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San Giovanni è decollato, lo spettacolo no. Una Salomè contraddittoria che ha
messo a nudo le incertezze registiche più ancora che le forme scultoree delle
protagoniste.
C'era molta attesa per la prima opera in cartellone nel 2007 all' Opera di Roma,
aspettative persino più vive che per altre inaugurazioni; una regia curata da un grande
uomo di teatro come Giorgio Albertazzi, due splendide cantanti ad avvicendarsi nel
ruolo della protagonista e un prologo teatrale che prometteva di essere ben oltre un
mero omaggio alla fonte letteraria che direttamente ispirò Strauss.
E' vero che i contrattempi della malasorte non sono mancati, a cominciare dal forfait
del direttore designato per condurre il titolo di apertura del Teatro dell'Opera di Roma
Alain Lombard , sostituito frettolosamente ma con merito da Günter Neuhold.
Le due interpreti cantanti chiamate a dar voce, nei due cast, alla cinica principessa
hanno offerto molto di loro stesse, sia in termini vocali che, forse ancor più, in quelli
scenici; generosi nudi e profferte sessuali mimate esplicitamente.
Peccato che l'eros non si misuri in centimetri
quadrati di esposizione cutanea né in angoli di
abduzione degli arti inferiori; contraddittoria,
inoltre, l'impostazione registica, dal momento che
conferenze e note di regia dell'esperto Albertazzi
avevano persino
lasciato intendere di voler
interpretare
la
figura
di
Salomè
come
un'adolescente androgina, al punto da solleticare
un'omosessualità latente, e, nel caso, pedofiloincestuosa, di Erode.
Sia le due cantanti alternatesi nelle due
compagnie
di canto (Francesca Patanè e
Morenike Fadayomi, nelle foto in basso,
nell'ordine) che l'attrice (Maruska Albertazzi,
solo omonima, nella foto a lato) stanti le procacità
mostrate e le sinuosità dei movimenti, si
configuravano decisamente come giovani donne
prive di tratti mascolini e in buona confidenza con
le pratiche di alcova per la gioia dei partner.
Albertazzi rivela come tra i suoi sogni di regista vi
fosse da tempo quello di mettere in scena la
Salomè
di
Oscar
Wilde,
opera
che
dichiaratamente aveva ispirato anche Strauss, inducendolo a comporre quella sorta di
poema sinfonico-melodrammatico omonimo.
Chissà che non siano state proprio le controverse vicende personali e giudiziarie dello
scrittore inglese che fu condannato per sodomia a danno di un adolescente a indurre a
ritenere che la passione centrale nella vicenda biblica fosse non solo e non tanto il cinico
e capriccioso desiderio della giovane principessa per Jochanaan, quanto quella di
Erode per la figliastra, un tetrarca con una omosessualità latente, che divampa e si
dirige verso un oggetto che, pretendendo di riferirlo ai gusti privati dell'autore, il
regista immagina sessualmente ambiguo.
Fin qui il progetto, che, benché non facilmente condivisibile, avrebbe avuto una propria
rispettabilità; ma la scelta del cast, come si diceva, ha diametralmente smentito l'idea
primitiva e non si sa se per strizzare l'occhio ad un voyerismo promozionale o per
esasperare la crudezza delle passioni, la messa in scena ha proposto danze di seduzione
oscillanti tra il filmaccio di ambientazione orientale fine anni '50 e il wrestling erotico da
TV commerciale.
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La stessa giustapposizione del testo teatrale e di quello musicato lascia perplessi;
aggiungiamo che i due attori nei ruoli regali (Sergio Romano e Anita Bartolucci,
mentre Jochanaan aveva la voce fuori campo dello stesso Albertazzi), pur non
demeritando, sono apparsi in scena
abbigliati come presentatori di un
festival canoro, con tanto di leggii a
campeggiare
in
proscenio
e
a
permanere (uno dei due) anche
durante la rappresentazione dell'opera
di Strauss, salvo poi essere tirato via
di soppiatto da qualche solerte
assistente di scena.
Altro giudizio va formulato a carico
dell'attrice, omonima del regista, dalla
recitazione a tratti irritante, ad
ascoltare
la
quale
l'effimera
condizione di adolescenza sembra coincidere, invece, con un' inguaribile minorazione
psichica; un vero peccato, perchè l'attrazione erotica che le splendide fattezze di
Maruska Albertazzi indurrebbero, vengono frenate da sentimenti di humana pietas
per la menomazione della ragazza che impersona sulla scena.
Morenike Fadayomi è vocalmente una gradita
sorpresa, pur dovendo competere con un organico
orchestrale ben nutrito (ma sappiamo che Strauss
in più di un'occasione lo alleggerì per favorire i
cantanti) il soprano ha mantenuto una linea di
canto omogenea, senza eccessive forzature nel
grave e senza spinte nel registro acuto, dove ha
preferito
usare
la
maschera
con
buona
padronanza.
Annoshah Golesorkhi ha dato la voce, per lo più
fuori campo, a Jochanaan; penalizzato dalla
collocazione, pur tuttavia il baritono ha saputo
sfuggire il pericolo dello stentoreo oltretombismo
che caratterizza talune interpretazioni del profeta
Battista.
Strizzando l'occhio al personaggio di Jesus Christ
Superstar, invece, l' Erode di Reiner Goldberg, è
risultato capriccioso e lamentoso per scelta
interpretativa, riteniamo, più che per qualità
vocale intrinseca che non ci sentiamo di disconoscere.
Proprio la cifra vocale non è emersa in maniera limpida dall'interpretazione di Graciela
Araya nel ruolo di Erodiade, disomogenea , dura nell'emissione e spesso inutilmente
sforzata.
Mario Zeffiri è un ottimo tenore e in
Narraboth non ha certo demeritato per
qualità canora, la regia, tuttavia ha
sottratto
pathos
al
suicidio
del
personaggio, che viene consumato quasi
nell'indifferenza.
Si è detto di Neuhold chiamato alla
vigilia a sostituire Lombard; nella
seconda recita dobbiamo rilevare che la
conduzione è apparsa fluida e, salvo
qualche squilibrio di volumi, non è stata certo l'interpretazione musicale a demeritare
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nel complesso della messa in scena.
Le scene di Lorenzo Fonda hanno coniugato il simbolico (si veda il capo mozzato
gigantesco) con le seduzioni da colossal biblico stile Cinecittà in offerta speciale; i
costumi (pochi) di Elena Mannini sono stati apprezzati, temiamo, per la loro assenza.
Nota per un'inaugurazione: chi ben comincia è alla metà dell'opera, ma chi tardi arriva
si risparmia almeno i prologhi.
20.01.2007
Dario Ascoli
Le foto di scena sono di Corrado Maria Falsini
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