del 28 Giugno

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del 28 Giugno
Del 28 Giugno 2015
Estratto da pag.11
Del 28 Giugno 2015
Estratto da pag.11
Profughi, parlano le cooperative «Ecco come spendiamo i 35 euro»
I vertici di Ecofficina spiegano come funziona il meccanismo dell’accoglienza padova «I profughi non sono un
affare, sono un lavoro che richiede predisposizione e molti sacrifici, se volessimo arricchirci faremmo altro». Le
cooperative sociali che si occupano dell’accoglienza dei rifugiati collaborando con le prefetture escono allo
scoperto e spiegano come vengono spesi i soldi stanziati dal ministero dell’Interno per la gestione
dell’emergenza. Dopo un forzato silenzio dovuto al clima politico molto teso e alle polemiche nate sulla
gestione dell’emergenza, Ecofficina, che gestisce tutte le presenze nella Bassa Padovana, spiega nel dettaglio
come vengono ripartiti i 35 euro pro capite disposti dal bando. A parlare sono il presidente di Ecofficine
Gaetano Battocchio, l’amministratore delegato Sara Felpati e suo marito Simone Borile, che non riveste alcun
ruolo all’interno della cooperativa (avendo lui numerosi altri incarichi in provincia), ma che ne è comunque il
padre putativo, nonché volontario della prima ora. Ci ricevono nell’albergo Hotel Terme, a Battaglia Terme,
dove ha sede la coop. L’origine dell’inchiesta nasce dal fatto che la cooperativa, nata nel 2011, ha aumentato
esponenzialmente il valore della produzione, passando da poco più di 100mila euro nel 2011 a oltre un milione
nel 2013 a 2 milioni e 369 mila euro l’anno scorso. «Ma di questi solo 410mila euro sono attribuibili ai
richiedenti asilo, mentre negli anni precedenti al 2014 non ci occupavamo dell’emergenza», dice Gaetano
Battocchio. Presidente Battocchio è un affare quello dei profughi? «Direi proprio di no, nessuno può
comprendere le difficoltà che affrontiamo quotidianamente, e poi dobbiamo stare nei limiti di spesa per non
sforare». Come sono suddivise le spese della cooperativa? «Dei 35 euro stanziati per ogni profugo noi
spendiamo 5 euro in forniture generiche e di struttura, (affitto, acqua, luce, gas, telefono e connessioni), 14,5
euro in pasti, medicine, trasporti, pulizie, pocket money, 13,5 euro in operatori, mediatori culturali, supporto
amministrativo, psicologi e insegnanti, un euro e 90 centesimi vanno in contabilità, assicurazioni, mezzi e
imprevisti». Chi controlla queste spese? «La prefettura ha in mano la situazione aggiornata minuto per minuto.
Ci sentiamo più volte al giorno con Alessandro Sallusto, delegato all’emergenza della prefettura di Padova. Ci
sentiamo anche con il vicario del prefetto Pasquale Aversa con il quale siamo in contatto 24 ore su 24. Noi
comunque facciamo firmare ai profughi ad ogni pasto che ricevono. C’è un report diurno, uno notturno, ogni
fine mese c’è il rapporto complessivo». E la prefettura ogni quanto vi paga? «Ci paga ogni 60 giorni sulla base
dei nostri resoconti». Quanti profughi avete in gestione in questo momento? «Questa è un’informazione che non
siamo autorizzati a dare a nessuno, la comunicazione è affidata soltanto alle prefetture. Detto questo assicuro
che la questione partenza-arrivi è sempre monitorata. Poi, da un punto di vista dei conti non è mai così netta:
quando arriva uno straniero noi lo dobbiamo vestire da capo a piedi. In inverno, per esempio, dobbiamo
comprare felpe, piumini, scarpe, berretti, sciarpe guanti, compriamo tutto da Decathlon, perché ha un buon
rapporto qualità prezzo» Ma non ci sono donazioni di vestiti, aiuti?
«È vero che la gente ci porta molte cose da vestire, ma non bastano mai, abbiamo picchi di spesa per chi arriva
che si aggira sui 100 euro a straniero, sono soldi che recuperiamo se il profugo si ferma per mesi, ma se arriva e
se ne va dopo due giorni, cosa che viene prontamente segnalata alla prefettura, quei soldi li perdiamo».
Chi sono i vostri fornitori? «È gente del posto, cooperative padovane che sono specializzate nell’accoglienza
degli stranieri: adesso abbiamo il Ramadan, quindi i pasti vanno serviti di notte, per i credenti, per i cristiani
invece ci sono i tre pasti di giorno, serve qualcuno che sia elastico nella gestione di queste cose, e poi facciamo
la spesa da agricoltori della zona, cerchiamo di far lavorare tutti». Chi è la gente che lavora con voi?
«Abbiamo dato una mano a paesani in difficoltà, che con noi hanno trovato lavoro, poi ci sono ragazzi che
insegnano l’italiano, i mediatori, è tutta gente che non ha orari: gli stranieri arrivano la notte, non sappiamo mai
di che nazionalità sono, arrivano spaventati, sono stanchi, affamati, hanno passato l’inferno, non si fidano di
nessuno, li separano da mogli e compagne, piangono disperati, insomma, non è facile e nessuno di noi si
arricchisce su di loro».