Impugnabile ogni atto avente natura accertativa a prescindere dal

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Impugnabile ogni atto avente natura accertativa a prescindere dal
La Cassazione conferma che in taluni casi è possibile proporre ricorso
avverso il c.d. avviso bonario ovvero il sollecito di pagamento
Impugnabile ogni atto avente natura accertativa
a prescindere dal nomen juris
di Massimo Conigliaro
dottore commercialista in Siracusa
Petrucci & Associati – Studio Legale e Tributario (Milano)
Docente Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze
La Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 16428 del 12 giugno 2007, depositata il 26 luglio
2007 (Pres. Vittoria, Rel. Cicala) ha ribadito un importante principio in tema di atti impugnabili.
Ai fini dell'accesso alla giurisdizione tributaria debbono essere qualificati come avvisi di
accertamento o di liquidazione di un tributo tutti quegli atti con cui l'Amministrazione comunica al
contribuente una pretesa tributaria ormai definita compiuta e non condizionata e ciò ancorché
tale comunicazione si concluda non con una formale intimazione al pagamento sorretta dalla
prospettazione in termini brevi dell'attività esecutiva, bensì con un invito “bonario” a versare
quanto dovuto.
I giudici di legittimità hanno precisato – con apprezzabile argomentazione – che non sono invece
immediatamente impugnabili le comunicazioni che contengano (come ad esempio quelle previste
dal comma 3 dell'art. 36-bis del D.P.R. 600/1973 e dal comma 3 dell'art. 54-bis del D.P.R.
633/1972) un “invito” a fornire “eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente
nella liquidazione dei tributi” e che quindi manifestano una volontà impositiva ancora in itinere e
non formalizzata in un atto definitivo, cancellabile solo in via di autotutela o attraverso l'intervento
del giudice 1.
1
Argomentazione supportata dal fatto che risultano poi impugnabili gli atti successivi.
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Nell'ambito di questa impostazione di diritto, che l'ente impositore non può modificare a suo
piacimento dichiarando “non impugnabili” atti che impugnabili sono, spetta al giudice di merito
sceverare con congrua motivazione gli atti impositivi dagli atti che impositivi non sono, esaminando
gli aspetti sostanziali dell'atto, che possono non trovare compiuta corrispondenza nei suoi aspetti
formali (Cass. sentenza n. 14482 del 29 settembre 2003).
L'avviso di pagamento, per potersi ritenere atto impugnabile, deve pertanto contenere tutti gli
elementi minimi necessari per individuare il tributo, nonché l'immobile gravato dall'onere
contributivo, in modo tale da non essere censurato in sede giurisdizionale per difetto di
motivazione”; dunque indica adeguati fattori da cui è ragionevole dedurre che ci si trovi di fronte
alla comunicazione di una pretesa impositiva, e non ad una richiesta di chiarimenti.
Tale impostazione, pienamente condivisibile 2, era già stata anticipata da una pregevole sentenza
di merito (la n. 100 del 10/04/2006 dep. 26/04/2006, Sezione n. 1, Pres. Fabiano, Rel. Leone, della
Commissione Tributaria Provinciale di Siracusa 3) nella quale è stato ritenuto impugnabile un
sollecito di pagamento notificato al contribuente quale primo atto portante la pretesa tributaria.
In precedenza, la Corte di Cassazione con sentenza del 28/01/2005 n. 1791 aveva ritenuto
inammissibile il ricorso proposto dinanzi al Giudice Tributario contro il mero “avviso di pagamento”
contenente una richiesta “amichevole” di versamento, trattandosi di atto irrituale e non foriero di
alcuna conseguenza negativa per il contribuente, che conserva del tutto integra la facoltà di
muovere le proprie eventuali doglianze nei confronti della cartella esattoriale che gli doveva ancora
essere notificata. Partendo, invero, dal presupposto che il diritto tributario è caratterizzato dalla
tipicità degli atti che un Ente impositore può porre in essere, in quanto espressione dell’esercizio di
un potere derivantegli direttamente dalla legge, che ne individua i presupposti e gli effetti, ha
osservato che “in linea di massima nella sfera del contribuente si possono produrre soltanto gli
effetti negativi previsti dalla legge per il tipo di atto posto in essere ed in questo contesto... si può
ritenere che l’elencazione degli atti impugnabili, che si ritrova nell’art. 19 (del D.Lgs. sul
Sia consentito sul punto il rinvio a M. CONIGLIARO, La giurisdizione tributaria tra novità normative e
orientamenti giurisprudenziali, in www.commercialistatelematico.it, giugno 2006. Per un esame completo
della disciplina, cfr. ANTICO, CONIGLIARO, FARINA, Il Contenzioso tributario, Milano, 2007, ed. Il Sole 24 Ore.
3
La sentenza per esteso è stata pubblicata nel n. 3/2006 de “il dottore commercialista – professione e
Cultura”, periodico dell’Ordine dei dottori commercialisti di Siracusa, pagg. 17-19, ed è disponibile on line
all’indirizzo http://www.odcsr.it/images/Giornale/GiornaleMagGiu2006/Pagina15MagGiu2006.pdf .
2
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contenzioso tributario) è tassativa”. Ne consegue secondo la Suprema Corte che non v’è alcuna
necessità di predisporre una tutela giurisdizionale per atti diversi, che comunque sarebbero
inidonei a produrre effetti negativi nella sfera del contribuente, come è sicuramente il mero “invito
al pagamento” inoltrato dal Concessionario delle imposte, che non è espressione di alcun potere
pubblicistico autoritativo, “ma è un atto riconducibile alla sfera privatistica di un creditore che
rivolge al suo debitore un invito di pagamento, senza che ad esso possano essere ricollegati effetti
negativi, significativi e rilevanti per il destinatario”.
Per queste considerazioni il giudice di legittimità con la sentenza del 2005 aveva concluso che
l’attuale normativa non prevede l’autonoma impugnabilità dell’invito al pagamento, dal momento
che questo atto può essere inoltrato per l’opportunità di fare emergere in via preventiva eventuali
errori (al fine di evitare un contenzioso) o per consentire il pronto adempimento quando le somme
siano invece esatte.
Quid juris qualora il concessionario, oggi agente della riscossione, notifichi un atto qualificato come
“sollecito di pagamento”, il cui contenuto è identico ad un avviso di mora relativo ad alcune
cartelle esattoriali che si assume essere state precedentemente notificate, accompagnato dalla
precisa indicazione che, in caso di mancato pagamento integrale delle somme indicate in quell’atto
entro il termine di dieci giorni, si sarebbe dato corso alle procedure di riscossione coattiva ?
Non vi è dubbio che, assumendo di non avere mai prima di allora ricevuto alcun atto di
accertamento o di liquidazione delle imposte iscritte a ruolo, né tantomeno la notifica delle cartelle
esattoriali, il contribuente non ha altra strada per tutelarsi dall’aggressione al proprio patrimonio,
“minacciata” dal Concessionario, che rivolgersi al Giudice tributario e fare valere in quella sede le
proprie ragioni contro il sollecito di pagamento. Trattasi in effetti di un atto che, sebbene
formalmente non tipico, appare diretta esplicitazione del potere riconosciuto dalla legge al
Concessionario di iniziare e portare a termine le azioni esecutive e cautelari sul patrimonio di quei
debitori che abbiano prestato acquiescenza alla notifica degli atti impositivi e non abbiano versato
quanto dovuto. È d’uopo consentire al contribuente, in relazione ad un atto avente tale natura ed
efficacia, di sollevare le proprie eccezioni al fine di impedire l’aggressione diretta al suo patrimonio.
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Il sollecito, in tali casi, è assimilabile non già ad un semplice invito bonario rivolto al debitore per la
correzione in via preventiva ed amichevole di eventuali errori, quanto all’avviso di mora, foriero di
conseguenze assai negative per il contribuente ove non tempestivamente impugnato. Soccorre a
questo riguardo proprio il disposto del richiamato art. 19 della disciplina sul contenzioso tributario
che prevede appunto l’impugnabilità di questo atto e la cui ratio complessiva, ad avviso della
stessa Corte di Cassazione, è proprio quella di “prevedere la tutela nei confronti degli atti che sono
capaci di produrre effetti negativi per il contribuente”.
Peraltro con la sentenza n. 2798 dell’08/02/2006 la stessa Corte ha ribadito il principio che in
nessun caso la notifica dell’avviso di mora può sostituire, sanandolo, il vizio costituito dalla
mancata notifica della cartella esattoriale.
Ciò anche quando quell’atto dovesse in ipotesi essere un equivalente della cartella mai notificata,
contenendone in sostanza tutti gli estremi, atteso che l’A.F. non è libera di agire a proprio
piacimento, ma deve rispettare le cadenze procedimentali imposte dalla legge e procedere
indefettibilmente alla notifica della cartella esattoriale. In mancanza di tale adempimento va
sicuramente rilevata la nullità dell’avviso di mora o del suo atto equivalente “sollecito di
pagamento”.
Peraltro è sempre possibile proporre ricorso contro il ruolo – atto tipico, impugnabile ex art. 19 D.
Lgs. 546/92, di solito non soggetto a notifica se non con la cartella di pagamento - sostenendo che
dello stesso si è per la prima volta venuti a conoscenza con la notifica del sollecito di pagamento
(la cui data a questo punto rileva ai fini del termine per impugnare).
Oggi con la sentenza n. 16428 del 12 giugno 2007, depositata il 26 luglio 2007, la Corte di
Cassazione a Sezioni Unite ha inequivocabilmente statuito che sono impugnabili anche atti atipici
qualora si traducano – di fatto - in avvisi di accertamento o di liquidazione di un tributo con cui
l'Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita compiuta e non
condizionata.
Si tratta di un importante passo per la tutela dei diritti dei contribuenti, utile ad avvicinare il sistema
tributario all’auspicata civiltà giuridica più volte ricercata.
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La sentenza per esteso
Corte di Cassazione a Sezioni Unite, sentenza n. 16428 del 12 giugno 2007, depositata il 26
luglio 2007 (Pres. Vittoria, Rel. Cicala)
Svolgimento del processo
Il sig. G.C. ricorre per cassazione deducendo sei motivi avverso la sentenza 186/66/04 del 22
novembre 2004 con cui la Commissione tributaria regionale della Lombardia (sez. distaccata
di Brescia) accoglieva l'appello del Consorzio di Bonifica della Media Pianura Bergamasca e per
l'effetto dichiarava legittima la cartella di pagamento con cui il Consorzio aveva chiesto al sig. G.C.
i contributi consortili per l'anno 2002.
Il consorzio resiste con controricorso deducendo due motivi di ricorso incidentale, il sig. G.C.
replica con controricorso al ricorso incidentale.
Il sig. G.C. ha anche depositato memoria.
Con il primo motivo di ricorso il contribuente solleva un profilo attinente alla giurisdizione
laddove impugna il passo della sentenza di secondo grado in cui si asserisce che il “piano di
classifica” con cui sono stati individuati “i criteri di riparto delle spese consortili fra i proprietari
dei comprensori immobiliari (terreni e fabbricati) ubicati nel comprensorio di modifica” (individuato
da una deliberazione del Consiglio regionale),
“non
essendo
stato
impugnato
nella
competente sede giurisdizionale amministrativa costituirebbe un presupposto imprescindibile per
verificare la correttezza dell'operato del Consorzio nella fattispecie in esame”.
Motivi della decisione - La difesa del sig. G.C. segnala che risulta pendente avanti a questa
Corte una controversia
relativa
alla
legittimità delle delibere regionali presupposto della
imposizione.
Non si ravvisano per altro motivi per procedere ad un rinvio del procedimento ai fini di
consentire una trattazione congiunta delle due controversie.
Deve essere preliminarmente esaminato il primo motivo di ricorso incidentale il Consorzio
deduce
violazione
dell'art.
19
del D.Lgs. n. 546/1992 e dell'art. 100 del codice
di
procedura civile contestando la sentenza di merito laddove ha ritenuto impugnabile l'avviso
di pagamento emesso dal Consorzio.
Il motivo deve essere rigettato.
Ritiene il Collegio che ai fini dell'accesso alla
giurisdizione tributaria debbano essere
qualificati come avvisi di accertamento o di liquidazione di un tributo tutti quegli atti con cui la
Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita; ancorché tale
comunicazione si concluda non con una formale intimazione al
pagamento sorretta dalla
prospettazione in termini brevi dell'attività esecutiva, bensì con un invito “bonario” a versare
quanto dovuto.
Cioè appare essenziale, perché si possa parlare
liquidazione, che il testo manifesti una
di
avviso
di accertamento o di
pretesa tributaria compiuta e non condizionata,
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ancorché
accompagnata
dalla sollecitazione a pagare spontaneamente per evitare spese
ulteriori (o anche essere ammesso a qualche beneficio). A differenza di quanto può dirsi a
proposito delle comunicazioni previste dal comma 3 dell'art. 36-bis del D.P.R. 600/1973 e dal
comma 3 dell'art. 54-bis del D.P.R. 633/1972; queste comunicazioni costituiscono infatti anche un
“invito” a
fornire
“eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente
liquidazione dei tributi”. Quindi manifestano una volontà impositiva ancora in itinere
nella
e non
formalizzata in un atto cancellabile solo in via di autotutela (o attraverso l'intervento del
giudice).
Nell'ambito di questa impostazione di diritto, che l'ente impositore non può modificare a suo
piacimento dichiarando “non impugnabili” atti che impugnabili sono, spetta al giudice di
merito sceverare con congrua motivazione gli atti impositivi dagli atti che impositivi non
sono, esaminando gli
aspetti
sostanziali
dell'atto,
che
possono
non
trovare compiuta
corrispondenza nei suoi aspetti formali (Cass. sentenza n. 14482 del 29 settembre 2003)
Per quanto attiene alla presente controversia, appare sufficiente rilevare che la sentenza
impugnata sottolinea: “l'avviso di pagamento impugnato deve contenere (ed effettivamente
contiene) tutti gli elementi minimi necessari per individuare il tributo, nonché l'immobile
gravato dall'onere contributivo, in modo tale da non essere censurato in sede giurisdizionale
per difetto di motivazione”; dunque indica adeguati fattori da cui è ragionevole dedurre che ci si
trovi di fronte alla comunicazione di una pretesa impositiva, e non ad una richiesta di chiarimenti.
A sua volta, il Consorzio non pone in evidenza fattori che possano contrastare la soluzione
accolta dal giudice di secondo grado. Anzi il controricorso riferisce che l'avviso costituiva una
“comunicazione recante una richiesta di pagamento”.
Come si vede si tratta di una situazione ben diversa rispetto a quella che ha formato oggetto della
pronuncia di questa Corte n. 1791 del 28 gennaio 2005 (invocata dal controricorrente)
secondo cui è correttamente motivata e quindi non è sindacabile in sede di legittimità la
valutazione del giudice di merito secondo cui un atto pur emanato dall'ente impositore non è
impugnabile avanti alla giustizia tributaria non avendo portata impositiva e costituendo invece
un sollecito al privato a collaborare con l'ente esponendo le proprie ragioni.
Giova infine sottolineare che nel caso in cui un atto sostanzialmente impositivo difetti degli
adeguati elementi formali ad esempio non contenga la dizione “avviso dì liquidazione” o
“avviso di pagamento”, ovvero “l'indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere
proposto e della commissione tributaria competente, nonché delle relative forme da osservare”,
si pone una problematica qui non rilevante. Si potrebbe infatti prospettare un vizio dell'atto, oppure
la possibilità che esso non sia idoneo a determinare la decorrenza del termine di cui all'art.
21 (ad esempio, in quanto non notificato nelle debite forme, ma solo inviato per posta), o la
eventualità di una rimessione in termini del contribuente per errore scusabile.
Deve quindi essere preso in esame il primo motivo di ricorso principale con cui la contribuente
deduce violazione e mancata applicazione dell'art. 2 e dell'art. 7, comma 5, del D.Lgs. 31
dicembre
1992,
n.
546;
omessa
od insufficiente motivazione su punto decisivo della
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controversia; Denunzia a sensi dell'art. 62, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ed art. 360, nn. 3 e
5, del codice di procedura civile;
Il motivo deve essere accolto.
Invero è assolutamente pacifico che rientra nella competenza del giudice tributario (così come
delineata dall'art. 7 del D.Lgs. 546/1992) valutare la illegittimità degli atti amministrativi generali
al limitato fine di decidere la controversia relativa ad uno specifico rapporto tributario, e senza
poter procedere all'annullamento dell'atto generale (cfr. ex pluribus la sentenza delle Sezioni Unite
n. 6265 del 22 marzo 2006).
Dunque contrariamente a quanto affermato dai giudice di
merito
compete alle Commissioni
tributarie valutare (sia pur solo al limitato fine di decidere in ordine alla legittimità dell'atto
impositivo) i “vizi contenuti negli atti amministrativi concernenti la determinazione in via generale
dei criteri applicativi degli oneri fiscali, nonché quelli attinenti alla formazione del ruolo”.
Ciò è tanto più evidente nel caso di specie in cui gli
atti amministrativi non si limitano a
stabilire i criteri di applicazione del contributo avente carattere fiscale, ma provvedono
addirittura alla individuazione dei terreni soggetti a questo onere.
Simili provvedimenti possono trovare applicazione solo quando siano legittimi cioè quando
trovino corrispondenza nelle disposizioni di legge che disciplinano il presupposto impositivo ed i
criteri di applicazione dell'onere.
Il cardine del sistema consortile è infatti ancora oggi rintracciabile nell'art. 860 del codice civile
secondo cui “i proprietari dei beni situati entro il perimetro del comprensorio sono obbligati a
contribuire nella spesa necessaria per l'esecuzione, la manutenzione e l'esercizio delle opere in
ragione del beneficio che traggono dalla bonifica”, o dalle opere cui attende il consorzio. Il
“beneficio” è dunque - ex art. 23
della Costituzione - l'elemento costitutivo dell'obbligo
contributivo, oltre che il criterio per una ripartizione dell'onere. Dunque gli atti amministrativi di
delimitazione del comprensorio e di individuazione
degli
oneri
debbono attenersi a questi
fondamentali principi, e rientra nella giurisdizione del giudice tributario verificarne la osservanza,
ove a ciò sia adeguatamente sollecitato dalla parte contribuente.
Resta, per altro fermo, che si tratta di un esborso di natura pubblicistica, non costituendo, in
senso tecnico, il corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta (come invece accade
ove
il
consorzio eroghi anche servizi individuali e misurabili come la fornitura di acqua); e
rappresentando invece
una
forma
di
finanziamento
imposizione dei relativi costi sull'area sociale che
da
di
servizio
pubblico attraverso la
tali costi ricava, nel suo insieme, un
beneficio. Senza che debba necessariamente sussistere una esatta corrispondenza costi-benefici
sul piano individuale; ma essendo sufficiente una
razionale
individuazione
dell'area
dei
beneficiari e della maggiore o minore incidenza dei benefici (può ad esempio accadere che talune
opere producano riflessi positivi solo su una parte dei consorziati e su essi soli debbano dunque
ricadere i relativi oneri).
Risultano così assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso principale, ed il secondo motivo di ricorso
incidentale.
P.Q.M.
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La Corte rigetta il primo motivo di ricorso incidentale, accoglie il primo motivo di ricorso
principale (assorbiti gli
altri
motivi del ricorso principale ed incidentale) cassa la sentenza
impugnata e rinvia la controversia avanti ad altra sezione della Commissione tributaria
regionale della Lombardia che deciderà anche in ordine alle spese del presente grado di
giudizio.
Agosto 2007
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