Il lato oscuro della guerra in Afghanistan

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Il lato oscuro della guerra in Afghanistan
Il lato oscuro
della guerra in Afghanistan
I contadini afghani la chiamano giang-i-tariàk, la guerra dell’oppio. Una guerra
che, nonostante la distanza, ci riguarda. Le conseguenze di quello che è
successo nel martoriato Afghanistan, infatti, giungono fino a noi. Fino
all’Europa e – soprattutto – fino all’Italia. Ma in che modo? Con quella che
Enrico Piovesana, giornalista ed autore di Afghanistan 2001-2016: la nuova
guerra dell’oppio(Arianna Editrice, pp. 96 euro 8,90), chiama “il ritorno
dell’eroina”. E il nostro Paese è il secondo mercato in Europa – dopo la Gran
Bretagna – di questa micidiale sostanza prodotta grazie alle piantagioni di
papavero nelle montagne del Paese asiatico.
Che l’Afghanistan sia il più grande produttore di oppio al mondo – seguito dal
Triangolo d’Oro compreso tra la Birmania, il Laos, la Thailandia e il Vietnam –
non è certo una novità. Ma il volume del giornalista è un viaggio-inchiesta che
ci conduce alla scoperta del lato più oscuro e meno dibattuto di questo
allarmante fenomeno: quello della connivenza delle forze d’occupazione
americane e alleate con il business dell’oppio e dell’eroina. Per l’autore, che
riporta numerose testimonianze raccolte durante i suoi viaggi come
corrispondente per Peace Reporter, questa è stata “una spregiudicata strategia,
orchestrata dalla CIA secondo una pratica operativa attuata dall’agenzia fin
dalla sua nascita, che ha provocato il boom della produzione di oppio afgano e
del traffico internazionale di eroina, con il coinvolgimento degli stessi militari
alleati, italiani compresi”. La conseguenza è tristemente sotto gli occhi di tutti:
una nuova epidemia globale di tossicodipendenza, scientemente diffusa in nome
del business, miete silenziosamente centomila vittime ogni anno, soprattutto in
Europa e in Russia.
Enrico Piovesana scopre tutto per caso. E’ inviato nella regione di Helmand per
occuparsi prevalentemente di temi umanitari, ma la realtà che si trova di fronte
è ben diversa da quella che pensava. Il giornalista, infatti, durante la sua
permanenza conosce molti coltivatori della pianta. Un cosa normale da queste
parti: “Quando ti trovi a lavorare nella zona capitale mondiale dell’oppio, tutti
ne hanno a che fare”, spiega. “Per la gente di qui, l’oppio rappresenta una scelta
obbligata in quanto è l’unica fonte di reddito in grado di garantire un livello
minimo di sopravvivenza. Con le coltivazioni di riso, grano e mais, gli
agricoltori farebbero la fame”.
E sono proprio i coltivatori a chiarire a Piovesana che oltre a sequestragli il
raccolto, in nome di una presunta lotta alla droga, le autorità afghane con l’aiuto
degli eserciti stranieri presenti, la fanno diventare eroina per introdurla nel
mercato globale. “Con il nostro oppio – racconta una testimonianza nel libro –
il governo ci fa l’eroina e la vende all’estero con l’aiuto dei militari stranieri.
Un po’ dell’oppio sequestrato viene bruciato davanti ai giornalisti per fare
scena, ma tutto il resto finisce nelle raffinerie di Karzai e dei suoi amici”.
Sembrerebbe una trama da film hollywoodiano. Ma non è così. A dirlo non
sono solo i coltivatori che vedono sfumare il loro guadagno. In questa battaglia
per il potere politico-economico sono molti gli attori in gioco. Dal governo
all’ex presidente Karzai, dai potenti locali ai vari contingenti internazionali, dai
talebani alla DEA e le altre agenzie antidroga.
Un’inchiesta del 2009 del New York Times ha denunciato il fatto che Karzai,
come altri narcotrafficanti legati al mondo afgano, era a libro paga della CIA.
Nel 2010 la parlamentare Nasima Niazi ha dichiarato all’agenzia di stampa
iraniana Fars News che “le forze straniere dispiegate in Afghanistan sono
coinvolte nella produzione e nel traffico di droga”. Una denuncia simile è
arrivata l’anno successivo da Yusef Alì Weazi, il consigliere di Hamid Karzai,
alla televisione Press Tv: “Abbiamo le prove che le truppe britanniche non solo
siano inattive nel contrastare il traffico di droga, ma che vi siano addirittura
coinvolte”. Queste sono solo alcune delle numerose testimonianze che riporta il
libro del giornalista.
In questo affare milionario si è infiltrato anche lo Stato Islamico. Viktor Ivanov,
direttore dell’agenzia antidroga russa, ha denunciato che nel traffico dell’eroina
afghana verso l’Europa l’ISIS riesce a guadagnare circa un miliardo di dollari
all’anno. Questa denuncia è stata confermata anche da Tom Keatinge, analista
del Royal United Services Institute di Londra, che spiega come il Califfato
sarebbe deciso a puntare sempre di più su questo business, per garantirsi un
canale di finanziamento parallelo a quello del petrolio, messo in crisi dopo i
bombardamenti made in Russia. E non è un caso che, stando all’ultimo rapporto
mondiale sulla droga stilato dall’ONU, si registra un forte incremento dei
quantitativi di eroina entrati in Turchia via Irak. Per poi arrivare, attraverso il
Kosovo, anche da noi.