti contro il patrimonio 2010

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giurisprudenza delitti contro il patrimonio 2010
ANNO ACCADEMICO 2009/2010: GIURISPRUDENZA RELATIVA AI DELITTI
CONTRO IL PATRIMONIO
FURTO
Cass. pen., sez. V, 27-11-2008, n. 7047.
Sussiste il reato di furto consumato e non tentato nel caso in cui l’agente si impossessi all’interno di
un centro commerciale di un portafoglio sottraendolo con destrezza, sia pure per un breve lasso di
tempo, al controllo del proprietario che accortosi abbia seguito e bloccato l’imputato.
Cass. pen., sez. V, 24-10-2007.
Difetta il requisito dell’altruità della cosa, richiesto per la configurabilità del reato di furto, qualora
l’agente, proprietario di prodotti semilavorati consegnati per l’ulteriore lavorazione ad altro
soggetto, li sottragga a quest’ultimo dopo che la detta lavorazione sia stata effettuata.
Cass. pen., sez. V, 09-05-2008.
Costituisce furto consumato e non tentato quello che si commette all’atto del superamento della
barriera delle casse di un supermercato con della merce prelevata dai banchi e sottratta al
pagamento, nulla rilevando che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del
supermercato incaricato della sorveglianza.
Cass. pen., sez. IV, 07-04-2005.
Per la consumazione del reato di furto è sufficiente che la cosa sottratta sia passata sotto il dominio
esclusivo dell’agente anche se per breve tempo e senza spostamento dal luogo della sottrazione
(fattispecie nella quale l’autore del furto, dopo aver sottratto il corpo di reato dalla cassaforte
dell’ufficio, lo aveva riposto all’interno della sua autovettura parcheggiata nel cortile dell’edificio,
essendo poco dopo sorpreso dalle forze dell’ordine).
Cass. pen., sez. V, 10-10-2008, n. 43212.
La differenza tra furto con strappo e rapina risiede nella direzione della violenza, giacché è
configurabile la rapina quando il fatto è commesso mediante violenza alla persona, mentre ricorre il
furto quando la violenza è immediatamente rivolta verso la cosa e solo in via del tutto indiretta
attinge la persona che la detiene.
Cass. pen., sez. IV, 14-03-2008.
Il dipendente di una ditta di trasporti che sottragga la merce a lui affidata commette il reato di furto
e non già quello di appropriazione indebita, atteso che le operazioni materiali di cui è incaricato
(trasporto, deposito, conservazione e consegna) non gli conferiscono quell’effettivo potere di
autonoma disponibilità dei beni affidatigli, che è invece presupposto necessario della fattispecie di
cui all’art. 646 c.p.p.
Cass. pen., sez. V, 13-12-2006.
Nel delitto di furto sussiste l’aggravante dell’utilizzo di mezzo fraudolento qualora il soggetto attivo
si impossessi della merce sottratta dai banchi di un supermercato, occultandola sulla propria
persona, in quanto tale condotta, improntata ad astuzia e scaltrezza, è preordinata ad eludere gli
accorgimenti a tutela dei beni e, nella specie, i controlli predisposti dagli addetti alla cassa del
supermercato.
Cass. pen., sez. V, 19-03-2008.
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Sussiste l’aggravante di cui all’art. 625, 1º comma, n. 7 c.p. - sub specie di esposizione della cosa
per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede - nel caso in cui il soggetto
attivo si impossessi di effetti personali sottratti ai bagnanti sulla spiaggia, in quanto rientra nelle
abitudini sociali e nella pratica di fatto lasciare incustoditi tali oggetti da coloro che abbandonino
temporaneamente la spiaggia per andare a fare il bagno.
Cass. pen., sez. V, 17-06-2008, n. 36905.
Integra il delitto di furto aggravato da mezzo fraudolento - e non quello di truffa - la condotta di
colui che si faccia consegnare, adducendo un pretesto che implichi l’intesa di un’immediata
restituzione, un bene (nella specie anello di brillanti e telefono cellulare) e riparta d’improvviso con
la propria auto, in quanto quest’ultima condotta integra lo spossessamento «invito domino», poiché
il soggetto passivo si è privato materialmente dal bene in via del tutto provvisoria e senza la volontà
di spossessarsene, mantenendo anzi con la propria presenza il controllo su di esso, vanificato
dall’improvviso dileguarsi dell’autore del reato.
Cass. pen., sez. IV, 07-05-2009, n. 26386.
In tema di furto, la causa di non punibilità prevista dall’art. 649 c.p. ha natura personale, con la
conseguenza che non si estende all’eventuale concorrente.
FURTO IN ABITAZIONE E FURTO CON STRAPPO
Cass. pen., sez. IV, 14-10-2009, n. 43452.
L’art. 624 bis c.p. (furto in abitazione e furto con strappo) prevede autonome figure di reato e non
circostanze aggravanti del furto semplice.
Cass. pen., sez. IV, 16-04-2008.
Ai fini della sussistenza del delitto di furto in abitazione di cui all’art. 624 bis c.p., «luogo destinato
a privata dimora» deve intendersi qualsiasi luogo, non pubblico, in cui una persona si trattenga, in
modo permanente oppure transitorio e contingente, per compiere atti di vita privata o attività
lavorative.
Cass. pen., sez. IV, 25-06-2009, n. 37908.
Integra il reato previsto dall’art. 624 bis c.p., la condotta del soggetto che, per commettere un furto,
si introduca all’interno di una farmacia durante l’orario di apertura, poiché il concetto di privata
dimora è più ampio di quello di abitazione, ricomprendendo tutti i luoghi non pubblici nei quali le
persone si trattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata.
Cass. pen., sez. IV, 16-04-2008, n. 20022.
La nozione di luogo destinato a privata dimora di cui all’art. 624 bis c.p. comprende qualsiasi luogo,
non pubblico, in cui una persona si trattenga, in modo permanente oppure transitorio e contingente,
per compiere atti di vita privata o attività lavorative (nel caso di specie, un estraneo si era introdotto
nello spogliatoio destinato agli avvocati in un palazzo di giustizia, sottraendo un capo di
abbigliamento).
Cass. pen., sez. II, 03-10-2006.
È configurabile il furto con strappo quando la violenza è immediatamente rivolta verso la cosa e
solo in via del tutto indiretta verso la persona che la detiene, anche se, a causa della relazione fisica
intercorrente tra cosa sottratta e possessore, può derivare una ripercussione indiretta e involontaria
sulla vittima, mentre ricorre la rapina allorché la res è particolarmente aderente al corpo del
possessore e questi, istintivamente e deliberatamente, contrasta la sottrazione, cosicché la violenza
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necessariamente si estende alla sua persona, dovendo l’agente vincerne la resistenza e non solo
superare la forza di coesione inerente al normale contatto della cosa con essa.
FURTI MINORI
Cass. pen., sez. V, 25-09-2007.
Rientra nella fattispecie di cui all’art. 626, 1º comma, n. 3, c.p. (furto punibile a querela dell’offeso,
previsto dall’art. 626, 1º comma, n. 3 c.p.) - che consiste nel fatto di spigolare, rastrellare o
raspollare nei fondi altrui, non ancora spogliati interamente del raccolto - anche l’ipotesi in cui,
sussistendo segnali concreti della non volontà dell’avente diritto di procedere al raccolto,
l’apprensione abusiva cada esclusivamente su prodotti vegetali (nella specie olive) da ritenere,
comunque, destinati a sfuggire ad una eventuale iniziativa in tal senso, per essere caduti a terra e per
richiedere a causa della loro specifica natura la lavorazione a brevissimo termine.
APPROPRIAZIONE INDEBITA
Cass. pen., sez. II, 18-03-2009, n. 19911.
Integra il reato di appropriazione indebita la condotta del datore di lavoro che omette di versare nel
termine assegnato le somme di denaro trattenute a titolo di contributi previdenziali sui compensi
spettanti al lavoratore.
Cass. pen., sez. II, 21-04-2009, n. 20851.
Non integra il delitto di appropriazione indebita, risolvendosi un mero inadempimento civilistico, la
corresponsione della retribuzione ai dipendenti in misura inferiore a quella risultante dalla busta
paga, perché la differenza di denaro che il datore di lavoro trattiene per sé non costituisce parte del
patrimonio dei dipendenti.
Cass. pen., sez. II, 18-06-2009, n. 41663.
Integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell’esercente la professione forense che
trattenga somme riscosse a nome e per conto del cliente ancorché egli sia, a sua volta, creditore di
quest’ultimo per spese e competenze relative ad incarichi professionali espletati, salva la
dimostrazione non solo dell’esistenza del credito, ma anche della sua esigibilità e del suo preciso
ammontare.
Cass. pen., sez. II, 10-06-2009, n. 37498.
Il reato di appropriazione indebita si consuma nel momento in cui l’agente tiene consapevolmente
un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo
possesso ed incompatibile con il diritto del titolare, in quanto significativo dell’immutazione del
mero possesso in dominio, senza che sia necessario che la parte offesa formuli un’esplicita e
formale richiesta di restituzione dello specifico bene oggetto della interversione del possesso (nella
specie, dalla situazione maturata fra le parti - separazione con allontanamento della parte offesa
dalla casa di abitazione senza il ritiro dei propri oggetti personali e dell’autovettura - si è dedotto
che l’imputato avesse avuto modo di comprendere perfettamente di trattenere presso di sé oggetti
appartenenti alla parte offesa, con conseguente integrazione del reato di cui
Cass. pen., sez. II, 20-09-2007.
Il reato di appropriazione indebita si realizza con la semplice interversione del possesso:
quest’ultimo, agli effetti penali, è integrato anche da una mera detenzione qualificata consistente
nell’esercizio sulla cosa di un potere di fatto al di fuori della sfera di sorveglianza del titolare.
Cass. pen., sez. II, 20-09-2007.
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La condotta appropriativa, in presenza di un contratto risolto e di una richiesta di restituzione della
cosa da parte del proprietario, può consistere nella mera ritenzione del bene (fattispecie relativa alla
ritenzione di un autoveicolo, da parte del locatario, nonostante la risoluzione del contratto di leasing
e la richiesta di restituzione del bene).
Cass. pen., sez. II, 29-05-2008.
Integra il reato di appropriazione indebita il rifiuto del professionista (nella specie, patrocinante) di
restituire al cliente la documentazione ricevuta, in quanto costituisce un comportamento che eccede
i limiti del titolo del possesso.
Cass. pen., sez. II, 25-01-2006.
Commette il reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) continuata (art. 81 c.p.) e aggravata
dalla violazione del pactum fiduciae (art. 61 n. 11 c.p.), l’amministratore di condominio che con più
azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, allo scopo di procurarsi un profitto e avendone il
possesso in ragione del proprio ufficio, si appropria di una somma di denaro, omettendo di
destinarla al pagamento delle spese di gestione ordinaria o straordinaria..
Cass. pen., sez. II, 02-04-2007.
Bene è configurato il reato di appropriazione indebita a carico del mediatore immobiliare il quale
trattenga a titolo di provvigione parte della somma corrispostagli dal promittente acquirente e
destinata al promettente venditore, in assenza della definitiva formazione del preliminare di
compravendita con atto scritto, come richiesto ad substantiam, in base a quanto previsto dagli art.
1350 e 1351 c.c., nulla rilevando eventuali «comportamenti concludenti» che si assumano posti in
essere dalle parti.
Cass. pen., sez. II, 02-12-2008, n. 4440.
Integra il delitto di appropriazione indebita l’omessa restituzione della cosa da parte del detentore al
legittimo proprietario, se dal comportamento tenuto dal detentore si rilevi, per le modalità del
rapporto con la cosa, un’oggettiva interversione del possesso (nella fattispecie, il detentore del bene,
una motocicletta, ne aveva smontato senza autorizzazione diverse parti).
RAPINA
Cass. pen., sez. I, 04-11-2009, n. 46118.
La minaccia necessaria ad integrare l’elemento oggettivo della rapina può consistere in qualsiasi
comportamento deciso, perentorio e univoco dell’agente che sia astrattamente idoneo a produrre
l’effetto di turbare o diminuire la libertà psichica e morale del soggetto passivo (fattispecie relativa
ad intimazione a scendere dall’autovettura rivolta al suo conducente, seguita da forzatura della
portiera conseguente alla chiusura della «sicura» da parte della vittima e a sottrazione del danaro dal
portafogli).
Cass. pen., sez. II, 06-03-2009, n. 12800.
Nel delitto di rapina il profitto può concretarsi in qualsiasi utilità, anche solo morale, in qualsiasi
soddisfazione o godimento che l’agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla
propria azione, purché questa sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile
altrui, sottraendola a chi la detiene (la corte ha riconosciuto la sussistenza dell’elemento psicologico
del reato anche nella fattispecie relativa alla sottrazione di un’arma ad una guardia giurata al solo
fine di umiliare la vittima)
Cass. pen., sez. II, 30-09-2009, n. 40702.
Integra il tentativo di rapina anche il mero possesso di armi, pur se di fatto non utilizzate, in quanto
l’univocità della condotta va apprezzata, senza tenere conto della distinzione tra atti preparatori ed
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atti esecutivi, nelle sue caratteristiche oggettive, così da verificare se sia tale da rivelare le finalità
attraverso l’apprezzamento, secondo le regole di comune esperienza, della natura e dell’essenza
degli atti compiuti e del contesto in cui si inseriscono.
Cass. pen., sez. II, 29-09-2009, n. 41484.
L’esimente della desistenza nel tentativo richiede che la determinazione del soggetto agente di non
proseguire nell’azione criminosa si concreti indipendentemente da cause esterne che impediscano
comunque la prosecuzione dell’azione o la rendano vana (nella fattispecie, l’imputato, intenzionato
ad introdursi nella banca per compiervi una rapina, era stato fermato dalle guardie all’ingresso che
gli avevano trovato addosso un taglierino pronto all’uso).
Cass. pen. [ord.], sez. II, 08-01-2009, n. 3189.
In tema di tentata rapina, la non punibilità dell’agente per inesistenza dell’oggetto può aversi solo
quando l’inesistenza sia assoluta, cioè quando manchi qualsiasi possibilità che in quel contesto di
tempo la cosa possa trovarsi in un determinato luogo e non, invece, quando essa sia puramente
temporanea e accidentale (fattispecie nella quale è stato affermato il delitto di tentata rapina per
avere il soggetto rovistato nella borsa della vittima al cui interno non vi era denaro).
T. Milano, 14-04-2008.
Per configurarsi il tentativo di rapina, non è sufficiente che l’agente abbia posto in essere atti
preparatori idonei alla realizzazione della rapina, giacché gli atti diretti in modo non equivoco alla
commissione del reato, cui fa riferimento l’art. 56 c.p., sono soltanto quelli esecutivi, cioè tipici
della condotta prevista dalla fattispecie incriminatrice astratta, ancorché qualificabili solo in minima
parte come inizio di esecuzione (nella specie e stata esclusa la configurabilità del tentativo di rapina
aggravata dall’uso delle armi nel caso di due soggetti che, predisposta un’auto parcheggiata nei
pressi di un ufficio postale ed avendo a disposizione passamontagna, guanti in lattice ed un coltello,
si erano seduti, in attesa dell’apertura dell’ufficio, su una panchina di un giardinetto sito nelle
G.u.p. T. Orvieto, 20-06-2006.
Colui che si sia limitato a svolgere la funzione di mero autista dei partecipanti ad una rapina,
accompagnandoli sul posto, attendendoli e fuggendo con gli stessi, risponde, oltre che di concorso
in rapina pluriaggravata, dei reati che gli altri partecipanti abbiano posto in essere anche quando
siano consistiti nel compimento di atti di gratuita violenza.
Cass. pen., sez. II, 18-10-2007.
L’elemento distintivo del delitto di rapina da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con
violenza alle persone risiede nell’elemento soggettivo, perché nell’un caso l’autore agisce al fine di
procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, ben sapendo che quanto pretende non gli spetta e non è
giuridicamente azionabile, nell’altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la
coscienza che l’oggetto della pretesa gli spetti.
Cass. pen., sez. II, 09-04-2009, n. 30127.
Nella rapina impropria, la violenza o la minaccia possono realizzarsi anche in luogo diverso da
quello della sottrazione della cosa e in pregiudizio di persona diversa dal derubato, sicché, per la
configurazione del reato, non è richiesta la contestualità temporale tra sottrazione e uso della
violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale
idoneo a realizzare, secondo i principi di ordine logico, i requisiti della quasi flagranza e tale da non
interrompere il nesso di contestualità dell’azione complessiva posta in essere al fine di impedire al
derubato di rientrare in possesso della refurtiva o di assicurare al colpevole l’impunità (fattispecie
nella quale, dopo il furto di due autovetture, c’era stato un inseguimento dei ladri da parte dei
carabinieri, all’indirizzo dei quali i primi avevano tenuto un atteggiamento violento e
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Cass. pen., sez. VI, 16-10-2008, n. 39924.
Nel delitto di rapina impropria, il requisito dell’immediatezza che lega la sottrazione all’uso della
violenza o minaccia va inteso non in senso meramente letterale, come assenza di qualsivoglia
intervallo temporale tra le due azioni, ma in riferimento al dato concettuale della flagranza e della
quasi flagranza.
Cass. pen., sez. II, 29-02-2008.
Integra la fattispecie di tentativo di rapina impropria la condotta del soggetto che fa uso della
violenza o della minaccia per assicurarsi l’impunità, immediatamente dopo il compimento di atti
idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi della cosa mobile altrui.
Cass. pen., sez. V, 13-04-2007.
In tema di rapina impropria, postulando l’art. 628, 2º comma, c.p., che la violenza o la minaccia
siano adoperate «immediatamente dopo la sottrazione» ed al fine di conseguire, proprio mediante il
loro impiego, il possesso, non ancora conseguito, della cosa sottratta ovvero l’impunità, deve
ritenersi che non sia configurabile il tentativo di rapina impropria, ma sussistano invece il reato di
tentato furto o quello (minaccia, percosse, lesioni o altro) cui la condotta violenta o minacciosa
abbia dato luogo, qualora tale condotta sia posta in essere senza che la sottrazione sia stata
previamente realizzata.
Cass. pen., sez. VI, 30-10-2008, n. 43773.
Non è configurabile il tentativo di rapina impropria quando la condotta di sottrazione della cosa non
venga completata, dovendovi invece ritenere integrato il tentativo di furto, oltre che altro autonomo
reato che abbia come elemento costitutivo la violenza o la minaccia.
Cass. pen., sez. II, 09-07-2008, n. 34845.
Sussiste il reato di tentata rapina impropria, e non quello di tentato furto in concorso con il reato di
resistenza a pubblico ufficiale, nel caso in cui il soggetto, sorpreso in flagranza a sottrarre o
impossessarsi della cosa altrui da agenti di polizia giudiziaria, li aggredisca e usi violenza per
assicurarsi l’impunità.
Cass. pen., sez. II, 16-12-2008, n. 3769.
È configurabile il tentativo di rapina impropria, per il caso in cui al mancato impossessamento del
bene faccia seguito l’esplicazione di violenza o minacce finalizzate al conseguimento dell’impunità
per quanto commesso, in quanto la norma incriminatrice di cui all’art. 628, 2º comma, c.p., deve
necessariamente integrarsi con la norma generale sul delitto tentato.
Cass. pen., sez. II, 25-09-2007.
È configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti
idonei all’impossessamento della res altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla
sua volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità.
Cass. pen., sez. VI, 29-04-2009, n. 25100.
È configurabile il tentativo di rapina impropria quando la condotta di sottrazione della cosa venga
completata, ossia quando si realizzi il suo impossessamento, dovendosi invece ritenere integrato il
tentativo di furto, in concorso con la minaccia o la resistenza al pubblico ufficiale, quando manchi il
presupposto della sottrazione (fattispecie in cui la suprema corte ha annullato senza rinvio la
sentenza di «patteggiamento», escludendo che l’erronea qualificazione giuridica del fatto come
tentativo di furto aggravato presentasse margini di opinabilità).
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Cass. pen., sez. un., 22-01-2009, n. 5941.
In tema di rapina, la locuzione impiegata nell’ultima delle ipotesi previste dall’art. 628, 3º comma,
n. 1, c.p. esprime un concetto di pluralità che sussiste anche nel caso di due soggetti soltanto.
Cass. pen., sez. II, 13-05-2009, n. 20885.
Il concorrente nel delitto di rapina aggravato dall’uso delle armi risponde, a titolo di concorso pieno
e non anomalo, del delitto di lesioni materialmente commesso dal correo armato, dovendosi ritenere
prevedibile detto evento lesivo, quale ordinario possibile sviluppo della condotta criminosa
qualificata dall’uso delle armi.
Cass. pen., sez. II, 05-05-2009, n. 24837.
Il reato di sequestro di persona è assorbito in quello di rapina aggravata previsto dall’art. 628, 3º
comma, n. 2, c.p. solo quando la privazione della libertà personale abbia una durata limitata al
tempo strettamente necessario all’esecuzione della rapina, ma non quando si protragga anche dopo
la consumazione della stessa.
Cass. pen., sez. VI, 18-12-2007, n. 19299.
L’esclusione della causa di non punibilità di cui all’art. 649 c.p. in riferimento alle fattispecie
criminose di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo d’estorsione è normativamente estesa
anche alle corrispondenti fattispecie di tentativo, che strutturalmente comportano l’uso della
violenza alla persona, pur solo preordinata e non realizzata (la corte ha precisato che nella nozione
di «violenza alle persone», di cui all’ultima parte dell’art. 649, 3º comma, c.p., rientra anche la
violenza morale, e ciò perché tutte le fattispecie criminose a cui si riferisce la causa di non
punibilità si connotano per l’equiparazione della violenza alla minaccia).
Cass. pen., sez. V, 12-11-2008, n. 44751.
Nel caso in cui nel corso di una rapina posta in essere con violenza sulla persona (nella specie,
spintonando la vittima e trascinandola per alcuni metri per strapparle la borsa) la persona offesa
riporti gravi lesioni personali che ne cagionino il decesso correttamente l’evento morte viene
addebitato a titolo di omicidio preterintenzionale (art. 583 c.p.), e non come morte in conseguenza
di un altro reato (art. 586 c.p.).
ESTORSIONE
Cass. pen., sez. II, 26-11-2009, n. 48868.
Integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che costringa i lavoratori ad accettare la
corresponsione di retribuzioni inferiori ai minimi sindacali, facendo loro firmare prospetti paga per
importi superiori a quelli effettivamente corrisposti, a fronte della minaccia di un pregiudizio, quale
l’impossibilità di accedere, in caso di licenziamento e data la condizione di mercato segnata da alti
livelli di disoccupazione, ad altre possibilità occupazionali, risultando irrilevante ad escludere la
fattispecie delittuosa l’eventuale accordo fra datore di lavoro e lavoratori..
Cass. pen., sez. II, 05-06-2008, n. 28682.
L’imposizione da parte del datore di lavoro ai propri dipendenti di trattamenti retributivi deteriori e
non corrispondenti alle prestazioni effettuate e, in genere, inferiori ai minimi sindacali,
approfittando della situazione di mercato caratterizzata da domanda di lavoro di gran lunga
superiore all’offerta, configura il reato di estorsione, risultando irrilevante ad escluderlo, di per sé, il
previo accordo in tal senso fra datore di lavoro e lavoratori.
Cass. pen., sez. II, 19-12-2008, n. 12749.
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Non è configurabile il delitto di estorsione se il destinatario della pretesa vessatoria non si trovi
nelle condizioni di dover adempiere a quanto richiesto come unico modo per evitare un pregiudizio
diretto ed immediato (nella fattispecie, relativa alla richiesta di una buonuscita per il rilascio di un
immobile, la corte ha affermato che la negoziazione di una somma in cambio del vantaggio di una
più rapida soluzione di una vicenda contrattuale non assume il carattere di una minaccia e, benché
soggettivamente vissuta come vessatoria, pur sempre si risolve all’interno di una libera
determinazione privatistica).
Cass. pen., sez. II, 17-03-2009, n. 16562.
Non integra il delitto di estorsione, in assenza della intrinseca ingiustizia del fine perseguito, la
minaccia di far valere un diritto pur quando se ne prospetti, con forte carica intimidatoria, un uso
sproporzionato rispetto alle ragioni vantate (nella fattispecie la corte non ha ritenuto l’ingiustizia del
fine perseguito del proprietario di un immobile che, con la minaccia dello sfratto, si era fatto dare
alcuni assegni a copertura dell’aumento «in nero» del canone di locazione).
Cass. pen., sez. II, 22-04-2009, n. 25613.
Il delitto di estorsione si caratterizza rispetto a quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con
violenza alle persone per il fatto che la violenza o minaccia solo nel secondo caso sono esercitate
per far valere un diritto già esistente e azionabile dinanzi a un giudice; qualora, invece, l’azione
costrittiva sia finalizzata a far sorgere una posizione giuridica che altrimenti non potrebbe essere
vantata né conseguita attraverso il ricorso al giudice, e a questa consegua un ingiusto vantaggio
patrimoniale, è configurabile il reato di estorsione (fattispecie nella quale è stato ravvisato il delitto
di estorsione nell’erogazione di un mutuo, avvenuta alla condizione illecita di prestazioni sessuali
da parte della mutuataria in favore del mutuante, e nella successiva pretesa del mutuante di
restituzione della somma versata, sotto la minaccia di divulgare una videocassetta in cui sarebbero
stati registrati gli incontri.
Cass. pen., sez. II, 22-04-2009, n. 25614.
In tema di estorsione, la circostanza aggravante delle «più persone riunite» non si identifica con una
generica ipotesi di concorso di persone nel reato, ma richiede la simultanea presenza di non meno di
due persone nel luogo e nel momento in cui si realizza la violenza o la minaccia, in quanto solo in
tal modo hanno luogo quegli effetti fisici e psichici di maggiore pressione sulla vittima che ne
riducono significativamente la forza di reazione e giustificano il rilevante aumento di pena.
Cass. pen., sez. II, 19-05-2009, n. 25666.
Non esclude la consumazione del delitto di estorsione la circostanza che la consegna del danaro
all’estorsore da parte della vittima avvenga in presenza delle forze dell’ordine preventivamente
allertate e appostate, ma intervenute dopo il conseguimento del possesso del danaro stesso, sia pure
per una breve frazione temporale, da parte dell’estorsore, in quanto la consumazione del reato deve
rapportarsi al momento e nel luogo in cui si è verificato l’ingiusto profitto con l’altrui danno.
Cass. pen., sez. V, 22-09-2009, n. 41507.
La minaccia costitutiva del delitto di estorsione può essere manifestata anche in maniera implicita,
essendo solo necessario che essa sia idonea a incutere timore e a coartare la volontà del soggetto
passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni
soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera.
Cass. pen., sez. II, 29-09-2009, n. 41481.
Integra il delitto di estorsione, in relazione all’ingiusto profitto derivante da una pretesa penalmente
e civilisticamente illecita, la minaccia posta in essere per ottenere il pagamento di un credito di
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natura usuraria, quand’anche consistente nel prospettato ricorso a mezzi astrattamente consentiti
dalla legge (nella specie, attivazione di garanzie costituite da assegni e da iscrizione ipotecaria).
Cass. pen., sez. II, 19-11-2009, n. 46609.
Integra il reato di tentata violenza privata e non già di tentata estorsione la minaccia diretta a
costringere altri a ritirare la denuncia presentata nei confronti di un terzo, non essendo il vantaggio
derivante dal ritiro della stessa connotato da contenuto patrimoniale o di utilità economica.
Cass. pen., sez. V, 03-07-2009, n. 30080.
Per la configurazione del concorso nel reato (art. 110 c.p.), il quale richiede che l’azione incriminata
sia frutto di volontaria adesione alla condotta tipica altrui, occorre che il soggetto passivo non abbia
chiesto ausilio all’ipotizzato concorrente nel reato, o che gli abbia dato un mandato di cui il
mandatario abbia abusato, o almeno che ne sia stato dissuaso dal sottrarsi alla minaccia; con la
conseguenza che in assenza di prove certe ed univoche che accertino la sussistenza di tali elementi,
la condotta di colui che consegni una somma di denaro all’autore di un’estorsione in nome
dell’offeso, non integra gli estremi del reato di concorso in estorsione (art. 110 e 629 c.p.).
Cass. pen., sez. II, 06-02-2008.
È ravvisabile il delitto di estorsione qualora il locatore, con la minaccia di esercitare le azioni
giudiziarie previste a tutela del credito, si faccia dare dalla vittima somme superiori ai canoni di
locazione dovuti.
Cass. pen., sez. II, 12-07-2007.
La minaccia di porre fine ad un vincolo di amicizia allo scopo di ottenere un profitto non dovuto
integra gli estremi del delitto di estorsione quando sia consapevolmente strumentalizzata la
particolare vulnerabilità psicologica di chi (nella specie, una tredicenne), dalla cessazione del
legame affettivo, possa subire conseguenze deteriori esorbitanti dal dolore normalmente collegato
all’abbandono e al tradimento.
Cass. pen., sez. VI, 20-11-2007.
Non risponde di estorsione colui che, per incarico della vittima di un furto e nell’esclusivo interesse
di quest’ultima, si metta in contatto con gli autori del reato per ottenere la restituzione della cosa
sottratta mediante esborso di denaro, senza conseguire alcuna parte del prezzo.
Cass. pen., sez. II, 28-11-2007.
Integra la condotta del delitto di estorsione la pretesa di una somma di denaro, rivolta ad uno dei
partecipanti ad un’asta giudiziaria da parte di altro concorrente come compenso per l’astensione
dalla partecipazione, perché la prospettazione dell’esercizio di un diritto, nel caso di specie del
diritto di prendere parte alla gara, siccome finalizzato al conseguimento di un ingiusto profitto,
assume connotazioni minacciose.
Cass. pen., sez. II, 06-02-2008.
In tema di estorsione, la minaccia, ancorché consistente nell’esercizio di una facoltà o di un diritto
spettante al soggetto agente (e dunque all’apparenza legale), diviene contra ius quando, pur non
essendo antigiuridico il male prospettato, si faccia uso di mezzi giuridici legittimi per ottenere scopi
non consentiti o risultati non dovuti, come quando la minaccia sia fatta con il proposito di coartare
la volontà di altri per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia (nella fattispecie il
ricorrente, con la minaccia di azioni legali e persecutorie si era fatto dare dalla vittima somme anche
superiori ai canoni di locazione dovuti).
Cass. pen., sez. II, 31-03-2008.
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In tema di estorsione, l’elemento dell’ingiusto profitto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo
di tipo economico, che l’autore intenda conseguire e che non si collega ad un diritto, ovvero è
perseguito con uno strumento antigiuridico o con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico
diverso (nella fattispecie l’imputato intendeva impedire alla vittima di procedere giudizialmente nei
suoi confronti con un’azione ritenuta ingiusta).
Cass. pen., sez. II, 10-04-2008.
In tema di tentativo di estorsione, l’assenza di esplicite minacce comporta che l’idoneità della
condotta rispetto all’ingiusto risultato debba essere apprezzata in riferimento alle modalità con cui è
stata posta in essere, avendo riguardo alla personalità sopraffattrice del soggetto agente, alle
circostanze ambientali, all’ingiustizia del profitto, alle particolari condizioni soggettive della
vittima.
Cass. pen., sez. II, 10-06-2008.
In tema di delitto di estorsione, la costrizione, che deve seguire alla violenza o minaccia, attiene
all’evento del reato, mentre l’ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento, sicché
si ha solo tentativo nel caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungono il risultato di
costringere una persona al facere ingiunto (nella fattispecie la corte ha precisato che il danno era
quello che in prospettiva poteva realizzarsi attraverso l’imposizione all’acquirente di rivolgersi ad
un unico fornitore, senza la possibilità di godere dei vantaggi economici della concorrenza).
Cass. pen., sez. II, 19-06-2008.
Colui che assume la veste di intermediario fra gli estorsori e la vittima, anche se per incarico di
quest’ultimo, non risponde di concorso nel reato solo se agisce nell’esclusivo interesse della stessa
vittima e per motivi di solidarietà umana, altrimenti contribuendo la sua opera alla pressione morale
ed alla coazione psicologica nei confronti della vittima e quindi conferendo un suo apporto
causativo all’evento.
Cass. pen., sez. V, 19-06-2009, n. 35054.
In tema di estorsione, la circostanza aggravante del concorso di più persone riunite è configurabile
anche se la minaccia sia stata esercitata da un solo soggetto, in quanto non è necessaria la presenza
contestuale di più correi nel luogo di esecuzione del reato, ma è sufficiente che il soggetto passivo
percepisca che la violenza o la minaccia provengono da più persone, avendo tale fatto, per se stesso,
maggiore effetto intimidatorio.
Cass. pen., sez. II, 19-06-2009, n. 27601.
Si ha consumazione, e non mero tentativo del delitto di estorsione, allorché la cosa estorta venga
consegnata dal soggetto passivo all’estorsore, e ciò anche nelle ipotesi in cui sia predisposto
l’intervento della polizia giudiziaria che provveda immediatamente all’arresto del reo ed alla
restituzione del bene all’avente diritto.
Cass. pen., sez. II, 01-04-2009, n. 20072.
Risponde del delitto di estorsione tentata il parcheggiatore abusivo il quale, con atteggiamento
intimidatorio, compia atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere l’automobilista ad un
atto di disposizione patrimoniale, quand’anche di pochi spiccioli (nella specie, richiesta di euro
1,50).
Cass. pen., sez. II, 06-05-2008.
Integra il delitto di truffa la condotta di colui che prospetti un male come possibile ed eventuale, in
ogni caso non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona
offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente,
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perché tratta in errore dall’esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura l’estorsione se
il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poiché in tal caso la
persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o
di subire il male minacciato.
Cass. pen., sez. II, 24-06-2009, n. 39008.
I reati consumati di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione restano esclusi
dall’operatività della previsione dell’art. 649 c.p., pur se posti in essere senza violenza alle persone.
SEQUESTRO DI PERSONA A SCOPO DI ESTORSIONE
G.i.p. T. Genova, 12-11-2005.
Il rapimento di neonato a scopo estorsivo integra il delitto di sequestro di persona di cui all’art. 630
c.p., il quale si pone in rapporto di specialità sia con le fattispecie che puniscono la privazione della
libertà personale (essendo caratterizzato dal dolo specifico), sia con il reato di estorsione.
A. Genova, 03-07-2006.
Il rapimento di neonato a scopo estorsivo non può integrare il delitto di sequestro di persona di cui
all’art. 630 c.p., non avendo il minore raggiunto quel minimo grado di consapevolezza che gli
consenta di comprendere la lesione infertagli attraverso la privazione della libertà di
autodeterminazione nel movimento; deve, invece, considerarsi il delitto di sottrazione di persone
incapaci di cui all’art. 574 c.p. in concorso (ovvero in continuazione) con il reato (nella fattispecie:
tentato) di estorsione ex art. 629 c.p.
Cass. pen., sez. I, 19-06-1998.
Perché si configuri il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione è sufficiente che il
soggetto passivo subisca una limitazione della libertà personale, quali ne siano il grado e la durata,
il luogo in cui avvenga e i mezzi usati per imporla, potendo il sequestro realizzarsi, oltre che con la
coercizione fisica che impedisce in concreto ogni libertà di movimento, anche attraverso l’inganno e
con motivi pretestuosi che attraggono la vittima e ne inficiano la volontà di autodeterminarsi.
Cass. pen., sez. I, 19-06-1998.
L’ingiusto profitto cui deve essere finalizzata l’azione dell’agente nel delitto di sequestro a scopo di
estorsione si identifica in qualsiasi utilità che costituisca un vantaggio per il soggetto attivo del reato
(fattispecie in ipotesi di sequestro di un familiare al fine di indurre la madre a prostituirsi).
Cass. pen., sez. III, 24-06-1997.
Ove esuli dal progetto degli imputati il conseguimento di un riscatto quale prezzo della liberazione
della donna sequestrata a fini di sfruttamento della sua prostituzione e la violenza venga esercitata
su di essa per il solo inserimento in una organizzazione, non già per liberarla, bensì per controllarla
nella determinata prostituzione, della quale doveva consegnare loro i ricavi, non è configurabile il
delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione.
Cass. pen., sez. V, 22-03-2006.
Integra gli estremi del delitto di sequestro di persona (art. 630 c.p.) - e non quelli del delitto di
estorsione (art. 629 c.p.) - la condotta criminosa consistente nella privazione della libertà di una
persona finalizzata a conseguire come prezzo della liberazione una prestazione patrimoniale, pretesa
in esecuzione di un precedente rapporto illecito, posto che il delitto di cui all’art. 630 c.p. è un reato
plurioffensivo nel quale l’elemento oggettivo del sequestro viene tipizzato dallo scopo di conseguire
un profitto ingiusto dal prezzo della liberazione, a nulla rilevando che il perseguimento del prezzo
di riscatto trovi la sua fonte in pregressi rapporti illeciti..
11
Cass. pen., sez. V, 22-11-2002.
In tema di sequestro di persona a scopo di estorsione, ai fini della concessione della circostanza
attenuante della dissociazione diretta a far riacquistare al soggetto passivo la libertà, non è richiesto
che la liberazione stessa sia conseguenza di una iniziativa spontanea del dissociato, occorrendo,
invece, da un lato, che la dissociazione sia volontaria e che si realizzi anteriormente alla liberazione
dell’ostaggio prima del pagamento del riscatto, dall’altro, che il comportamento del dissociato si
traduca in fatti concreti, finalisticamente indirizzati alla liberazione del sequestrato ed
eziologicamente rilevanti per il raggiungimento dello scopo della cessazione del sequestro.
Cass. pen., sez. I, 29-09-2000.
In tema di sequestro di persona a scopo di estorsione, la speciale attenuante prevista dall’art. 6 d.l.
15 gennaio 1991 n. 8, conv. con modif. in l. 15 marzo 1991 n. 82, a favore del concorrente
dissociatosi dagli altri il quale, nell’ambito delle ipotesi già previste dal 4º e 5º comma dell’art. 630
c.p., abbia fornito un contributo di «eccezionale rilevanza», richiede, per la sua configurabilità, che
detto contributo sia «eccezionale» nel suo complesso, e debba quindi anche concorrere, in una
qualche misura, pur non necessariamente determinante, ad assicurare l’integrità personale
dell’ostaggio e ad abbreviare la privazione della libertà (nella specie, in applicazione di tale
principio, la suprema corte ha ritenuto che correttamente fosse stata esclusa la sussistenza della
circostanza in questione in un caso in cui l’apporto del dissociato, pur definito di determinante
importanza, si era limitato alla sola fase delle indagini successive alla conclusione dell’attività
criminosa).
T. Roma, 28-06-2001.
In materia di sequestro di persona a scopo di estorsione, la circostanza attenuante della
«collaborazione» prevista dall’art. 630, 4º comma c.p., per l’ipotesi del concorrente che,
dissociatosi, si adopera in modo che la vittima riacquisti la libertà senza il pagamento del riscatto,
non può essere riconosciuta al correo che al momento dell’arresto in flagranza indichi alla polizia
giudiziaria il luogo di custodia dell’ostaggio.
Cass. pen., sez. I, 05-12-2000.
In tema di sequestro di persona a scopo di estorsione, il reato previsto dall’art. 1, 4º comma, d.l. 15
gennaio 1991 n. 8, conv. con modif. in l. 15 marzo 1991 n. 82, siccome concepito dal legislatore
solo in funzione dell’esigenza di ostacolare per quanto possibile il pagamento della somma pretesa
in cambio della liberazione dell’ostaggio, è configurabile (salvo che si tratti di prossimi congiunti),
anche quando l’attività di intermediazione sia mossa da solo spirito di solidarietà con le vittime del
reato, differenziandosi comunque il reato anzidetto da quello di concorso nel sequestro di persona
per la mancanza, nell’agente, dell’animus socii, posto che l’elemento soggettivo è quello proprio di
chi non agisce di concerto con i sequestratori (diventandone quindi concorrente), ma si muove su di
un piano diverso, con lo specifico intento di favorire il mero pagamento del riscatto; il che pure
costituisce ostacolo al compimento dell’attività investigativa, il cui scopo essenziale è invece quello
di addivenire alla liberazione dell’ostaggio e alla cattura dei colpevoli.
TRUFFA
Cass. pen., sez. II, 25-02-2009, n. 24817.
Integra il reato di truffa aggravata previsto dall’art. 640, 2º comma, n. 1, c.p. e non quello di cui
all’art. 316 ter, la condotta artificiosa consistente nella falsa attestazione di versare nelle condizioni
previste dalla legge per poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento delle prestazioni sanitarie
(nel caso di specie, la suprema corte ha rigettato il ricorso avverso una sentenza di condanna per i
reati di cui agli art. 640, 2º comma, n. 1, e 483 c.p.).
12
Cass. pen., sez. II, 02-04-2009, n. 15670.
La truffa commessa da soggetto che, mediante esibizione di falso diploma di infermiere, si fa
assumere da una clinica convenzionata con il servizio sanitario nazionale, è reato a consumazione
prolungata e non reato istantaneo, atteso che lo stesso si protrae sino a che perdura l’erogazione
economica fraudolentemente conseguita, la quale rappresenta ad un tempo l’ingiusto profitto per
l’agente ed il danno per lo stato, consistente nell’esborso di pubblico denaro in cambio di servizi
espletati da soggetto non qualificato.
Cass. pen., sez. II, 03-06-2009, n. 26270.
In tema di truffa in assunzione ad un pubblico impiego (ottenuta, nella fattispecie, mediante
esibizione di falso diploma di infermiere), il requisito dell’ingiusto profitto, una volta accertata
l’esplicazione della prestazione lavorativa richiesta, non può essere ravvisato nella percezione dei
ratei di retribuzione, i quali sono dovuti al dipendente in forza del disposto di cui agli art. 2126 e
2129 c.c.: ne consegue che il reato, di natura istantanea, si consuma all’atto della costituzione del
rapporto impiegatizio.
Cass. pen., sez. II, 17-06-2009, n. 36502.
Integra il reato di truffa contrattuale aggravata, a consumazione prolungata, la condotta di chi, col
falso titolo abilitativo alla professione di infermiere, si procura l’assunzione presso una struttura
sanitaria pubblica e lì svolge continuativamente la professione, riscuotendone il corrispettivo.
Cass. pen., sez. II, 03-07-2009, n. 34059.
Ai fini della sussistenza del reato di truffa, l’idoneità dell’artificio e del raggiro non è esclusa dalla
mancanza di diligenza della persona offesa.
Cass. pen., sez. II, 09-07-2009, n. 39314.
La condotta di chi, inducendo in errore il giudice in un processo civile o amministrativo mediante
artifici o raggiri, ottenga una decisione favorevole non integra il reato di truffa, per difetto
dell’elemento costitutivo dell’atto di disposizione patrimoniale, anche quando è riferita
all’emissione di un decreto ingiuntivo, poiché quest’ultima attività costituisce esercizio della
funzione giurisdizionale.
Cass. pen., sez. II, 30-09-2009, n. 41471.
Configura il reato di truffa la condotta del dipendente di un ente locale il quale ha fatto rilevare
falsamente, attraverso la timbratura del cartellino marcatempo, la propria presenza pomeridiana in
ufficio, laddove invece si trovava presso lo stadio comunale per assistere ad un incontro di calcio.
Cass. pen., sez. II, 14-10-2009, n. 41717.
Gli artifizi o i raggiri richiesti per la sussistenza del reato di truffa contrattuale possono consistere
anche nel silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere di
farle conoscere, indipendentemente dal fatto che dette circostanze siano conoscibili dalla
controparte con ordinaria diligenza (fattispecie di tentata truffa in cui il venditore di un immobile
aveva taciuto il fatto che il mutuo per l’acquisto dello stesso era stato stipulato da soggetto
coinvolto in reato di corruzione con il rischio di possibile confisca per equivalente dell’immobile
stesso).
T. Rieti, 13-07-2009.
[11] Ciò posto, ricorrono nella predetta condotta gli elementi oggettivi e soggettivi del reato di
tentata truffa.
13
[12] Si afferma costantemente in giurisprudenza che è configurabile il reato di truffa nell'ipotesi in
cui taluno, vantando l'efficacia di pratiche di magia, ottenga in cambio dell’effettuazione di tali
pratiche un consistente corrispettivo economico (v., per tutte, Cass., 23 settembre 2005, Mura, in
relazione a fattispecie in cui l’agente si era procurato il profitto, ritenuto ingiusto, di quasi lire
cinquanta milioni in cambio di prestazioni consistenti in rituali magici asseritamente idonei a far sì
che venisse realizzato il desiderio della persona offesa di ottenere i favori sessuali di una donna:
trattasi, come risulta dal certificato del casellario giudiziale, di sentenza a carico proprio
dell’imputato Mura Umberto).
T. Rieti, 13-07-2009.
[13] Ricorre, altresì, l’aggravante speciale dell’aver ingenerato il timore di un pericolo immaginario
(in relazione alle asserite presenze maligne all’interno dell’abitazione della persona offesa e al fatto
che la stessa avesse ricevuto in passato una «fattura a morte», affermazioni che avevano causato alla
Fasciolo una sensazione di «panico»: pag. 8 delle trascrizioni testimoniali): sul punto, la
giurisprudenza afferma che integra il reato di truffa aggravata ex art. 640, comma 2, n. 2 c.p. la
condotta del soggetto che, sfruttando la notorietà creatasi di mago o guaritore esperto di pratiche
esoteriche, ingeneri nella persona offesa il pericolo immaginario dell’avveramento di gravi malattie
o di gravi incidenti e faccia credere alla stessa di poterla guarire e preservare, e così la induca in
errore, compiendo asseriti esorcismi o pratiche magiche o somministrando o prescrivendo sostanze
al fine di procurarsi un ingiusto profitto con danno della stessa (Cass., 4 marzo 2009, Campana;
Cass., 30 ottobre 2008, Quarta; Cass., 20 dicembre 2004, Simonelli; Cass., 10 giugno 2003, C.;
Cass. 24 aprile 1996, Palumbo).
[14] Deve ritenersi sussistente il requisito dell’induzione in errore di cui all’art. 640 c.p. La
circostanza - riferita dalla stessa persona offesa (pag. 20 delle trascrizioni testimoniali) - deve
ritenersi senz’altro verosimile: la donna, invero, era affetta da un morbo raro (la sindrome di
Behçet) per il quale non esiste una cura, come risulta dalla documentazione prodotta dalla parte
civile e la stessa ne era perfettamente consapevole (cfr. pag. 8 delle trascrizioni). Pertanto, anche in
considerazione della grave sintomatologia della malattia (emorragie rettali, lesioni della pelle,
artralgie, ecc.) e del conseguente stato di prostrazione psichica della donna, era naturale che la
stessa potesse attaccarsi a qualsiasi flebile speranza di guarigione, tanto più che, sulla base della
letteratura medica in materia, trattasi di malattia frequentemente mortale. Il fatto che la Fasciolo si
sia rivolta ad un suo amico carabiniere non è sufficiente ad escludere l’elemento dell’induzione in
errore, avendo la stessa dichiarato di aver agito in quel modo soltanto per sentirsi più sicura: al
momento della messa in scena dell’esorcismo (in cui il car. Scamurra era nascosto sotto al letto) il
tentativo di truffa si era ormai ampiamente perfezionato, in quanto la condotta fino ad allora posta
in essere era già di per sé idonea ed univocamente diretta a conseguire un ingiusto profitto, non
essendo necessaria a tal fine la consegna dell’assegno: invero, già in precedenza il Mura aveva detto
alla Fasciolo che avrebbe potuto pagare con un assegno e che la quantificazione del prezzo sarebbe
stata fatta alla fine.
T. Rieti, 13-07-2009.
[15] Il reato di cui al capo d’imputazione, pertanto, dev’essere riqualificato in quello di truffa
tentata: l’assegno consegnato al Mura, invero, non è stato mai posto all’incasso, essendo stato
sequestrato dal car. Scamurra, prontamente intervenuto al momento della consegna all’imputato. In
proposito, si afferma in giurisprudenza che il delitto di truffa si perfeziona non nel momento in cui
il soggetto passivo assume un’obbligazione per effetto degli artifici o raggiri subìti, bensì in quello
in cui si verifica l’effettivo conseguimento del bene economico da parte dell’agente e la definitiva
perdita di esso da parte del raggirato: pertanto, quando il reato predetto abbia come oggetto
immediato il conseguimento di assegni bancari, il danno si verifica nel momento in cui i titoli
vengono posti all’incasso ovvero usati come normali mezzi di pagamento, mediante girata, a favore
di terzi (Cass. 24 gennaio 2002, Migliorini; Cass. 28 ottobre 1997, Stabile; Cass. 16 aprile 1997,
Tassinari; Cass. 15 gennaio 1984, Susini).
T. Rieti, 13-07-2009.
14
[16] Responsabile del predetto reato, oltre al Mura, deve ritenersi anche la Vanni, la quale ha
certamente agito in concorso morale e materiale con il primo. Deve rilevarsi, innanzi tutto, che è
stata proprio lei a presentare il Mura alla Fasciolo: probabilmente, la stessa ha tratto l’ispirazione
per il suo piano criminoso dal fatto che la Fasciolo le aveva raccontato di essersi rivolta al proprio
parroco (che la conosceva da anni), il quale le aveva detto di avere avvertito in lei delle negatività
(di ben altro genere, in quanto, come riferito dalla Fasciolo, l’incontro con il prelato si era risolto
semplicemente in un’attività di preghiera: pagg. 14-15 delle trascrizioni testimoniali).
Successivamente, la Vanni ha posto in essere dei veri e propri artifici e raggiri, sfruttando l’amicizia
decennale che la legava alla persona offesa (era stata la madrina delle sue nipoti) e lo stato di
inferiorità fisica e psichica in cui quest’ultima versava: la prevenuta, invero, asseriva di avvertire,
nell’abitazione della Fasciolo, delle correnti fredde e di avere delle brutte sensazioni, tanto da
chiederle di poterle praticare la terapia in terrazzo; poi le chiedeva di consegnarle delle fotografie ed
in seguito le diceva di averle mostrate ad Umberto, riferendole che quest’ultimo aveva capito,
vedendo le foto, che stava male ed aveva bisogno di essere visitata da lui. La Vanni, inoltre,
magnificava le doti del Mura, raccontando che aveva trattato con successo molte persone (che egli
aveva fatto guarire da malattie gravi come la distrofia muscolare e l’anoressia: pag. 9) e, una volta,
le aveva detto che sua madre avrebbe avuto un infarto (cosa che, a detta dell’imputata, era poi
avvenuta). Tutto ciò era stato riferito dalla Vanni all’evidente scopo di carpire la fiducia della
Fasciolo che, disperata a causa dell’impraticabilità di terapie tradizionali, aveva finito per credere o
comunque per affidarsi alla proposta di trattamento offertale dagli imputati (probabilmente come
una sorta di «ultima spiaggia»). Inoltre, era stata la Vanni a spiegare alla Fasciolo in che cosa
sarebbe consistito l’esorcismo (pag. 11) e l’imputata ha partecipato al rituale nonostante, in base
agli accordi, non avrebbe dovuto farlo a causa del rischio che il male sottratto alla Fasciolo potesse
trasferirsi su di lei (ma il giorno stabilito per l’esorcismo la Vanni si presentava con un disegno
della «rosa dei venti» che, a suo dire, l’avrebbe protetta, il che rappresenta un ulteriore raggiro ai
danni della persona offesa). Infine, la Vanni ha preso parte alla lettura dei libri e delle formule
recitate dal Mura e, in ultimo, ha concordato con lui (o ha finto di concordare) l’entità del prezzo,
rassicurando la Fasciolo che era un trattamento di favore (pag. 13). Non vi è dubbio, pertanto, circa
la sua piena compartecipazione nel reato de quo.
Cass. pen., sez. III, 18-12-2006, n. 5012.
È punibile penalmente la condotta di colui che abbia posto in essere una situazione apparente,
contraria a quella reale, consistente in realtà nel gestire un movimento religioso, privo di qualsiasi
legittimazione ecclesiastica ufficiale, con modalità idonee a trarre in errore le vittime sulla reale
natura dell’associazione (nel caso di specie, il ricorrente non perseguiva, nella gestione della
comunità, alcuna finalità di natura spirituale o caritatevole, ma interessi di carattere patrimoniale
facendo propri i vantaggi conseguibili dalle vittime indotte, con insistenti pressioni, a prestazioni di
servizi e di opere, all’interno e all’esterno della sede della comunità, senza essere retribuite ovvero a
compiere atti di disposizione patrimoniale in suo favore senza il corrispettivo del prezzo).
Cass. pen., sez. II, 29-10-2008, n. 47623.
Sussiste il reato di truffa «contrattuale» anche nell’ipotesi in cui venga pagato un giusto
corrispettivo a fronte della prestazione truffaldinamente conseguita, posto che l’illecito si realizza
per il solo fatto che la parte sia addivenuta alla stipulazione del contratto, che altrimenti non
avrebbe stipulato, in ragione degli artifici e dei raggiri posti in essere dall’agente.
Cass. pen., sez. V, 29-01-2009, n. 14905.
Ai fini della consumazione del reato di truffa è necessario che il profitto dell’azione truffaldina
entra nella sfera giuridica di disponibilità dell’agente, non essendo sufficiente che esso sia
fuoriuscito da quella del soggetto passivo (nella specie il giudice di merito riteneva integrato il reato
in quanto il bonifico era uscito dalla sfera giuridica dell’ente erogante ed era entrato in quella del
15
truffatore, sia pure «sub condizione» attraverso l’incasso di un «concorrente inconsapevole»,
reputando irrilevante che quest’ultimo avesse, a seguito di successivi accertamenti, disvelato
l’iniziativa truffaldina dell’imputato; mentre la suprema corte afferma sussistente il mero tentativo).
Cass. pen., sez. II, 18-02-2009, n. 21609.
Integra il delitto di truffa aggravata e non quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello
stato l’utilizzazione o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere,
o l’omissione di informazioni dovute, quando hanno natura fraudolenta (in motivazione la corte ha
evidenziato la necessità di valutare, ai fini della qualificazione giuridica del fatti, la rilevanza, e le
conseguenze in ordine alle determinazioni dell’ente pubblico, di elementi come la natura fittizia
dell’ente richiedente, la presentazione di fatture materialmente false e di documenti oggetto di
rendiconto presentati anche ad altro ente, il silenzio serbato dall’imputato sull’aver ricevuto aliunde
entrate riconducibili alle medesime iniziative).
Cass. pen., sez. II, 10-03-2009.
È punibile ex art. 495 e 640, cpv., n. 1, c.p. la cittadina extracomunitaria, che - a seguito di una
lettera ministeriale con cui le era stato (erroneamente) comunicato di poter riscuotere un sussidio
statale, destinato per legge solo a cittadini italiani o di altro paese dell’Unione europea (nella specie,
c.d. bonus bebè) - lo abbia riscosso, dopo aver esibito il proprio documento d’identità e compilato il
modulo, appositamente previsto dalla legge.
Cass. pen., sez. II, 24-03-2009, n. 17472.
Non integra il delitto di tentata truffa la condotta costituita dalla produzione di falsa
documentazione a sostegno di un ricorso al prefetto avverso l’ordinanza-ingiunzione di pagamento
di una sanzione amministrativa per violazione delle norme sulla circolazione stradale, perché
l’eventuale decisione favorevole non dà luogo ad un atto di disposizione patrimoniale.
Cass. pen., sez. II, 02-04-2009, n. 15669.
Si configura il delitto di truffa aggravata in danno di ente pubblico nel caso di espletamento delle
mansioni d’ufficio, che richiedono adeguate capacità professionali, da parte di soggetto che ha
ottenuto l’impiego pubblico con artifici o raggiri consistiti nel dichiarare falsamente l’esistenza
delle condizioni e dei requisiti previsti per l’assunzione, così inducendo in errore l’ente col
conseguente danno consistente nell’esborso di pubblico denaro in cambio di servizi espletati da
soggetti non qualificati.
Cass. pen., sez. II, 02-04-2009, n. 15670.
Costituisce truffa a consumazione prolungata e non istantanea quella posta in essere da chi, dando a
credere di essere in possesso del necessario titolo di studio, si faccia assumere come dipendente
qualificato di una struttura pubblica e svolga quindi, indebitamente, le relative mansioni (principio
affermato, nella specie, con riguardo al caso di un soggetto che, mediante l’esibizione di un falso
diploma di infermiere, si era fatto assumere da una clinica convenzionata con il ssn ed aveva ivi
prestato, per un certo tempo, la propria attività).
Cass. pen., sez. II, 16-04-2009.
Posto che il momento consumativo del reato di truffa va fissato all’atto dell’effettiva, concreta e
definitiva lesione del bene tutelato e può consistere anche nella sola assunzione dell’obbligazione di
effettuare una prestazione economica, costituisce truffa consumata e non tentativo di truffa l’attività
dell’impiegato di banca che inganni i clienti facendogli sottoscrivere a loro insaputa un atto di
fideiussione, consistendo l’ingiusto profitto per la banca nel poter contare su una garanzia
patrimoniale artatamente realizzata e l’altrui danno nella soggezione del patrimonio del
sottoscrittore alla diminuzione patrimoniale nella misura equivalente all’importo garantito.
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Cass. pen., sez. II, 03-06-2009, n. 26269.
In tema di truffa finalizzata all’assunzione ad un pubblico impiego, l’attività svolta da un infermiere
all’interno di una struttura ospedaliera pubblica in difetto della necessaria qualificazione
professionale - pur potendo eventualmente integrare gli estremi del reato di abusivo esercizio di una
professione - non risulta intrinsecamente illecita, e pertanto la corresponsione del salario non
costituisce danno patrimoniale rilevante ai fini della configurabilità del reato.
Cass. pen., sez. II, 25-06-2009, n. 38317.
Commette una truffa contrattuale, a consumazione prolungata, provvista degli elementi
dell’ingiusto profitto e del corrispondente danno per la p.a., e destinata a protrarsi sino a che vi sia
l’erogazione economica fraudolentemente conseguita, colui che si procura il titolo abilitativo falso
di diploma di infermiere professionale, e induce in errore la dirigenza di una clinica medica, che in
conseguenza assume una persona carente dei requisiti necessari, e si procura l’ingiusto profitto
consistente nell’attribuzione della posizione lavorativa, del relativo stipendio, con pari danno per il
ssn.
T. Monza, 04-07-2007.
Sussistono gli estremi del reato di truffa (nella specie, aggravata ex art. 61, n. 7, c.p.) e non quelli di
appropriazione indebita, a carico del promotore finanziario il quale, con artifici e raggiri, faccia
credere ai proprio clienti di poter gestire con interessi notevolmente superiori a quelli correnti i loro
risparmi, così da carpirne la fiducia e indurli a versargli ulteriori somme poi sottratte loro con
proprio ingiusto profitto.
T. Milano, 26-06-2008.
Integra, altresì, il reato di truffa la falsa rappresentazione, in una cartella clinica tenuta da una casa
di cura convenzionata con il ssn, di patologie e conseguenti prestazioni sanitarie di cui si chieda il
rimborso, attuata, con l’indicazione di codici di Drg, simulando circostanze inesistenti, quali la
prospettazione come complesse, tanto da richiedere il ricovero anche protratto per più giorni, di
prestazioni aventi in realtà caratteristiche ambulatoriali.
T. Milano, 29-10-2008.
Deve rispondere del delitto di truffa colui che avvalendosi delle tecniche di phishing, mediante gli
artifici e i raggiri derivanti dalla sostituzione di persona (realizzata attraverso la creazione ed
utilizzazione di un account di posta elettronica ed attribuzione falsa delle generalità di un diverso
soggetto), dopo avere indotto in errore la vittima ed essersi fatto rivelare le credenziali di accesso, si
introduce nel suo servizio di home-banking, compiendo un atto dispositivo che comporta una
depauperazione del patrimonio del deceptus, con pari profitto in proprio favore.
Cass. pen., sez. II, 30-04-2009, n. 23941.
Non costituisce truffa né tentativo di truffa l’esposizione sul parabrezza dell’autovettura di un falso
contrassegno di assicurazione, atteso che il profitto derivante da una tale condotta è soltanto quello
costituito dalla circolazione senza copertura assicurativa, senza che da ciò derivi alcuno
spostamento di risorse economiche da parte del soggetto ipoteticamente truffato in favore
dell’agente.
USURA
Cass. pen., sez. II, 14-01-2009, n. 5231.
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In tema di rapporti tra il reato di usura e quello di estorsione, deve ritenersi che tali reati concorrano
tra loro ove la violenza o la minaccia, assenti al momento della stipulazione del patto usurario, siano
impiegate in un momento successivo, al fine di ottenere la realizzazione dei pattuiti «interessi o altri
vantaggi usurari» che il soggetto passivo non possa o non voglia più corrispondere, sussistendo
invece il solo reato di estorsione ove la violenza o la minaccia siano impiegate ab initio, al fine di
ottenere la dazione o la promessa dei suddetti interessi o vantaggi.
Cass. pen., sez. IV, 22-11-2007.
La condotta tipica del reato di usura non richiede che il suo autore assuma atteggiamenti
intimidatori o minacciosi nei confronti del soggetto passivo, atteso che tali comportamenti
caratterizzano la diversa fattispecie di estorsione.
Cass. pen., sez. II, 30-04-2009, n. 20868.
Lo stato di bisogno della persona offesa del delitto di usura può essere provato anche in base alla
sola misura degli interessi, qualora siano di entità tale da far ragionevolmente presumere che
soltanto un soggetto in stato di bisogno possa contrarre il prestito a condizioni talmente inique e
onerose.
Cass. pen., sez. II, 19-06-2009, n. 42322.
Il momento di consumazione del delitto di usura, in caso di rateizzazione nella corresponsione del
capitale e degli interessi illeciti pattuiti, si individua nella dazione effettiva dei singoli ratei e non
nella illecita pattuizione.
Cass. pen., sez. II, 10-07-2008, n. 34910.
In tema di delitto di usura, la riscossione degli interessi dopo l’illecita pattuizione integra il
momento di consumazione e non costituisce un post factum penalmente irrilevante (la corte ha
precisato che il delitto di usura si atteggia a delitto a consumazione prolungata, che perdura nel
tempo sino a quando non cessano le dazioni degli interessi).
Cass. pen., sez. II, 01-10-2008, n. 38812.
Il delitto di usura si configura come un reato a schema duplice, costituito da due fattispecie destinate strutturalmente l’una ad assorbire l’altra con l’esecuzione della pattuizione usuraria aventi in comune l’induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi od altri vantaggi
usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, delle quali l’una è
caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito e l’altra dalla sola accettazione del sinallagma
ad esso preordinato; ne consegue che nella prima il verificarsi dell’evento lesivo del patrimonio
altrui si atteggia non già ad effetto del reato, più o meno esteso nel tempo in relazione all’eventuale
rateizzazione del debito, bensì ad elemento costitutivo dell’illecito il quale, nel caso di integrale
adempimento dell’obbligazione usuraria, si consuma con il pagamento del debito, mentre nella
seconda, che si verifica quando la promessa del corrispettivo, in tutto o in parte, non viene
mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione dell’obbligazione rimasta inadempiuta; ne
deriva, in tema di prescrizione, che il relativo termine decorre dalla data in cui si è verificato
l’ultimo pagamento pagamento degli interessi usurari.
Cass. pen., sez. II, 30-10-2008, n. 44899.
In tema di delitto di usura, la rilevante entità della misura degli interessi pattuiti o corrisposti dà
prova anche dello stato di bisogno della persona offesa e della consapevolezza di tale stato da parte
dell’agente.
T. Pescara, 29-02-2008.
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L’approfittamento della condizione di bisogno della vittima al momento della conclusione del patto
usurario deve intendersi come approfittamento di una condizione psicologica che limita la volontà
del soggetto passivo, con la conseguenza che è irrilevante la causa del bisogno, che può essere
indifferentemente cagionato da pericoli, sventure, cause incolpevoli ovvero vizi, prodigalità o altre
cause inescusabili.
G.u.p. T. Lecce, 06-03-2008.
L’individuazione del fatto tipico ricadente nella previsione incriminatrice dell’art. 644 c.p. deve
essere effettuata esclusivamente in base alla determinazione dei tassi trimestralmente pubblicati
sulla Gazzetta Ufficiale con decreto del ministro del tesoro, non potendo ammettersi
un’integrazione della norma attraverso elementi estranei a quelli presi in considerazione dalla fonte
secondaria, cui l’art. 644 rinvia, giacché ciò si risolverebbe nella creazione da parte dell’interprete
di una diversa fattispecie incriminatrice, in violazione degli art. 25, 2º comma, cost. e 1 c.p.
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