Aspettando la guerra civile in Costa d`Avorio: l`ultimo scontro

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Aspettando la guerra civile in Costa d`Avorio: l`ultimo scontro
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15 marzo 2011
Aspettando la guerra civile in Costa d’Avorio:
l’ultimo scontro «au Pays des éléphants»
Massimiliano Mondelli(*)
La crisi postelettorale nata dalla contestazione dello scrutinio presidenziale del 28 novembre scorso sta
spingendo la Costa d’Avorio, il più ricco paese dell’Africa occidentale francofona, al collasso economico e
verso una guerra civile in grado di destabilizzare l’intera regione. Tale eventualità, tra l’altro, unirebbe consistenti flussi migratori a quelli ora in partenza dalle coste dell’Africa settentrionale alla volta dell’Europa.
Previsto per l’ottobre del 2005 e posticipato a più riprese per disaccordi legati alla definizione delle liste
elettorali e al disarmo degli ex ribelli da 9 anni incontrastati padroni del nord del paese, il primo turno delle
elezioni presidenziali si è tenuto nella calma e senza rilevanti difficoltà lo scorso 31 ottobre 2010 riscontrando una amplissima partecipazione popolare. Il 28 novembre successivo, il ballottaggio si è giocato fra il
presidente uscente Laurent Gbagbo (38,3% di voti al primo turno) e l’ex primo ministro ed ex vice direttore
del Fondo monetario internazionale, Alassane Ouattara (32,1%). Il 3 dicembre, la Commissione Elettorale
Indipendente, presieduta dall’ex ministro degli Esteri Youssouf Bakayoko dell’ufficio politico del Pdci, partito alleato dal 2005 al Rdr di Alassane Ouattara, ha annunciato la vittoria di quest’ultimo con il 54,1% dei
voti (vittoria immediatamente certificata dalle Nazioni Unite e riconosciuta da buona parte dei paesi membri
dell’Onu). Il giorno successivo, la Corte costituzionale, presieduta da una personalità molto vicina al partito
di Gbagbo, ha annullato i risultati di alcuni dipartimenti del nord del paese, consegnando così la vittoria al
presidente uscente con il 51,45% dei voti validi. Nessuno dei due candidati ha riconosciuto la sconfitta:
entrambi hanno giurato da presidente della Repubblica, creando di fatto la più grave crisi istituzionale che
la Costa d’Avorio abbia attraversato nei 50 anni della propria indipendenza.
Al fine di risolvere tale pericoloso stallo e dopo almeno sei fallite mediazioni diplomatiche ufficiali e di alto
livello, giovedì 10 marzo scorso, l’Unione africana ha riconosciuto e confermato l’elezione di Alassane
Ouattara a presidente della Repubblica di Costa d’Avorio. Il presidente uscente, Laurent Gbagbo, ha immediatamente rigettato tale decisione, mentre il Consiglio di Pace e di Sicurezza dell’Ua gli ha lasciato due
settimane per cedere il posto a Ouattara. Nel frattempo il paese ha seri motivi per temere che il peggio non
si sia ancora verificato.
Verso la guerra civile
Il primo scontro di una spirale di violenza che ha portato il cosiddetto “elefante ivoriano” a contare da dicembre a oggi circa 400 vittime, è stato il tentativo fallito dei partigiani di Ouattara di occupare, nei giorni
immediatamente successivi alla doppia proclamazione presidenziale, la sede della televisione pubblica
difesa dalle forze dell’ordine fedeli a Gbagbo. Ultimo in ordine di tempo fra i più tragici episodi verificatesi
dopo le elezioni, all’inizio di marzo, durante una manifestazione femminile a sostegno di Ouattara, sette
donne sono state uccise da colpi di mitragliatrice dalle forze che sostengono Gbagbo. Fra le elezioni e
Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.
(*) Massimiliano Mondelli, attualmente dottorando all’Università di Pavia, è stato coordinatore del CREA (Centre de
Recherches et de Formation sur l'Etat en Afrique, Abidjan, Costa d'Avorio) dal 2006 al 2009.
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oggi, crescenti scontri nei quartieri di Abidjan (Abobo, Koumassi, Yopougon) continuano ad allungare la
lista delle vittime. L’esercito rimasto fedele a Gbagbo ha sferrato sabato scorso ad Abobo (uno dei più
popolosi quartieri di Abidjan, che conta più di un milione di abitanti) un’offensiva contro le milizie armate
pro-Ouattara facendo almeno otto morti. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati
(Unhcr), almeno 200.000 persone sono in fuga da Abobo e più di 90.000 sono fuggiti dalla Costa d’Avorio
rifugiandosi in Liberia. Migliaia di abitanti di Abidjan si starebbero preparando a riparare nel vicino Ghana. Il
numero di rifugiati è in effetti aumentato considerevolmente nell’ultima settimana in concomitanza con la
ripresa del conflitto fra gli ex ribelli e le forze gbagbiste che si contendono, come durante la guerra civile
scoppiata nel 2002, città dell’estremo ovest ai confini con la Liberia come Toulepleu e Bloléquin.
Per controllare l’informazione, la televisione pubblica è sotto stretto controllo dei sostenitori di Gbagbo e gli
stessi impediscono da qualche giorno la distribuzione dei quotidiani a loro avversi. Nel frattempo, il governo di Ouattara ha vietato l’esportazione del cacao e ha operato perché le banche, in maggioranza controllate dai francesi, chiudessero, e perché la Banca centrale dell’Africa Occidentale non riconoscesse più la
firma dell’avversario. Il governo Gbagbo ha requisito quindi d’imperio le riserve della Banca centrale ad
Abidjan. Il nord del paese ha conosciuto giorni senza elettricità, mentre l’embargo economico impone una
sempre più drammatica scarsità di medicine, gas e carburante.
Le elezioni garantiscono la pace, non sono uno strumento di pacificazione
Il paese è sull’orlo del collasso e ciò, naturalmente, è la diretta conseguenza del fermo radicalismo delle
posizioni che Gbagbo, da una parte, e Ouattara, dall’altra, hanno sin da subito assunto, ma anche da una
scelta consapevole della cosiddetta comunità internazionale. In effetti, entrambi i contendenti con
l’intervento del garante internazionale sono da subito andati troppo in là per poter ora trovare, senza doversi impegnare in un’impossibile ritrattazione, una soluzione non violenta a una crisi ampiamente prevedibile. La cosiddetta comunità internazionale, che ha affrettatamente avvallato la vittoria di Ouattara, non ha
potuto rinnegare quanto proclamato e ripetuto più volte e ciò ha significato che ogni eventuale intesa non
avrebbe potuto che confermare Ouattara presidente della Repubblica. Il che naturalmente ha ristretto non
poco le possibilità di soluzione pacifica del conflitto.
Allo stato, sembra le uniche possibili vie d’uscita da questa drammatica impasse che la comunità internazionale consideri siano: o un imprevedibile accordo (imprevedibile, ma non impossibile poiché in dieci anni
di presidenza Gbagbo ha abituato a sorprendere) o il persistere dell’asfissia economica sino al collasso del
paese. Le sanzioni economiche in atto da mesi, il sistema finanziario ormai esanime, il porto di Abidjan in
estrema difficoltà hanno in effetti lo scopo dichiarato di rendere impossibile a Gbagbo di trovare le risorse
sufficienti per pagare l’esercito e i funzionari statali e perdere così il controllo dello stato. Secondo le Nazioni Unite, l’Unione africana, l’Unione europea e gli Stati Uniti tale strategia avrebbe il merito di porre sotto
pressione Gbagbo, indebolirlo e, extrema ratio, facilitare un’azione militare su vasta scala. Quest’ultima
eventualità, benché prospettata da più parti dentro e fuori il paese, si annuncia molto rischiosa sia dal punto di vista militare (non sarebbe facile espugnare Abidjan) sia civile poiché lascerebbe spazio a gravi rappresaglie sugli stranieri, europei e africani (presenti in rilevantissimo numero in Costa d’Avorio).
L’asfissia economica necessita di tempo e, prevedibilmente, sta favorendo un’ulteriore e pericolosa radicalizzazione nazionalistica dei fedeli di Gbagbo, ma soprattutto, cosa ben peggiore, sta disgregando ancor
più il già logoro tessuto sociale del paese.
La Costa d’Avorio ha resistito per due decenni a una folle retorica identitaria alimentata per la conquista del
potere da alcuni suoi spregiudicati leader politici. C’è il timore che la Costa d’Avorio non regga a una nuova
guerra civile e che si disgreghi in uno “stato fallito”. La crisi economica degli anni Ottanta e quella politica
iniziata nei primi anni Novanta hanno spinto il paese più avanzato e prospero dell’Africa francofona sull’orlo
dell’implosione. In un contesto contrassegnato da una profonda, perdurante e spesso violenta divergenza
fra gruppi di potere, uno degli errori più gravi è stato probabilmente commesso da chi ha presentato le
elezioni come unica via maestra per uscire dalla crisi. In realtà, le elezioni, in Costa d’Avorio come altrove,
garantiscono la pace, non sono e non possono essere uno strumento di pacificazione.
Il lavoro incessante della diplomazia bilaterale e multilaterale ha operato con abnegazione in Costa
d’Avorio, ma ha di fatto spinto il paese ad andare alle “salvifiche” elezioni quando lo stato non era ancora in
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grado di esercitare le sue prerogative sull’insieme del territorio, lasciando così ampio spazio per contestare
i risultati dello scrutinio.
Le elezioni del novembre scorso non sono quindi la fine della lunga transizione ivoriana e non hanno portato il tanto atteso consolidamento della democrazia in Costa d’Avorio. Se la nazione ivoriana non si sgretolerà, un governo di unità nazionale dovrà ricomporre le paure di un paese che ha resistito unito fino a
quest’ultimo scontro; un paese che, dal tentato colpo di stato del 2002, ha perso una generazione di giovani in un sistema educativo agonizzante e in una crisi artificiosa, e di cui quest’ultimo episodio ha decretato
il rischio di crollo. A vent’anni dal discorso mitterandiano di Baule e
dalla morte dell’autocrate e “padre della patria” Houphouët-Boigny, la
La ricerca ISPI analizza le
soluzione della crisi in Costa d’Avorio sarà rilevante per l’avvenire della
dinamiche politiche, strademocrazia in Africa. Non più perché modello di sviluppo sociotegiche ed economiche
economico, ma poiché il paese dovrà ricostruirsi sulle macerie della
del sistema internazionadevastazione di una transizione democratica così complessa.
le con il duplice obiettivo
Come ricordava il presidente statunitense Obama il 12 luglio 2009 nel
vicino Ghana «l'Africa non ha bisogno di uomini forti, ha bisogno di
istituzioni forti». Ma per ora in Costa d’Avorio continua a risuonare un
altro adagio ben familiare in Africa: «quando due elefanti combattono è
la terra che soffre». La Costa d’Avorio è oggi più che mai «le Pays des
éléphants».
di informare e di orientare le scelte di policy.
I risultati della ricerca
vengono divulgati attraverso pubblicazioni ed
eventi, focalizzati su tematiche di particolare
interesse per l’Italia e le
sue relazioni internazionali.
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