leading case in materia di rapporti bancari e d`investimento

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leading case in materia di rapporti bancari e d`investimento
Maggio 2016
LEADING CASE IN MATERIA DI RAPPORTI BANCARI E
D’INVESTIMENTO
Mentre è in fase di pubblicazione il Decreto Legge, approvato il 29 aprile 2016 dal Consiglio dei Ministri,
contenente le nuove misure che aspirano a favorire il recupero dei crediti per conferire maggiore
efficienza al sistema con un occhio di riguardo alla comunità finanziaria, la giurisprudenza, anche
comunitaria, prosegue nella sua fitta attività interpretativa in materia bancaria e di servizi d’investimento.
Tra i più recenti interventi meritano di essere segnalate almeno tre decisioni, potenzialmente di rilevante
impatto per gli operatori, che verranno approfondite all’interno di questa newsletter:
1. Sulle clausole di proroga della giurisdizione contenute nei prospetti di emissioni di titoli obbligazionari
interviene la Corte di Giustizia dell’Unione Europea
2. Una recente pronuncia della Corte di Cassazione in materia di collateral e abuso del diritto
3. La prova dell’avvenuta stipulazione del contratto quadro: due recenti pronunce della Corte di Cassazione
SULLE CLAUSOLE DI PROROGA DELLA GIURISDIZIONE CONTENUTE NEI PROSPETTI DI EMISSIONI DI TITOLI
OBBLIGAZIONARI INTERVIENE LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), in una recente pronuncia (sentenza del 20
aprile 2016 nella causa C-366/13), ha tracciato i criteri che i Giudici nazionali dovranno seguire per
stabilire se una clausola di proroga di giurisdizione contenuta nel prospetto di emissione di titoli
obbligazionari cross border, destinati ad avere circolazione transfrontaliera, sia o meno opponibile agli
investitori finali, per il caso in cui la sottoscrizione sia avvenuta nel mercato secondario per il tramite di
un intermediario. E’ stata la Corte di Cassazione Italiana a porre alcuni quesiti al Giudice Europeo in
relazione alla corretta interpretazione da dare all’art. 23 (ora sostituito dal Regolamento n. 1215/2015),
concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia
civile e commerciale.
La Corte di Giustizia Europea ha anzitutto stabilito che una clausola di competenza, contenuta in un
prospetto di emissione di titoli obbligazionari predisposto dalla società emittente, può essere opposta ad
un investitore terzo che ha sottoscritto le obbligazioni per il tramite di un intermediario del mercato
finanziario, anche in un ordinamento diverso da quello di emissione, allorché sia dimostrato che
- la clausola di proroga di giurisdizione è valida tra l’emittente e l’intermediario,
- in base al diritto nazionale applicabile, l’investitore terzo è subentrato nei diritti e negli obblighi
derivanti dai titoli obbligazionari sottoscritti nel mercato secondario e
- il terzo investitore ha avuto la possibilità di conoscere il prospetto informativo.
E’ poi compito del giudice nazionale stabilire se le predette circostanze siano state provate dalla parte
interessata.
Oltre a questi criteri applicabili in via generale a tutti gli investitori del mercato secondario, e pertanto
anche agli investitori retail, la CGUE ha poi affermato il principio, riservato esclusivamente agli
investitori professionali, in base al quale, al ricorrere di specifiche circostanze che dovranno sempre
essere verificate dal giudice nazionale, l’inserimento di una clausola di deroga della giurisdizione in un
prospetto di emissione di titoli obbligazionari destinati alla circolazione transfrontaliera può ritenersi una
forma ammessa da un uso vigente nel commercio internazionale ai sensi dell’art. 23, par. 1 lettera c) Reg.
n. 44/2001, con la conseguenza che il consenso dell’investitore terzo, al quale la clausola di proroga della
giurisdizione è opposta, può validamente presumersi in caso di risposta affermativa. Secondo la CGUE,
l’inserimento di una clausola di deroga della giurisdizione in un prospetto di emissione di titoli
obbligazionari può ritenersi una forma ammessa da un uso vigente nel commercio internazionale ove sia
accertato che
- si tratti di un comportamento generalmente e regolarmente seguito dagli operatori del settore al
momento della conclusione del contratto;
- i contraenti intrattenevano già rapporti commerciali tra loro o con altri operatori del medesimo
mercato o, in alternativa, il comportamento in questione è prassi nota in quanto ormai consolidata.
La decisione della CGUE potrebbe avere un impatto sul mercato delle obbligazioni cross border. Da un
lato, sottoponendo a stringenti requisiti formali l’opponibilità a un investitore retail di una clausola di
deroga alla giurisdizione inserita in un prospetto titoli (requisiti a cui andranno ad aggiungersi quelli
ulteriori previsti dalla disciplina in materia di offerta di strumenti finanziari al mercato retail e di contratti
con i consumatori, entrambi di matrice comunitaria), i principi annunciati lasciano in capo all’emittente il
rischio di possibili scenari di contenzioso in diverse giurisdizioni, poiché possono profilarsi in concreto le
condizioni in cui si riveli difficile sottrarsi alla giurisdizione del giudice naturale. Dall’altro lato, per le
operazioni di sottoscrizioni di obbligazioni cross border sul mercato secondario da parte di investitori
professionali, pur ammettendo la possibilità di presumere il consenso in capo a quest’ultimi rispetto alla
clausola di proroga della giurisdizione, la decisione rimette comunque la valutazione circa la sussistenza
dei presupposti per la configurabilità di uso del commercio internazionale al giudice nazionale, potendo
così prospettarsi che la questione di giurisdizione sia soggetta a differenti soluzioni a seconda della
sensibilità dei giudici nazionali.
UNA
RECENTE PRONUNCIA DELLA
DIRITTO
CORTE
DI
CASSAZIONE
IN MATERIA DI COLLATERAL E ABUSO DEL
Una recente pronuncia della Corte di Cassazione - la sentenza n. 6533 del 5 aprile 2016 – si è
occupata di un caso di ipoteca giudiziale iscritta su beni di valore superiore rispetto a quello del credito
garantito, emanando una pronuncia che può considerarsi un significativo precedente per le attività
recuperatorie, ivi compreso il mercato dei c.d. crediti non performing (NPLs). E’ noto che le variabili che
incidono negativamente sul valore di acquisto dei crediti bancari nel nostro mercato sono essenzialmente
il tempo e i costi necessari per il recupero, anche a causa di “ostacoli” giudiziari rappresentati da
eccezioni di illecita applicazione di interessi anatocistici, di commissioni di massimo scoperto, di tassi
superiori a quelli soglia in base alla legge antiusura e altre di analogo tenore. Spesso si tratta di crediti
assistiti da ipoteca giudiziale iscritta per valori rispetto ai quali il credito vantato dalla Banca rischia di
subire falcidie più o meno rilevanti, e ciò all’esito di consulenze tecniche miranti a ricalcolare al ribasso
l’esposizione del debitore.
Tra le eccezioni opposte in sede di recupero non è infrequente anche quella della responsabilità
dell’Istituto di credito per aver iscritto l’ipoteca su beni di valore significativamente superiore rispetto al
quantum del credito garantito dal collateral, soprattutto nei casi in cui quel credito sia poi stato ritenuto in
parte inesistente. Sino alla pronuncia in esame, l’orientamento dominante era quello secondo cui il
creditore che aveva iscritto ipoteca giudiziaria per una somma in eccesso non poteva essere chiamato, per
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ciò solo, a rispondere di eventuali danni a titolo di responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, comma 2,
c.p.c. per non aver agito giudizialmente secondo la normale prudenza.
La sentenza in questione si pone in controtendenza con questo orientamento, imponendo al
creditore di usare prudenza e cautela nella estensione, in termini di valore, della garanzia che assiste il
credito. Il principio sancito dalla Suprema Corte è il seguente: “Nell’ipotesi in cui risulti accertata
l’inesistenza del diritto per cui è stata iscritta ipoteca giudiziale e la normale prudenza del creditore nel
procedere all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, è configurabile in capo al suddetto creditore la
responsabilità ex art. 96, secondo comma, c.p.c. quando non ha usato la normale diligenza nell’iscrivere
ipoteca sui beni per un valore proporzionato rispetto al credito garantito, secondo i parametri individuati
dalla legge (artt. 2875 e 2876 c.c.), così ponendo in essere, mediante l’eccedenza del valore dei beni
rispetto alla cautela, un abuso del diritto della garanzia patrimoniale in danno al debitore”.
L’iter argomentativo seguito dalla Corte di Cassazione è fondato sul principio del giusto processo
ex art. 111, primo comma, Cost., applicato dalla giurisprudenza, in questa come in altre situazioni, per
escludere che siano meritevoli di tutela situazioni in cui l’utilizzo dello strumento processuale eccede i
limiti della sua funzionalità al perseguimento del diritto per cui è stato conferito. Il principio è stato poi
coordinato in questo caso con disposizioni che danno valore alla proporzione tra credito garantito e
collateral, come quelle sulla riduzione giudiziale delle ipoteche quando il valore dei beni su cui insiste la
garanzia superi di un terzo i crediti iscritti aumentati degli accessori o quando la somma indicata dal
creditore nell’iscrizione ecceda di un quinto quella che l’autorità giudiziaria dichiara poi dovuta all’esito
del giudizio intrapreso dal debitore.
Questo principio giurisprudenziale, ove trovasse conferma in successive pronunce della Suprema
Corte, potrebbe spingere a considerare, nella valutazione dei crediti assistiti da garanzie ipotecarie,
l’incognita di una eventuale richiesta risarcitoria del debitore, specie ove, in sede di recupero giudiziale
del credito, possa essere prospettabile il rischio del riconoscimento di una parziale inesistenza del credito.
LA PROVA DELL’AVVENUTA
CORTE DI CASSAZIONE
STIPULAZIONE DEL
CONTRATTO QUADRO:
DUE RECENTI PRONUNCE DELLA
Altre due recenti sentenze della Corte di Cassazione (24 marzo 2016 n. 5919 e 11 aprile 2016 n.
7068), in relazione ai requisiti di forma dei contratti per la prestazione dei servizi di investimento ai sensi
dell’art. 23 Testo Unico della Finanza (c.d. Contratti Quadro), richiamano nuovamente l’attenzione sui
rischi correlati a possibili contestazioni della clientela retail nei confronti delle Banche o altri intermediari
in relazione a rapporti di investimento in strumenti finanziari.
La prassi più comune è quella del perfezionamento del rapporto mediante scambio di proposta,
rivolta dal cliente alla Banca, e di accettazione della stessa da parte della Banca, con la conseguenza che il
cliente entra in possesso dell’accettazione in originale sottoscritta dalla Banca e quest’ultima della
proposta in originale sottoscritta dal cliente. Fermo restando che questa modalità di stipulazione dei
contratti rispetta il requisito della forma scritta prescritto a pena di nullità, in un eventuale contenzioso
con il cliente possono sorgere difficoltà sul piano della prova, posto che, per la dimostrazione della valida
sussistenza del rapporto, la giurisprudenza richiede la produzione di entrambi gli atti negoziali (e dunque
sia della proposta, sia dell’accettazione). Eccepita dal cliente l’inesistenza del Contratto Quadro, la Banca
si trova nell’esigenza di provare che tale Contratto sia stato validamente perfezionato prima della
esecuzione delle operazioni di investimento; ma nella prassi i clienti spesso omettono di produrre in
giudizio l’originale dell’accettazione della Banca che materialmente è nella loro esclusiva disponibilità.
Sino ad oggi, di fronte a scenari in cui risultava prodotta in giudizio unicamente la proposta del
cliente, l’atteggiamento assunto dai Giudici di merito non è stato omogeneo: accanto a pronunce in cui i
predetti principi sono stati applicati in modo rigoroso giungendo alla conclusione dell’assenza del
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Contratto Quadro con ogni conseguente effetto restitutorio a carico della Banca, vi sono state decisioni
che, seguendo un approccio maggiormente equo, sono ricorse al principio giurisprudenziale in base al
quale alla mancata sottoscrizione di una scrittura privata può sopperirsi con la produzione in giudizio del
documento stesso da parte del contraente non firmatario che se ne intenda avvalere. Un orientamento,
questo, sostenuto peraltro anche in sede di legittimità (Cass. 22 marzo 2012 n. 4564).
Le due recenti pronunce della Suprema Corte sono state di contrario avviso, giungendo ad
affermare che la produzione in giudizio da parte del contraente che non ha sottoscritto il contratto realizza
un equivalente della sottoscrizione, ma con effetti necessariamente ex nunc, tanto è che “il congegno non
opera se l’altra parte abbia medio tempore revocato la proposta”. Da ciò si fa conseguire che l’eventuale
produzione in giudizio, da parte della Banca, del Contratto Quadro sottoscritto dal solo cliente determini
il perfezionamento dello stesso con effetti solo dalla data di produzione in giudizio e, pertanto, non possa
giustificare la validità delle operazioni di investimento che, eseguite in tempi necessariamente
antecedenti, rimangono comunque prive, secondo la Corte, del necessario sostegno contrattuale.
Questo orientamento potrebbe avere un impatto significativo sia nella valutazione dei rischi in
relazione all’esito di contenziosi in cui sia in discussione l’esistenza del Contrato Quadro, sia nel
suggerire l’adozione di cautele operative correttive rispetto alla prassi pregressa nella formazione del
Contratto stesso, esigenza fatta propria dalla stessa Corte di Cassazione che ha indicato espressamente
l’opportunità di “redigere il contratto quadro in doppio originale sottoscritto da entrambi i contraenti”. Il
discorso potrebbe essere esteso alla formazione dei contratti bancari per i quali, in base alla normativa di
settore, la forma scritta sia requisito per l’esistenza del rapporto negoziale. I principi posti alla base delle
decisioni emesse dalla Corte di Cassazione sono, infatti, di portata generale e potrebbero essere applicati
dai Giudici di merito anche in relazione ad altre tipologie di negozi per i quali la forma scritta sia prevista
a pena di validità dell’atto.
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