IntroduzIone del gIudIzIo dI prImo grado

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IntroduzIone del gIudIzIo dI prImo grado
Francesco Tesauro*
Introduzione del giudizio di primo grado
Sommario: 1. Il contenuto del ricorso – 2. La notificazione del ricorso: modi e termine – 3.
La costituzione in giudizio del ricorrente – 3.1. Conseguenze della mancata costituzione in
giudizio del ricorrente – 3.2. La costituzione in giudizio del resistente – 3.3. Il contenuto
delle controdeduzioni – 4. Motivi aggiunti. 5. Le Azioni esperibili – 6. Il catalogo degli
atti impugnabili – 6.1. Gli atti ad impugnazione differita – 6.2. L’avviso di liquidazione
– 6.3. Il provvedimento sanzionatorio – 6.4. Iscrizione a ruolo, cartella di pagamento e
ntimazione ad adempiere – 6.5 Atti delle operazioni catastali. 6.6. I pareri e i dinieghi. Il
diniego di autotutela – 6.7 Gli atti istruttori – 6.8 Gli atti doganali – 6.9 L’ingiunzione –
6.10. Ipoteca e fermo dei beni mobili – 6.11 Atti di entrate non tributarie
1. Il contenuto del ricorso
A) L’atto introduttivo del processo tributario ha forma di ricorso, il cui contenuto tipico ed essenziale è una domanda motivata, che il ricorrente rivolge al
giudice1. In dettaglio, il ricorso deve contenere l’indicazione:
a) della commissione adìta;
b) del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza o
sede legale o del domicilio eletto, nonché del codice fiscale;
c) del soggetto contro cui il ricorso è proposto;
d) dell’atto impugnato e dell’oggetto della domanda;
e) dei motivi.
Il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore e deve contenere l’indicazione
dell’incarico (salvo il caso in cui il ricorso sia proposto dalla parte senza ministero di difenso­re).
L’oggetto della domanda, o petitum, è l’annullamento di un atto o la dichiarazione di nullità; oppure, nei processi di rimborso, la condanna dell’ente impositore, previo annullamento del rifiuto di rimborso.
Il motivo del ricorso, o causa petendi, nei processi di impugnazione, è costituito dalla deduzione di un vizio (invalidante) dell’atto impugnato.
Tranne l’indicazione del codice fiscale, tutte le altre indicazioni sono prescritte
a pena di inammissibilità; è quindi inammissibile, ad esempio, il ri­corso non
motivato, o non sottoscritto2.
(*) Università degli Studi di Milano - Bicocca
1 Il processo civile inizia con un atto di citazione. Il ricorso contiene, come l’atto di citazione,
la c.d. editio actionis (ossia la formulazione della domanda che si sottopone al giudice), ma non la
vocatio in ius (la chiamata in giudizio della controparte). La prima udienza non è fissata dalla parte,
con l’atto di citazione, ma è stabilita da giudice.
Pertanto gli effetti processuali della domanda si producono dal momento del deposito del ricorso
nella segreteria della Commissione tributaria. Il momento della proposizione del ricorso assume rilievo
soltanto per gli effetti sostanziali della domanda (interruzione della prescrizione; impedimento della
decadenza; costituzione in mora in caso di domanda di rimborso di somme).
2 Quando il ricorso non è sottoscritto, più che di atto inam­missibile, sarebbe appropriato parlare
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L’inammissibilità del ricorso è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del
processo; e non è sanata dalla costitu­zione del resistente3.
Nel ricorso può essere inserita l’istanza di sospensione dell’atto impugnato e
l’istanza di discussione in pubblica udienza4.
Se la notifica del ricorso è effettuata attraverso l’ufficiale giudiziario, lo stesso
ufficiale attesta la conformità della copia all’originale. Quando invece la notifica
avviene mediante conse­gna diretta o spedizione postale, la conformità del ri­corso
depositato all’originale (consegnato o spedito) deve essere attesta­ta nel ricorso
dal difensore del ricorrente, o dal contribuente, se sta in giudizio personalmente5. Se l’attestazione è omessa, non si ha alcuna conseguenza. Ciò che interessa è la conformità dei due atti, non la mancata attestazione della conformità.
Quindi l’ufficio, se eccepisce che non vi è conformità, deve produrre in giudizio
l’originale, per dar modo alla commissione di verificare se vi sia conformità o
difformità.
B) Il ricorso, nei processi di rimborso, presuppone la previa presentazione
d’una domanda di rimborso, e si rivolge contro il rigetto, espresso o tacito.
Formalmente, dunque, è un’impugnazione, ma non lo è nella sostanza. Se
proposto contro il rigetto tacito, non vi è un atto, nei cui confronti il ricorso si
rivolge per ottenere l’annullamento.
Il ricorso, sia quando è proposto contro il rigetto tacito, sia quando è proposto contro un atto esplicito di rigetto, deve recare la deduzione in giudizio di
un diritto, di cui deve indicare il fatto costitutivo (non diversamente da quanto
si richiede nei giudizi di ripetizione di indebito, nel processo civile).
Nei processi di rimborso, oltre ad impugnare il rifiuto dell’amministrazione, occorre indicare il fatto da cui scaturisce il diritto al rimborso (ad esempio, pagamento indebito), la ragione per cui lo si ritiene indebito, e chiedere
la condanna dell’Amministrazione finanziaria o dell’ente locale. Oggetto della
domanda sono l’accertamento di un credito nei confronti dell’Amministrazione
finanziaria e la condanna a soddisfarlo (previo annullamento dell’atto che ha
negato il rimborso).
C) È ammissibile sia il ricorso proposto contro più atti (ricorso cumulativo),
sia il ricorso proposto da più soggetti (ricorso collettivo). L’ammissibilità del ricorso cumulativo deriva dall’art. 104 c.p.c.6
di atto inesistente (la qualifica di inammissibilità vale però ai fini dell’esame preliminare da parte
del presidente).
È essenziale che sia sottoscritta anche la copia.
Il ricorso, ove direttamente proposto per mezzo del servizio postale o con consegna all’ufficio finanziario, è inammissibile tutte le volte in cui manchi, nella copia depositata con la costituzione in
giudizio, la sottoscrizione dell’autore dell’atto, indipendentemente dalla circostanza che la controparte
non contesti la sottoscrizione dell’originale (Cass., 21 marzo 2001, n. 4051).
3 D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22.
4 Corte cost., 23 aprile 1998, n. 141, in Fisco, 1998, 7336.
5 L’art. 22, comma 3, del D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non sanziona tale prescrizione.
6 Cass., 1° ottobre 2004, n. 19666, in Boll.trib., 2005, 1405; Id., 20 maggio 2002, n. 7359, in Riv.
dir. trib., 2002, II, 714.
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2. La notificazione del ricorso: modi e termine
A) Per dare avvio al processo, il ricorso deve essere prima notificato all’altra
parte, poi sottoposto all’esame del giudice, mediante la costituzione in giudizio.
La notifica può essere fatta in tre modi. Il più semplice, e più usato, è la
spedizione postale (con plico senza busta, raccomandato e con avviso di ricevimento). L’altro è la consegna dell’atto alla controparte. Infine, la notifica può
essere eseguita secondo la modalità prevista dal codice di procedura civile7. In
quest’ultima ipotesi, il pubblico ufficiale consegna copia autentica dell’atto al
destinatario della notifica e restituisce l’originale al ricorrente, con la rela­zione
di notifica.
Nel caso, invece, di spedizione postale o di consegna, il ricorrente spedisce
o consegna l’originale del ricorso alla controparte e ne deposita copia conforme
per la costituzione in giudizio8.
La notificazione del ricorso alle commissioni, come la notificazione dei ricorsi ai tribunali amministrativi9, deve essere eseguita entro sessanta giorni dalla
notificazione dell’atto contro cui si ricorre10.
Infine, va notato che il termine per impugnare, pur trattandosi di termine di
decadenza11, è sospeso quando il contribuente, che riceve un avviso di accertamento, presenta istanza di accertamento con adesione. Il periodo di sospensione
è di novanta giorni dalla presentazione dell’istanza.
B) Il rigetto espresso della domanda di rimborso è da impugnare entro sessanta giorni dalla notificazione. Per i ricorsi proposti contro il “rifiuto ta­cito”
di restituzione non è previsto alcun termine decaden­ziale; il ricorso non può
essere proposto prima di novanta giorni dalla presentazione della domanda di
restituzione, e non deve essere proposto dopo la prescrizione del diritto alla
restituzione che si fa valere.
Il ricorso proposto prima della scadenza del termine per la formazione del
silenzio-rifiuto è inammissibile per difetto di interesse, ma l’inammissibilità viene
meno non appena matura il termine di formazione del silenzio-rifiuto.
3. La costituzione in giudizio del ricorrente
Secondo l’art. 22 del D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il ricorrente deve costituirsi in giudizio, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notifica
7 D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 20, commi 1 e 2, e art. 16, commi 1 e 2.
8 Il legislatore, nell’art. 22, comma 1, del D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, denomina “originale”
l’atto che viene dato alla controparte, e “copia” l’atto che viene dato al giudice. Nella prassi, perciò,
viene bollato l’atto che viene consegnato o spedito alla controparte, e su di esso è posta la delega (il
giudice conosce la delega attraverso la copia).
9 L. 6 dicembre 1971 n. 1034, art. 21.
10 D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 1.
11 L’art. 2964 c.c. dichiara inapplicabili alla decadenza le regole in tema di interruzione e sospensione della prescrizione, ma fa salva l’ipotesi che sia altrimenti disposto per la sospensione.
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del ricorso12, come nel processo amministrativo13. Deve dunque formare un fascicolo e depositarlo nella segreteria della commissione. Il fascicolo può essere
anche spedito a mezzo posta14.
Nel fa­scicolo deve essere inserito il ricorso. Si deposita copia del ricorso,
se la notificazione è avvenuta a mezzo posta o mediante consegna; si deposita
l’originale se la notificazione è avvenuta secondo le regole del codice di procedura civile.
Deve essere fornita la prova della notifica. Se la notificazione è avvenuta secondo le regole del codice, l’originale del ricorso reca la relazione di notifica; se
la notifica è avvenuta a mezzo posta, bisogna depositare la ricevuta della spedizione postale; se è stato consegnato, bisogna depositare la ricevuta rilasciata
dall’ufficio che ha ricevuto il ricorso.
Va poi depositata copia dell’atto impugnato; se si ricorre contro il rifiuto
tacito di restituzione, deve essere prodotta copia della domanda di restituzione,
con il documento che prova la presentazione.
3.1. Conseguenze della mancata costituzione in giudizio del ricorrente
Alla costituzione in giudizio del ricorrente segue la formazione del fascicolo
d’ufficio, in cui viene inserito il fascicolo del ricorrente (art. 25); nello stesso fascicolo è inserito quello della parte resistente. Se non si costituisce il ricorrente,
le controdeduzioni della parte intimata non debbono essere ricevute e, se sono
ricevute, sono prive di effetti.
La mancata costituzione del ricorrente è un caso di inammissibilità “manifesta” del ricorso15: ma non è applicabile l’art. 27, a norma del quale il presidente
della sezione esamina il ricorso e ne dichiara l’inammissibilità, se manifesta. Nel
caso di mancata costituzione del ricorrente, non vi è produzione in giudizio del
ricorso e, quindi, il presidente non può pronunciarsi su di un ricorso, che non
è stato depositato.
Solo il ricorrente è titolare del diritto di azione; se non si costituisce in
giudizio il ricorrente, non può costituirsi in giudizio l’altra parte.
Né la causa può essere iscritta nel ruolo generale (ex art. 25, comma 1), con
la conseguenza: a) che non può esservi trasmissione del fascicolo del processo
dalla segreteria al presidente della commissione tributaria (ex art. 25, comma
3); b) né può esservi, conseguentemente, assegnazione della causa ad una sezione (ex art. 26).
Pertanto, se non vi è costituzione in giudizio del ricorrente, la segreteria non
può neppure formare il fascicolo d’ufficio, e nessuno degli organi della commissione tributaria (presidente della commissione, presidente di sezione, collegio)
può prendere conoscenza del ricorso16.
12 Se la notifica è avvenuta a mezzo posta, il termine di trenta giorni decorre dalla data in cui
l’atto è ricevuto dal destinatario. Così Cass., 15 maggio 2008, n. 12185.
13 L. 6 dicembre 1971 n. 1034, art. 21.
14 Corte cost., 6 dicembre 2002, n. 520, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 22 del
D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui non consentiva l’utilizzo del servizio postale. L’art.
22 è stato poi modificato dall’art. 3-bis, comma 6, del D.l. 30 settembre 2005, n. 203.
15 D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22, comma 1.
16 Ciò trova conferma nell’art. 25, che prevede l’iscrizione del ricorso nel registro generale, ma
non l’iscrizione delle controdeduzioni; e dimostra che la costituzione in giudizio della parte intimata
presuppone la costituzione in giudizio del ricorrente. È qui palese la differenza del processo tributario
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Neppure il deposito delle controdeduzioni dà vita ad una situazione processuale, atta a far sorgere il dovere del giudice di emettere una pronuncia. Ciò
in quanto, nel processo tributario, a differenza che nel processo civile, titolare
del diritto di azione è soltanto il ricorrente. Nel processo tributario l’azione è
unilaterale, come nel processo amministrativo, e non bilaterale, come nel processo civile.
3.2. La costituzione in giudizio del resistente
La costituzione in giudizio della parte intimata deve avvenire, ai sensi dell’art.
23 D.leg 31 dicembre 1992 n. 546, entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso. Se non si costituisce in giudizio tempestivamente, la parte resistente decade
dalla facoltà di chiedere o svolgere attività processuali eventualmente precluse,
come la chiamata in causa di terzi17.
La mancata o tardiva costituzione della parte resistente non incide sul diritto,
garantito dall’art. 24 Cost., di difendersi, negando i fatti costitutivi della pretesa
attrice o contestando l’applicabilità delle norme di diritto invocate dal ricorrente,
e di produrre documenti18.
Se la costituzione avviene meno di venti giorni liberi prima dell’udienza, la
parte resistente non può produrre documenti19.
La parte resistente, fino a che non si costituisce in giudizio, non ha diritto
di ricevere l’avviso di fissazione dell’udienza (art. 31), né la notifica dell’istan­za
di pubblica udienza, né la comunicazione del dispositivo (art. 37). Inoltre, se
vi è rinuncia al ricorso del ri­corrente, il processo si estingue senza bisogno di
accetta­zione della parte non costituita.
3.3. Il contenuto delle controdeduzioni
L’amministrazione finanziaria, costituendosi in giudizio, non esercita un autonomo potere di azione, ma si limita a difendere l’atto impugnato; non può
fondare la sua difesa su elementi diversi da quelli indicati nell’atto impugnato20,
né proporre domande riconvenzionali21.
rispetto al processo civile, ove l’art. 168 c.p.c. prevede che la causa possa essere iscritta a ruolo, oltre
che su richiesta dell’attore, su richiesta del convenuto.
Altra conferma si trae dall’art. 23, comma 3, che descrive il contenuto delle controdeduzioni riecheggiando l’art. 167 c.p.c. (si prevede che la parte resistente, nelle controdeduzioni, “espone le sue
difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e indica le prove di cui intende valersi, proponendo altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e instando, se del
caso, per la chiamata di terzi in causa”, ma non prevede che formuli delle conclusioni (differendo, in
ciò, dall’art. 167 del c.p.c., che tra i contenuti della comparsa di risposta indica anche la formulazione
delle conclusioni).
Infine, anche l’art. 22, comma 2, conferma quanto sin qui sostenuto, perché, se il ricorso è inammissibile, la costituzione in giudizio del resistente non è idonea a costituire la litispendenza; infatti,
“l’inammissibilità del ricorso è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, anche se la parte
resistente si costituisce in giudizio”.
17 Cass., 5 novembre 2004, n. 21212; Id., 14 dicembre 2001, n. 15858.
18 Cass., 28 settembre 2005, n. 18962.
19 Cass, 11 aprile 2008, n. 9511.
20 Cass., 22 giugno 2001, n. 8569, ha statuito che “l’ufficio non può sostituire nella fase contenziosa
il parametro prescelto con l’atto impositivo notificato, perché il giudizio tributario, nonostante si svolga
sul rapporto, è segnato dai limiti posti con quell’atto, sicché non è consentito introdurre nel processo
nuovi temi d’indagine che alterino l’oggetto sostanziale dell’azione e della controversia”.
21 Cass., 26 marzo 2002, n. 4334.
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Nelle controdeduzioni, la parte resistente “espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricor­rente e indica le prove di cui intende valersi,
proponendo altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili
d’ufficio e instando, se del caso, per la chiamata di terzi in causa”22.
La genericità delle difese svolte nell’atto di controdeduzioni non rendono invalida la costituzione in giudizio, ma comportano la decadenza della parte resistente dal potere di sollevare eccezioni non rilevabili d’ufficio e dal proporre
istanza per la chiamata di terzi in causa23.
La posizione della parte resistente è diversa nei processi di impugnazione e
nei processi di rimborso. Nei primi, la sua posizione è limitata dal contenuto
dell’atto impugnato; nei processi di rimborso, invece, l’Amministrazione non è
vincolata dalla motivazione dell’atto con cui ha respinto la domanda di rimborso24.
4. Motivi aggiunti
I motivi dell’impugnazione devono essere dedotti nel ricorso. L’art. 24 ammette però l’integrazione dei motivi, quando sia “resa necessaria dal deposito di
documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione”. L’integrazione deve avvenire entro il termine perentorio di sessanta giorni
dalla data in cui l’interessato ha notizia del deposito dei documenti.
Se è stata già fissata la trattazione della controversia, l’interessato, a pena
di inammissibilità, deve dichiarare, non oltre la trattazione in camera di consiglio o la discussione in pubblica udienza, che intende proporre motivi aggiunti.
In tal caso la trattazione o l’udienza debbono essere rinviate ad altra data per
consentire l’integrazione dei motivi, che si effettua mediante un atto avente gli
stessi requisiti del ricorso, da notificare e depositare come il ricorso.
5. Le azioni esperibili
Dinanzi alle commissioni si può agire: a) per impugnare un provvedimento
amministrativo allo scopo di conseguirne l’annullamento, totale o parziale; b) per
impugnare un provvedimento amministrativo allo scopo di farne dichiarare la
nullità; c) con azione cautelare, per ottenere la sospensione di un provvedimento
impugnabile; d) con azione di rimborso; e) con ricorso per ottemperanza.
Le azioni di impugnazione, di nullità e di rimborso sono azioni giurisdizionali in senso pieno, che mettono capo a sentenze che passano in giudicato.
22 D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 23, comma 3.
23 Cfr. Cass, 13 maggio 2003, n. 7329. La soluzione accolta dalla Corte ha il pregio di dare subito
certezza al contribuente che, una volta decorso il termine di sessanta giorni dalla notifica del ricorso,
è posto al riparo dall’eventualità che l’ufficio proponga eccezioni o chieda di chiamare in causa altri
soggetti. Decorso il termine di sessanta giorni, l’ufficio può formulare mere difese, non eccezioni, né
istanze di sorta.
24 La motivazione del rigetto di una istanza di rimborso non limita il diritto dell’ufficio, che resiste alla pretesa del contribuente, di controdedurre, purché nell’ambito oggettivo della controversia. Così
Cass., 14 luglio 2004, n. 13056.
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L’azione cautelare si conclude con un provvedimento sospensivo; il giudizio di
ottemperanza sfocia in una sentenza, che non ha contenuto di accertamento, e
non produce quindi effetti di giudicato.
Le azioni di impugnazione hanno come fine l’emanazione di sentenze di accertamento costitutivo25; le azioni di rimborso mirano all’emanazione di sentenze
di condanna, suscettibili di esecuzione forzata e di ottemperanza.
A) Le azioni di impugnazione (o annullamento) sono proposte con ricorso,
contro uno degli atti indicati nell’art. 19, entro il termine di decadenza di sessanta giorni dalla notificazione dell’atto, allo scopo di ottenerne l’annullamento,
totale o parziale.
L’impugnazione può essere fondata su vizi formali o su vizi di contenuto degli atti impugnati. Connessa alla natura impugnatoria del processo tributario è
la rilevanza, in esso, quali motivi di annullamento degli atti impugnati, dei vizi
formali degli atti (oltre che di quelli sostanziali): vizi che, invece, sarebbero privi
di rilievo, se il giudizio tributario avesse per oggetto l’accertamento del rapporto
d’imposta, “veicolato” nel processo dall’avviso di accertamento.
Non ogni vizio dell’atto d’imposizione è però rilevante e ne giustifica l’annullamento. Vi sono anche vizi innocui. Ad esempio, l’omessa indicazione della commissione tributaria competente a decidere il ricorso non rende invalido l’atto26.
Per le commissioni tributarie non vige il divieto di annullare gli atti amministrativi, previsto per il giudice ordinario dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248,
all. E, art. 4. Non v’è dunque motivo per negare al contribuente il potere di
chiedere, ed al giudice il potere di disporre, l’annullamento degli atti autoritativi
dell’amministrazione.
Il processo tributario è infatti un processo d’impugnazione di atti amministrativi autoritativi, i cui effetti si consolidano se il ricorso non è proposto nei
termini, è inammissibile o respinto. Se il ricorso è accolto, l’atto è annullato (e
quindi non esiste più alcun rapporto); se il ricorso è respinto, il rapporto d’imposta permane, in quanto permane l’atto di cui è effetto27. Di ciò costituisce dimostrazione anche la disciplina dell’autotutela, secondo cui vi può essere ritiro
dell’atto anche dopo che il processo si è concluso con una sentenza di rigetto
del ricorso: se la sentenza fosse di mero accertamento, e sostituisse l’atto emesso
dall’Amministrazione, non vi sarebbe, dopo il giudicato, alcun atto amministrativo suscettibile di ritiro.
La natura impugnatoria del processo tributario vale a delineare la tipologia
delle sentenze, che sono sentenze di annullamento (totale o parziale) dell’atto
25 Il processo dinanzi alle commissioni ha sempre avuto carattere impugnatorio. Il regolamento
per l’imposta di ricchezza mobile del 1877 prevedeva che il contribuente potesse reclamare alle commissioni di prima istanza “contro l’operato dell’agente” (R.d. 24 agosto 1877, n. 4024, art. 80). La stessa
formulazione troviamo nel “Nuovo regolamento” del 1907 (R.d. 11 luglio 1907, art. 91).
Nel R.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, conv. con L. 7 agosto 1936, n. 1016, il ricorso alle commissioni
è sempre connotato come contestazione dell’operato dell’ufficio; il ricorso deve essere proposto entro
30 giorni “dalla notificazione del provvedimento” (R.d. 8 luglio 1937, n. 1639, art. 23).
26 Cass., 6 ottobre 2003 n. 14482.
27 Va però precisato che il processo instaurato contro un atto d’imposizione è diverso da quello
instaurato per ottenere l’adempimento di un credito, come nel caso in cui il privato agisca per ottenere
un rimborso. Nei processi di rimborso, la pronuncia del giudice accerta il credito (del contribuente)
e condanna (l’amministrazione) all’adempimento.
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impugnato, se (e nella parte in cui) accolgono la domanda del ricorrente; sono,
invece, sentenze dichiarative se, e nella parte in cui, lo respingono. Le sentenze
del giudice tributario non sono mai “sostitutive” dell’atto impugnato.
In particolare, le sentenze che respingono il ricorso contro atti d’imposizione non sostituiscono l’atto impugnato; dopo la sentenza di primo grado, che
respinge (in tutto o in parte) il ricorso, l’ufficio non porta ad esecuzione la
sentenza (l’esecuzione non si addice alle sentenze di mero accertamento), ma
l’atto d’imposizione.
Sono sentenze di condanna le sentenze che accolgono le domande di rimborso.
B) Nel Capo IV bis della legge n. 241 del 1990 sono disciplinate l’efficacia,
l’esecuzione e l’invalidità dei provvedimenti amministrativi. Si tratta di una disciplina legislativa che investe tutti gli atti amministrativi e, quindi, anche quelli
tributari. Va tenuto presente che si tratta di norme generali, che devono essere
coordinate con le disposizioni particolari presenti nel diritto tributario28.
Secondo l’art. 21-septies, comma 1, “È nullo il provvedimento amministrativo
che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione,
che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi
espressamente previsti dalla legge”.
La nullità, come forma di invalidità dei provvedimenti amministrativi29, non
è la conseguenza della violazione di qualsiasi norma imperativa, ma solo delle
norme che disciplinano: a) gli elementi essenziali del provvedimento; b) l’attribuzione delle competenze; c) il giudicato. Inoltre, il provvedimento è nullo “negli
altri casi espressamente previsti dalla legge”.
Per effetto di questa norma dobbiamo distinguere, anche in diritto tributario,
tra provvedimento nullo e provvedimento annullabile.
Il provvedimento amministrativo è nullo, in primo luogo, quando è privo degli
elementi essenziali. In via esemplificativa, l’avviso di accertamento deve essere
considerato nullo quando non è sottoscritto; quando è intestato ad un soggetto
inesistente30; quando non è notificato (ossia è notificato con notificazione da
qualificare come giuridicamente inesistente).
Il provvedimento impositivo, in secondo luogo, è nullo quando è “viziato da
28 Prima che la legge sui procedimenti amministrativi fosse modificata, la distinzione civilistica
tra atto nullo e annullabile era considerata estranea al diritto tributario e non era ammessa l’azione
di nullità dinanzi alle commissioni tributarie.
Si riteneva che, nel diritto tributario, valessero gli schemi del diritto amministrativo, e, quindi, la
nullità degli atti tributari, sancita nel diritto tributario, non era intesa nel senso in cui il codice civile
parla di nullità dei contratti. L’avviso di accertamento “nullo” era considerato come un atto che, pur
se viziato, produce effetti, come il contratto annullabile, fino a quando non è annullato.
Si osservava, poi, che, per i contratti e per gli atti processuali, vi sono regole precise che indicano
quando un atto è invalido; invece, nel diritto amministrativo, in generale, ed in quello tributario, in
particolare, non è positivamente stabilito un criterio generale in base al quale discernere i vizi “innocui”
(o mere “irregolarità”) dai vizi invalidanti.
29 In diritto civile, l’art. 1418 presuppone la distinzione tra norme imperative e norme dispositive,
che non è riferibile alle norme di diritto amministrativo. Per i contratti, la violazione di una norma
imperativa è causa di nullità. Non è necessario che la nullità sia espressamente prevista come sanzione della singola norma imperativa.
30 Ad esempio, a persona defunta, o ad una società che non esiste più, perché incorporata da
altra società.
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difetto assoluto di attribuzione”, ossia quando è emesso in situazione di “carenza di potere”. Si pensi ad un avviso di accertamento che riguardi un tributo
inesistente, o emesso da un ufficio funzionalmente o territorialmente incompetente (ossia da un ufficio che è privo della funzione impositiva esercitata)31. Ci
si deve riferire alla carenza di potere in astratto, mentre il provvedimento non
è nullo, ma è soltanto illegittimo-annullabile, quando manchi il presupposto di
fatto del tributo32.
Il secondo comma dell’art. 21-septies prevede che “Le questioni inerenti alla
nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”. Risulta dai
lavori preparatori che la violazione del giudicato è stata prevista come causa
di nullità dei provvedimenti amministrativi avendo riguardo esclusivamente al
giudicato amministrativo, per cui la norma non riguarda la violazione del giudicato tributario.
La violazione o elusione del giudicato da parte di un provvedimento tributario dev’essere considerata causa di nullità, ma la norma ora citata, relativa alle
questioni di violazione e elusione del giudicato, è rivolta a regolare i rapporti
tra giudice amministrativo e giudice ordinario, senza toccare la giurisdizione
delle commissioni tributarie.
Infine, secondo l’art. 21-septies, comma 1, è nullo il provvedimento amministrativo “negli altri casi espressamente previsti dalla legge”.
Nelle leggi tributarie sono numerosi i casi in cui un precetto dev’essere
osservato sotto comminatoria di nullità. Ad esempio, in materia di imposte dirette, è stabilita in modo esplicito la nullità degli accertamenti non sottoscritti,
non motivati o privi di altre indicazioni essenziali, come le aliquote applicate33.
È pure previsto che l’accertamento di una imposta “elusa” deve essere preceduto, “a pena di nullità”, da una richiesta di chiarimenti al contribuente34. Nello
Statuto dei diritti del contribuente è sancita espressamente la nullità degli atti
dell’ufficio che non siano conformi alla risposta (anche tacita) data in sede di
interpello ordinario35.
In tutti questi casi, dunque, non si può più sostenere che la nullità di cui
parlano le leggi tributarie corrisponde all’annullabilità disciplinata dal diritto
amministrativo. Ma è necessario ricondurre le singole previsioni di nullità, contenute nelle leggi tributarie, alla nullità disciplinata in generale dalla legge sul
provvedimento amministrativo.
L’atto nullo non è suscettibile di convalida (ex art. 1423 cod. civ.); può essere
solo rinnovato, ma con effetti ex nunc.
La previsione della nullità assorbe molte ipotesi che in precedenza erano
31 In diritto amministrativo, l’incompetenza territoriale è un vizio di legittimità. In diritto tributario, la giurisprudenza ritiene che significa carenza di potere, non sanabile e rilevabile d’ufficio in
ogni stato e grado del processo.
32 In diritto amministrativo, l’atto (nullo o inesistente) emesso in “carenza di potere” implica la
giurisdizione dichiarativa del giudice ordinario; l’atto che è il risultato di un esercizio illegittimo del
potere è invece da impugnare dinanzi al giudice amministrativo.
In diritto tributario, la tutela spetta alle commissioni anche quando si alleghi carenza di potere.
Cfr. Cass., sez. un., 23 novembre 1995, n. 12108.
33 D.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42.
34 D.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis.
35 L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 11, comma 2.
507
Francesco Tesauro
ricondotte alla inesistenza, ma non scompare del tutto la figura dell’atto inesistente. Restano dei casi in cui mancano i requisiti minimi, che consentano di
considerare un atto come venuto in vita, sia pure come atto nullo. Vi possono
essere ipotesi in cui manca dell’atto anche quel nucleo essenziale, il cui difetto
non permette neppure di dire che l’atto è riconoscibile come giuridicamente esistente. Di fronte ad un atto nullo il contribuente può tutelarsi con azione rivolta
a far dichiarare la nullità dell’atto.
C) In tema di rimborso, occorre tener presente che, per poter ricorrere, è necessario un atto esplicito o tacito. Perciò il ricorso può essere proposto solo dopo
che l’Amministrazione ha rifiutato, espressamente o ta­citamente, il rimborso36.
È quindi previamente necessaria una domanda di rimborso. Se la domanda
è esplicitamente respinta, il rifiuto espresso è impugnabile dinanzi alla commissione tributaria provinciale entro sessanta giorni dalla notificazione; se l’Amministrazione rimane inerte per novanta giorni dalla presentazione della domanda
di rimborso, il silenzio si interpreta come rifiuto e l’interessato può proporre
ricorso alla commissione tributaria provinciale; in caso di silenzio, pertanto, il
contribuente può ricorrere solo dopo il novantesimo giorno dalla presentazione
della domanda, ma non oltre la prescrizione del diritto alla restituzione37.
Sia nel testo normativo che regola il processo tributario, sia nei testi normativi relativi alle singole imposte, al silenzio dell’amministrazione, protratto per
un certo periodo (novanta giorni), è dato valore di rifiu­to.
Ciò non significa, però, che non vi sia alcuna differenza tra rifiuto espresso e
rifiuto tacito, e che dal silenzio (o rifiuto tacito) scaturiscano le stesse conseguenze che deri­vano dal rifiuto espresso (estinzione del diritto al rimborso; termine
di sessanta giorni per ricorrere; natura impugnato­ria dell’azione).
In realtà, il silenzio, pur avendo significato di rifiuto, non ha la stessa natura
del provvedimento di diniego, né ha gli stessi effetti: nessuna norma istituisce
una simile equivalenza, né è plausibile sostenere che un contegno inerte abbia
lo stesso valore di un atto esplicito.
Vi è dunque diversità di situazioni: in caso di rifiuto espresso, il ricorso
dev’essere proposto entro sessanta giorni dalla notifica dell’atto; nel caso di silenzio, invece, il ricorso alla commissione tributaria non è soggetto al termine
decadenziale cui è soggetta l’impugnazione dei provvedimenti. Solo in apparenza
il ricorso contro il silenzio è esercizio di un’azione di impugnazione; è, invece,
un’azione di accertamento negativo del debito (oltre che di condanna al rimborso).
Pertanto, quando viene presentato ricorso a seguito di silenzio dell’Amministrazione, l’azione che viene proposta è un’azione che presuppone il silenziorifiuto dell’amministrazione, ma non ha, come oggetto, l’annullamento di un
provvedimento; si tratta, quindi, di un’azione diretta a far accertare il credito
del ricorrente, e ad ottenere una pronuncia di condanna dell’Amministrazione
finanziaria38.
36 Cass., 6 maggio 1991, n. 5004, in Rass. avv. Stato, 1991, I, 340.
37 D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21.
38 L’equiparazione del silenzio ad un provvedimento espresso è stata fatta, nella prassi del processo
amministrativo, per dar modo (in un processo attivabile solo con l’impugnazione di un atto dell’amministrazione) di adire il giudice anche a chi ha da lamentarsi dell’inerzia dell’amministrazione; si è,
508
Francesco Tesauro
Il ricorso contro il rifiuto di rimborso ha i caratteri di una norma­le azione
di impugnazione, avente per fine l’annullamento dell’atto. Ma il mero annullamento dell’atto, di per sé, non soddisfa il bisogno di tutela del ricorrente; alla
domanda di annullamento del rifiuto si aggiunge perciò la domanda rivolta ad
ottenere una sentenza di condanna, in base alla quale agire in via esecutiva, o
in ottemperanza.
Perciò, con il ricorso, il contribuente propone una domanda dal contenuto
complesso, e chiede che, accertato il suo credito, sia annullato il rifiuto di rimborso e l’Amministrazione sia condannata a pagare. Il termine per la presentazione del ricorso è invece collegato al rifiuto. Se il rifiuto è espresso, il ricorso
va presentato entro sessanta giorni dalla notificazione dell’at­to; invece, in caso
di rifiuto tacito, non vi è alcun termi­ne processuale, ma va rispettato il termine
entro cui il diritto al rimborso si prescrive.
Se è impugnato un atto esplicito di rifiuto di rimborso, la sentenza che accoglie la domanda ha un contenuto complesso: di annullamento dell’atto, prima, di
accertamento e condanna al rimborso, poi. Se invece la domanda di rimborso è
proposta dopo che l’amministrazione ha taciuto, non vi sono atti da annullare,
e dunque la sentenza che accoglie la domanda è una sentenza che, accertato il
credito insoddisfatto del ricorrente, condanna l’amministrazione al rimborso.
Le sentenze, in quanto sentenze di condanna, sono titolo sia per l’esecuzione forzata, sia per il giudizio di ottemperanza. Superfluo aggiungere che, anche
nei processi di rimborso, le sentenze che respingono la domanda sono sentenze
dichiarative.
5.1. I motivi di ricorso. Vizi propri e vizi di atti antecedenti
Ogni atto può esse­re impugnato solo per “vizi propri”, e non per vizi che
riguardano atti precedenti autonomamente impugnabili39, in applicazione del
principio generale secondo cui una questione deducibile e non dedotta con lo
strumento processuale proprio (ed entro il termine perentoriamente stabilito) è
poi preclusa40.
Nell’impugnare un atto non possono dunque essere dedotti vizi di atti anteriori: possono essere fatti valere solo vizi “propri” dell’atto che si impugna.
Il principio vale, in specie, per l’impugnazione degli atti della riscossione,
che non possono essere impugnati sulla base di motivi che attengono all’atto
di accertamento41.
Questa norma conferma che il processo tributario è un processo di impuperciò, dato valore di provvedimento (con una fictio) al semplice silenzio. Dove però l’accesso al giudizio
è espressamente previsto anche in caso di silenzio, l’equiparazione del silenzio ad un provvedimento è
un artificio, arbitrario sul piano teoretico, ed inutile dal punto di vista pratico.
39 L’art. 19, comma 3, del D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, prevede che “La mancata notificazione
di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”. Questa formula non può essere riferita all’avviso di accertamento:
un avviso non notificato è giuridicamente inesistente; e quindi non può essere impugnato. Il giudice
può solo dichiararne l’inesistenza in via incidentale. La norma può valere con riferimento ad atti che
hanno valore anche se non notificati, come l’iscrizione e l’attribuzione di rendita nel catasto immobili,
nel periodo anteriore all’art. 74 della L. 21 novembre 2000 n. 342, che prevede la notificazione come
presupposto di efficacia di tali atti.
40 Cass.., 6 aprile 2002, n. 4945.
41 Cass., 24 maggio 2002, n. 6029.
509
Francesco Tesauro
gnazione, in cui sono sottoposti alla cognizione del giudice i vizi degli atti impugnati.
5.2. Aspetti e corollari della struttura impugnatoria
Il carattere impugnatorio e costitutivo del processo tributario comporta, tra
l’altro, che:
a) il meccanismo d’instaurazione del processo è imperniato sull’impugnazione
del provvedimento impositivo, volta ad ottenere il sindacato giurisdizionale sulla
legittimità formale e sostanziale del medesimo; l’indagine sul rapporto tributario
è limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della
pretesa dell’amministrazione, nonché degli elementi del fatto costitutivo, che il
contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado;
i motivi d’impugnazione costituiscono la causa petendi della domanda di annullamento dell’atto impositivo, con la conseguente inammissibilità dell’introduzione
di nuove causae petendi in appello42;
b) il ricorrente non può agire in via preventiva, con azione di mero accertamento, senza che l’amministrazione abbia emesso un atto impugnabile43; sono
quindi improponibili le domande di mero accertamento. In particolare, se è emanato un atto amministrativo generale, il contribuente non può adire – con azione
di accertamento mero del rapporto d’imposta – il giudice tributario, perché il
ricorso al giudice tributario è ammesso solo contro atti d’imposizione individuali;
in tale giudizio potrà essere conosciuta, ma solo a fini di disapplicazione, l’atto
amministrativo generale44;
c) il ricorso dev’essere proposto nei confronti del soggetto (ufficio dell’agenzia fiscale, ente locale o altro ente impositore, agente della riscossione), “che ha
emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto”45;
d) il ricorrente non può sottoporre al giudice questioni estranee all’atto impugnato46;
e) l’amministrazione resistente, costituendosi in giudizio, non esercita un autonomo potere di azione, ma difende l’atto impugnato e, quindi, non può fondare
la sua difesa su titoli diversi da quelli presupposti dall’atto impugnato47;
f) la struttura impugnatoria del processo tributario rende improponibili anche
le azioni riconvenzionali48; l’Ufficio non può proporre domande riconvenzionali,
per un duplice motivo: perché deve agire con atti d’imposizione; perché il processo tributario è un processo d’impugnazione;
g) il contribuente, a sua volta, non può opporre, alla pretesa fiscale, una domanda di rimborso, sia perché deve limitarsi a contestare la legittimità dell’atto
impugnato, sia perché le domande di rimborso debbono essere proposte autonomamente, in opposizione ad atti di diniego dell’ufficio49. Una domanda di rimbor42 Cass., 18 giugno 2003, n. 9754; Id., 3 aprile 2006, n. 7766.
43 Cass., 12 marzo 2001, n. 103; Id., sez. un., 20 novembre 2007, n. 24011.
44 Cass., 9 giugno 2003, n. 9181.
45 Dl. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 10.
46 Cass., 22 marzo 2002, n. 4125.
47 Cass., 22 giugno 2001, n. 8569.
48 Cass., 30 maggio 2001, n. 7407; Id., 26 marzo 2002, n. 4334, in Foro it., 2002, I, 1692; Id., 30
ottobre 2002, n. 15317; Id., 22 settembre 2006, n. 20516.
49 Cass., 26 marzo 2002, n. 4334.
510
Francesco Tesauro
so, proposta in un processo instaurato contro un atto impugnabile, non sarebbe
comunque da qualificare come riconvenzionale, perché nel processo tributario
non vi è esercizio di azione da parte dell’ufficio fiscale. In conclusione, il contribuente può agire solo per contestare un atto impugnabile; non può contestare
nulla che sia riconducile ad un atto impugnabile, né opporre all’amministrazione
un proprio controcredito.
6. Il catalogo degli atti impugnabili
Gli atti impugnabili, elencati nell’art. 19 del D. lgs. 31 dicembre 1992, n.
546, appartengono a cinque aree: a) accertamento; b) riscossione; c) sanzioni;
d) rimborso; e) catasto.
Il legislatore divide gli atti im­pugnabili in due categorie: atti “autonomamente
impugnabili”, elencati in modo tassativo50; atti non impugnabili autonomamente, ma insieme con l’atto successivo impugnabile autonomamente, non indicati espressamente 51. Residuano gli atti che non sono mai impugnabili, perché
non lesivi. Si delinea così una tricotomia: a) atti impugnabili autonomamente,
indicati in modo tassativo; b) atti a tutela differita, non nominati; c) atti non
impugnabili.
Gli atti autonomamente impugnabili sono i seguenti:
1) avviso di accertamento;
2) avviso di liquidazione;
3) provvedimento che irroga sanzioni;
4) iscrizione a ruolo e cartella di pagamento;
5) avviso di mora (intimazione ad adempiere);
6) atti delle operazioni catastali;
50 Il primo comma dell’art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nella sua versione originaria,
prevedeva che “il termine per proporre ricorso alla commissione di primo grado è di sessanta giorni
e decorre dalla notificazione dell’avviso di accertamento, dell’ingiunzione, del ruolo, del provvedimento
che irroga le sanzioni pecuniarie”. L’indicazione degli atti impugnabili non era ritenuta tassativa. La
giurisprudenza ritenne impugnabile l’avviso di liquidazione, anche se non menzionato nell’art. 16
(testo originario).
Corte cost., 6 dicembre 1985, n. 313, in Giur. it., 1986, I, 1, 1593, ritenne che l’elenco contenuto
nell’art. 16, D.p.r. 26 ottobre 1972, N. 636 (sia nel testo originario, sia in quello introdotto dall’art.
7 del D.p.r. 3 novembre 1981, n. 739), non era di ostacolo a una interpretazione estensiva di tale
norma.
Ritenne la Corte che “tutti gli atti che hanno la comune finalità dell’accertamento della sussistenza
e dell’entità del debito tributario siano equivalenti, qualunque sia la denominazione data ad essi dal legislatore”; e che “Essi, siccome suscettibili di produrre una lesione diretta ed immediata della situazione
soggettiva del contribuente, sono immediatamente impugnabili dinanzi ai giudici tributari”.
Cfr. altresì Cass., 25 novembre 1980, n. 6262, in Boll. trib., 1981, 728; Id., 3 febbraio 1986, n.
661, ivi, 1986, 919; Id., 19 marzo 1991, n. 2941, in Comm. trib. centr., 1991, II, 1075.
Il testo dell’art. 16 del D.p.r. n. 636 fu sostituito dall’art. 7 del D.p.r. 3 novembre 1981, n. 739.
Tra gli atti impugnabili fu incluso l’avviso di liquidazione. E venne sancito che “Gli atti diversi da
quelli indicati non sono impugnabili autonomamente”. Alla categoria chiusa degli atti autonomamente
impugnabili fu così affiancata la categoria degli atti non impugnabili autonomamente, ossia la categoria degli atti a tutela differita. Si passa in tal modo da un sistema aperto al sistema chiuso degli
atti autonomamente impugnabili.
51 Che l’enumerazione legislativa sia tassativa è fuori discus­sione; il legislatore, nell’art. 19, dopo la
formula intro­duttiva, che è già indicativa in tal senso (“Il ricorso può essere proposto contro ....”), dispone poi espressamente che “Gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamen­te”.
511
Francesco Tesauro
7) rifiuto espresso o tacito di restituzione;
8) diniego o revoca di agevolazioni e rigetto di doman­de di definizione agevolata;
9) iscrizione di ipoteca sugli immobili e fermo di beni mobili registrati.
Nell’interpretare l’art. 19, occorre, in primo luogo, tener presente che l’elenco
degli atti autonomamente impugnabili è tassativo. Una enumerazione tassativa
ammette letture estensive ma esclude integrazioni analogiche52.
Si può dunque, ma solo in via di interpretazione estensiva, privilegiare l’ampliamento della classe degli atti impugnabili autonomamente, e restringere l’altra
classe, nei casi in cui la tutela differita appaia inefficace53.
Ogni operazione interpretativa condotta sull’art. 19 deve essere ancorata alla
ratio di quella disposizione. Si tratta cioè di tener presente che il legislatore
del processo tributario, nel disciplinare i modi di introduzione di un processo
impugnatorio, non ha adoperato una formula generale54, e non ha lasciato all’interprete il compito di distinguere tra atti impugnabili in via immediata ed atti
impugnabili in via differita55.
Resta l’esigenza di privilegiare l’ampliamento della classe degli atti impugnabili autonomamente, e di restringere l’altra classe, a causa dei dubbi di costituzionalità che gravano sulla tutela differita, per cui si può conclusivamente affermare
che l’interpretazione estensiva dei termini che indicano gli atti autonomamente
impugnabili trae la sua giustificazione dall’essere una interpretazione “costituzionalmente adeguatrice”, ma che essa trova un suo limite nell’esigenza di non
fare, della classe degli atti a tutela differita, una classe vuota.
Nel diritto tributario, quali siano gli atti da impugnare in via immediata è
indicato dallo stesso legislatore, limitando così i casi di accesso alla tutela, vuoi
per ragioni di economia processuale, via per concentrare, nel ricorso contro determinati atti, le controversie riguardanti un unico rapporto d’imposta. La tutela
immediata è esclusa contro gli atti intermedi, essendo limitata agli atti finali dei
procedimenti tributari di accertamento, riscossione, rimborso, ecc.56. All’interprete
è lasciato invece il compito di discernere, tra gli atti non nominati, quelli im52 Il sistema degli atti impugnabili è stato tracciato per la prima volta dall’art. 16 D.p.r. 26
ottobre 1972, n. 636, ma è stato poi perfezionato nel 1981. Il sistema attuale non differisce, nella
sostanza, da quello tracciato nel 1981.
Del tipo di quella adottata, vigente il testo dell’art. 16 prima della novella del 1981, per gli avvisi
di liquidazione; cfr. Cass., 3 febbraio 1986 n. 661, in Foro it., 1986, I, 1898.
53 Le interpretazioni che allargano il novero degli atti impugnabili oltre i limiti dell’interpretazione
estensiva, sconfinando nell’analogia, erano giustificate nel sistema ante-1981, quando un atto, se non
nominato tra quelli impugnabili, non era impugnabile in assoluto. Non hanno invece ragion d’essere
nel sistema “duale” introdotto nel 1981, che ha affiancato, al numerus clausus degli atti impugnabili
autonomamente, la classe aperta degli atti a tutela differita. Una “forzatura” dell’elenco degli atti autonomamente impugnabili sarebbe concepibile, in ipotesi, solo per atti lesivi che non devono essere
seguiti da atti autonomamente impugnabili.
54 Come quelle usate per il processo amministrativo. L’art. 3 L. 6 dicembre 1971, n. 1034, ammette il ricorso ai Tar, in generale, contro “atti e provvedimenti”. L’art. 26 del T.U. 26 giugno 1924,
n. 1034, parla di ricorso (al Consiglio di Stato) “contro atti e provvedimenti di un’autorità amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante che abbiano per oggetto un interesse di individui o
di enti morali”.
55 Cfr., ad esempio, Cons. Stato, sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2295, secondo cui l’atto amministrativo,
quando non è immediatamente lesivo di un interesse legittimo, può rilevare nell’impugnazione di atti
successivi, o come atto presupposto, o come atto pregiudiziale.
56 Cons. Stato, sez. IV, 26 giugno 2006, n. 3199.
512
Francesco Tesauro
pugnabili e quelli non impugnabili.
6.1. Gli atti ad impugnazione differita
Gli atti non nominati, se sono atti lesivi, non sono da impugnare non immediatamente, ma con ricorso contro gli atti successivi, rispetto ai quali l’atto non
impugnabile ha valore di atto presupposto o pregiudiziale57. Ciò signi­fica, in pratica, che il contribuente, ricevuto un atto non compreso tra quelli espressamente
indicati come impugnabili autonomamente, deve attendere che gli venga notificato un at­to autonomamente impugnabile, e proporre ricorso contro entrambi.
Per stabilire quali atti siano impugnabili in via differita, e quali invece non
siano impugnabili in assoluto, il criterio da seguire è quello tracciato per il processo amministrativo. Sono quindi impugnabili solo gli atti che siano espressione
della funzione amministrativa propria delle autorità fiscali e producano effetti
giuridicamente lesivi.
Non sono, perciò, impugnabili né gli atti interni58 (come le circolari59 e le
risoluzioni ministeriali60), né gli atti che sono espressione di funzione consultiva
(pareri), né gli atti confermativi od esecutivi61.
Da ciò deriva de plano la non impugnabilità, in assoluto, dei c.d. avvisi bonari62.
Si aggiunga che non è impugnabile il processo verbale di constatazione della
Guardia di Finanza, “essendo sfornito di autonomia, trattandosi di atto endoprocedimentale, il cui contenuto e le cui finalità consistono nel reperimento e nell’acquisizione degli elementi utili ai fini dell’accertamento”. Ciò non comporta un
vuoto di tutela, “atteso che la non impugnabilità deriva dalla sua natura di atto
endoprocedimentale e la tutela giudiziaria ha modo di attuarsi in relazione all’atto
terminale del procedimento”63.
Sono da considerate impugnabili in via differita gli atti lesivi non compresi
nell’elenco dell’art. 19.
Ad esempio, il diniego di disapplicazione di una norma antielusiva è da considerare impugnabile dinanzi alle commissioni in via differita. Il contribuente
57 Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2006, n. 2797 (in tema di processo amministrativo).
58 Cass., 25 marzo 1983, n. 2092; Id., 1 marzo 1988, n. 2157.
59 Cass., 29 gennaio 1992, n. 907; Id., 15 febbraio 1994, n. 1496; Id., 8 novembre 1997, n.
11020.
60 Come ha osservato Cons. Stato, sez. IV, 27 gennaio 1997, n. 60, tale atto consiste nella mera
risposta ad un quesito proposto in ordine all’interpretazione di un dato normativo applicabile ad una
fattispecie.
61 Per chi segue la teoria dichiarativa l’art. 19 è un enigma. Se ne è tentata una spiegazione
ipotizzando che la ratio della norma consisterebbe nella “limitazione delle occasioni di tutela a quelle
in cui sussista un grado di incertezza del diritto particolarmente qualificato” (P. RUSSO, Manuale di
diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2005, p. 103). La tesi è stata pensata, probabilmente,
avendo riguardo solo all’avviso di accertamento, come se questo atto non fosse autoritativo. Ma, anche
ragionando in termini dichiarativistici, il bisogno di tutela non è tanto una questione di certezza, ma
di eliminazione di effetti lesivi. Si ricorre al giudice non per rimuovere un’incertezza, ma per rimuovere gli effetti lesivi di atti che, senza il ricorso, si consolidano. La tesi è ancor più insostenibile con
riguardo agli altri atti impugnabili (ruolo, provvedimenti sanzionatori, atti di diniego, atti catastali,
ecc., senza trascurare il fermo amministrativo e l’ipoteca) e non offre alcun aiuto nella individuazione
degli atti a tutela differita.
62 Cass., 15 ottobre 2004 n. 1791; Id., 28 gennaio 2005, n. 1791; Id., 4 febbraio 2005, n. 2302;
Id., 11 febbraio 2005, n. 2829.
63 Cass., 30 ottobre 2002, n. 15305.
513
Francesco Tesauro
può adeguarsi interinalmente al diniego in sede di dichiarazione; ma può, poi,
presentare istanza di rimborso e impugnare, congiuntamente, il diniego di disapplicazione ed il diniego di rimborso. In alternativa, può disattendere il diniego
di disapplicazione ed impugnare, in caso di rettifica, l’atto impositivo insieme
con il diniego di disapplicazione.
L’impugnazione immediata del diniego di disapplicazione non sarebbe una
forma di tutela molto più utile, perché il contribuente non otterrebbe comunque
un responso definitivo prima della data di presentazione della dichiarazione 64.
Si deve altresì ammettere che, a seguito dell’ampliamento della giurisdizione
delle Commissioni tributarie, “la stretta tipicità degli atti impugnabili (… ), va
adeguata al nuovo assetto della giurisdizione tributaria generale, con riferimento
alla varietà dei nuovi tributi e all’evoluzione dei diritti del contribuente, sempre,
però, nell’alveo di rapporti tributari concreti“65. Ma non va trascurato che permane immutato il sistema tracciato dall’art. 19, per cui vanno conclusivamente riaffermati, pur in presenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria, i
tratti essenziali del sistema, vale a dire: il carattere impugnatorio del processo
tributario; la tassatività degli atti impugnabili in via autonoma; l’impugnabilità
in via differita degli atti non nominati, e, quindi, la completezza del sistema di
tutela prefigurato dall’art. 19, nei confronti di tutti gli atti tributari potenzialmente lesivi.
6.2. L’avviso di liquidazione
In alcune imposte indirette, la determinazione dell’imponibile e quella dell’imposta si esprimono in atti distinti: abbiamo, così, da un lato l’avviso di accertamento, ove è racchiusa (soltanto) la determinazione autoritativa del valore imponibile e, dall’altro, l’avviso di liquidazione, con il quale è determinato l’importo
dovuto e ne è richiesto il pagamento66.
Nell’impugnazione dell’avviso di liquidazione può esser fatto valere ogni vizio
che attenga, appunto, alla liquidazione, ma non possono essere sollevate questioni che, concernendo la determinazione dell’imponibile, possono essere dedotte
solo contro l’avviso che lo ha determinato.
La mancata impugnazione dell’avviso di liquidazione rende definitivamente
dovuta l’imposta così stabilita, precludendo il rimborso.
6.3. Il provvedimento sanzionatorio
L’applicazione delle sanzioni amministrative è di competenza dello stesso ufficio che amministra l’imposta ed avviene, per lo più, con lo stesso provvedimento
che “accerta” l’imposta.
Pertanto, l’impugnazione dell’atto normativo che applica una sanzione (conte64 La giurisprudenza più recente tende a dilatare l’area degli atti impugnabili. Si veda la sentenza
delle sezioni unite 10 agosto 2005 n. 16776, in tema di giurisdizione sul diniego di autotutela, secondo
cui l’estensione della giurisdizione tributaria a materie originariamente escluse – e segnatamente a
entrate destinate a trovare attuazione al di fuori degli schemi tipici dell’imposizione – avrebbe comportato il superamento della tassatività dell’elenco degli atti impugnabili avanti alle Commissioni.
65 Cass., sez un., 20 settembre 2006, n. 20318.
66 Con riguardo all’imposta di registro, è considerata impugnabile la nota, compi­lata dal can­celliere
e resa esecutiva dal capo dell’ufficio giudiziario, ai sensi dell’art. 43 disp. att. c.p.c., in ipo­tesi di registrazione con prenotazione a debito ex artt. 91 e 133 L. fall.: Cass., sez. un., 28 novembre 1991, n.
12770; Id., sez. un., 18 aprile 1994, n. 3684.
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Francesco Tesauro
nuto in un provvedimento autonomo, o in un “avviso” che reca, in primo luogo,
la determinazione dell’imponibile e/o la liquidazione dell’imposta, e poi, in via
per così dire consequenziale, l’applicazione della sanzione), è da proporre alle
commissioni ed è intesa all’annullamento dell’atto sanzionatorio.
Le ragioni di impugnazione dell’avviso di accertamento, nella parte riguardante l’imposta, si riflettono sulla sanzione (in quanto, se è eliminata l’imposta, viene
meno anche la sanzione). Possono esservi, però, ragioni di impugnazione delle
sanzioni distinte dalle ragioni per cui è impugnato l’avviso di accertamento.
Tra i motivi di impugnazione di tale atto, sono da ricordare le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme alle
quali la violazione si riferisce67; l’accertamento di tali “condizioni” costituisce
motivo di annullamento dell’atto sanzionatorio.
6.4. Iscrizione a ruolo, cartella di pagamento e intimazione ad adempiere
L’iscrizione a ruolo, notificata con la cartella di pagamento, è impugnabile
per “vizi propri” e, quando non sia stata preceduta dall’avviso di accertamento,
per ragioni che attengono alla dichiarazione.
L’iscrizione a ruolo preceduta da un avviso di accertamento non può essere impugnata per vizi che attengono all’avviso68. Nel caso, invece, di iscrizione
a ruolo fatta in base alla dichiarazione, eventuali vizi della dichiarazione, che
si riflettono sulla iscrizio­ne a ruolo, possono essere fatti valere impugnando il
ruolo.
Si così l’annullabilità di un atto amministrativo, quale il ruolo, per ragioni
che gli sono estranee, e che sono estranee all’attività dell’ufficio.
La fattispecie che genera (per il contribuente) il potere di chiedere, e, per il
giudice, il dovere di disporre l’annullamento del ruolo, è qui data, non da un
vizio dell’atto, ma dal vizio di un atto-presupposto (la dichiarazione, appunto).
L’annullamento dell’iscrizione a ruolo ne elide gli effetti, effetti che consistono,
essenzialmente, nel potere di azione esecutiva dell’amministrazione finanziaria.
L’avviso di mora, menzionato dall’art. 19 D. lgs. n. 546, è stato sostituito
dall’avviso di intimazione ad adempiere69, che non è atto dell’ufficio delle imposte, ma dell’Agente della riscossione. L’impugnazione va proposta, perciò, nei
confronti dell’Agente della riscossione70; ma, se sono sollevate questioni che non
attengono alla regolarità e validità dell’avviso di mora (e degli atti esecutivi),
l’agente deve chiamare in causa l’ente impositore71.
L’avviso di intimazione ad adempiere è emesso un anno dopo la notifica della cartella di pagamento; con esso viene nuovamente portato a conoscenza del
contribuente il contenuto del ruolo.
Il ricorso contro l’intimazione ad adempiere è il rimedio che trova applicazio67 D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8; D. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6; L. 27 luglio
2000, n. 212, art. 10.
68 Cass., 16 novembre 2001, n. 14379; Id., 24 aprile 2002, n. 6029.
69 D.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, art. 50, sostituito dall’art. 16, D. lgs. 26 febbraio 1999, n.
46.
70 Cass., 17 settembre 2001, n. 11667; Id., 14 febbraio 2007, n. 3242. Se non è stato preceduto
dalla cartella di pagamento e dall‘avviso di accertamento, l’avviso di mora è affetto da un vizio proprio,
deducibile nei confronti del concessionario (Cass., 8 febbraio 2006, n. 2798).
71 Ex art. 39, D. lgs. 13 aprile 1999, n. 112.
515
Francesco Tesauro
ne quando l’intimazione ad adempiere non è stata preceduta dalla notificazione
di altri atti (avviso di accertamento e cartella di pagamento)72.
Se l’intimazione ad adempiere non è stata preceduta dalla notifica della cartella di pagamento, la si potrà impugnare per tale motivo. Se invece è stata preceduta dalla notificazione della cartella, non potrà essere impugnata per ragioni
che dovevano essere fatte valere impugnando il ruolo o la cartella.
Se fosse notificato l’avviso di accertamento, ma non la cartella di pagamento, il contribuente potrà impugnare l’intimazione ad adempiere contestando la
mancanza di iscrizione a ruolo.
L’amministrazione finanziaria, dopo aver emesso l’avviso di accertamento nei
confronti di un soggetto, e dopo averlo iscritto a ruolo, non può richiedere il pagamento dell’imposta ai coobbligati, notificando ad essi l’intimazione ad adempiere.
Un simile modo di agire è da respingere in modo deciso, per il fondamentale principio che nessuno è tenuto a soddisfare tributi per i quali non gli siano
stati notificati l’avviso di accertamento e l’iscrizione a ruolo; né ha fondamento la tesi (che in sostanza riproduce la teoria della c.d. solidarietà formale o
processuale) per cui l’avviso di accertamento e l’iscrizione a ruolo, emessi nei
confronti di un soggetto, avrebbero effetti anche nei confronti dei coobbligati (è
indifferente, da questo punto di vista, che si tratti di solidarietà c.d. paritaria,
o di solidarietà c.d. dipendente).
In tali ipotesi, il coobbligato al quale sia notificato, come primo atto, l’intimazione ad adempiere, potrà proporre l’impugnazione dinanzi alle commissioni,
facendo valere la mancanza dell’accertamento e dell’iscrizione a ruolo.
Per quel che concerne i motivi di ricorso, l’art. 16 li delimita in modo identico per l’iscrizione a ruolo e per l’intimazione ad adempiere; ma sarebbe errato
dedurne che possono essere fatti valere, impugnando l’intimazione ad adempiere,
motivi che attengono all’iscrizione a ruolo, e che non sono stati fatti valere mediante ricorso contro la cartella di pagamento. Ad una simile conclusione è di
ostacolo il principio generale, per cui, dato un provvedimento amministrativo, i
vizi che lo inficiano non possono essere fatti valere impugnando atti successivi,
di tipo consequenziale od applicativo.
6.5. Atti delle operazioni catastali
A) La rendita catastale è determinata dall’ufficio provinciale dell’Agenzia del
Territorio, ma è utilizzata da altri soggetti, tra cui l’Agenzia delle Entrate (in
quanto titolare dei poteri d’imposizione dei tributi erariali per i quali ha rilievo la
rendita) ed i Comuni, in quanto soggetti attivi dell’ICI. La formazione del catasto
comporta l’emanazione di atti generali, impugnabili dinanzi al giudice ammini72 La Cassazione ha ritenuto che l’avviso di mora equivale ad un atto d’imposizione tributaria
nelle ipotesi in cui sia il primo atto reso conoscibile al contribuente, che ha l’onere di impugnarlo,
contestando, unitamente all’avviso di mora, gli atti che ne costituiscono il presupposto; la mancata
impugnazione del primo avviso di mora preclude l’impugnazione dei successivi avvisi di mora (Cass.,
17 febbraio 2005, n. 3231, in Giur. it., 2005, 1317).
Secondo Cass., sez. un., 25 luglio 2007, n. 16412, quando l’avviso di mora non è stato preceduto
dalla notificazione della cartella di pagamento, il contribuente può impugnare solo l’avviso di mora,
facendo valere l’omessa notifica dell’atto presupposto, o impugnare anche gli presupposti non notificati, investendo la pretesa dell’amministrazione.
Si può osservare, però, che far valere l’omessa notifica dell’atto presupposto equivale a far valere
l’insussistenza del credito fiscale.
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strativo, e l’emanazione di atti individuali, impugnabili dinanzi alle commissioni.
Sono, in particolare, impugnabili dinanzi alle commissioni gli atti di classamento
e gli atti “comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e
fabbricati”, atti che “sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione”73.
Il ricorso può essere proposto “dai singoli possessori”74 dell’immobile contro
l’atto attributivo o modificativo della rendita, e deve essere proposto nei confronti
dell’ufficio dell’Agenzia del Territorio, da cui proviene l’atto impugnato.
Se il ricorso contro l’atto attributivo di rendita è respinto, resta in vita l’atto
catastale. Se invece il ricorso è accolto, ossia se la rendita è annullata, l’effetto
di annullamento vale erga omnes75. Vale, cioè, oltre che per i “possessori” e per
l’Agenzia del territorio, anche per l’Agenzia delle Entrate e per il Comune76.
B) L’atto terminale del procedimento catastale non ha, di per sé, effetti fiscali
diretti; esso stabilisce, autoritativamente, il reddito medio ordinario di un immobile. Ma non è un atto impositivo; non è atto costitutivo di rapporti debito
d’imposta. Ad esso deve però attenersi il contribuente, nel dichiarare le imposte,
e devono attenersi gli enti impositori, nei loro atti d’imposizione.
L’atto impositivo non è atto esecutivo dell’atto catastale: esso assume la determinazione catastale della rendita come elemento di fatto della base imponibile, da cui scaturisce il debito d’imposta. I vizi della rendita, dunque, sono
vizi dell’atto catastale che si riflettono sull’atto impositivo. E possono esser fatti
valere contro l’atto impositivo, come vizi suoi propri, se non sono “coperti” dalla
definitività dell’atto catastale.
Se l’atto attributivo di rendita è divenuto definitivo, il “possessore” dell’immobile non può rimetterne in discussione il contenuto, allegando i vizi della rendita
nei ricorsi contro atti successivi. Trattandosi di atto individuale, autonomamente
impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie, l’atto attributivo di rendita, che
sia divenuto definitivo, non può essere disapplicato in sede di impugnazione
dell’atto impositivo.
73 In base all’art. 74, comma 1°, della L. 21 novembre 2000, n. 342: “A decorrere dal 1° gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono
efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell’ufficio del territorio competente, ai soggetti
intestatari della partita. Dall’avvenuta notificazione decorre il termine di cui all’articolo 21 del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, per proporre il ricorso di cui all’articolo 2, comma 3, dello stesso decreto legislativo. Dell’avvenuta notificazione gli uffici competenti danno
tempestiva comunicazione ai comuni interessati”.
Pertanto, per le rendite attribuite o modificate a partire dal 1° gennaio 2000, la liquidazione
dell’Ici in base alle nuove rendite presuppone la notificazione al contribuente dell’atto dell’Agenzia
del Territorio.
Con riguardo alla situazione normativa anteriore, la giurisprudenza aveva ritenuto che l’atto di
classamento di un immobile, con attribuzione di rendita, costituisse atto autonomamente impugnabile, che, perciò, doveva essere notificato o comunicato all’interessato (Cass., 10 aprile 2000, n. 4509,
in Fisco, 2000, 12049).
74 Così si esprime il comma 2 dell’art. 2.
75 L’effetto di annullamento della sentenza opera di necessità erga omnes, perché l’atto, una volta
eliminato, lo è nei confronti di tutti. L’effetto di accertamento della sentenza, invece, vale solo tra le
parti del giudizio (art. 2909 c.c.).
76 La sentenza di annullamento parziale dev’essere eseguita dall’Ufficio provinciale dell’Agenzia
del territorio modificando la rendita iscritta in catasto. La sentenza di annullamento totale obbliga
l’Agenzia del territorio al rifacimento dell’atto catastale, in coerenza con i motivi di ricorso posti a
base del dictum giudiziale.
517
Francesco Tesauro
Se invece l’atto catastale non è definitivo, perché pende il processo d’impugnazione contro di esso, il contribuente può allegare, nel ricorso contro l’atto
d’imposizione, i vizi dell’atto attributivo di rendita. Si tratta insomma di allegare
un vizio che, dal primo atto, si riflette sul secondo. Il giudice del ricorso contro
l’atto impositivo deve sospendere il processo, in attesa che venga definitivamente
deciso il ricorso contro l’atto catastale.
6.6. I pareri e i dinieghi. Il diniego di autotutela
È pacifico, nel processo amministrativo, che i pareri delle pubbliche amministrazioni, anche se vincolanti, non sono impugnabili. Analogamente, non
sono impugnabili (dinanzi al giudice tributario) i pareri resi in risposta ad un
interpello.
Ma le procedure di interpello mettono capo, in alcuni casi, non a dei pareri,
ma ad atti che possiamo definire di tipo autorizzatorio (senza che ciò implichi
il riconoscimento di poteri di tipo discrezionale). Ora, mentre per i pareri va
affermata la non impugnabilità, per i dinieghi di autorizzazione – trattandosi di
provvedimenti, non compresi tra gli atti autonomamente impugnabili – ne va
affermata l’impugnabilità in via differita77.
Ciò vale per:
- il diniego reso in risposta all’ interpello c.d. disapplicativo, che si propone
al Direttore regionale delle entrate, al fine di ottenere un provvedimento che
autorizzi la disapplicazione di norme antielusive78;
- il diniego opposto alla richiesta di disapplicazione della norma in tema di
indeducibilità dei costi connessi a rapporti con paradisi fiscali79;
- il diniego di disapplicazione della disciplina delle “imprese estere
controllate”80;
- la risposta negativa all’interpello relativo alle condizioni per l’esercizio
dell’opzione per il consolidato mondiale81.
Gli unici dinieghi impugnabili in via autonoma sono quelli indicati espressamente dall’art. 19. Gli altri dinieghi sono impugnabili in via differita. Non è quindi accettabile l’equiparazione, ai fini della impugnabilità immediata, dei dinieghi
di autorizzazione non indicati nell’art. 19 a quelli espressamente indicati. D’altro canto, l’impugnazione immediata non è una via attraverso cui possa essere
soddisfatto il bisogno di tutela del contribuente, perché neppure l’impugnazione
immediata permette di conseguire una risposta definitiva in tempo utile (cioè
una decisione passata in giudicato prima della presentazione della dichiarazione
dei redditi, relativa al periodo d’imposta cui si riferisce l’interpello).
È impugnabile il diniego tacito di rimborso. Altri dinieghi taciti non sono
impugnabili autonomamente.
Il rifiuto di autotutela non è compreso nell’elenco degli atti autonomamente impugnabili. Il diniego espresso di annullamento è riconducibile all’elenco
dell’art. 19 nei casi in cui è classificabile come rinnovazione dell’atto di cui è
77 Cfr. T.a.r. Lombardia, sez. I, 16 maggio 2002, n. 2093, che afferma la giurisdizione delle commissioni sugli atti di diniego di disapplicazione di norme antielusive.
78 D.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis, comma 8.
79 T.u.i.r., art. 110, commi 10 e 11.
80 T.u.i.r., art. 167, comma 5.
81 T.u.i.r., art. 132, commi 3 e 4.
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stata negata la rimozione. Il diniego di annullamento equivale, in linea di massima, alla conferma del precedente provvedimento. E, per regola generale, gli
atti di conferma non sono impugnabili (al pari degli atti di esecuzione). Perché
l’atto possa considerarsi impugnabile non deve trattarsi di mera conferma, ma
di rinnovazione dell’atto precedente, conseguente ad una nuova istruttoria, ed
occorre che sia impugnato per motivi diversi da quelli che erano proponibili
contro l’atto confermato. Deve trattarsi insomma di un caso in cui con il ricorso
si alleghino vizi “propri” del diniego. Ciò che si impugna, infatti, non è l’atto
originario, ma il nuovo atto, frutto di un nuovo procedimento82.
L’impugnabilità del silenzio, che abbia fatto seguito ad una domanda di autotutela, non è riconducile ad alcuna previsione dell’art. 19 in tema di silenzio83;
non è dunque impugnabile autonomamente, ma in via differita, insieme con un
successivo atto lesivo (ad esempio, iscrizione a ruolo o diniego di rimborso).
Va da sé che, analogamente a ciò che si è detto per il rifiuto espresso, i motivi per cui si può impugnare il silenzio devono essere motivi che riguardano il
comportamento inerte dell’amministrazione, e non già vizi dell’atto impositivo,
di cui è stata chiesta la rimozione in via di autotutela.
Il diniego espresso di autotutela non può essere impugnato allegando i vizi
dell’atto originario di cui è stato chiesto l’annullamento, perché non sono “vizi propri” del diniego. Contro il diniego di autotutela possono essere allegati
soltanto vizi che derivano dai doveri dell’ufficio attinenti al riesame, per cui
l’impugnabilità può essere ipotizzata solo con riguardo a casi in cui la risposta
alla domanda di autotutela sia sollecitata da un’istanza di nuova istruttoria o
dal dovere di un nuovo esame.
La domanda di autotutela genera il dovere di esaminare e rispondere. Il rifiuto espresso è atto autonomamente impugnabile, in quanto atto impositivo. Il
silenzio non è impugnabile di per sé, ma solo con ricorso contro un atto successivo. Ad esempio, se si chiede l’annullamento di un avviso di accertamento
e l’amministrazione non risponde ed iscrive a ruolo, si può impugnare il ruolo
adducendo come motivo l’omessa risposta alla domanda di autotutela. La sentenza che accoglie il ricorso si limita ad accertare la violazione del dovere di
riesame, senza poter indagare sulla legittimità dell’atto da rimuovere.
Di fronte al diniego espresso di autotutela, il giudice tributario può annullare
il diniego, non può annullare l’atto impositivo originario. Può annullarlo esercitando un sindacato soltanto sulla legittimità del rifiuto; non può certo annullare
l’atto originario. Può far rinascere il dovere di riesame e di pronuncia. Di fronte
ad silenzio, il giudice può solo accertare l’obbligo di riesame e di pronuncia e
la violazione di tale obbligo. In conclusione, la tutela non è mai pienamente
satisfattiva, perché il contribuente è titolare solo di una situazione soggettiva di
tipo procedimentale.
Un risultato pienamente satisfattivo può essere conseguito solo se l’amministrazione fosse obbligata a rimuovere l’atto impositivo definitivo. Anche in tal
caso, peraltro, il giudice tributario, cui sia rivolto un ricorso contro la mancata
82 Cass., 20 febbraio 2006, n. 3608.
83 Bisogna, anzi, porsi il problema se il silenzio sia giuridicamente qualificato. Nelle norme tributarie non è previsto nulla. Deve perciò ritenersi applicabile l’art. 2 comma 3 della L. n. 241/1990,
secondo cui un procedimento deve essere concluso nel termine di novanta giorni, decorso il quale si
forma il silenzio-inadempimento.
519
Francesco Tesauro
autotutela, può annullare il diniego di autotutela, o dichiarare illegittimo il silenzio, ma non può annullare l’atto originario, perché non può emettere, sostituendosi all’amministrazione, il provvedimento di autotutela.
Può però, affermando l’obbligo dell’annullamento del provvedimento impositivo definitivo, annullare il diniego, o dichiarare illegittimo il silenzio, dando così
fondamento ad un giudizio di ottemperanza. Spetta dunque all’amministrazione
annullare l’atto impositivo originario; in caso di inadempimento, lo strumento
possibile di tutela è il giudizio di ottemperanza, dopo che è stata ottenuta una
sentenza che dichiara l’obbligo dell’amministrazione di rimuovere l’atto impositivo.
Di fronte all’obbligo dell’amministrazione di riesaminare e, se del caso, rimuovere
un atto, la posizione del contribuente è una posizione di interesse legittimo pretensivo, a contenuto sostanziale, tutelabile dinanzi al giudice tributario.
Vi sono due ipotesi di obbligo, per l’amministrazione, di riesame e rimozione.
Il giudicato penale dev’essere osservato ed eseguito dalla pubblica amministrazione, pur quando gli effetti del giudicato ricadano su un provvedimento
impositivo definitivo. Le pubbliche amministrazioni devono infatti conformarsi
al giudicato dei tribunali, in forza del precetto generale desumibile desumibile
dall’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E84.
Può poi accadere che l’obbligo di riesaminare (e rimuovere) un atto impositivo definitivo, o un giudicato, derivi dall’ordinamento comunitario. Si è ritenuto
cioè che vi sono casi in cui può essere necessario riesaminare e rimuovere atti
amministrativi definitivi, per tener conto di obblighi derivanti dal diritto comunitario85.
6.7. Gli atti istruttori
In tema di atti istruttori, è necessario distinguere tra processi verbali ed ordini istruttori. I primi hanno valore solo probatorio, e, quindi, non sono (mai)
impugnabili86.
Per i secondi, si impone una ulteriore distinzione tra atti che hanno come
destinatario il contribuente ed atti che hanno come destinatari i terzi.
Gli atti che hanno come destinatario il contribuente non sono impugnabili
autonomamente, ma insieme con l’atto successivo impugnabile autonomamente.
Tali atti (come, ad esempio, un ordine di rinnovo della verifica) sono atti intermedi del procedimento impositivo. Non sono compresi nell’elenco degli atti
autonomamente impugnabili dell’art. 19, per cui la relativa contestazione deve
essere differita al momento dell’impugnazione - per illegittimità derivata - del
provvedimento finale87.
84 Corte costituzionale, 23 marzo 1992, n. 120 e 23 luglio 1997, n. 264.
85 Corte di giustizia, 13 gennaio 2004, causa C-453/00, Kühne & Heitz NV e Productschap voor
Pluimvee en Eieren; Id., Grande Sezione, 18 luglio 2007, in causa C‑119/05, Ministero dell’Industria, del
Commercio e dell’Artigianato contro Lucchini S.p.A.
86 Cfr. Cass., sez. I, 28 aprile 1998, n. 4312, in Giur. it., 1998, 2428, secondo cui il processo verbale
di constatazione non è direttamente impugnabile, perché atto endoprocedimentale il cui contenuto e le
cui finalità consistono nel reperimento e nell’acquisizione degli elementi utili ai fini dell’accertamento.
Vedi inoltre: Cass., 30 ottobre 2002, n. 15305, in Fisco 1, 2003, 3669; Cass., 20 gennaio 2004, n.
787, in Dir. Prat. Trib., 2004, 2, 836; Commiss. trib. centrale, 7 giugno 2001, n. 4347, in Fisco, 2001,
10662.
87 Cons. Stato, sez. IV, 26 maggio 2006, n. 3199.
520
Francesco Tesauro
Se invece si tratta di atti rivolti a terzi, essi non hanno valenza tributaria: i
terzi possono chiedere tutela al giudice amministrativo o al giudice ordinario, a
seconda della situazione soggettiva di cui si lamenti la lesione.
6.8. Gli atti doganali
L’estensione della giurisdizione tributaria a tutti i tributi ha fatto sorgere il
problema dell’innesco del processo per tributi come le accise e i diritti doganali,
le cui controversie appartenevano in precedenza alla giurisdizione del giudice
ordinario88.
Si è ritenuto89 che l’attribuzione della giurisdizione, in materia tributariadoganale, alle Commissioni tributarie ha determinato l’eliminazione dei ricorsi
gerarchici, ma non l’eliminazione dei procedimenti amministrativi per la risoluzione delle controversie doganali, previsti e disciplinati dagli articoli 65 e segg.
del Testo Unico in materia doganale, approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n.
43 (T.U.L.D.), considerati “procedure di natura prevalentemente fattuale e tecnica
che rientrano, come sub-procedimenti, nell’ambito dell’attività amministrativa di
accertamento”. Perciò, “l’onere di impugnare l’accertamento avanti la competente Commissione tributaria provinciale sorge soltanto al termine del procedimento
amministrativo previsto dal T.U.L.D., vale a dire a seguito della notifica della determinazione che definisce l’accertamento medesimo”.
A norma dell’art. 9, comma 1, del D. Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, qualora
il dichiarante (o il suo rappresentante) non contesti le difformità riscontrate nella
fase di controllo della dichiarazione mediante instaurazione della controversia
doganale, l’ufficio appone sulla bolletta apposita annotazione, firmata e datata,
e provvede alla liquidazione dei diritti doganali rettificando l’ammontare degli
stessi indicato dal dichiarante.
In base al secondo comma del suddetto articolo 9, la data dell’annotazione
costituisce la data in cui l’accertamento diviene definitivo; conseguentemente da
quel momento decorre il termine di 60 giorni per proporre ricorso alla commissione tributaria provinciale.
Inoltre, è impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie l’avviso di rettifica
dell’accertamento di cui all’articolo 11, comma 5, del D. Lgs. n. 374 del 1990 e
l’avviso di accertamento suppletivo e di rettifica90.
6.9. L’ingiunzione
Il D.p.r. 28 gennaio 1988, n. 43, attuativo della legge di delega 4 ottobre 1986,
n. 657, riformò la riscossione dei tributi, affidando ai concessionari la riscossione
coattiva di tutte le imposte erariali (in precedenza, invece, gli esattori riscuotevano in base a ruoli solo le imposte dirette). Il ruolo è divenuto così titolo
88 Il T.a.r. Emilia-Romagna, sez. I, 18-02-2003, n. 119, in Fisco 1, 2003, 3683, in materia di accise, ha affermato “la piena riconducibilità degli atti impugnati (avviso di pagamento, rigetto istanza di
abbuono e decisione recettiva del ricorso gerarchico) alle tipologie degli atti opponibili dinanzi al giudice
tributario, fermo restando l’ambito della giurisdizione amministrativa che continua ad essere limitato, ex
art. 7 D. lgs. n. 546/1992, ai regolamenti ed atti generali presupposti”.
89 Cfr. circ. delle Dogane 17 giugno 2002, n. 41.
90 Su cui si veda la circolare 19 aprile 2000, n. 79/D. Osserva la circolare che questi atti impositivi - a norma dell’articolo 244 del Reg. (CEE) n. 2913/92, istitutivo del codice doganale comunitario - sono immediatamente esecutivi nei confronti del contribuente e, come tali, autonomamente
impugnabili avanti le Commissioni tributarie.
521
Francesco Tesauro
esecutivo sia delle imposte sui redditi, sia delle imposte indirette; l’ingiunzione
ha cessato di essere il titolo esecutivo per la riscossione delle imposte indirette. È sorto quindi il problema della sopravvivenza della ingiunzione come atto
impositivo.
Prima di tale riforma, secondo giurisprudenza consolidata, l’ingiunzione fiscale era definita atto formale di accertamento della pretesa d’imposta e, al contempo, ordine di pagamento della somma in essa indicata91 e si affermava che
l’ingiunzione fiscale cumulava in sé la duplice natura e funzione di titolo esecutivo unilateralmente formato dalla P.A. nell’esercizio del suo peculiare potere
di autoaccertamento e autotutela e di atto prodromico all’inizio dell’esecuzione
coattiva, equipollente al precetto92.
Sulla portata abrogatrice dell’art. 130 del D.p.r. 28 gennaio 1988, n. 43, si sono formati due orientamenti giurisprudenziali. Secondo un primo orientamento,
l’ingiunzione è stata espunta del tutto dall’ordinamento93. L’opposto (più recente)
indirizzo, distingue tra funzione esecutiva e funzione impositiva (o accertativa) e
ritiene che l’ingiunzione fiscale, disciplinata dal r.d. n. 639 del 1910, sia sopravvissuta, come atto d’imposizione, all’abrogazione delle norme che regolavano la
riscossione coattiva delle imposte indirette94.
L’ingiunzione sopravvive dunque come atto di accertamento delle imposte
indirette erariali. Non è menzionata nell’art. 19 ma la Cassazione ne ammette
l’impugnabilità autonoma, in ragione della sua natura impositiva.
L’art. 52, 6º comma, del D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, consente a province e comuni di riscuotere i tributi e le altre entrate di loro spettanza sia a
mezzo di concessionari sia «in proprio», in tale ultima evenienza richiamando
la procedura indicata dal r.d. 14 aprile 1910 n. 639; perciò, secondo la giurisprudenza95, l’ ingiunzione emessa dal comune per il pagamento di una somma
di danaro a titolo di tributo si atteggia come atto impositivo, e la giurisdizione
sulla relativa controversia spetta alle commissioni tributarie.
In sostanza, la giurisprudenza interpreta l’impugnabilità dell’avviso di accertamento, menzionato nell’art. 19, come impugnabilità di qualsiasi atto di accertamento, a prescindere dalla sua denominazione. Vi è una sentenza che ammette
l’impugnabilità dell’ingiunzione perché la equipara alla cartella di pagamento
(che è atto autonomamente impugnabile)96.
6.10. Ipoteca e fermo dei beni mobili
Sono impugnabili gli atti di fermo di beni mobili registrati di cui all’art. 86,
D.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, ma solo quando il provvedimento concerne la
riscossione di tributi97.
91 Cass., 8 settembre 1983, n. 5529, in Riv. Leg. Fiscale, 1983, 2033.
92 Cass. 3 aprile 1997, n. 2894, in Mass. Giur. It., 1997.
93 Cass., 23 giugno 1998, n. 6242, in Boll. trib., 1999, 158; Id., 23 ottobre 1998, n. 10542, in
Giust. civ., 1999, I, 1043.
94 Cass., 9 maggio 2000, n. 5906; Id., 2 settembre 2002, n. 12761, in Giur. it., 2003, 1044; Id.,
11 luglio 2003, n. 10923; Id., 10 novembre 2006, 24079.
95 Cass., sez. un., 21 gennaio 2005, n. 1240, in Dir. Prat. Trib., 2005, 2, 1282.
96 Cass., sez. un., 25 maggio 2005, n. 10958, in Riv. dir. trib., 2005, II, 471.
97 Cass., sez. un., ord. 5 giugno 2008, n. 14831.
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Francesco Tesauro
6.11. Atti di entrate non tributarie
L’art. 3-bis, comma 1, lett. b), del D.l. 30 settembre 2005, n. 203, conv. con
L. 2 dicembre 2005, n. 248, ha modificato l’art. 2, comma 2, del D. lgs. n.
546/1992, affidando alle Commissioni anche le controversie relative ad alcuni
canoni, che hanno natura privatistica. Si tratta del canone per l’occupazione di
spazi ed aree pubbliche98, del canone per lo scarico delle acque reflue e per lo
smaltimento dei rifiuti urbani99 e del canone sulla pubblicità.
I canoni e le tariffe vengono richiesti all’utente con bolletta o fattura a opera
dell’ente locale o del gestore del servizio, ossia con atti di natura privatistica,
che non sono impugnabili.
Per le entrate patrimoniali, la carenza di tutela giurisdizionale per atti diversi
da quelli indicati nell’art. 19, in quanto inidonei a produrre effetti negativi nella
sfera giuridica del contribuente, comporta che la tutela del privato si attui con
l’impugnazione del primo atto successivo compreso tra quelli menzionati nella
citata disposizione. La tutela è insomma attivabile solo impugnando l’ingiunzione fiscale o il ruolo.
È stato notato che il sistema sembra affetto da una lacuna difficilmente
emendabile per via di interpretazione nel caso di affidamento del servizio a un
gestore “industriale”, al quale non è sempre possibile avvalersi dell’ingiunzione
o del ruolo (per esempio tale facoltà non è prevista per il gestore del servizio
di fognatura e depurazione).
La Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’attribuzione alle commissioni della giurisdizione sul canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche.
La eliminazione delle norme che attribuiscono alle commissioni tributarie
la cognizione di questioni relative ad entrate non tributarie, la cui applicazione
prescinde da atti impositivi, elimina – si spera - il problema della individuazione
degli atti impugnabili in tali controversie.
98 Cass., sez. un., 7 marzo 2002, n. 8231; Id., sez. un., 7 marzo 2002, n. 8231.
99 La giurisprudenza delle Sezioni Unite è costante nell’attribuire al canone di fognatura e depurazione delle acque reflue la natura di tributo comunale sino al 3 ottobre 2000, e, a partire da tale
data, di corrispettivo del servizio idrico.
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