Il paradiso dell`oppio

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Il paradiso dell`oppio
Il paradiso dell'oppio
IL PARADISO DELL'OPPIO
Gatti. Nelle fumerie di oppio dell’estremo Oriente è facile vedere un gatto avvicinarsi ai clienti in
attesa che questi espellano la boccata di fumo per annusarla a più riprese.
Gioia. Gli assiri chiamavano l’oppio Hul Gil, “droga bruna, figlia del papavero del campo” o
“pianta della gioia”.
Sciroppo. Dioscoride, medico militare alla corte di Nerone, prescrisse all’Imperatore uno
sciroppo antitosse a base d’oppio (il “dia kodeion”). Raccomandava anche pane a base di semi
di oppio coltivato per la dieta, lattice di papavero selvaggio come narcotico, olio freddo di rose
mischiato a oppio per il mal d’orecchie, supposte di oppio contro le emorroidi.
Anestesia. All’epoca di Boccaccio, i pazienti sottoposti a intervento chirurgico venivano
"addoppiati", cioè addormentati con l'oppio (molti impazzivano, altri non si svegliavano affatto).
Fratture. Nel 1701 il dottor John Jones, inglese, proclamava che con l’oppio si poteva curare
persino vaiolo, colera, peste e fratture alle ossa.
Pasta gelatinosa. Guy de Maupassant, convinto che iniettarsi morfina nelle vene stimolasse la
creatività, nel 1892 fu ricoverato nella "Maison du docteur Blanche", celebre clinica psichiatrica
sulla collina di Auteil. Afflitto dalla sifilide, minato dalla follia ("dalla Tour Eiffel Dio ha proclamato
che sono suo figlio"), Maupassant confessava agli amici: "Sono finito. Tutte le notti il mio
cervello mi cola dal naso come una pasta gelatinosa. La morte è vicina" (nel 1876 Flaubert
l'aveva avvertito: "Troppe puttane").
Cristalli solubili. "Non posso separarmi dal mio dio in cristalli solubili" (Michail Bulgakov,
“Morfina”).
Rugiada mielata. Samuel Taylor Coleridge, sin da bambino consumatore di laudano, drogato
dall’età di vent’anni, usava chiamare l’oppio “rugiada mielata” o “latte di paradiso” (la sostanza
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gli donava la sensazione di giacere su una barchetta nel cuore dell’oceano). Assieme alla
moglie, sistemò un’arpa eolia nel giardino di casa, tra giacinti e mirti dalle foglie larghe. Di sera,
inebriati dalla droga, entrambi guardavano le nubi dileguarsi nell’oscurità e ascoltavano l’arpa
gemere "come una fanciulla che ceda e non ceda all’innamorato".
Ottomila gocce. Thomas De Quincey, scrittore romantico ed erudito, spesso preda di crisi di
malinconia, in un giorno d’autunno del 1804, nemmeno ventenne, mandò giù le prime gocce
d’oppio per curare un mal di testa. Trovò l’esperienza insolitamente piacevole e non ebbe più
emicranie. Qualche tempo dopo confessò di aver bisogno di ottomila gocce giornaliere per
sentirsi tranquillo (ciononostante la notte continuava a sognare di rifugiarsi in case cinesi piene
di tavolini di bambù, per sfuggire a un coccodrillo che lo inseguiva dappertutto).
Conquistatori. Il medico cinese Fu Manchu, personaggio di un romanzo dello scrittore inglese
Sax Rohmer, progetta di conquistare il mondo dei bianchi rendendoli tutti oppiomani.
Insofferenza. Jean Cocteau, che si era imposto di non fumare più di dieci pipe d’oppio al giorno
(tre al mattino, quattro al pomeriggio, tre alla sera), dal dicembre 1928 all’aprile del ’29 nella
clinica Saint-Clod per disintossicarsi, rimase sempre convinto di dovere alla droga le sue ore più
perfette. Effetti collaterali della sua crisi d'astinenza: starnuti, sbadigli, lacrime, impotenza,
insofferenza nei confronti di piccioni e altri volatili.
Zucchero. Pablo Picasso, sotto effetto dell’oppio, sicuro che evitare di liquefarsi nel proprio
bagno come un pezzo di zucchero fosse un miracolo.
Santità. "E’ difficile, dopo aver conosciuto l’oppio, viverne senza, perché è difficile, dopo averlo
conosciuto, prendere sul serio la terra. E, a meno di essere un santo, è difficile vivere senza
prendere sul serio la terra" (Jean Cocteau).
Solitudine. "Il morfinomane ha una felicità che nessuno gli può togliere: la capacità di
trascorrere la vita in completa solitudine. E la solitudine significa pensieri importanti e profondi,
significa contemplazione, serenità, saggezza" (Michail Bulgakov, "Morfina")
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Lampo. "Flash, in inglese, vuol dire: lampo. Per un drogato, vuol dire: spasimo. Il flash è ciò che
succede nel corpo di un drogato quando la droga, spinta dallo stantuffo della siringa, entra nelle
vene. Ha la violenza del lampo e l'intensità dello spasimo. [...] Non c'è che l'iniezione - lo shoot che dà il flash. Ecco perché il vero drogato, un giorno o l'altro, giunge fatalmente all'iniezione. E
diventa un junkie. Un dio. O uno straccio. A scelta" (C. Duchaussois, Flash ou le grand voyage)
Identità. "Esiste una identità del tossicomane, o in altri termini, il tossicomane somiglia a un
altro tossicomane come la struttura di un cristallo somiglia isomorficamente alla struttura di un
altro cristallo o hanno piuttosto in comune l'inafferrabile evanescenza del fumo?" (C.
Olievenstein)
Dipendenza. "Perchè non può fare a meno dei narcotici, signor Lee?" è la domanda posta
normalmente dagli psichiatri stupidi. Si può solo rispondere: "Ho bisogno della droga per
alzarmi dal letto al mattino, per radermi e far colazione. Ne ho bisogno per rimanere in vita"
(William Burroughs)
Paradiso. "E i meno sciocchi, arditi amanti della Demenza, che fuggendo il grande gregge
recintato dal Destino, si rifugiano nell'oppio senza fine" (Charles Baudelaire)
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