La Cassazione finalmente applica la legge: sulla natura obiettiva del

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La Cassazione finalmente applica la legge: sulla natura obiettiva del
La Cassazione finalmente applica la legge: sulla natura obiettiva
del divieto di discriminazione di genere
di R. Galardi - 30 maggio 2016
Interessantissima pronuncia della S.C. con la quale finalmente si riconosce la distinzione ontologica tra licenziamento per motivo illecito determinante (in specie ritorsivo) ex art. 1345
cod. civ. e licenziamento discriminatorio (fondato sul sesso).
Con un consolidato orientamento la Cassazione per lungo tempo aveva assimilato le due fattispecie di recesso attraendo il licenziamento discriminatorio (per violazione dei fattori di
protezione tipizzati nell’ordinamento) nel motivo illecito determinante con la conseguente
sussistenza della nullità del recesso solo quando il motivo illecito fosse stato l’unico determinante la volontà datoriale.
La sentenza in commento invece ci ricorda, correttamente, come la discriminazione discenda
direttamente dalla violazione di norme interne (art. 4, l. n. 604/1966, art. 15 l. n. 300/1970,
art. 3 l. n. 108/1990) e di precetti europei (in particolar modo le direttive antidiscriminatorie)
ed operi – a differenza del motivo illecito determinante – obiettivamente, «ovvero in ragione
del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta… ed a prescindere dalla volontà illecita (e del motivo) del
datore di lavoro».
E quindi l’eventuale concorrente motivazione del datore non esclude di per sé la discriminazione: «la normativa nazionale ove interpretata nel senso di consentire una discriminazione
diretta fondata sul sesso per la concorrenza di un’altra finalità, pur legittima (nella specie il
dedotto motivo economico) sarebbe contraria alla direttiva».
Nel caso di specie una lavoratrice, dipendente di uno studio professionale, era stata licenziata
per un asserito motivo oggettivo conseguente alle ricadute negative della sua programmata
assenza imposta dalla necessità di sottoporsi a trattamento di inseminazione artificiale.
Nella comunicazione dei motivi del licenziamento il datore aveva anche alluso a condotte
aventi rilevanza disciplinare (utilizzazione abusiva delle assenze per malattia e violazione
degli obblighi discendenti dal rapporto di lavoro). Peraltro in nessuno dei giudizi di merito il
datore era riuscito a provare la legittimità del licenziamento e quindi l’effettiva sussistenza
della motivazione del licenziamento.
Raffaele Galardi, assegnista di ricerca nell’Università di Pisa
Visualizza il documento: Cass., 5 aprile 2016, n. 6575
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