Così vicino, così lontano: arteterapia con gli adolescenti.

Transcript

Così vicino, così lontano: arteterapia con gli adolescenti.
Così vicino, così lontano: arteterapia con
gli adolescenti.
Così vicino, così lontano: arteterapia con gli adolescenti.
di Giuliana Magalini
Prendo a prestito “così vicino – così lontano” dal titolo di un film di Wim Wenders per affrontare un
tema molto importante per l’adolescente: la distanza tra sé e l’oggetto. E qui, in particolare,
nell’osservazione dell’uso dei materiali, degli stili e della capacità di simbolizzazione che vengono
espressi all’interno di un gruppo di arteterapia.
Jeammet (2002) descrive il funzionamento psichico fisiologico specifico dell’adolescenza come
caratterizzato dalla difficoltà nel trovare la giusta distanza nelle relazioni oggettuali: “Per essere sé,
bisogna nutrirsi degli altri e al tempo stesso, differenziarsi dagli altri”. Nell’adolescenza, infatti, il
superamento della dipendenza dagli oggetti esterni costituisce una delle parti più complicate e
dolorose del lavoro di elaborazione psichica. Quanto più le basi narcisistiche sono fragili tanto più
sarà grande la fame di oggetti: “se l’altro è importante è una minaccia al mio equilibrio narcisistico e
mette a rischio la mia identità”. Il compito del conduttore del gruppo è quello di gestire la distanza e
rendere tollerabile all’adolescente ciò di cui ha bisogno con un lavoro sui confini e sulla
differenziazione dentro/fuori. E’ peculiarità delle arti quella di costruire ponti che uniscono realtà
interiore ed esteriore e l’immagine rappresenta questo ponte, incarnando pensieri ed emozioni.
In arteterapia, spesso ci si trova a confronto con una riluttanza a produrre un’immagine, poiché la
richiesta di mettere stati d’animo sul foglio può essere percepita come troppo rischiosa. Abbiamo
d’altra parte i grandi vantaggi di un’espressione non-verbale: la metafora parla alla psiche e nel suo
linguaggio stimola risonanze interne, evoca stati emotivi, suggerisce luoghi da esplorare; crea
movimento, suggerisce un’ulteriore esperienza, che la descrive e la svolge, in cui la distanza ed il
legame tra vissuto e rappresentazione permettono la visione, l’apprendimento e la conoscenza. Cito
Maria Belfiore, che era docente al corso di A.T.I. (Art Therapy Italiana) per suggerire un
comportamento da tenere rispetto all’immagine: “L’immagine è un universo sconosciuto da
esplorare con la curiosità dello straniero, la discrezione dell’ospite”. Nel pensare al tema dello
spazio emergono delle domande: lontano/vicino a che cosa? Al proprio corpo, in primo luogo, alle
emozioni, all’affettività, all’immagine prodotta da parte dell’autore, al gruppo dei pari, all’adulto. Per
analizzare il tema del “vicino-lontano” dal punto di vista dell’arteterapia è necessario considerare:
■
■
■
con quali mezzi si rappresenta? cioè l’uso dei materiali, che indica la qualità sensoria e la vicinanza
al corpo
come si rappresenta? ovvero l’aspetto formale del prodotto artistico, stile ed organizzazione
spaziale
che cosa si rappresenta? ovvero la qualità simbolica.
Come si mette in relazione l’adolescente con la propria opera.
Giuliana Magalini, tecnica mista
I materiali: con quali mezzi si rappresenta?
Il laboratorio di arteterapia, secondo l’impostazione di Art Therapy Italiana, mette a disposizione nel
setting tutti i materiali convenzionali (matite, gessi, acquarelli, tempere, colori a dita, materiali
plastici come das, pongo, creta) e materiali non convenzionali (cartoni, spaghi, compensato, legni,
lana, stoffe, ecc…). Ciascun materiale si adatta all’esigenza espressiva del momento: c’è un modo in
cui ciascuna persona ha di avvicinarsi al mezzo artistico, di sceglierlo o di impossessarsene o in cui,
viceversa, di farsi consigliare, ispirare e condurre dal terapeuta nella scelta del mezzo più
opportuno. L’arteterapeuta facilita il riconoscimento di quel mezzo che permetterà all’adolescente di
parlare simbolicamente della sua esperienza.
Cosa esprime ciascun materiale e qual è il suo linguaggio?
Se i materiali controllabili garantiscono sicurezza e dominio sul lavoro ed hanno la funzione di
contenere l’ansia, è attraverso i materiali morbidi e la loro mescolanza che si può raggiungere una
nuova negoziazione trasformativa. La pittura, in quanto materiale fluido, è più ansiogena ma offre
più possibilità trasformative rispetto al pennarello. D’altra parte una tecnica morbida può ad
esempio “spogliare troppo”. La scelta del materiale ci parla della capacità di godere o non delle
sensazioni tattili: ho visto nella mia esperienza con gli adolescenti che la capacità ed il piacere di
sporcarsi le mani o toccare la creta sono processi che avvengono nel tempo e con l’abbassamento
dei livelli di ansia. Plasmare la creta stimola il corpo e rilassa i movimenti; è uno strumento potente:
può anche agire in modo contrario. L’utilizzo dei colori a dita, ad esempio, mette in contatto con
aspetti pulsionali, facilitando quindi anche l’espressione dell’aggressività. In ogni caso, attraverso
l’uso dei materiali, e la possibilità di essere caotici e confusi, si apre anche l’occasione per creare un
nuovo e diverso ordine; processo grazie al quale avviene una regressione che permette una
integrazione ad un nuovo livello di funzionamento. La paura è quella dell’indifferenziato e comporta
la capacità di poter sopportare abbastanza a lungo l’incertezza di ciò che verrà alla luce; comporta
anche il timore di regredire ad uno stato indifferenziato, paura di abbandonarsi completamente
all’emozione. “Per un arteterapeuta insegnare al paziente l’uso di materiali e tecniche che gli sono
sconosciute, diviene possibilità di comunicare ciò che sta dentro con un mezzo insolito, a volte
sconosciuto, che appartiene si al mondo esterno, ma è anche mezzo malleabile, che si situa tra il sé e
l’oggetto di potenziale creazione (Milner, 1950). Spesso, se all’inizio i ragazzi preferiscono tenersi
lontani da materiali e stili che possono metterli troppo in relazione con il corpo, le emozioni e
l’affettività, pian piano lo svelamento, a se stessi e nell’immagine, avviene in un processo graduale,
per alcuni molto lento, all’interno di un piccolo spazio. E’ solo nel tempo, almeno tre-quattro
incontri, attraverso la relazione con il conduttore e con il gruppo, che i ragazzi possono acquistare
fiducia e utilizzare lo spazio del laboratorio per esprimere, più che per controllare i contenuti
emotivi. Inizialmente si presenta un autocontenimento nell’espressione: strutture rigide, molto
pensate, e rigoroso controllo nella costruzione dell’immagine, cautela nell’uso di materiali morbidi.
Poche le presentazioni con l’utilizzo della tempera, pochissime con l’uso di materiale plastico.
Le prime immagini dei ragazzi, dal primo incontro sulla consegna “un’immagine che ti presenti” o
“un’immagine che ti piace” avvengono nello stile lineare in forma tradizionale dove le forme sono più
purificate dal coinvolgimento emotivo, se non in alcuni casi, in lavori “ossessivi” con l’uso del
righello. L’introduzione di materiali e tecniche più prossime alle emozioni e al corpo (tempera, colori
a dita, action painting, scarabocchio…) o comunque “più libere” avviene nel tempo, spesso su mio
invito. Ho proposto l’uso dell’action painting, del dripping (*) dello scarabocchio nelle situazioni di
blocco, di eccessivo controllo dell’espressione – nei casi in cui ritenevo che il ragazzo/a potesse
“tollerare” un materiale o una tecnica più vicina al corpo. Particolarmente apprezzata poi nel tempo
la tecnica dell’action painting che – attraverso l’agire – permette l’emersione di elementi “non
pensati” e allo stesso tempo, con l’invito poi ad osservare e mettersi in comunicazione con
l’immagine creata, stimola la riflessione ed il pensiero. C’è da considerare però che il materiale
artistico può essere usato in modi diversi. Ho osservato un diffuso utilizzo “grafico” (controllato)
della tempera; o ancora: tempera per la costruzione di forme geometriche – per controllare i
contenuti – o per scritte di auto definizione. Abbastanza utilizzato l’uso del collage, di immaginimanifesto identificatorie, la copia di immagini. Alcuni tentativi di rappresentazione di visi. Le
dimensioni dei fogli scelti sono generalmente di piccola-media grandezza. Pochi i lavori
tridimensionali. Nei prossimi numeri riprenderemo il nostro discorso su come si rappresenta
l’adolescente.
Giuliana Magalini
ARTETERAPEUTA, PITTRICE, VERONA
www.giulianamagalini.it
(*) Commenta Roberto Pasini in “Forme del ‘900: occhio, corpo, libertà” sul tema Corpo e Pittura,
Edizioni Pendragon, Bologna, 2005, pag. 85: “… Con Pollock in particolare, e con l’Informale in
generale, la corporeità non si sublima più nell’opera, ma ne è il movente: dipingere non è più
rappresentare, ma agire…”