21 febbraio_Furto lieve in azienda_KongNews

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21 febbraio_Furto lieve in azienda_KongNews
Il lavoro è legge
Rubrica a cura dell’Avvocato Francesco Rotondi founding partner dello studio legale LABLAW
GIOVEDÌ, 21 FEBBRAIO 2013
Furto lieve in azienda: legittimo il
licenziamento
La vicenda ha riguardato un furto fatto da un dipendente nello zainetto di un suo
collega. E’ stato licenziato.
E’ legittimo il licenziamento del lavoratore che ruba lo zainetto ad un collega perché
fatti del genere turbano “la serenità dell’ambiente di lavoro” e incidono “sulla fiducia
del datore” che viene “incrinata” da una simile “condotta delittuosa”.
Questo, in sintesi, quanto statuito dalla Cassazione, con la sentenza del 28 gennaio
2013 n. 1814.
La vicenda riguardava un dipendente di una grande azienda il quale, approfittando
della
momentanea
assenza
di
un
collega,
rubava
lo
zainetto
lasciato
momentaneamente fuori dall’armadietto assegnato a ogni dipendente. L’uomo aveva
poi rifiutato di aprire la sua macchina dicendo che aveva perso le chiavi e di non
sapere come mai lo zainetto fosse finito proprio sul sedile dell’auto. Non gli è servito
far presente che dentro non c’era nulla di valore e che, quindi, il furto non poteva
essere considerato un fatto grave.
La Suprema Corte ha confermato la decisione dei Giudici di primo e secondo grado
e
ha provveduto a convalidare la sanzione espulsiva erogata dall’azienda perchè “il furto
ai danni di un collega è una condotta idonea ad incrinare la fiducia che nel lavoratore
deve essere riposta non solo dal suo datore di lavoro ma anche dai colleghi, con i quali
lo stesso è quotidianamente in contatto. Inoltre, la decisione de qua, ribadendo
l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ha sottolineato che è irrilevante, ai
fini del venir meno dell’elemento fiduciario, la circostanza della modestia economica
del bene sottratto”: ciò anche perchè “nel caso in questione, il lavoratore non poteva
sapere quale fosse il reale contenuto dello zainetto”.
Tale sentenza richiama, pertanto, alcuni principi cardine in materia di licenziamento
disciplinare ed affronta nuovamente la questione se il modico valore delle cose di cui
si è appropriato il lavoratore possa incidere nella gradualità e proporzionalità della
sanzione irrogata allo stesso.
Come è noto, infatti, la giurisprudenza dominante ha affermato che per stabilire la
sussistenza della giusta causa di licenziamento, nonché il rispetto della regola
codicistica della proporzionalità della sanzione, il giudice deve accertare in
concreto se la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata
non solo nel suo contenuto obiettivo ma anche nella sua portata soggettiva,
specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stata posta in
essere, ai suoi modi, ai suoi effetti e all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente,
risulti obiettivamente e subiettivamente idonea a ledere in modo grave la
fiducia che il datore di lavoro ripropone nel proprio dipendente e tale, quindi, da
esigere la massima sanzione espulsiva senza che in tal caso possa rilevare l’assenza o
la modesta entità di un danno patrimoniale a carico del datore di lavoro (Cass. n.
2692/2011, Cass. n. 5116/2008). Infatti, sotto il profilo del pregiudizio economico
subito dal datore di lavoro, la giurisprudenza dominante ha affermato che, attesa
l’idoneità del comportamento del dipendente a produrre un pregiudizio potenziale per
se stesso valutabile nell’ambito della natura fiduciaria del rapporto, la sussistenza e
l’entità del danno economico effettivo per il datore di lavoro ha un rilievo secondario
ed accessorio rispetto alla valutazione complessiva delle circostanze delle quali si
sostanzia l’azione commessa.
Alla luce di tali principi, i Giudici con la sentenza de qua, hanno ritenuto la condotta
del lavoratore idonea a ledere l’elemento fiduciario caratterizzante il rapporto
lavorativo, ritenendo pertanto proporzionata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la
sanzione espulsiva.
Da sottolineare che ai fini di valutazione di proporzionalità della sanzione, riveste un
ruolo importante la disposizione di cui all’art. 30, c. 3 L. 183/2010, c.d. Collegato
lavoro, la quale stabilisce che nel valutare le motivazioni poste a base del
licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato
motivo
presenti
nei
contratti
collettivi
di
lavoro
stipulati
dai
sindacati
comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove
stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione. Nel caso
di specie, infatti, i Giudici hanno fondato la valutazione di proporzionalità della
sanzione espulsiva mediante il richiamo alla espressa previsione di licenziamento per
l’ipotesi di furto contenuta nella disposizione di cui al CCNL applicabile al rapporto,
evidenziando
i
riflessi
negativi
della
condotta
del
lavoratore
sulla
serenità
dell’ambiente di lavoro e sulla fiducia del datore di lavoro, irrimediabilmente incrinata
dalla condotta delittuosa ai danni del collega.
Nello stesso senso di cui alla disposizione del Collegato lavoro, e in maniera più
incisiva, la recentissima Riforma Fornero ha attribuito valore vincolante alle
tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo contenute nei contratti collettivi e
nei codici disciplinari aziendali: infatti, il 4° c. dell’art. 18 Stat. Lav., come modificato
dalla L. n. 92/2012, ha previsto che nell’ipotesi in cui il fatto posto a base del recesso
rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle
previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari aziendali (e nel caso in
cui non ricorrono gli estremi del licenziamento disciplinare per insussistenza del fatto
contestato), il giudice annulla il licenziamento ed applica il regime sanzionatorio
previsto in ipotesi di licenziamento disciplinare illegittimo.
Da sottolineare infine, sotto il profilo sanzionatorio derivante dalle fattispecie di
licenziamenti illegittimi che, in base alla ratio dell’intervento riformatore di cui al citato
art. 18, in tutti gli altri casi in cui, pur se viene accertato che non ricorrono gli estremi
della giusta causa, come del resto recita il comma 5, il potere del giudice di valutare la
proporzionalità tra sanzione e infrazione (art. 2016 cod. civ.) nel caso concreto
dovrebbe portare solo ad una sanzione economica, ma non alla reintegrazione (ad. es.
licenziamenti intimati per comportamenti realmente tenuti dal lavoratore ma di gravità
irrisoria).
di Avv. Francesco Rotondi