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Nicolo Capriata
cambiamenti del genovese anche in virtù, come già s’è detto, delle continue relazioni commerciali dei Carlofortini coi centri della Liguria, e
nello stesso tempo ha risentito meno dell’influsso del sardo, non solo
per questioni di distanza geografica (l’isola di Sant’Antioco, unica isola minore d’Europa in questa situazione, si divide tra Calasetta tabarchina e Sant’Antioco linguisticamente sarda) ma anche per motivi psico-linguistici: una più o meno manifesta autostima dei parlanti, aggiunta al vigore intrinseco della lingua tabarchina.
Gli stessi immigrati a Carloforte (e in minor misura a Calasetta)
hanno sempre avviato quasi inconsapevolmente un processo di tabarchinizzazione. Il caso più vistoso è quello fornito dall’immigrazione
dei «Napoletani» giunti a Carloforte tra il 1865 ed il 1890, una cinquantina di famiglie in tutto provenienti soprattutto da Ponza (pescatori) e da Elena di Gaeta (ortolani): della loro parlata e delle loro usanze non è rimasta alcuna traccia nel tabarchino, e oggi i discendenti di
questi «Napoletani» sono in tutto e per tutto Carlofortini, anzi Tabarchini a tutti gli effetti. A testimoniare la loro origine sono rimasti soltanto i cognomi.
In compenso però il tabarchino si è arricchito, fin dai primi anni della colonizzazione, di alcune voci siciliane inerenti in particolare la terminologia della tonnara. Da segnalare è anche il fatto che sono presenti nella parlata diversi francesismi: ne sono due esempi giübasiéra (‘giberna’) e bulanxé (‘fornaio’ e anche ‘panetteria’), il primo lemma più
frequentemente usato rispetto al secondo, la cui penetrazione può essere attribuita sia all’immigrazione di ritorno dalla Tunisia che agli stretti rapporti commerciali che alla fine dell’Ottocento i Carlofortini avevano intrapreso con alcune località costiere della Francia mediterranea
soprattutto per la vendita delle aragoste.
Al di là delle piccole differenze morfologiche e lessicali tra il tabarchino di Calasetta e quello di Carloforte, messe in evidenza da Toso nel
Dizionario Etimologico Storico e ora in questa Grammatica, è interessante notare come la lingua nelle due collettività abbia in comune nel
lessico elementi di conservazione, arcaismi e innovazioni.
Brevemente alcuni esempi. I vocaboli pumota, (‘pomodoro’) purtugò (‘arancio’) e sciönia (‘federa’) sono scomparsi dal genovese corrente già dalla seconda metà dell’Ottocento e appaiono relegati nei dia18