Aziende quotate: quale valore

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Aziende quotate: quale valore
AZIENDE QUOTATE, QUALE VALORE?
Tutti sappiamo che il valore di un bene si determina unicamente in funzione dell'incrocio fra
domanda e offerta, e questo vale anche per le azioni. E' diffusa la credenza che i risultati
prospettici delle aziende abbiano un qualche impatto sul valore, per cui gli analisti si
sforzano per divinare il futuro sulla base delle informazioni rappresentate dal management
e di qualche studio di "comparables". Anche se tale sforzo fosse coronato da successo,
rimane poi l'arduo compito di indovinare se il punto di partenza, cioè il valore odierno di
un'azione quotata, stia già incorporando l'impatto dei risultati futuri; è frequente il caso di
aziende che riportano utili più elevati che in passato e il cui titolo cala in borsa, perché in
realtà gli analisti avevano già previsto tale miglioramento prima dell'annuncio dei "quarterly
earnings".
Milioni di menti si esercitano quotidianamente su migliaia di titoli per divinare la relazione
fra risultati attesi, politica di dividendi, andamento generale del mercato, confronto fra titoli
comparabili, e "sentiment" degli investitori, nella speranza di poter vendere o comprare
oggi quello che domani sarà meno caro o più caro. Keynes notava già molti decenni fa
come mai ci fosse stato nella storia umana un esercizio più futile che però impegnava tante
menti intelligenti e non; da allora non è cambiato niente, anche se i metodi analitici sono
diventati più complicati e più accessibili a tutti con l'uso dei computer e delle banche dati.
In tempi di prolungata recessione, gli investitori sono alla ricerca di titoli "sicuri" o anticiclici;
utilities, aziende alimentari, farmaceutiche e simili. L'attenzione si focalizza sulle prospettive
di crescita o stabilità del settore, di evoluzione dei profitti dell'azienda, di evoluzione
competitiva, di possibili interventi di carattere straordinario (per es. OPA). Sappiamo quanto
sia facile criticare, sia sotto il profilo dei metodi di calcolo utilizzati che dei possibili conflitti
di interesse, l’ingrato lavoro degli analisti che cercano di dare una raccomandazione al
povero investitore. Tuttavia, si può dare anche qualche consiglio derivato dall'esperienza
dei private equity funds (fondi chiusi); i fondi di successo operano come un tipico investitore
in azioni, nel senso che comprano tutta un'azienda (e non solo un lotto di azioni),
nell'attesa che, attraverso un serio lavoro di ristrutturazione e sviluppo, l'azienda possa
valere domani di più di quanto valga oggi, e che questo valore possa essere monetizzato
vendendo tutta l'azienda o quotando la maggioranza delle azioni.
I fondi chiusi fanno un lavoro molto serio, nel senso che le analisi di un'azienda e del suo
settore non sono fatte solo per pubblicare un consiglio destinato ad altri, ma per decidere
se investire o meno i propri soldi. Non c’è modo che un analista e tanto meno un piccolo
investitore possa fare un lavoro simile. Quindi, quando si tratta di decidere se comprare o
vendere un titolo, è meglio rinunciare a capire l’azienda e le sue prospettive e seguire il
comportamento di chi ha competenza, interessi collimati e un buon record di successo.
Il primo consiglio è quindi di comprendere bene chi sta investendo i propri soldi in un titolo
azionario e perché; la motivazione è importante, in quanto se si tratta solo di garantire il
controllo o di predisporre posizioni negoziali in uno scacchiere complicato, il piccolo
investitore non ha niente da spartire. Se, come accade purtroppo raramente, un investitore
importante e competente compra un titolo, motivato solo dalla prospettiva di un rendimento
a lungo termine (dividendi e capital gains), forse vale la pena di seguirne l'esempio.
Il secondo consiglio è quello di astenersi dall’investire direttamente. In sostanza, la borsa
dovrebbe essere vietata agli investitori individuali, che non possono sapere quello che
fanno. Lasciare che il privato investa in borsa significa consentirgli di partecipare ad un
gioco d'azzardo in cui qualcun altro avrà certamente migliori informazioni; l'investimento
deve avvenire attraverso investitori professionali, remunerati non tanto sulle commissioni
ma in base ai risultati ottenuti per i clienti, così come è la regola per i private equity funds.
Se poi un piccolo investitore vuole proprio scommettere in borsa acquistando delle azioni,
allora il terzo consiglio potrebbe essere di ignorare totalmente i rapporti degli analisti e
ignorare soprattutto i parametri tradizionali (stime di crescita, di andamento del settore
ecc.). Dato che in teoria tali informazioni sono disponibili a tutti (ma in realtà ad alcuni
prima degli altri), la lettura di tali analisi non fornisce nessun vantaggio differenziale rispetto
a prendere decisioni lanciando una monetina. I fondi di private equity di successo dedicano
molta attenzione a valutare la qualità del management, a strutturare le motivazioni del
management in modo collimato a quello dell'investitore, e a stabilire una relazione fra
l'investitore ed il management che sproni alla creazione di valore per tutti gli azionisti.
Questi sì che sono le condizioni importanti da considerare.
Non è difficile per un piccolo investitore capire se tali condizioni siano presenti nella società
le cui azioni si vogliono comprare. Basta porsi semplici domande; l'azionista di controllo è
più interessato a mantenere il potere o a far guadagnare i piccoli azionisti? La politica dei
dividendi è prevedibile o può esser cambiata non appena viene meno la motivazione
dell'azionista di controllo a convincere gli investitori a tenere le azioni o a partecipare a
futuri aumenti di capitale? L’azienda è veramente contendibile? L'amministratore delegato
è competente, nel senso che effettivamente ha fatto guadagnare i propri investitori in
passato? L'interazione fra amministratore delegato ed azionista di controllo è improntata
alla sudditanza oppure alla creazione di valore? Il Consiglio di Amministrazione è
effettivamente indipendente? La remunerazione del top management è correlata
fortemente alla creazione di valore nel lungo termine? E, anche in tal caso, il top
management ha età e caratteristiche che facciano ipotizzare una maggior dedizione a
mantenere il potere o a creare valore?
Non molte imprese italiane passerebbero positivamente questo vaglio, ma solo in queste
vale la pena di investire direttamente o indirettamente. Nelle altre si può sempre sperare
nell'indovinare il momento giusto per comprare o vendere; qualcuno ci riesce ma la
statistica non è confortante.
Gianfilippo Cuneo