La pazzia di Don Chisciotte in Erich Auerbach

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La pazzia di Don Chisciotte in Erich Auerbach
LA PAZZIA DI DON CHISCIOTTE IN ERICH AUERBACH
La pazzia di don Chisciotte dà luogo a inesauribili travestimenti e trucchi:
Dorotea da principessa Micomicona, il barbiere da scudiero, Sansón Carrasco da
cavaliere errante, Ginesio di Passamonte da burattinaio, e questi sono soltanto
pochi esempi. Questi tramutamenti fanno della realtà un continuo spettacolo
teatrale senza che pertanto cessi d’ esser realtà. Dove non si trasmutano
volontariamente le persone, è don Chisciotte ed è la sua pazzia a trasmutarsi,
come sempre accade, cominciando dall’oste e dalle serve della prima osteria.
La realtà si presta volenterosa a un giuoco da essa foggiato diversamente in ogni
istante, e mai essa distrugge la gaiezza di quel giuoco a cagione della gravità dei
suoi bisogni e affanni e passioni. A tutto questo dà l’avvio la pazzia di don
Chisciotte che del mondo reale e quotidiano fa uno spettacolo allegro.
[…]Come Dio fa risplendere il sole e piovere sui giusti e sugl’ingiusti, così la
pazzia di don Chisciotte illumina con serena indifferenza tutto quello che si fa sul
suo cammino e lo lascia in allegra confusione.
[…]Qui, sulla terra, l’ordinamento di ciò che è incomprensibile si riduce a un
giuoco: per quanto sia difficile dominare e giudicare i fenomeni, davanti al pazzo
cavaliere della Mancia tutto diventa un girotondo allegro, confuso e divertente.
Questa, mi sembra, la funzione della pazzia di don Chisciotte. Quando il tema - la
sortita dell’hidalgo pazzo, che vuol creare l’ ideale del cavaliere errante incominciò ad accendere la fantasia del Cervantes, gli apparve anche l’immagine
della realtà contemporanea, quale sarebbe stata confrontandola con quella
pazzia, e tale idea gli piacque, sia per la sua varietà che per l’indifferente gaiezza
che la follia diffonde su tutto quello in cui s’imbatte. E certamente trovò
altrettanto gradito che si trattasse d’una pazzia eroica e ideale, che lascia posto
alla saggezza e all’umanità. Ma dare a questa follia un significato simbolico e
tragico, mi sembra una sforzatura. Una tale interpretazione può anche esser
data, ma nel testo non esiste. Una simile gaiezza universale, estesa a tutta la
società, e con ciò libera da critiche e problemi, nella rappresentazione della vita
quotidiana, non è stata mai più tentata in Europa, né io so immaginare dove e
quando avrebbe potuto esserlo.
(E. Auerbach, Dulcinea Incantata, in Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi,
Torino, 1956, pp. 107-108, 114-116)