A. Maida - Matematicamente

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A. Maida
Antinomia del bugiardo
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(A. Maida)
1. Verità-falsità
In un ogni linguaggio naturale vi sono vari tipi di proposizioni: dichiarative, interrogative,
esclamative, ecc. Fra esse sono rilevanti quelle dichiarative, od enunciati, quelle
proposizioni cioè alle quali abbia senso attribuire un valore di verità, vero o falso. Un
linguaggio naturale è poi semanticamente chiuso; cioè, se P è un suo enunciato allora
anche “P è vero” è un suo enunciato.
In contesti intuitivi, il concetto di verità-falsità degli enunciati può essere assunto solo
come primitivo, cioè come non definito. Il requisito minimo che però si richiede è che la
verità corrisponda ad un dato di fatto (concezione aristotelica della verità); che cioè,
qualunque sia il concetto di verità, gli enunciati
P
P è vero
siano equivalenti (cioè, entrambi veri o entrambi falsi). È ragionevole infatti pensare che
“la luna è un pianeta” è un enunciato vero se e solo se la luna è un pianeta.
Gli assertori di enunciati sono poi, cavalieri se asseriscono sempre il vero, bugiardi se
asseriscono sempre il falso, e normali se alcune volte mentono ed altre volte dicono il vero.
2. Antinomia del mentitore
Il più classico dei paradossi logici, l’antinomia del mentitore, ha avuto varie formulazioni.
Esse risalgono ad Eubulide, logico greco dell’antichità, che attribuisce al cretese
Epimenide le tre asserzioni:
a). Tutti i cretesi sono bugiardi.
b). Io sono un bugiardo.
c). Io sto mentendo. (antinomia del mentitore).
La a) non può essere vera; diversamente, in base alla concezione aristotelica della verità,
tutti i cretesi, e quindi anche Epimenide, sarebbero bugiardi; e quindi la a) sarebbe falsa.
Allora la a) è falsa; vi sarà quindi qualche cretese non bugiardo ed Epimenide non è un
cavaliere.
La b) non può essere vera; diversamente, in base alla concezione aristotelica della verità,
Epimenide sarebbe un bugiardo e quindi ogni sua asserzione, e quindi anche la b), sarebbe
falsa. Allora la b) è falsa; quindi, Epimenide non è un bugiardo; e poiché asserisce un falso,
sarà un normale.
Se la c) fosse vera, sarebbe allora vero ciò che essa asserisce; ma essa asserisce di essere
falsa; e quindi la c) sarebbe falsa. Se invece la c) fosse falsa, sarebbe allora falso ciò che
asserisce; e cioè la c) sarebbe vera. Si ha dunque a che fare con un’asserzione
contemporaneamente vera e falsa; cioè in un certo senso, con un non enunciato.
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Antinomia del bugiardo
La c) è la vera e propria antinomia del mentitore. Essa, punto di partenza della logica
moderna poiché le ricerche di Cantor, Frege, Hilbert, Russell, Gödel, Tarski ed altri
motivano essenzialmente da essa, ha resistito per oltre duemila anni ad ogni tentativo di
soluzione; e l’unica analisi soddisfacente sembra essere quella operata da Tarski (19021983, Varsavia) nel 1936 dentro il linguaggio dell’aritmetica formale. L’analisi tarskiana
porta ad escludere una possibile formulazione della nozione di verità dentro una teoria,
pena l’insorgere di antinomie linguistiche del tipo di quella del mentitore.
Un’altra formulazione dell’antinomia è la seguente: In una stanza ci troviamo un certo
numero di persone. Io faccio le tre seguenti asserzioni:
a). Tutte le persone qui dentro siamo bugiarde.
b). Io sono un bugiardo.
c). Io sto mentendo.
3. Analisi dell’antinomia.
Nel linguaggio naturale, a causa della sua chiusura semantica, è possibile costruire
enunciati che si riferiscono a se stessi; ed in particolare, enunciati che si autoattribuiscono
la verità (autoveri) o la falsità (autofalsi).
Si considerino infatti, nell’ordine, i quattro enunciati P, R, Q, S:
R è vero
P è falso
S è vero
Q è vero.
Per la concezione aristotelica della verità dovrà aversi:
P=R è vero⇔R=P è falso
Q=(S è vero)⇔S=(Q è vero).
E dunque l’enunciato P si autoattribuisce la falsità, mentre Q si autoattribuisce la verità.
Ma sono proprio gli enunciati del tipo P, che si autoattribuiscono la falsità, che generano
l’antinomia del mentitore. Infatti:
P è vero⇔ P⇔ P è falso
E dunque l’enunciato P è vero e falso. Si osservi che nelll’antinomia del mentitore
l’enunciato sospetto Io sto mentendo è un enunciato che, come P, si autoattribuisce la
falsità.
In definitiva:
a) Il linguaggio naturale è semanticamente chiuso; cioè, se vi appartiene P, vi appartiene
anche “P è vero”.
b) Da tale caratteristica consegue però l’esistenza nel linguaggio naturale di enunciati
autofalsi, che si autoattribuiscono cioè la falsità; quali l’enunciato P equivalente
all’enunciato P è falso.
c) Ma gli enunciati autofalsi sono però contemporaneamente veri e falsi.
Il linguaggio naturale è dunque, fatalmente, contraddittorio, nel senso visto.
Esempi
Si osservi che l’utilizzo di enunciati autofalsi genera sempre delle situazioni paradossali. Si
consideri ad esempio il seguente riquadro A nel quale vi sono due enunciati:
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A
a) Dio esiste.
b) I due enunciati del riquadro A sono falsi.
L’enunciato b) non può essere vero; diversamente, sarebbero falsi entrambi, e quindi b)
sarebbe falso. Ma allora b) è falso; è quindi falso ciò che asserisce, e quindi a) è vero; cioè,
Dio esiste.
Si consideri invece il seguente riquadro:
A
c) Dio non esiste.
a) Dio
d) esiste
I due enunciati del riquadro A sono falsi.
Ripetendo le argomentazioni precedenti si arriva alla conclusione Dio non esiste.
Si consideri infine il seguente riquadro:
A
e) P.
a) Dio
f) esiste
I due enunciati del riquadro A sono falsi.
In esso P è un qualunque enunciato. Si concluderà che P è un enunciato vero. Si potrebbe
dunque provare la verità di un qualunque enunciato.
Tali anomalie discendono dal fatto che il secondo enunciato,
i due enunciati del riquadro A sono falsi,
è in effetti un enunciato che si autoattribuisce la falsità.
4). Il “paradosso” del barbiere
Si consideri un insieme
U=⎨a,b,c,….⎬
di n individui ed una relazione binaria R in U (cioè, un insieme cioè di coppie di elementi
di U). Ci si chiede:
esiste un elemento H di U tale che, per ogni x∈U, si abbia: <H,
A:
x>∈R⇔<x, x>∉R.
Sicuramente, non può esistere un tale elemento H; se esso infatti esistesse, dovrebbe allora
risultare:
<H,H>∈R⇔<H,H>∉R.
Il paradosso del barbiere consegue dalla seguente asserzione:
B: Il barbiere di un villaggio fa la barba a tutti quelli che non se la fanno da sé.
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Chi fa la barba al barbiere? Perché, se se la fa da sè, allora, in base alle condizione poste,
non se la fa da sé. Se invece non se la fa da sé, allora se la fa da sé.
Tale paradosso è solo apparente. In effetti, se il villaggio è U, il barbiere è H, ed R è la
relazione binaria
x fa la barba ad y,
poiché la B presuppone che esista nel villaggio un barbiere che faccia la barba a tutti quelli
che non se la fanno da sé, si presuppone allora che valga la A; ma ciò, per quanto visto, non
può essere. In definitiva, non può esserci in un villaggio un barbiere
che faccia la barba a tutti quelli che non se la fanno da sé.
Dello stesso tipo è il paradosso della palla e del pilastro. Una palla di cannone dicesi
irresistibile se demolisce tutto ciò che gli si trova davanti; un pilastro dicesi indistruttibile
se non c’è niente che lo demolisca. Che succede se una palla irresistibile colpisce un
pilastro indistruttibile?
Anche in questo caso il paradosso è apparente; in effetti, non possono coesistere una palla
irresistibile ed un pilastro indistruttibile.
Un testo sull’argomento è:
R. Smullyan, Qual è il titolo di questo libro?, Zanichelli
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