file - Museo dell`automobile

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NONNO COSTRUTTORE MAMMA DA CORSA
Ada Chiribiri fu tra le prime donne pilota italiane. La figlia Céline ce ne racconta la
vicenda, saldamente intrecciata a quella del padre, Antonio Chiribiri, pittoresca e
avventurosa figura di inventore e pioniere dell’automobile.
Chiribiri: una parola che sembra uscita da una filastrocca di Rodari. Si tratta invece di
un nome,e, come qualche lettore ricorderà, di una marca che negli anni Venti
distingueva agili vetturette costruite a Torino, spesso guidate da una giovane donna
bruna, dal viso bellissimo e volitivo. Quella donna, tra le prime donna pilota italiane,
era Ada Chiribiri, nata nel 1896 da Antonio, il capostipite della famiglia, uno degli
inventori più estrosi e geniali della nostra storia recente. A ricordare sorridendo le
imprese epiche, e spesso sfortunate, del nonno così come i trascorsi sportivi della
madre, è Céline Castellari Marchis, figlia di Ada, a cui la lega un tenerissimo
ricordo… e la gioia di guidare.
- Che origini ha un nome dal suono così curioso?
“Ha origini veneziane, anzi, per essere più precisi di Rialto di Venezia. Ma forse ci
sono anche ascendenze asiatiche, turche… Torino è stata patria d‟adozione, ultima
città tra le tante toccate nella vita avventurosa e vagabonda di mio nonno, sempre
sospinto da un‟inesausta curiosità verso tutto ciò che era nuovo e mai tentato prima”.
-Effettivamente all’alba del secolo molti orizzonti si aprivano all’uomo. Quale fu
la prima passione di suo nonno?
“Fu l‟automobilismo, poi l‟aeronautica, poi nuovamente l‟automobilismo, due
passioni che si intrecciarono e si sovrapposero ripetutamente l‟una all‟altra lungo
tutta la sua vita”.
- Dove iniziò a lavorare?
Alla Miari &Giusti di Enrico Bernardi, a Padova, tra le primissime industrie
automobilistiche italiane. Poi alla Florentia, a Firenze, come „operaio finito‟, cioè
specializzato. Quindi, nel 1905, alla Isotta Fraschini di Milano. Meno di due anni
dopo si trasferì alla Junior di Torino, una delle numerose fabbriche fondate dai fratelli
Ceirano. Ma non vi rimase a lungo e presto si spostò a Brescia, presso la Bixia Zust”.
- E a Brescia rimase, almeno per un certo tempo…
“Si: è a Brescia che si lasciò affascinare dai primi esperimenti aeronautici. Con un
amico, tale Bertelli, coraggioso (o temerario) quanto lui stesso, lanciava pesi tarati nel
vuoto per studiarne le traiettorie e osservava il volo degli uccelli. Si raccontava che
un giorno i due sostituirono le piume delle ali di due falchi con ali di seta
leggerissima: i poveri animali si alzarono in volo e furono subito preda delle correnti,
nessuno li vide mai più! Comunque i due non si perdettero d‟animo, anzi, di tentativo
in tentativo, arrivarono a costruire una sorta di elicottero a due notori”.
-Riuscì ad alzarsi in volo?
“No, perché il Bertelli ricoprì le ali con lamiera di alluminio, rendendole troppo
pesanti. Come tentò di decollare si ruppe l‟albero. Mio nonno però non era un uomo
da arrendersi”.
- E cambiò di nuovo città…
“Tornò a Torino, dove trovò impiego presso le Officine Aeronautiche Miller, che si
dichiaravano tranquillamente in grado di costruire „qualsiasi macchina per volare su
semplice presentazione di uno schizzo‟. Costruirono in effetti l‟aerocurvo,
l‟ornitottero e un dirigibile, che fu l‟unico apparecchio in grado di decollare. Nel
1910 tuttavia, ansioso di sempre maggiore libertà, mio nonno decise di mettersi in
proprio”.
- E a questo punto entra nella storia anche la figlia di Antonio, Ada Chiribiri,
ovvero sua madre.
“Certamente. Giovanissima, molto bella, dal carattere ben formato da una vita così
errabonda e da un padre così avventuroso, Ada entrò nell‟azienda del padre subito
dopo il diploma alla scuola tecnica, per occuparsi dell‟amministrazione”.
- Cosa stava progettando Antonio in quel periodo?
“Nientedimeno che un aereo, che fu il primo aereo italiano costruito interamente dalla
stessa ditta. Fu egli stesso a collaudarlo, in Piazza d‟Armi a Torino. Riuscì a decollare
ma quando decise di atterrare tentò un volo planato, a motore spento, nonostante un
forte vento. Naturalmente cappottò e si infranse al suolo ma, tra meraviglia dei
presenti, uscì tra i rottami dell‟aereo con il suo solito viso allegro e sorridente,
chiedendo una sigaretta!”.
- Si arrese?
“Non gli sarebbe stato possibile! Continuò a costruire aerei, quindici in tutto, con
alterne vicende, fino al 1913. In quell‟anno lasciò l‟avventura aeronautica e riprese a
interessarsi di automobili”.
- Quale fu il suo primo progetto?
“Realizzò il progetto dell‟ingegner Fuscaldo per la vetturetta Rombo, così
denominata a causa della disposizione, romboidale appunto, delle ruote. Era una
vetturetta originalissima e la si vide girare anche per le vie di Torino. Ma non ebbe
seguito”.
- Ada continuava a lavorare in azienda?
“Sempre: e la sua collaborazione si rivelò davvero preziosa. Il padre aveva bisogno di
avere vicino a sé una figura pragmatica, realista, che lo aiutasse a non perdere mai di
vista il senso concreto delle cose”.
- Quale fu la prima vettura Chiribiri?
“La Siva, del 1914. Fu la macchina su cui Ada imparò a guidare, o meglio si
perfezionò, perché aveva imparato a guidare poco più che bambina. Destava
sensazione questa giovane donna negli ambienti allora un po‟ chiusi della Torino
bene: era indipendente, autonoma, lavorava, guidava automobili che portavano il suo
stesso nome. E ciò non era molto frequente, alla vigilia della prima guerra
mondiale!”.
- Intanto cresceva anche la sua posizione in azienda…
“Senza dubbio. Nel 1918 era diventato Procuratore Generale della Chiribiri un certo
Vittorio Valletta. Quando Valletta si dimise, nel 1921 per entrare in Fiat, Ada ne
prese il posto”.
- Poi furono costruite altre vetture Chiribiri. Quali?
“Dal 1915 al 1917 si produsse la Tipo 2, di 1300 cm3 di cilindrata. Dopo la guerra
uscì la Tipo Unico, presentato al Salone di Parigi del 1919, di cilindrata appena
maggiore (1593 cm3)”.
- Si trattava di vetturette da corsa?
“Non ancora. La prima Chiribiri che gareggiò fu la Tipo Roma 5000, alla RomaRocca di Papa del 1921. Piloti erano Ramassotto, già dal 1911 socio dell‟azienda, e
Deo, fratello di Ada, spericolato e temerario quanto il padre e molto più incline a
correre sulle automobili che a studiare, come invece Antonio avrebbe voluto”.
- Quando cominciò a gareggiare Ada?
“Nell‟estate dello stesso anno, il 1921, sul modello Roma Sport, alla Biella-Oropa. Si
classificò quinta, unica concorrente femminile. Fu quella la prima di diverse gare: la
Susa-Moncenisio del 1921, l‟Aosta-Gran San Bernardo del 1921 e 1922 e alcune altre
minori”.
Doveva essere una squadra corse molto originale, quella della Chiribiri del 1921: Ada
pilota, con il padre seduto accanto a farle da meccanico e da co-pilota… Su una copia
della Gazzetta dello Sport di quell‟anno leggiamo: “Una parola di ammirazione
merita la signorina Ada Chiribiri che ha coraggiosamente pilotata la propria vetturetta
sul difficile percorso, con fondo ricoperto di ghiaia sottile, insidiosa e smossa specie
nelle curve”.
- La Roma Sport fu l’ultimo modello da corsa costruito dalla Chiribiri?
“Ci fu ancora una vettura da Gran Premio di un litro e mezzo di cilindrata. Quando
della vettura, ancora senza nome, cominciò a parlare la stampa, vi fu chi propose di
battezzarla Ada, in onore di colei che destava tanta ammirazione nel mondo sportivo!
Si decise invece di chiamarla Monza e su di essa Nuvolari colse una delle prime
vittorie della sua carriera automobilistica”.
- Il 1923 fu un anno importante per Ada…
“Senza dubbio, perché al traguardo della Susa-Moncenisio l‟attendeva un giovane
avvocato di Torino, già da tempo innamorato di lei e deciso ad approfittare
dell‟occasione per rompere il ghiaccio. Tanto lo ruppe che sei mesi dopo erano già
marito e moglie”.
- Cosa significò il matrimonio per Ada?
“L‟abbandono, senza troppi rimpianti, sia delle corse, sia del suo incarico
nell‟azienda paterna. Stava peraltro per iniziare un periodo molto difficile per la
Chiribiri, schiacciata dalla concorrenza delle marche più grosse che erano già in
grado di produrre in serie, come la Fiat. Si tentò di raddrizzare le sorti con un
modello più economico, il Tipo Milano, venduto però, per renderlo competitivo, a un
prezzo troppo basso rispetto ai suoi costi di produzione. E con questo modello,
costruito fino al 1928 soprattutto in versione taxi, si chiuse la storia della Chiribiri”.
Esistono ancora pochissime Chiribiri. Se ne conosce l‟esistenza, a tutt‟oggi, soltanto
di tre: un telaio da corsa, esposto al Museo dell‟Automobile di Torino, una Tipo
Unico, posseduta da un collezionista valdostano, e una Tipo Milano, di proprietà dei
due figli di Deo, Giovanni e Alessandro, ultimi discendenti della famiglia che ancora
ne portano il nome. Un nome che sembra una filastrocca e che evoca avventure
lontane…
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell‟Automobile di Torino
(intervista del 1990)