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I
Mary Lester fu strappata al sonno dal sonoro schioccare di zoccoli di legno sul selciato del vicolo. Le sembrò
che un oggetto duro raschiasse contro il muro della casa e
una porta s’aprisse sul pianerottolo. Tartassata da passi
pesanti, la scala gemette, una finestra cigolò e qualcuno
che si sforzava di bisbigliare s’informò sul tempo:
– Fa bello?
una voce dura e roca, una voce che non sapeva parlare dolcemente, squarciò le ultime ore della notte con tali
parole:
– Aria di pioggia!
E fu tutto. Tutto e abbastanza. Mary, che aveva trascorso tutte le vacanze con il nonno, pescatore, sapeva
cosa significava quell’espressione.
Aria di pioggia voleva dire tempo grigio, cielo grigio,
mare grigio. Niente vento ma una pioggerellina sottile,
tenace, capace di cadere senza smettere per ventiquattro
ore, cosí come per una settimana. Aria di pioggia era anche
un mare calmo, bonario, mosso soltanto da onde lunghe
arrivate dagli abissi dell’Atlantico per cullare le barche.
“Aria di pioggia”, aveva detto il pescatore dalla voce
rauca e Mary aveva udito un’intonazione soddisfatta in
quel verso, che era rimbalzato tra i muri di granito corrosi dal sale fino in fondo al vicolo buio che sboccava sul
mare.
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I giorni in cui si gridavano quelle parole all’alba erano
benedetti dai pescatori. Non si poteva sognare un momento migliore per la pesca: i pesci si lasciavano prendere
quasi con piacere.
Per i villeggianti, che denominavano questo clima
“pioggerella bretone”, era un incubo, significava impossibilità di andare ad abbronzarsi sulle spiagge di sabbia
fine... Erano i giorni dei grandi ingorghi, perché i turisti
che non trovavano altro da fare si mettevano in auto su
strade non adatte al traffico, giorni in cui le crêperie erano
costrette a rifiutare clienti e le città lungo il litorale erano
invase da schiere munite di cappelli e stivali incerati, come
pescatori di merluzzo.
Ma era febbraio e i villeggianti erano ritornati nelle
metropoli già da un bel pezzo e non si sarebbero fatti rivedere tanto presto. Comunque, non prima di Pasqua. Il vecchio porto aveva ritrovato la quiete invernale. Era la regola, luglio e agosto due mesi di fermento e confusione, due
mesi pieni di vita. Restavano dieci mesi lunghi e pacifici,
troppo pacifici.
Mary tornò a letto per guardare l’ora sull’orologio in
cima al comodino. Cinque e mezza. Come a conferma di
ciò che aveva appena letto sul quadrante luminoso, la campana della chiesa vicina rintoccò due colpi striduli nella
notte. Suonava un rintocco per il quarto d’ora e due per la
mezz’ora, tre per i tre quarti e quattro quando l’ora era passata. A quel punto, un’altra campana dava il cambio e scandiva le ore con tono grave. Dong... Dong... Dong...
L’albergatore aveva fatto notare chiaramente questo
suono, precisando, con altrettanta schiettezza, che con i
doppi vetri il rumore era cosí attutito che si udiva appena. Ahimé, Mary aveva l’abitudine di dormire con la
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finestra aperta. Quel leggero fastidio non le aveva impedito di prenotare la stanza nel piccolo e vecchio
albergo che dava direttamente sul porto e dove, insieme
a una coppia di pensionati, le sembrava di essere l’unica
ospite.
Sotto la finestra si era tenuto un conciliabolo, poi i
passi si erano allontanati, scendendo lungo il vicolo. Alla
fine non si sentivano più, avevano raggiunto il porto prendendo la vecchia scala di pietra logorata da milioni di
passi affaccendati e affrettati.
Mary immaginò le sagome dei due uomini mentre si
reggevano al parapetto di ferro arrugginito fissato al muro.
Avevano lo spuntino nel cestino di vimini? Indossavano i
larghi pantaloni di cotone e la casacca rattoppata, scolorita
dal tempo e dal bucato?
No, erano pescatori non professionisti. Andavano al
pontile a imbarcarsi su un gommone a motore, non su
una pesante barca di legno da manovrare con il remo da
bratto.
Alle undici avrebbero fatto ritorno tutti tronfi, con un
paio di aguglie e una mezza dozzina di sgombri branditi
come trofei.
ormai i pescatori professionisti, quelli che rimanevano
ancora, si imbarcavano per tre settimane su dei grossi
pescherecci d’acciaio per andare a cercare il merluzzo
nero nel mare d’Irlanda. Le famiglie non si stipavano più
nelle popolose dimore del vecchio porto, vivevano in case
nuove sulle alture di Ploaré.
Il vecchio porto era votato al turismo, cosí come quello di Tréboul e Port-Rhu che, dopo un’intensa attività di
commercio e costruzione navale, aveva visto la foce trasformarsi in un museo in cui si ancoravano le vecchie bar-
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che ancora a galla. I conservifici adibiti ad altro uso ormai
ospitavano collezioni di plastici e carcasse di barche strappate ai fondali.
Cosí Douarnenez tentava di sopravvivere appoggiandosi al proprio glorioso passato.
Mary si rigirava nel letto. Adesso era del tutto sveglia.
una luce scialba cominciava a filtrare attraverso la finestra. Si alzò e scostò la tendina. Come aveva proclamato il
pescatore nella frescura dell’alba, tutto era grigio e, se
ancora non pioveva, non mancava molto. Laggiù, una piccola barca rossa e nera oltrepassava il molo sovrastato
dalla lanterna ancora accesa, che gettava lampi verdi sulle
onde e sui ciottoli scoperti dalla bassa marea. Il motore
lasciava dietro di sé una scia di schiuma; in lontananza, i
monti d’Arrée si perdevano nella nebbia.
Mary contemplò un istante il paesaggio: la spiaggia di
Ris, fiancheggiata dalle cabine, dove si rompevano le
onde, le ville con porte e finestre protette da pannelli di
legno che venivano tolti solo tre settimane all’anno, poi
lasciò cadere la tenda e tornò a coricarsi.
Quando si risvegliò, erano le nove. Scese al primo
piano a fare colazione nella stanza d’angolo che serviva
anche da salone. un’anziana signora dai capelli bianchi la
salutò con discrezione.
una tazza capovolta su un piattino indicava il posto
che la signora Mével aveva assegnato alla nuova ospite
davanti a una delle portefinestre della sala. I battenti chiusi davano su un piccolo balcone dove, in estate, la padrona appendeva delle fioriere di gerani. Ma l’epoca dei balconi fioriti era lontana e i gerani erano stati ritirati. Non
rimaneva null’altro della loro presenza se non i supporti
delle fioriere attaccati ai bulloni arrugginiti.
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Mary si sedette davanti alla tazza e guardò il paesaggio
in attesa del caffè. C’era poco movimento per strada. Sullo
scalo, un pescatore in casacca blu e berretto nero trafficava
attorno a una barca. L’aveva fatta arenare sulle grosse lastre
di granito e ora la stava svuotando di tutto il materiale.
Nella stanza regnava un’ovattata tranquillità, turbata
solo dai gemiti del cane dell’anziana signora, un cocker
molto vecchio con il pelo ormai incanutito, che sperava in
un tozzo di pane tostato.
un orologio bigouden, con borchie di ottone lucido e i
fianchi brillanti per la cera, scandiva il tempo e il pendolo, dischetto d’oro luccicante, passava e ripassava davanti
a una piccola finestra aperta come un grosso ombelico nel
ventre di legno lavorato.
Sulla tappezzeria un po’ sciupata erano appesi dei quadri. Forse opere che pittori da strapazzo squattrinati avevano lasciato alla padrona come pagamento per la pensione. I dipinti ritraevano grandi imbarcazioni a vela o, ancora, scene di vita del porto, lo scarico del pesce, le rammendatrici di reti da pesca.
Il pavimento era fatto di grosse assi di abete talmente
sfregate dalle pagliette di ferro che la parte tenera del
legno si era a poco a poco erosa e grossi nodi scuri sporgevano come verruche.
L’anziana signora tese una crosta di pane al cane, poi
guardò Mary con un sorriso di scuse:
– È molto vecchio – disse – e di una golosità!
Si chinò per accarezzare l’animale che la guardava con
gli occhioni all’ingiù. Mary le sorrise a sua volta e, dato
che la padrona le aveva portato il caffè, non ebbe bisogno
di rispondere. Il giornale era sul vassoio. Lo spiegò e
ancora una volta l’anziana signora le rivolse la parola:
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– Ha visto, quelle quattro persone trovate morte nella
stessa stanza?
La padrona, che era già arrivata alla scala, si fermò di
colpo, le mani sui fianchi:
– È spaventoso! Ne succedono di tutti i colori oggigiorno, non è vero? Quattro morti a neanche cento metri da qui!
Si capiva che era una donna energica. Di statura media
ma di forma prosperosa, aveva una visione squadrata del
mondo, un pugno sull’anca, gli occhi neri, le labbra serrate quasi ad annunciare che la padrona, lí, era lei e nessun
altro. Contrariarla non doveva essere una buona idea.
Nonostante il lato funebre della notizia, a Mary scappò
un sorriso provocato dall’accento della donna. Inimitabile,
pensò. Si sbagliava, perché dopo otto giorni trascorsi a
Douarnenez, proprio Mary si era sorpresa a calcare l’accento sulle sillabe finali delle parole, come faceva la signora
Mével.
– Li conosceva? – domandò Mary.
– No, signora! – rispose la padrona. – Non vedo neppure chi possa essere stato. Eppure io qui conosco tutti!
– Ninette! – una voce salí dal pianterreno. – Eh, eh, eh!
– brontolò. – Ancora una volta c’è bisogno di me! – disse alle
due donne.
Sbraitava con voce acuta in cima alla scala:
– Arrivo!
E prima di sparire si fermò un istante, il tempo di buttare lí con aria esasperata:
– Non ho un secondo per me!
La scala gemette sotto i suoi passi. Mary guardò la
vicina sorridendo e l’anziana signora si sentí obbligata a
tradurre:
– Vuole dire che è molto richiesta!
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Mary scosse la testa. Era proprio ciò che aveva creduto
di capire.
– Non è di qui, lei? – chiese ancora la vecchia signora.
Era più un’affermazione che una domanda. Mary
rispose di no e la signora dai capelli bianchi precisò:
– Qualche volta avrà difficoltà a comprendere ciò che
la gente vuole dire. Ci sono parole, costruzioni di frasi che
non si trovano da nessuna altra parte.
– E lei, lo capisce?
La signora si inorgoglí:
– Ma certo, io ci sono nata a Douarnenez!
In quelle frasi c’era un accento marcato, proprio come
in quelle pronunciate prima dalla sopracitata Ninette.
Fuori, il cielo non riusciva proprio a rischiararsi. L’aria
sembrava satura d’acqua. Sul parapetto di ferro arrugginito del vecchio bacino grossi gabbiani aspettavano chissà
che. Talora dei pescatori passavano a due metri da loro,
senza che questi si preoccupassero di muoversi.
– Siete in vacanza? – domandò gentilmente Mary.
– Sí, abitiamo nella regione parigina... Veramente siamo
in pensione...
– E andate in vacanza fuori stagione?
– Tutti gli anni veniamo per ognissanti e Carnevale.
Guardò la collina di Plomarc’h che dominava la baia e
che si raggiungeva tramite un’interminabile scala di granito:
– Sa, io sono nata in quella piccola casa bianca che
vede lassù, di fronte al mare. Quando i miei genitori sono
morti, i miei fratelli l’hanno messa in vendita. Insomma,
quando dico “i miei fratelli”, sono soprattutto le mie
cognate che hanno forzato un po’ la cosa... All’epoca avevamo ancora un prestito che ci pesava sulle spalle, non
abbiamo potuto comprarla.
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