costa d`avorio: un paese spaccato in due

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COSTA D’AVORIO: UN PAESE SPACCATO IN DUE
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Sede legale e amministrativa: Palazzo Besso - Largo di Torre Argentina, 11 - 00186 Roma
Sede secondaria: Largo Luigi Antonelli, 4 - 00145 Roma
Web: www.ifiadvisory.com; Mail: [email protected]
Andrea Carbonari
Costa d’Avorio: le incognite del dopo Gbagbo
Pubblicato su: Equilibri.net
20 Aprile 2011
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COSTA D’AVORIO: LE INCOGNITE DEL DOPO GBAGBO
1. L’assedio
Dopo un assedio di diversi giorni alla residenza ufficiale nella quale si
era asserragliato, Laurent Gbagbo è stato catturato l’undici aprile ad
Abidjan. La versione ufficiale del governo ivoriano e della Francia è
che a catturarlo sono state le Forze Repubblicane della Costa d’Avorio
(FRCI), agli ordini di Ouattara. I sostenitori di Gbagbo affermano
invece che a prenderlo sono state le forze speciali francesi, che lo
hanno poi consegnato alle FRCI.
I dettagli della cattura sono politicamente rilevanti. Gbagbo e i suoi fin
dalla campagna elettorale del 2010 hanno presentato Ouattara come
uno “straniero”. Ossia come uno che, per i suoi legami familiari col
Burkina Faso e il suo passato nelle istituzioni internazionali, una volta
eletto avrebbe fatto gli interessi dei suoi sponsor esterni, in primo
luogo la Francia (ex potenza coloniale in Costa d’Avorio). Se fosse
confermata la loro ricostruzione dei fatti, i sostenitori del presidente
uscente potrebbero (anche se al momento non si sa come) continuare
a delegittimare il rivale. Che in questa fase ha invece assoluto bisogno
di essere riconosciuto come il presidente di tutti gli ivoriani.
La loro versione in realtà sembra credibile. Dai resoconti della stampa
e dalle immagini della battaglia di Abidjan è apparso chiaro che
almeno una parte consistente delle truppe di Ouattara era (ed è)
composta da milizie armate in maniera sommaria, poco preparate e
difficilmente gestibili. Nonostante la loro superiorità numerica queste
non erano riuscite a conquistare in poco tempo il rifugio del presidente
uscente. Le forze a lui fedeli hanno respinto diversi assalti e ripreso il
controllo di alcune aree della città. Città che gli avversari avevano
occupato dal 31 marzo, dopo una rapida e vittoriosa offensiva nel sud
della nazione. L’improvvisa svolta potrebbe ragionevolmente essere
dunque il frutto dell’intervento esterno di qualcuno più preparato e
meglio equipaggiato.
Comunque siano andati i fatti quel giorno, è indubbio che senza l’aiuto
del contingente francese “Licorne” e delle truppe della Missione Onu
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Andrea Carbonari
in Costa d’Avorio (ONUCI), Ouattara e i suoi non sarebbero riusciti
ad avere ragione così presto del rivale. I ripetuti bombardamenti
effettuati dagli elicotteri sulle roccaforti delle Forze di Sicurezza (FDS)
fedeli a Gbabgo hanno indebolito la loro resistenza.
L’intento dichiarato dei bombardamenti era di distruggere
l’armamento pesante (lanciamissili, veicoli blindati, ecc.) di cui ancora
disponevano le FDS e che aveva permesso loro di mettere in difficoltà
gli attaccanti. Colpendo gli strumenti che consentivano alle FDS di
ridurre la disparità con gli avversari l’ONUCI e i francesi hanno fatto
una scelta di campo ben precisa. Scelta peraltro coerente con le
premesse, visto che da mesi riconoscevano Ouattara come il capo dello
stato legittimo. Ma la loro decisione è stata in evidente contrasto col
mandato dei caschi di blu di svolgere, fra l’altro, il ruolo di forza di
interposizione fra le parti tutelando la popolazione civile. È vero che
Gbagbo li aveva trattati come truppe di occupazione in appoggio al
rivale (di fatto facilitando la loro scelta di campo). Ma è anche vero che
non erano tenuti a intervenire con gli elicotteri da guerra in maniera
così massiccia per ridurre il divario nel teatro d’operazioni fra i
contendenti.
L’affermazione fatta da alcuni funzionari internazionali che quegli
armamenti erano usati per colpire le truppe ONU non è infondata. Ma
il modo e la tempistica con cui le operazioni sono avvenute
autorizzano ad avanzare qualche critica. In sostanza, c’è una
sproporzione notevole tra i pochi casi di aggressione diretta a
personale delle Nazioni Unite riportati dai mezzi di informazione e le
modalità degli attacchi aerei.
2. Le responsabilità internazionali
Una delle formule più ripetute dai mezzi di informazione è che
Alassane Ouattara è il capo dello stato “riconosciuto dalla comunità
internazionale”. Questa affermazione non è falsa, ma è inesatta.
Sarebbe più corretto dire che egli è il leader “scelto dalla comunità
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internazionale”. In diversi passaggi degli eventi che si sono succeduti
negli ultimi mesi questa (intesa sia come organizzazioni che come
singoli stati) ha gettato il suo peso sulla bilancia in favore di Ouattara.
Anche quando forse maggiore prudenza e distacco avrebbero giovato
di più alla soluzione pacifica della controversia. Per motivi di spazio,
ci concentreremo solo sugli episodi più recenti.
L’intervento diretto contro il leader asserragliato è stata presentato da
ambienti dell’ONU come necessario per evitare ulteriori sofferenze
della popolazione. Ed effettivamente, da un punto di vista umanitario,
tale azione può essere vista giustamente come un mezzo per evitare
ulteriori spargimenti di sangue ponendo fine al conflitto in atto da
mesi. In realtà, però, nei giorni seguenti all’arresto di Gbagbo le
violenze sono proseguite, sia ad Abidjan che in altre città, soprattutto
dell’ovest del paese. Quindi la cattura di uno dei principali
responsabili della situazione attuale (ma non il solo) potrebbe
semplicemente avere sbilanciato la situazione in favore di una delle
parti in maniera definitiva. Le violenze successive all’undici aprile
sono state compiute infatti principalmente dai miliziani di Ouattara.
Nei giorni seguenti infatti Abidjan, ormai sotto il controllo delle FRCI
(salvo qualche raro focolaio di resistenza), è stata teatro di
rastrellamenti operati degli uomini del nuovo presidente, che hanno
compiuto anche saccheggi e violenze. Il bersaglio primario erano i
sostenitori dello sconfitto, ma anche la popolazione inerme non è stata
risparmiata. È apparso allora chiaro che le tra le truppe di Ouattara
convivono gruppi diversi, al servizio di “comandanti di zona” (che in
qualche caso non sono altro che “signori della guerra”), in
competizione più o meno strisciante fra di loro. Gruppi che sono
difficilmente gestibili dallo stesso capo dello stato che dicono servire,
tenuti insieme come sono da legami di tipo familiare o etnici e, per
qualcuno, da motivi di interesse o di vendetta.
E se ciò era rimasto nascosto alla gran parte dell’opinione pubblica che
non era informata adeguatamente, si suppone che fosse invece
conosciuto dalla diplomazia e dai militari francesi, nonché dal
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contingente ONU, da tempo presenti in Costa d’Avorio. E quindi ci si
può chiedere se la comunità internazionale sapesse e abbia chiuso un
occhio, se non due. In sostanza, è lecito domandarsi se la soluzione
della crisi scatenata da Gbagbo col suo rifiuto di cedere il potere dopo
la sconfitta elettorale richiedesse decisioni e alleanze a tal punto
rischiose.
3. I prossimi due mesi
Alassane Ouattara deve ora affrontare sfide che potrebbero essere
superiori alle sue, pur indubbie, capacità. Si trova a dover rimettere in
piedi un paese che esce da una guerra civile, anche se a bassa intensità,
dovendo innanzitutto ricostruire un sentimento di unità nazionale.
Il problema più immediato da risolvere, ma anche quello più
importante, è quello della sicurezza, sia ad Abidjan che in altre zone
del paese. Non è possibile attendersi la piena ripresa delle attività
economiche mentre continuano i saccheggi e le violenze, di matrice
politica o criminale. Il 14 aprile è stato annunciato che il nuovo
presidente si è impegnato a riportare la pace in due mesi. La situazione
attuale porta però a ritenere che ci vorrà più tempo.
Al momento, comunque, diviene ancora più rilevante il ruolo che le
forze internazionali sono chiamate a svolgere nella nazione africana. I
caschi blu e i militari del Licorne dovranno pattugliare le strade,
principalmente insieme alle FRCI, ponendo fine ai saccheggi e
assistendo gli uomini di Ouattara nell’opera di smilitarizzazione
graduale. Questa dovrà passare, ad esempio, per la consegna
volontaria o per il sequestro delle armi da fuoco che abbondano nel
paese. Va detto che in questa fase molti preferiranno tenersi le pistole
e i mitra ottenuti in vari modi, magari per non essere derubati dalle
bande criminali che continuano a imperversare.
Vi è poi l’aspetto economico. Indubbiamente pian piano cominciano a
riaprire i negozi, a girare i taxi, a funzionare servizi come quello degli
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COSTA D’AVORIO: LE INCOGNITE DEL DOPO GBAGBO
SMS. Ma per il momento il paese ha bisogno del sostegno
internazionale, anche sul piano alimentare. L’Unione Europea ha
rapidamente risposto agli appelli di Ouattara, sospendendo l’embrago
che aveva posto sui porti di Abidjan e San Pedro e scongelando i beni
di alcune istituzioni economiche del paese. Queste misure erano state
prese per far pressione su Gbagbo, anche su richiesta di Ouattara.
Costui ha privato di sostegno economico il rivale isolandolo
economicamente sul piano internazionale, ad esempio impedendo
l’esportazione di cacao, di cui la Costa d’Avorio era fino a poco tempo
fa il maggiore produttore al mondo. Ouattara dispone di relazioni
economiche in grado di facilitargli il compito. Ma la situazione di
guerra, che lui e i suoi hanno contribuito a creare, potrebbe avere
creato ferite difficili da sanare.
Il capo dello stato dovrà però anche ripagare quelli che lo hanno
sostenuto nella lotta per diventare presidente, in primo luogo i
comandanti delle milizie che hanno combattuto per lui. E non è chiaro
al momento se sarà in grado di accontentare tutti e, al contempo,
conservare il potere di agire e decidere.
Infine c’è la questione della sorte che toccherà allo sconfitto. È
necessario metterlo davanti alle sue responsabilità, prima di tutto
politiche (come quella di aver armato milizie responsabili di atrocità
sui civili), senza farne un martire. Questo per evitare che il clima di
rancore e di sospetto reciproco impedisca la riconciliazione nazionale.
Perché ciò avvenga, tuttavia, sarà necessario far luce fino in fondo
anche sulle violenze compiute dalle FRCI, e punire i responsabili. Allo
stato attuale non si può prevedere se questo avverrà.
4. Conclusioni
Alassane Ouattara e i suoi partner internazionali, in primo luogo la
Francia, si trovano a una svolta fondamentale. In sostanza, dopo aver
vinto la guerra devono vincere la pace. Il neo presidente dovrà
dimostrare di poter ricostruire quello che anche i suoi uomini hanno
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distrutto. La comunità internazionale dovrà sostenere il leader
ivoriano per dimostrare di aver scelto la persona giusta per guidare il
paese.
I leader mondiali dovranno spiegare all’opinione pubblica, sia
ivoriana che mondiale, perché le milizie del loro candidato si sono
macchiate di colpe simili a quelle dei sostenitori dello sconfitto. Ma,
prima di tutto, dovranno aiutare a porre fine alle violenze.
È presto per dire se Ouattara sarà all’altezza del suo compito. Ma si
può già dire che i suoi errori e le sue inadeguatezze ricadranno anche
su chi lo ha sostenuto dall’esterno, anche quando non era tenuto a
farlo.
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