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Alessandro Piccirillo
La voce della pietra: il genere epigrafico nel Novecento - tra Edgar Lee Masters e Paul Celan
(H)ave, vale, salve sono 1e espressioni con cui, con qualche
sfumatura di significato, normalmente nel mondo romano ci si
salutava o ci si congedava tra vivi‘. Non meraviglia trovare le
stesse formule anche come forme di commiato tra defunti e
passanti e viceversa (in questo secondo caso come espressione di
deferenza e di cortesia verso il trapassato) già nell’epigrafia d’età
tardorepubblicana sia a Roma, sia in Italia, sia nelle province (in
particolare in Spagna ed in Grecia), per continuare poi esse durante
tutto l’Impero. […] Accanto a forme più stringate di
comunicazione si assiste contemporaneamente a strutture più
articolate di discorso, con considerazioni sulla vita e sulla morte,
generalmente attribuite al defunto, quasi un testamento spirituale
con il quale egli si accomiatava definitivamente dal mondo dei
vivi.
G. L. Gregori, Sulle origini della comunicazione
epigrafica defunto-viandante: qualche riflessione sulla
documentazione urbana d’età repubblicana, in Serta
antiqua et mediaevalia, 11, curr. M. G. Bertinelli Angeli A. Donati, Roma 2008, pp. 83-115: 83.
1. Introduzione
Un sottogenere letterario ‘minore’ per diffusione ma non per interesse poetico e retorico è quello
epigrafico, relativo dunque alle incisioni su
pietra, portatrici di forte valenza memoriale.
L’idea della poesia come epigrafia, centrale
nella poetica post-Shoah del poeta ebreo
bucovino di lingua tedesca Paul Celan (19201970), è caratteristica della scrittura di un altro
poeta, americano, che in tutt’altro contesto,
prima dei fatti terribili degli anni Quaranta in
Europa, lo aveva adottato con esiti che gli avrebbero restituito un’eco inconfondibile nella
1 Weltliteratur. Si intende qui Edgar Lee Masters (1868-1950), che del genere epigrafico si era
servito per esprimere la “rabbia” che
“nasceva dall’esperienza diretta di fatti e comportamenti visti da quell’occhio impietoso e oggettivo che è uno studio
legale”1.
Questo breve saggio mette a fuoco il modo in cui Masters e Celan sviluppano il tema della “voce
della pietra” e della “poesia come epigrafia”, tenendo presente che “ciò che è accaduto” costituisce
una cesura fondamentale a livello stilistico e tematico. Far parlare la pietra per entrambi sarà una
figura del dire l’indicibile, della poesia come luogo fisico su cui incidere per esprimere il riscatto
contro la morte. E’ questo l’inaspettato trait d’union tra Masters e Celan (pur con importanti
differenze di poetica).
2. Edgar Lee Masters.: “poeta per la verità”2
Edgar Lee Masters nasce nel 1868 a Garnett, in Kansas. Nel 1880 si trasferisce a Lewistown,
nell’Illinois, sulle rive dello Spoon. L’ispirazione per la Spoon River Anthology giunge con la
lettura degli epitaffi contenuti nell’Antologia Palatina del IV sec. a.C. (che consta di circa 3700
epigrammi relativi alle tematiche più diverse).
La prima edizione esce nell’aprile 1915 con lo pseudonimo di Webster Ford e contiene 213
epigrafi; a partire dalla seconda edizione, dell’anno successivo, si passerà a 244. La traduzione
italiana, invece, sarà disponibile solo dal 1943 grazie a Cesare Pavese.
Tuttavia, ciò non basterebbe a spiegare il felice esito cui è approdato Lee Masters se non si tenesse
conto del fatto che
“la poesia diventa forte quando il poeta la fa nascere da un di là della vita o, se si vuole, dalla vita che è già passata
attraverso il setaccio della morte. Se la poesia pone, ai suoi livelli più alti, un problema di verità […], allora
l’attraversamento della fine diventa una premessa essenziale”3.
Nel regno dei morti, dunque,
1
A. Porta, Postfazione in E.L. Masters, Antologia di Spoon River, a cura di A. Porta, Arnoldo Mondadori Editore, 2012,
p. 526.
2
Ivi, p. 525.
3
Ivi, p. 527.
2 “la verità della giustizia non si fa più attendere e non è più velata dagli scenari della sopraffazione”4.
In una lettura dialettica, è quindi necessario passare attraverso il negativo;
“il punto di vista di Edgar Lee Masters non approda a quel pessimismo radicale che fu di Leopardi […] ma conserva
una vitalissima capacità di reazione al di qua della morte. La poesia diventa così un linguaggio di verità che agisce nella
vita e non si limita a indicare di lontano catastrofi individuali e sociali. Merito di Lee Masters […] è l’averci parlato del
problema della verità attraverso l’esperienza quotidiana, senza tentare il salto, o il volo, verso le “verità ultime”, verso il
Sublime”5.
In che modo Lee Masters realizza le composizioni – ovvero secondo quale stile?
La forma adottata è quella del monologo – confessione: semplificando, si può dire che i personaggi
parlino essenzialmente in prima persona, talvolta rivolgendo una pungente apostrofe ai cittadini di
Spoon River o a persone care.
Va subito osservato, ad ogni modo, che nella silloge di Masters
“non c’è uno stile precostituito, che valga per tutti i monologhi, ma una forma flessibile, basata su un verso libero che si
adatta al linguaggio dei personaggi.
La forma della Spoon River Anthology può essere meglio definita […] come dialogica, non solo perché i personaggi
parlano con un ascoltatore ideale […]. I diversi linguaggi dialogano tra loro e si rispondono l’un l’altro […] a seconda
della posizione e del ruolo dei protagonisti […].
Stile dialogico che riconduce alla tradizione della narrativa più che a quella della poesia, se intesa come lirica. […] La
Spoon River Anthology […] travalica epoca e storicità perché interpreta l’esistenza con categorie che attraversano il
cerchio di fuoco della morte, pur nascendo dall’esperienza6.
Per esemplificare il tema dell’indicibile nelle poesie di Masters, si riportano due componimenti che
appaiono significativi al riguardo.
Amanda Barker
Henry got me with child,
Knowing that I could not bring forth life
4
Ibidem. Ibidem. 6
A. Porta, Postfazione in E.L. Masters, Antologia di Spoon River, op. cit., p. 528.
5
3 Without losing my own.
In my youth therefore I entered the portals of dust.
Traveler, it is believed in the village where I lived
That Henry loved me with a husband's love
But I proclaim from the dust
That he slew me to gratify his hatred.
In pochi versi percorriamo la concisa ma densa cronaca di un amore tormentato; la donna decide di
portare a termine la gravidanza, pur sapendo che questa decisione le sarà fatale: perde la propria
vita per donarla al figlio. In vita le è impossibile comunicare il suo dolore, non può far sapere alla
comunità che suo marito non l’ha mai amata davvero; perciò l’epitaffio diviene occasione di
riscatto per lei.
Mrs. Merritt
Silent before the jury
Returning no word to the judge when he asked me
If I had aught to say against the sentence,
Only shaking my head.
What could I say to people who thought
That a woman of thirty-five was at fault
When her lover of nineteen killed her husband?
Even though she had said to him over and over,
"Go away, Elmer, go far away,
I have maddened your brain with the gift of my body:
You will do some terrible thing."
And just as I feared, he killed my husband;
With which I had nothing to do, before God!
Silent for thirty years in prison!
And the iron gates of Joliet
Swung as the gray and silent trusties
Carried me out in a coffin.
4 Come già nel caso di Amanda Barker, anche qui viene descritta una relazione sentimentale con un
epilogo tragico; in questo caso a perdere la vita è sì il marito della donna, ma lei stessa viene
accusata di qualcosa che non ha mai veramente messo in atto.
Davanti alla Giuria, non può proclamare la propria innocenza: nessuno le crederebbe.
Ed ecco che, dopo aver trascorso la propria esistenza in prigione, la voce della pietra diviene per lei
l’unico riscatto possibile.
Riepilogando, si può ben dire che
“il senso che soprattutto vi si riflette è un senso di delusione, di miseria, di frustrazione, di vergogna. Mariti e mogli,
genitori e figli narrano <<quel che è accaduto>>, ciascuno dal proprio punto di vista; gli epitaffi in questo modo si
assommano per costruire il quadro composito di una comunità in cui l’individuo vive isolato, e tuttavia partecipe d’una
colpa comune e, forse, inevitabile […]”7.
Quel che è accaduto: anche Paul Celan metterà in versi la propria esperienza, e personale, e
collettiva, riferendosi a Das, was geschah, l’ Accaduto accaduto - anche se il termine, come
vedremo, è inteso in altro, ben più irreparabilmente tragico modo rispetto a Masters.
3. Paul Celan: “Io poi scrivo non per i morti, ma per i vivi – certo, per quanti sanno che ci sono
anche i morti” 8
Nato nel 1920 a Czernowitz, Celan scrive in relazione alla grande cesura novecentesca operata dalla
Shoah. Tra Masters e Celan esiste un confine non solo geografico, segnato idealmente dall’Oceano
Atlantico, ma anche storico-cronologico. Nonostante ciò, è possibile individuare dei tratti in
comune tra le due poetiche ‘epigrafiche’.
Il problema della forma dialogica era stato già affrontato da Lee Masters, nel senso di un
interlocutore ideale cui le singole poesie – confessioni possano essere rivolte.
Ma la figura dell’interlocutore è essenziale anche in Celan. Si legge infatti nel Meridiano:
“Il poema tende a un Altro, esso ne ha bisogno, esso ha bisogno di un interlocutore. Lo va
7
8
M. Cunliffe, Storia della letteratura americana, Giulio Einaudi Editore, Torino 1976, p. 268.
Paul Celan, Microliti, tr. it. a cura di D. Borso, Zandonai Editore, Rovereto 2010, p. 141.
5 cercando; e vi si
dedica.
Ogni oggetto, ogni essere umano, per il poema che è proteso verso l’Altro, è figura di questo Altro.”9
E ancora, nell’Allocuzione in occasione del conferimento del Premio letterario della Libera Città
Anseatica di Brema:
“La poesia, essendo non per nulla una manifestazione linguistica e quindi dialogica per natura, può essere un
messaggio nella bottiglia, gettato a mare nella convinzione – certo non sempre sorretta da grande speranza – che esso
possa un qualche giorno e da qualche parte essere sospinto a una spiaggia, alla spiaggia del cuore, magari. Le poesie
[…] hanno una meta.
Quale? Qualcosa di accessibile, di acquisibile, forse un tu, o una realtà, aperti al dialogo. […] E credo pure che
ragionamenti come questi accompagnano non soltanto i miei tentativi, ma anche quelli di altri poeti lirici della più
recente generazione. Sono i tentativi di chi […] s’accosta con la propria esistenza alla lingua, ferito di realtà e realtà
cercando.” 10
Ferito dalla realtà: un tratto che accomuna Lee Masters e Celan, benché quest’ultimo abbia
effettivamente subito una ferita infinitamente più grande da “ciò che è accaduto”, mentre Lee
Masters fa perlopiù riferimento ad eventi “quotidiani” che lo hanno reso un “arrabbiato” della
letteratura americana.
La poesia è intesa come un messaggio in bottiglia affidato al caso, nella speranza che qualcuno lo
raccolga e ne faccia tesoro.
Ma è anche il tentativo di cercare una spiegazione nella lingua stessa (secondo un procedimento
comune nella Qabbalah ebraica e poi nel tardo Celan, il quale “disaggrega le parole nelle loro
componenti semantiche e sintattiche, rendendone visibili gli strati, generando rimandi e sensi
sempre nuovi, poi lasciati “parlare” tutti insieme”11), arrivando alla radice più pura della parola.
Le poesie sono, infine,
“vie che una voce percorre incontro a un tu che la percepisce, […] un proiettarsi oltre di sé per trovare se stessi, una
ricerca di se stessi … una sorta di rimpatrio”12.
Per quanto riguarda la vicinanza della poesia di Celan al genere epigrafico appare opportuno
9
P. Celan, La verità della Poesia, tr. it. a cura di G. Bevilacqua, Giulio Einaudi Editore, Torino 1993, p. 16.
Ivi, pp. 35 – 36.
11
Camilla Miglio, Vita a fronte, Quodlibet ed., Macerata 2005, p. 223.
12
P. Celan, La verità della Poesia, op. cit., p. 19.
10
6 riportare un passo tratto dal saggio “Vita a fronte”.
“ “La tua poesia come epigrafia!” – annota Celan rivolgendosi a se stesso. In un doppio senso: come lettura e
decifrazione di segni commemorativi incisi su pietra, e come arte “lapidar”, lapidaria (funebre?). La poesia di Celan
chiede ai lettori di venire “studiata”. Con lo studium, ripetizione che tramanda una tradizione, i morti rivivono. L’arte
funebre rilancia verso la vita. La vita si dà in quell’ “a fronte” che è il testo, sia esso poesia o traduzione: è quello il
luogo in grado di ri-generare il proprio referente”. 13
La ripetizione è dunque cifra stilistica che permette a chi non c’è più di ri-vivere in un locus la cui
natura è prima di tutto linguistica e poetica. Ma cosa comporta questo “ripetere” ?
“Celan costruisce un apparato mnemotecnico che nel ‘ripetere’ (riscrivere nella mente e sulla pagina) ciò che non è più
lo trasforma in spazio-tempo di incontro con chi non è più. Ma questo qualcuno-qualcosa […] testimonia di un’ultima
possibilità della poesia, ma anche della sua impossibilità di ripristinare ciò che è danneggiato, di sanare le ferite”14.
Lo stesso concetto è ripreso più avanti in relazione alla ricerca di una Heimat e al modo in cui Celan
si pone nei confronti della verità. Infatti
“il segno delle memorie ricostituite in nodi mnestici […] è pieno di interruzioni. […] Solo così […] chi parla si pone,
rispetto alla perdita del luogo geografico, in uno spazio “vero”. L’ossessione di Celan, “stare nel vero”, è legata alla
necessità di trovare parole che diano luogo e paesaggio, figura, a un ritorno non dell’io lirico alla madre (patria), ma
della madre, dell’evento matrice della distruzione, distruttore a sua volta, all’io: “Mit worten holt ich dich wieder” –
“Con parole ti ho ripresa”, repetita, richiamata – in vita?”15
E ancora, facendo riferimento alla realtà disumana del campo:
“Proprio di fronte alla sconfitta delle parole e delle significazioni, ovvero della natura più profonda dell’umano,
diventano esercizio salvifico la poesia, la scrittura, che incorporano nella propria lingua ciò che sembra ammutolire”.
Perciò, mantenere una testimonianza dell’umano, per Celan, significa “abitare nel “vero” ”16.
Benché appaia paradossale, la lingua tedesca è l’unica in cui sia possibile
13
C. Miglio, Vita a fronte, op. cit., p. 21.
Ivi, p. 28.
15
Ivi, p. 58.
16
Ivi, pp. 60 – 61.
14
7 “far rivivere la memoria degli sterminati, lingua del lutto e di una tentata resurrezione attraverso la parola”17.
Per quale ragione? Considerando che
“forse l’‘altro’ sono anche tutti quelli che, pur parlando tedesco, furono sterminati da tedeschi, Celan non abbandona la
lingua tedesca […] per scrivere “non solo in memoria di, ma anche al posto dei morti, per i morti” ” 18.
Ma anche perché – ed è motivo questo che non gli permetterà di avere i dovuti apprezzamenti nella
comunità letteraria di Parigi –
“per Celan l’intransigente fedeltà alla lingua materna è […] un voto. È il legame, intoccabile perché unico oramai, con
la sua origine sommersa […]”19.
Appare spontaneo pensare che si tratti di un tributo per una figura che fa parte dei sommersi, ovvero
la madre.
A questo punto è lecito chiedersi come vada inteso l’io lirico di Celan. Ebbene
“l’io lirico di Celan […] esiste (solo) in quanto lingua. […] L’io lirico diventa soggetto lirico duale, dialogico, nel
senso che incorpora la morte nel proprio parlare […]. Si costituisce […] “dialogicamente” […] come un io-tu in attesa
di un lettore […] pronto […] a saltare “saltare” nella dimensione altra. Nella poesia si tenta quello che Celan chiama
“Selbstaufhebung des Subjekts” [“autosospensione del soggetto”]”20.
Celan fa sì che i morti diventino parte integrante di sé, se ne lascia permeare in quanto presenza.
Una differenza sostanziale rispetto a Lee Masters è il modo in cui questo “dialogo” prende forma:
non come un monologo-confessione o come un appello diretto al lettore, bensì come “io liricomorte che attraverso quell’io si fa parola”21.
In altre parole, chi è l’Io di Celan? Esso
“non è lui stesso, non è neppure il poeta, è l’Uomo”22
17
Ivi, p. 69.
Ivi, p. 91.
19
Giuseppe Bevilacqua (a cura di), Eros-Nostos-Thanatos: la parabola di Paul Celan, p. XXX, in Paul Celan, Poesie,
Arnoldo Mondadori Editore, 1998.
20
Camilla Miglio, Vita a fronte, op. cit., pp. 183 – 184.
21
Ivi, p. 194.
22
Giuseppe Bevilacqua (a cura di), Eros-Nostos-Thanatos: la parabola di Paul Celan, op. cit., p. LXXVII.
18
8 secondo una suggestiva lettura di Martin Anderle.
Chi è l’Altro? Esso
“si configura spesso, e ossessivamente, come morte dell’altro. […] Non la morte in generale, bensì la morte
specifica”23;
tanto per citare un esempio, il Meister aus Deutschland (cfr. Todesfuge).
Non solo: il Tu è anche un “A-fronte”, un Gegenüber, che per Celan è “la madre/la terra inabissata”
O anche “la lingua dei Nomi, in cui cercare sempre provvisorio asilo”. Questo Gegenüber non è
“necessariamente ‘qualcuno’ […]. L’io e il tu non sono identità stabili, bensì discrete, che si ridefiniscono a vicenda
[…]”
24
.
L’Io e il Tu, dunque, si pongono in un rapporto di complementarità. Va comunque precisato che
non si tratta di un processo semplice. Il Tu, infatti
25
“non è mai raggiunto completamente […], se non a costo della perdita d’identità”
Todesfuge
Schwarze Milch der Frühe wir trinken sie abends
Wir trinken sie mittags und morgens wir trinken sie nachts
Wir trinken und trinken
Wir schaufeln ein Grab in den Lüften da liegt man nicht eng
Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den Schlangen der
schreibt
der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland dein goldenes
Haar Margarete
er schreibt es und tritt vor das Haus und es blitzen die Sterne er
23
Camilla Miglio, Vita a fronte, op. cit., p. 185.
Ivi, p. 249.
25
Ivi, p. 251.
24
9 .
pfeift seine Rüden herbei
er pfeift seine Juden hervor läßt schaufeln ein Grab in der
Erde
Er befiehlt uns spielt auf nun zum Tanz
Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
Wir trinken dich morgens und mittags wir trinken dich abends
wir trinken und trinken
Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den Schlangen der
schreibt
der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland dein goldenes
Haar Margarete
Dein aschenes Haar Sulamith wir schaufeln ein Grab in den
Lüften da liegt man nicht eng
Er ruft stecht tiefer ins Erdreich ihr einen ihr andern singet
und spielt
er greift nach dem Eisen im Gurt er schwingts seine Augen sind
blau
stecht tiefer die Spaten ihr einen ihr andern spielt weiter zum
Tanz auf
Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
wir trinken dich mittags und morgens wir trinken dich abends
wir trinken und trinken
ein Mann wohnt im Haus dein goldenes Haar Margarete
dein aschenes Haar Sulamith er spielt mit den Schlangen
Er ruft spielt süßer den Tod der Tod ist ein Meister aus
Deutschland
er ruft streicht dunkler die Geigen dann steigt ihr als Rauch in
die Luft
dann habt ihr ein Grab in den Wolken da liegt man nicht eng
Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
wir trinken dich mittags der Tod ist ein Meister aus
Deutschland
wir trinken dich abends und morgens wir trinken und trinken
der Tod ist ein Meister aus Deutschland sein Auge ist blau
er trifft dich mit bleierner Kugel er trifft dich genau
ein Mann wohnt im Haus dein goldenes Haar Margarete
10 er hetzt seine Rüden auf uns er schenkt uns ein Grab in der Luft
er spielt mit den Schlangen und träumet der Tod ist ein Meister
aus Deutschland
dein goldenes Haar Margarete
dein aschenes Haar Sulamith
Attraverso tecniche di composizione musicale, Paul Celan tenta di esprimere in poesia ciò che,
altrimenti, è indicibile. In particolare, la realtà dei campi di concentramento e, più in generale
l’Accaduto – che non è mai nominato, né nominabile direttamente – sono qui rielaborati nella forma
della “Fuga”, in cui un tema principale è variato e reiterato sino alla fine, in un costante
“rincorrersi” delle varie voci.
Qui, il tema primario è quello del “nero latte dell’alba”, che non solo richiama una condizione di
“fratellanza” all’interno del lager – condizione però rovesciata di segno, perché il latte è nero, e
dunque mortifero – ma è anche un riferimento concreto al rancio nerastro che veniva servito come
pasto.
Altro riferimento concreto è la danza, che però non è gioiosa, ma si accompagna ad un momento di
morte – e la morte stessa è definita un “Maestro/Mastro tedesco” (un chiaro sovvertimento del
Meister come artigiano meticoloso – e la precisione era una caratteristica presente nei campi: non
realtà folle, ma scrupolosamente progettata; cfr. anche il Wilhelm Meister goethiano),
L’Accaduto non è dunque nominabile se non per via indiretta, ovvero riferendosi a loci mnestici: ne
sono esempio anche le figure di Margarete e Sulamith, rispettivamente emblema della donna sedotta
e abbandondata (cfr. Faust) ma che, resasi colpevole di infanticidio, se ne assume la responsabilità
(ma anche tòpos della donna ariana); Sulamith, che è donna dalla pelle scura e bellezza per
antonomasia.
Celan ribadisce quindi che una ricostruzione e un riscatto sono dunque possibili a partire dal
nominare nella poesia icone di una tradizione letteraria condivisa e loci mnestici: è una
deterritorializzazione dei fatti in “luoghi letterari”, così che essi possano divenire dicibili:
testimonianza ma anche occasione per far “ri-vivere” nella lingua ciò che è stato negato nella realtà.
Aspetti analoghi sono ripresi anche nella più lunga e complessa Engführung che, musicalmente
parlando, è un richiamo allo “Stretto/Stretta musicale”: un’accelerazione dell’avvicendarsi delle
voci nel finale. In questo caso i versi sono più brevi, spezzati, frammentati. Di seguito alcuni
estratti:
11 Verbracht ins
Gelände
mit der untrüglichen Spur:
Gras, auseinandergeschrieben. Die Steine, weiß,
mit den Schatten der Halme:
Lies nicht mehr -- schau!
Schau nicht mehr -- geh!
La traccia è “inconfondibile”, è quella dei convogli che portano ai campi di concentramento. L’erba
è “divisa da scritte” o “scritta in due direzioni”26: un’espressione non traducibile se non in modo
approssimativo e che si ricollega non solo all’idea di una Wortlandschaft, di un “paesaggio di
parole” (in cui l’elemento linguistico e quello naturale sono inscindibili), ma anche all’impossibilità
di capire fino in fondo la natura di “ciò che stato”: è possibile solo “gettare un’ombra”; l’ombra
sulla pietra è associata alla memoria e compito del poeta è creare una epigrafe “solida”, così che la
tomba non sia “costruita nell’aria” (cfr. Todesfuge); le parole devono apparire come oggetto vivo.
Ma per dar memoria, per poter “ricominciare”, è necessario fare esperienza del dolore: in un’ottica
cristologica, si tratta di una vera e propria via crucis (cfr. anche Dante, che da vivo accede al mondo
dei morti), necessaria per poter “esperire una dimensione” altrimenti indicibile, inesperibile.
[…]
Ich bins, ich,
ich lag zwischen euch, ich war
offen, war
hörbar, ich tickte euch zu, euer Atem
26
Tipograficamente e adattando si potrebbe tentare di rendere l’espressione come:
E / divisa / R / da / B / scritte / A
E / scritte / R / la / B / separano / A
o, per evocare l’idea della bidirezionalità della scrittura:
ER | scritte-la-separano | BA, dove le “asticelle” potrebbero richiamare visivamente i solchi, la “untrügliche Spur”. Si tratta in ogni caso di un personale tentativo di traduzione o, per meglio dire, di adattamento tipografico, che non
esaurisce ovviamente le possibilità di resa di quest’immagine poetica.
12 gehorchte, ich
bin es noch immer, ihr
schlaft ja.
* Bin es noch immer -Jahre.
Jahre, Jahre, ein Finger
tastet hinab und hinan, tastet
umher […]
Ciò che resta sono macerie, particelle, frammenti, unitamente ad un’ottica materialistica, nella presa
di coscienza che Dio non è intervenuto.
[…]
Orkane.
Orkane, von je,
Partikelgestöber, das andre,
du
weißts ja, wir
lasens im Buche, war
Meinung.
[…]
Se Dio era assente, la fede viene posta nel linguaggio, nella parola che, da un punto di vista
“deterritorializzato”, è analizzabile in maniera più oggettiva.
[…]
Ja.
13 Orkane, Partikelgestöber, es blieb
Zeit, blieb,
es beim Stein zu versuchen – er
war gastlich, er
fiel nicht ins Wort.
[…]
Fiducia nella parola o, più precisamente, nella voce della pietra, elemento
“sempre più legato al motivo della lingua, del medium poetico e delle loro problematiche. Nelle prime raccolte di Celan,
in particolare fino a Sprachgitter (1959), la pietra interviene nella poesia essenzialmente come isotopia della Shoah. La
sua presenza rimanda infatti principalmente al popolo ebraico e alla sorte da esso subita, veicolando […] i motivi della
sepoltura e della memoria”27.
Ma proprio l’Hurvan insegna che ricominciare è possibile: la ricreazione non avviene a partire dal
nulla assoluto, bensì dalle macerie.
[…]
Also
stehen noch Tempel. Ein
Stern
hat wohl noch Licht.
Nichts,
nichts ist verloren.
27
Francesca Zimarri, La pietra che fiorisce, la lingua che pietrifica. Il percorso dell’ultimo Paul Celan nel ciclo
Eingedunkelt”, Tesi di laurea discussa alla facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”,
A.A. 2011/2012.
14 Hosianna.28
[…]
Il riscatto è avvenuto; la ricostruzione è possibile. Il tentativo compiuto è dunque quello di
ricostruire la salvezza attraverso la poesia. Poesia che appare dissonante, disarmonica, proprio
perché la verità sta nella perdita della serenità dell’arte e, pur ermetico ad una prima lettura, il testo
è come una vera e propria partitura musicale: va “interpretato”.
Conclusioni
Si è visto come l’interesse per il genere epigrafico accomuni Masters e Celan insieme al tentativo di
rendere dicibili durch den – und – nach dem Tod esperienze indicibili in vita e alla fiducia nel
medium poetico come momento di riscatto per chi non c’è più; ma è pur vero che i due autori sono
segnati da profonde differenze; oltre al fatto che Celan deterritorializza i Sommersi (i quali dunque
restano perlopiù anonimi, benché partecipi di una stessa sorte), mentre i personaggi di Masters
hanno un nome e un cognome, i due autori si distinguono non solo a livello tematico – il richiamo
alla quotidianità, alla realtà dell’epoca è presente in entrambi, ma in Celan assume tratti
macrocosmici, se si considera la portata del Was geschah – ma anche sul piano stilistico: l’uno
prevede dei “monologhi-confessione” tutto sommato compatti, unitari, con una forma che non si
discosta troppo dalla prosa, mentre l’altro si serve di forme più eterogenee, “sperimentando” con la
lingua (e ciò è possibile, paradossalmente, grazie al suo punto di vista deterritorializzato) per
trovarvi un senso tutto nuovo e restituire una voce a chi è stata negata (voci soprattutto femminili);
si giunge così ad un’estetica della dissonanza, dialetticamente necessaria per poter “ricostruire”.
Sulle proprie macerie sta e spera la poesia29.
28
L’idea è che i templi ci siano, nel senso che “stanno ancora in piedi”. Occorre fare attenzione anche al senso di
“Nichts, nichts ist verloren”: nulla è perduto, ma traducibile anche come “il Nulla è perduto”, nel senso che è stato
annientato. Per questo motivo in questo testo è necessario porre attenzione anche alla ripetizione delle parole e alla loro
posizione/dislocazione, ragion per cui il significato di una data parola può essere polivalente.
29
Paul Celan, Microliti, op. cit., p. 101.
15