I L`esile figura era appoggiata al vecchio parapetto

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I L`esile figura era appoggiata al vecchio parapetto
I
L’esile figura era appoggiata al vecchio parapetto di
ferro arrugginito. Il tramestio furioso dell’acqua che si
gettava tra le arcate faceva vibrare il ponte sotto i suoi
piedi. Da un mese le piogge erano abbondanti e quella
sera l’Odet, che attraversava la città nel mezzo, trascinava
con sé dei fiotti impetuosi di acqua limacciosa.
Non pioveva piú, ma si avvertiva quasi fisicamente un
cielo pesante. Nuvole basse e violente raffiche di vento
umido e temperato spazzavano le vie deserte della cittadina.
Di tanto in tanto passavano alcune automobili che
scivolavano sulla strada bagnata con uno stridio di pneumatici e che trascinavano sull’asfalto nero e lucido il
riflesso insanguinato dei loro fari rossi.
Due grandi brasserie, che il fiume separava dagli austeri
edifici della questura, splendevano di tutti i loro neon.
Tranne qualche vetrina illuminata, il resto della strada era
buio e solo i lampioni distribuivano a intervalli regolari il
loro alone di luce fredda.
Indossava un montgomery con il cappuccio tirato su ed
era immobile. Alle sue spalle, sulla collina che sovrastava
la città, i rami spogli dei grandi faggi si agitavano rabbiosamente sotto la spinta folle del vento. Qualche
bagliore lampeggiava: erano le galassie sconosciute delle
nuove costruzioni che ormai avevano raggiunto il bordo
estremo dell’argine.
Era una giovane donna. Si chiamava Mary Lester e
quella città era un po’ la sua. Le dita sottili strinsero forte
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il parapetto ruvido e freddo di ferro rugginoso. In quel
contatto ritrovò una sensazione che aveva conosciuto da
ragazzina quando, a passeggio con il nonno, voleva a tutti
i costi sporgersi sull’acqua per guardare i muggini giocare
fra i ciottoli. Le sembrava di udire ancora la voce fioca
dell’anziano:
“Non sporgerti cosí, Mary, o finirai per cadere!”
Inspirò profondamente. Cielo! Aveva quasi dimenticato quell’odore un po’ scipito di acqua salmastra che
emanava il fiume. E quel vento! Quel vento forte e tiepido che ora la cingeva come una carezza, scuotendola dalla
testa ai piedi come per scacciare l’odore della città, del
metro e della gente ammassata, miasmi che cinque anni di
vita parigina, il tempo degli studi, le avevano profondamente incrostato nella pelle.
Aveva temuto, tornando in quella città dove aveva
trascorso solo le vacanze scolastiche, di sentirsi spaesata,
quasi una straniera. Invece, con enorme sorpresa, ritrovava tutti i suoi punti di riferimento e la sua energia. Si sentiva a casa. Quella era la “sua” città. E in alto, nel piccolo cimitero sulla collina, riposavano i suoi defunti.
Si chiamava Mary Lester, aveva venticinque anni, una
laurea in diritto e un titolo di ufficiale di polizia giudiziaria
in tasca. Aveva debuttato nel mestiere a Lorient con un
immenso fragore, ma non tutti l’avevano apprezzato e per
questo motivo era stata trasferita un po’ piú a nord, in una
zona considerata tranquilla.
L’amministrazione le aveva concesso quindici giorni di
ferie per riposarsi e per potersi sistemare nella nuova
destinazione.
A Quimper, in quella piovosa serata d’autunno, Mary si
riappropriava della sua città.
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I DIAMANTI DELL’ArCIDuCA
Spinse con mano ferma la pesante porta di vetro del
Café de l’Épée, ultima vestigia del grande hotel che fu, per
mezzo secolo, il fiore all’occhiello dell’industria
alberghiera locale. Vittima del progresso e della concorrenza dei moderni alberghi le cui insegne si moltiplicavano agli incroci delle superstrade, il Grand Hotel de
l’Épée aveva visto le sue camere trasformate in appartamenti, mentre il ristorante aveva fatto posto a una galleria
di negozi di lusso.
Era rimasto solo il bar. La porta di vetro spesso fissato
a un telaio metallico era pesante come quella di una cassaforte e resistette alla pressione. Mary lesse allora l’indicazione incollata al vetro: “tirare”. Eseguì e l’uscio si aprì
senza opporre resistenza. Le sembrava di ricordare che un
tempo quella porta si aprisse verso l’interno... Beh, l’importante era entrare. rimase un istante immobile, sforzandosi di richiamare alla mente i suoi ricordi.
I vecchi proprietari avevano sfruttato quei locali per
quasi un secolo senza mai preoccuparsi della manutenzione e al momento del passaggio di proprietà si era
imposto un rinnovamento di grande portata.
Non avevano davvero risparmiato sull’arredamento! I
sedili erano rivestiti di cuoio rosso, il piano dei tavolini in
mogano era dello stesso marmo del pavimento e al soffitto, che era stato ribassato, riluceva una costellazione di
faretti che diffondeva una luce densa. Alcuni altoparlanti
nascosti diffondevano una musica d’atmosfera che si
sposava con il brusio delle conversazioni. Non regnava
piú quel silenzio ovattato che un tempo era il segno
distintivo dei locali bene.
Mary si ricordava gli anni in cui, dopo la messa in
cattedrale, i suoi nonni, come tutta la buona società cittadina, si accomodavano nel dehors per l’aperitivo domenicale. Si sedevano sulle poltrone di vimini scricchiolante, il
nonno ordinava un vermouth-cassis, la nonna un porto e
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Mary aveva diritto, come le altre ragazzine, a una granatina che gustava con una cannuccia.
C’era un tavolo libero accanto al muro. Si sedette su
una panca confortevole. Non era davvero il caso di
rimpiangere i vecchi sedili in similpelle che, in vari punti,
restituivano le loro viscere di crine e acciaio. Per mezzo
secolo quell’arredamento rustico aveva sostenuto gli aristocratici posteriori della regione, ma non era piú quel
periodo. L’ombra delle vecchie contesse severe e gonfie di
alterigia che sorseggiavano il tè con il mignolo alzato e gli
spiriti dei gentlemen con il monocolo che fumavano un
grosso sigaro importato direttamente da L’Avana con un
bicchiere di buon cognac, erano stati spazzati via dal
tempo.
Alla destra di Mary, un gruppo di adolescenti rideva
forte e parlava ad alta voce bevendo Coca-Cola. Lo spettacolo era piú o meno lo stesso a tutti i tavoli, i giovani
avevano preso il posto degli anziani. È la vita.
Su una pedana c’era un pianoforte a mezza coda e, nella
sala in fondo, era sparito il biliardo. Mary ripensò a come
un tempo soltanto il cozzare delle palle d’avorio turbava
la quiete del locale.
Finì il suo bicchiere di Perrier con limone e rientrò in
hotel.
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